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Autore: Floffy_95    19/02/2015    1 recensioni
Un principe valoroso che cerca di proteggere la sua famiglia e un astuto Signore di Doni intenzionato a dominare l'intera Arda. Chi è Angmar? dov'è nato, qual'è la sua storia? ma soprattutto: cosa lo ha reso quello che è divenuto famoso per essere il grande Re Stregone temuto da tutti? Questa è la storia di un uomo chiamato Isilmo, fratello della regina di Númenor, che per spezzare il suo destino finì per decretarlo, per liberarsi dal peso della morte finì per diventare parte di essa, per salvare la sua famiglia finì per condannarla.
Salve a tutti! Questa è la mia prima fan fic.
Genere: Angst, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nazgul, Sauron, Stregone di Angmar
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo IV:

Ghân-rani-Ghân

 

 

 

Sorrido cordialmente all'uomo che ho davanti.

«Grazie. Sono il principe Isilmo della Casa di Indilzar. Voi siete?»

«Adrahil di Nindamos, magistro governatore di questa colonia del reame, vostra grazia.

Ho lavorato per vostro padre e ora lo faccio fedelmente per vostra sorella come amministratore di Lond Daer.»

Mi guardo intorno con circospezione, lisciandomi la barba bionda.

«Ditemi, Adrahil, come vanno gli affari in città?»

Il magistro mi scruta con sguardo amareggiato.

Scuote la testa.

«Male, con questi selvaggi guerrafondai.»

Adrahil sospira profondamente e si mette a fissare il suolo con occhi meditabondi.

Cala un silenzio imbarazzante.

Il magistro si riscuote dai suoi pensieri.

«Ma non è bene parlare qui alle porte della città. Venite, nel castello staremo più comodi.»

Annuisco sorridendo con accondiscendenza.

Con un cenno, saluto i miei uomini che tornano alla nave.

Le porte si aprono e seguo il magistro oltre le mura.

Una larga via lastricata porta al castello, tozzo e massiccio, di pietra grigia.

Alzo lo sguardo.

Alte finestre a sesto acuto si aprono verso occidente, mentre tetti d'ardesia ricoprono aguzzi le torri quadrate.

La via è perlopiù percorsa da pescatori e falegnami che compongono la maggior parte della popolazione della colonia.

Arrivati nel castello veniamo subito accolti dalle guardie scelte che si inchinano appena alzo il braccio destro, mostrando l'anello.

Adrahil mi fa strada attraverso una scalinata fino alla sala maggiore, in cui arde un camino centrale interrato e molti uomini scrivono

seduti a dei tavoli raccolti attorno.

Adrahil indica gli scribi intenti a pesare monete e a scribacchiare su rotoli di pergamena.

«Questa è la sala dei contabili che si occupano delle imposte sulle colonie.»

Arriviamo a una scala a chiocciola che si arrampica su una torre più grande delle altre.

Arrivati in cima ci ritroviamo in una sala spaziosa, affrescata con scene di caccia e con arazzi appesi alle pareti.

Adrahil si abbandona su uno scranno di legno dipinto con un sospiro.

«Qui staremo più tranquilli.»

Mi fa cenno di sedermi su una sedia imbottita lì vicino.

Incrocia le mani sul ventre prominente.

«Dunque. Voi siete qui per conto della Regina, giusto?»

Scuoto una mano.

«Con tutto il rispetto, il perché sono qui è affar mio.»

Adrahil annuisce gravemente.

«Certo, certo! Non intendevo questo, mio signore.»

si stuzzica il pizzetto.

«Ma qualunque cosa voi vogliate fare, avrete bisogno del mio aiuto.

Io sono l'autorità della Regina, qui, e il mio aiuto potrebbe farvi molto comodo, qualsiasi cosa voi intendiate fare a Lond Daer.»

Mi passo una mano sulla mascella.

Posso davvero fidarmi di lui?”

«Siete molto gentile, sire Adrahil.»

Il magistro sorride conciliante.

«È il minimo che possa fare, vostra grazia.»

Lo fisso con occhi inquisitori e lo vedo impallidire.

Dopo un po' allento lo sguardo e mi rilasso sulla poltroncina.

«Sto facendo delle ricerche sullo stato di mantenimento della colonia e sul conflitto scoppiato con gli abitanti autoctoni della regione.»

Adrahil scuote una mano con disgusto.

«Barbari, selvaggi abitatori delle foreste. Non meritano la tua attenzione, mio signore.»

