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Autore: _Trilly_    19/02/2015    7 recensioni
Violetta, Angelica, Angie, Pablo, Leon, Diego, Francesca, Marco. Ognuno di loro ha un passato che vorrebbe cancellare, dimenticare. Si sa però, che per quanto si possa fingere che non sia mai esistito, esso è sempre là in agguato, pronto a riemergere nei momenti meno opportuni, portando con se sgomento e profondo dolore. Tutto questo perchè il passato non può essere ignorato per sempre, prima o poi bisogna affrontarlo. Ognuno di loro imparerà la lezione a sue spese.
Leonetta-Diecesca-Pangie
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Diego, Francesca, Leon, Pablo, Violetta
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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“è andato a fare un giro in piazza, perché?” Pablo e Angie stavano facendo tranquillamente colazione al loro tavolo, quando Diego li aveva raggiunti facendo loro quell'incredibile domanda. Mai, nemmeno nelle più rosee aspettative avrebbero pensato che il ragazzo avrebbe chiesto loro dove avrebbe potuto trovare Marco. Lui si grattò nervosamente il capo, mentre alle spalle dei due coniugi, Leon, Violetta e Francesca gli facevano gesti di incoraggiamento. Poteva farcela, doveva solo avere fiducia. Prendendo un profondo respiro perciò, mormorò: “Ho bisogno di parlare con lui.” Un lampo di puro stupore attraversò lo sguardo di Pablo e Angie, sostituito poi da un sorriso speranzoso. “Allora vai,” lo spronò la Saramego, scattando in piedi e stringendolo in un forte abbraccio. “Lui non aspetta altro.”
“è uscito da poco, perciò non avrai difficoltà a raggiungerlo,” aggiunse Pablo, quando Angie finalmente liberò il figlio dalla sua morsa. “Vado,” annuì il ragazzo, abbozzando un sorriso nervoso. Non credeva che lo stesse davvero per fare. Sapeva che probabilmente fosse una delle poche decisioni giuste che aveva preso nella sua vita, eppure non poteva fare a meno di avvertire una certa ansia. Avrebbe voluto prepararsi un discorso, scriverlo quantomeno, ma niente, la sua mente sembrava essersi bloccata rimandandogli il vuoto più assoluto. L'unica cosa che gli restava da fare perciò era improvvisare e sperava solo di non combinare disastri a causa della sua lingua biforcuta.
“Ehi, Diego.” Leon, Violetta e Francesca lo raggiunsero davanti all'ingresso dell'albergo con dei grandi sorrisi stampati in faccia. “Andrà tutto bene, vedrai,” sorrise la Castillo, avvolgendogli le braccia al collo. “Stai facendo la cosa giusta.” Diego ricambiò l'abbraccio, facendo non poca fatica a contenere il nervosismo e per quello cercò lo sguardo di Leon e di Francesca. Vargas intuì subito dato che lui stesso si era ritrovato in una situazione simile, a dover chiedere scusa per i suoi comportamenti sbagliati e gli diede una pacca sulla spalla. “Vedrai come ti sentirai meglio dopo,” gli disse saggiamente, strizzandogli l'occhio. Diego annuì, spostando poi lo sguardo sulla Cauviglia, che gli si era avvicinata allacciandogli le braccia intorno alla vita e poggiando il capo contro il suo petto. “Tranquillo,” sussurrò, scompigliandogli teneramente i capelli. “Marco ti ascolterà, tu parla solo con il cuore.” Il moro si limitò ad annuire, stringendo forte a se la ragazza e ringraziando con lo sguardo l'amico e la cugina. “Farò del mio meglio,” promise poi, incamminandosi verso l'uscita. “Pregate per me,” sghignazzò, scatenando l'ilarità degli altri tre.