«La meritano eccome visto che hanno incendiato a più riprese il porto e i suoi giacimenti di legname.»

Adrahil si sistema sullo scranno, come se fosse scomodo come l'argomento trattato.

«Vedo che siete ben informato, mio signore.»

Sospira con fare stanco.

«Comunque da quando abbiamo cintato il porto di mura quei sozzi selvaggi hanno

attaccato solo qualche magazzino o stocco di legname, nulla di grave.»

Scuoto la testa bionda con convinzione.

«Se fossi in voi non chiamerei “sozzi selvaggi” gli indigeni della Terra di Mezzo. Sono anche loro della razza degli Edain, così come i nostri antenati.»

«Come voi dite, phazân17

Inspiro profondamente e ributto fuori l'aria lentamente.

Adrahil sospira a sua volta.

Passano alcuni istanti.

Mi alzo dalla sedia.

Il magistro fa lo stesso.

«Comunque vorrei incontrarmi con i nativi.»

Adrahil scuote debolmente il capo.

«Lasciate perdere, mio signore. Quei... quegli uomini sono ottusi e duri come la pietra. Abbiamo già provato invano di convincerli, non c'è modo.»

Lo fisso con sguardo penetrante.

«Lasciatemi tentare.»

Adrahil annuisce e fa un cenno in direzione della porta.

«Certamente. Ma ora sarete stanco, venite, vi condurrò nelle vostre stanze.

Datemi due giorni o tre e troverò un interprete.

Nel frattempo potrete visitare la città, benché non vi sia certo molto da vedere per un principe di Arminalêth.»

Il magistro si avvia verso le scale e io lo seguo a ruota, lanciando un'occhiata alle finestre.

Il mare grigio sussulta sulla costa, agitando le sue acque turbinose in pennacchi di schiuma che si infrangono sugli scogli.

Cosa starai facendo adesso, Anariën?”

 

 

La notte è calata da un pezzo ma non riesco a prendere sonno.

La mia stanza è sobria ma degna di un uomo del mio rango e si apre su un portico che guarda in un cortile interno.

Sbuffo.

Mi alzo dal letto a baldacchino, scostando la coperta con un gesto brusco.

Mi avvicino alla finestra aperta.

Il mare è nero come i capelli di Anariën.

Scruto il cielo limpido e terso, sfavillante di stelle.

Sarai diventato una stella anche tu, padre?”

Mi passo una mano sugli occhi.

Mi sento terribilmente solo.

Cosa faranno i miei figli? Tarion farà il bravo? E Elmo? Anarwen avrà smesso di piangere?

E Minastir? Come starà il mio primogenito?”

Sono in ansia per lui. Avrei dovuto consolarlo, invece gli ho solo dato degli ordini.

Prendo una boccata d'aria.

È gelida e il sapore del mare si diffonde nelle mie narici.

Vorrei essere a casa adesso. Vorrei poter proteggere la mia famiglia da ogni male.”

Incrocio le braccia sul davanzale e vi appoggio il mento.

Aguzzo la vista, cercando di scrutare oltre l'orizzonte, verso casa.

Il cielo e il mare sono mescolati in una tonalità di blu scuro, rendendo impossibile distinguerne i confini.

Sbuffo ancora e chiudo le imposte.

Mi sdraio nuovamente sul letto e mi seppellisco sotto le coperte.

Il mio cuore batte forte.

Quando infine riesco ad addormentarmi sogno di stare con la mia famiglia.

Siamo nel giardino di casa nostra.

Sono seduto sul porticato e tengo Anarwen sulle ginocchia.

Mia moglie è al mio fianco.

Si carezza la pancia, ora molto visibile.

«È un maschio.» Mi sussurra.

 

 

Mi sveglio a mattino inoltrato.

Mi alzo dal letto stiracchiandomi con vigore e apro le imposte.

È un bel mattino soleggiato con poche nuvole e poca brezza, il mare è liscio e i gabbiani strepitano nell'aria,

volteggiando sui tetti delle case e delle baracche dove si aggregano a pasteggiare con il pescato appena raccolto.

Ammicco, abbacinato dal sole.

Mi lavo il viso in una catinella di ceramica vicina al letto e mi vesto.

Mi sto infilando gli stivali quando sento bussare alla porta.

«Avanti.»

La porta si apre.

Mi volto sorpreso.

Sgrano gli occhi.

Davanti a me si erge un omone dai muscoli guizzanti, la pelle olivastra abbronzata e gli occhi lunghi come mandorle amare.

Indossa dei comodi pantaloni alla zuava e babbucce di pelle di cervo.

A parte una fascia di seta rossa e un gilet anch'esso di seta ricamata mostra il petto e l'addome lucido e glabro completamente nudo.

Al fianco porta una scimitarra dal manico istoriato e la guaina decorata di nappe dorate.

In testa porta un elmo di bronzo dalla cima aguzza e bordato di pelliccia sui bordi.

«E voi chi sareste?» esclamo esterrefatto.

Il gigante si inchina profondamente e si toglie l'elmo, mostrando la testa pelata, ad eccezione di una coda di cavallo,

nera come i suoi lunghi baffi sottili.

«Io sono Kadom Kambarov, mio signore. Sono qui per ordine della Regina.»

Mi riscuoto, osservandolo meglio negli occhi neri.

«Parli bene la mia lingua, ma il tuo accento è insolito, così come il tuo aspetto.»

«Vengo da Tarasgrad, nel Rhûn, mio signore.»

Mi passo una man sulla mascella.

«Così ti ha inviato qui mia sorella, eh? E con quale scopo?»

«servirvi come guardia del corpo e proteggervi nella vostra missione.»

Incrocio le braccia sul petto e alzo un sopracciglio.

«Credi di esserne in grado?»

L'uomo mi scruta con sguardo fiero.

Scopre i denti bianchissimi in un sorriso tronfio.

«Ero il più forte del mio villaggio, mi signore. Vi proteggerò da ogni pericolo.»

Increspo le labbra.

«Puoi proteggermi da me stesso?»

Kadom aggrotta la fronte, sembra confuso.

Faccio una risatina amara.

«Lascia perdere.»

Rimaniamo in silenzio per qualche istante.

«Così tu saresti la mia guardia giurata è così?» esclamo.

«Sì, mio signore.»

«Puoi giurarlo?»

Il gigante si inginocchia e sfodera la scimitarra.

Alza le braccia e mi porge la spada.

«Giurerò per voi.»

Arriccio le labbra, divertito.

Afferro la scimitarra.

«Giuri di servirmi e di obbedirmi con onore?»

Kadom china il capo rasato.

«Lo giuro.»

«Giuri di proteggermi e di sostenermi nelle difficoltà, tacendo quando ti sarà dovuto?» continuo.

Kadom sorride soddisfatto.

«Lo giuro.»

Lo fisso con severità.

«Giuri di obbedirmi anche quando l'ordine fosse di fuggire e salvarti la vita?»

Il gigante stringe i denti.

«Lo giuro.»

Alzo la scimitarra e gliela poggio sulla spalla destra.

«Allora alzati, Kadom Kambarov della mia scorta.»

Poggio la lama sulla sua spalla sinistra.

«Ora sei un cavaliere.»

Kadom si alza con un sorriso sfrontato.

«I sono un mercenario, non un cavaliere.»

Mi raddrizzo, cercando di darmi un tono di fronte alla sua smisurata mole.

Tengo alta la testa, fissandolo dritto negli occhi.

«E a chi devi fedeltà?»

«A voi, mio signore.» e non vi è menzogna nelle sue parole.

 

 

Le vie di Lond Daer pullulano di gente.

Il mercato è in piena attività, le donne rammendano le reti e i falegnami trascinano cataste di assi e tronchi lavorati,

mentre dai forni si diffonde l'odore del pane.

Attraverso le mura della città, ritrovandomi nel porto.

Le banchine sono piene di pescatori che tornano a riva dopo la pesca notturna e partono per la pesca diurna.

Dalle baracche aperte viene la voce dei carpentieri intenti nella costruzione delle navi.

La gente si allontana intimorita vedendomi passare sotto l'ombra di Kadom.

Scruto l'orizzonte.

I profili di alcuni mercantili si avvicinano oltre la foschia azzurrognola che cela i confini del mare e aldilà di esso, Númenor.

Sento uno scalpicciare di piedi alle mie spalle.

«Mio signore!»

Mi volto, sorpreso che qualcuno mi rivolga la parola.

Un ometto sottile e allampanato si china davanti a me, ansimando per il fiatone.

«Menomale che vi ho trovato! Il vostro compagno messere qui, è ben difficile da confondere!»

Kadom gli scocca una occhiata torva che lo zittisce immediatamente.

Alzo gli occhi al cielo. Se mia sorella voleva darmi una protezione avrebbe fatto meglio a

trovare qualcuno che desse un po' meno nell'occhio!

«Che cosa volete?»

Il paggio si toglie il cappello in segno di saluto.

«Sire Adrahil desidera vedervi. Vi aspetta alle porte del Castello.»

Annuisco e il paggio correi via a perdifiato.

«Che avrà tanto da correre quel topolino spaventato? Non è certo una grande città questa.»

esclama Kadom ridacchiando.

Scrollo le spalle.

«Andiamo.»

 


Al castello ci attende il magistro, più una squadra di soldati scelti.

Appena mi vede sorride accomodante.

«Mio signore Isilmo! Non sapevamo dove vi eravate cacciato!»

Sorrido a mia volta con malizia.

«Ero andato a visitare il porto, come mi avevate suggerito.»

Adrahil tossicchia, coprendosi con la mano a pugno.

«Comunque, ho fatto più velocemente del previsto e vi ho portato l'interprete.

È una ragazza che parla molto bene la nostra lingua e capisce anche quella degli abitanti dei boschi.»

Scorgo solo ora una figura incappucciata a fianco del magistro, piccola e gracile.

La ragazza alza lo sguardo timidamente.

Ha grandi occhi marroni e spaventati.

Arrossisce, chinando il capo.

«Mio signore.»

Le sorrido dolcemente.

«Qual'è il tuo nome?»

«Rianni, appartengo al popolo del fiume Gwathló18.»

Sorrido ancora di più.

«Quanti anni hai Rianni?»

«Diciassette, quasi diciotto, mio signore.»

Adrahil le tira una pacca sulla spalla.

«Mostrati meglio al nostro ospite.»

Rianni arrossisce ancora ma tira giù il cappuccio, mostrando un viso ovale e lunghi riccioli bruni.

Mi avvicino a lei.

«Rianni, vuoi condurci dagli abitanti della foresta?»

La ragazza scuote il capo.

«I drûgin non amano la Gente del Mare. Dicono che siete venuti qui per razziare le coste e

per abbattere gli alberi, che per loro sono sacri.»

Sospiro sonoramente.

«Io voglio provare a trovare un accordo con loro. Mi aiuterai?»

La ragazza si inchina goffamente.

«Come comandate, vostra grazia.»

Adrahil fa un passo verso di me.

«Questi uomini vi scorteranno fino al villaggio dei... degli abitatori dei boschi.»

Gli sorrido con sicurezza, scoccando un'occhiata d'intesa con Kadom.

«Non ce ne sarà bisogno, sire Adrahil. Kadom basterà a proteggermi e certo lui non temerà i figli dei boschi.»

Adrahil sembra d'accordo ma si accosta e mi sussurra all'orecchio:

«State attento! Quei piccoli diavoli conoscono più di un segreto per uccidervi!

Usano frecce avvelenate e chissà che altro trucco.»

Gli stringo l'avambraccio in segno di saluto.

«Vi ringrazio. Starò attento.»

 

 

Le porte della città sono ormai lontane dietro di noi, mentre camminiamo lungo

il sentiero che porta dritto nel cuore della foresta.

Camminiamo per ore finché non ci sorprende il crepuscolo.

Stiamo organizzando un accampamento di fortuna quando Rianni mi si accosta.

«Loro sono vicini!» sussurra con un fremito.

Non faccio in tempo a rispondere che scorgo delle luci baluginare nell'oscurità.

«In guardia!» grido sottovoce a Kadom, il quale sfodera la scimitarra e si posiziona con un'espressione truce sul viso.

In breve, una dozzina di piccoli uomini dalla pelle scura ci circondano da ogni lato, reggendo piccole torce.

Uno di essi dalla pelle grinzosa e dagli occhi lucenti si avvicina a Kadom, credendo forse che sia il nostro capo.

Inizia a parlare in una strana lingua gutturale dai suoni profondi e rochi, aiutandosi a gesti.

Kadom scuote la coda di cavallo nera con convinzione e si volta verso la ragazza.

«Rianni! Cosa diamine sta dicendo questo tizio?»

La ragazza si stringe nelle spalle ma poi si avvicina prudentemente al piccolo uomo dal viso tatuato.

Inizia a paralre nella strana lingua della foresta alzando e abbassando continuamente tono.

Indica me, poi Kadom e sé stessa, quindi nuovamente me.

L'uomo la interrompe bruscamente e le sibila qualcosa, impugando quindi la sua lancia e minacciando di percuoterla.

La ragazza cade a terra.

Istintivamente sfodero la spada.

La folla di indigeni prorompe in grida selvagge.

La situazione sta degenerando.”

«Rianni! Che succede? Hai bisogno di aiuto?»

La ragazza scuote il capo, sgranando gli occhi. Sembra confusa.

«Non capisco! Lascia che parli ancora con lui.»

Rinfodero la spada.

«D'accordo.»

Kadom tiene la scimitarra dritta davanti a sé.

«Non sembra che lui voglia continuare la conversazione!»

Rianni intavola una nuova discussione, con toni accesi e accorati.

Questa volta il nativo tace.

Gli altri smettono di gridare.

Il nativo con la lancia mi si accosta, ignorando di proposito la ragazza.

Inizia a parlare nella sua strana lingua.

Alza in alto un pugno.

Sgrano gli occhi, perplesso.

«Che dice?»

«Che vuole assaggiare la mia scimitarra!» grida Kadom avventandoglisi contro.

«No! Fermo!» gredo e il gigante si arresta.

Il nativo indietreggia un poco ma poi si ferma ad osservarci.

Indica la ragazza e poi fa un gesto con la mano verso di noi.

«Credo che voglia che tu traduca.» sussurro a Rianni.

La ragazza deglutisce e si rialza, spolverandosi i vestiti con fare nervoso.

«Il drûg dice che noi abbiamo violato la foresta e che meriteremmo al morte.»

Fisso negli occhi il nativo che ricambia con ostilità.

«Dice inoltre che vuole sapere perché siamo qui e che cosa vogliamo dai drûgin.» continua Rianni.

«Ci ritiene invasori e nemici e ci invita ad andarcene. Subito. Non ci faranno del male se ce ne andremo.»

Scuoto la testa con insistenza teatrale e indico me e lui.

«Digli che se vorremmo potremmo facilemente bruciare l'intera foresta e radere al suolo il loro villaggio.

Ma noi siamo qui per la pace, per trovare un accordo con la sua tribù.»

Rianni mi scocca un'occhiata dubbiosa mentre inizia a tradurre.

L'uomo si gratta il pizzetto e inizia a borbottare qualcosa a bassa voce, poi però si rivolge a Rianni.

La ragazza ascolta attentatamente e poi si volta verso di me.

«Lui dice: D'accordo. Ci guiderà verso il suo villaggio. Dice che conosceremo il grande capo Ghân-rani-Ghân.»

«Ghân-rani-Ghân!» esclama il nativo con espressione compiaciuta.

Alza un braccio e mi fa cenno di seguirlo, quindi, dopo aver scoccato un'occhiata storta a Kadom

si avvia di gran carriera nel fitto della boscaglia.

In silenzio, tutta la comitiva di nativi lo segue dileguandosi fra gli alberi.

«Sono spariti!» grida Kadom, voltandosi in più direzioni.

Un braccio di un nativo spunta fuori da dietro un albero.

Esclama qualcosa e poi sparisci di nuovo.

Ci dirigiamo nella direzione dove sono spariti i nativi ma per quanto cerchiamo

rimaniamo soli in mezzo alla vegetazione lussureggiante.

Dopo un po' decidiamo di tornare indietro ma proprio allora sbuchiamo in mezzo a una radura,

circondati da ogni lato da torme di nativi.

Iniziano a gridare.

«Ghân-rani-Ghân! Ghân-rani-Ghân! Ghân-rani-Ghân!»

Alzo lo sguardo e noto che siamo in mezzo a case di frasche costruite sugli alberi.

Rianni mi tira per un braccio.

«Lui è qui! Ghân-rani-Ghân è qui!»

Mi volto nella direzione in cui indica la ragazza e mi trovo di fronte ad un uomo molto vecchio, piccolo e curvo, dalla faccia piatta e la fronte sporgente.

Ha occhi neri e penetranti e capelli crespi e grigi, lunghi fino alle sopracciglia.

Il vecchio si gratta la corta barba grigia.

Veste solo di una gonna di erba secca e la sua pelle, scura e grinzosa è cosparsa di tatuaggi.

La sua bocca si apre e ne esce una voce roca e profonda.

Rianni si volta verso di me.

«Dice: Ghân-rani-Ghân ti ascolta.»

 

 


17Adûnaic, principe, figlio del Re

18Sindarin, Inondagrigio

   
 
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