“Diego.” Aveva appena varcato l'uscita e si apprestava a scendere gli scalini di marmo, quando Francesca lo raggiunse. “Sono fiera di te,” sorrise, prendendogli il volto tra le mani e lasciandogli un dolce bacio sulle labbra. Lui la strinse prontamente a se, approfondendo il bacio. “è ora di dimostrare a tutti chi è il vero Diego,” riprese la mora alla fine del bacio. “Lo farò,” promise Diego, facendo combaciare le loro fronti. “Per me, per te e per noi.” A quel punto non potè più rimandare e così dopo un ultimo bacio con Francesca, intraprese la strada che lo avrebbe portato verso Marco e quelle numerose incomprensioni che albergavano tra di loro. Non ci mise molto a trovarlo, il ragazzo infatti era proprio in piazza dove gli avevano indicato i genitori, affacciato a una ringhiera che dava direttamente sul canale. Prendendo un profondo respiro, Diego lo raggiunse prontamente mentre il cuore gli martellava nel petto così forte da provocargli un dolore atroce. Il suo stomaco poi sembrava essersi stretto in una morsa e improvvisamente si sentiva accaldato, nonostante fosse inverno inoltrato e le temperature fossero decisamente rigide. “Marco.”
Il giovane Galindo sobbalzò letteralmente al suono della sua voce. Lo guardò inizialmente sorpreso, poi confuso, accigliato e infine quasi indifferente. “Diego,” mormorò, tornando a guardare verso il canale, le mani ricoperte da dei grossi guanti al sicuro nelle tasche del pesante cappotto.
“Ho bisogno di parlarti.” Diego non sapeva dire dove trovò la forza per far uscire quelle quattro parole dalla sua bocca, difatti era quasi più sorpreso del fratello, che ora lo fissava a bocca aperta. Dopo alcuni istanti in cui si fissarono senza dire una parola, Marco scosse la testa e distolse lo sguardo. “Non ho niente da dirti,” biascicò con voce fredda e incolore, ma il modo in cui le sue mani si artigliarono alla ringhiera in ferro tradì il suo nervosismo. Forse Francesca aveva ragione, forse per loro due c'era ancora una possibilità.
“Tu non devi dire niente, sono io che devo farlo,” disse perciò il maggiore, determinato ad ottenere la sua attenzione. “Possiamo andare in un posto tranquillo?” Ancora una volta il minore dei due si prese diversi secondi prima di dare una risposta e stavolta fu un semplice cenno del capo, un cenno che portò Diego a tirare un sospiro di sollievo. In silenzio si incamminarono fino a raggiungere un bar all'aperto, prendendo posto a un tavolo isolato, lontano dal chiacchiericcio della clientela. Gli occhi neri di Marco ora scrutavano il fratello attentamente, quasi lo stessero studiando, cosa che per la prima volta in vita sua lo fece sentire in soggezione. Forse il punto era che in tutti quegli anni non lo aveva mai guardato davvero, limitandosi solo a progettare gli infiniti modi per ferirlo. Diego lo riconosceva, aveva fatto di tutto per farsi odiare dal suo consanguineo e solo per una stupida ed incontrollabile gelosia. Non credeva che un sentimento potesse essere tanto devastante e distruttivo, eppure lo era stato, manipolandolo e portandolo a tirare fuori il peggio di se. Prima di andare in carcere quel sentimento aveva ancora tantissimo potere su di lui e solo dopo che era uscito e aveva conosciuto Francesca, aveva iniziato a rendersene conto. Aveva invidiato tutto a Marco e solo ora capiva quanto lo avesse ferito con il suo comportamento infantile, dispotico ed egoista. “Mi dispiace,” sussurrò. Ed era vero, il senso di colpa ormai era diventato il suo fedele compagno di viaggio. Era al suo fianco quando andava a letto e lo ritrovava quando si svegliava, a poco a poco lo stava consumando. “Ho permesso alla gelosia di avere tanto potere su di me, non rendendomi conto della realtà,” continuò, lo sguardo rivolto verso il tavolo. Non riusciva a capire perché, ma gli mancava la forza di guardarlo mentre gli confessava ciò che si era tenuto dentro per tanto tempo.
“Gelosia?” Marco era incredulo, stupefatto. Tutto si aspettava tranne delle scuse e di certo non pensava c'entrasse la gelosia. “Fammi capire, tu eri geloso di me?” Diego finalmente sollevò lo sguardo e annuì. “Tu eri il figlio perfetto, obbediente, tranquillo, bravo a scuola. Tutti ti adoravano, tutti ti cercavano, mentre io ero solo la pecora nera. Un ragazzo irrequieto con cui era meglio avere poco a che fare. Era impossibile eguagliarti, qualsiasi cosa facessi anche se era giusta, tu la facevi sempre meglio e così i miei tentativi nessuno li notava.” Non credeva sarebbe riuscito a tirare fuori tutte quelle cose che per anni aveva covato dentro, nemmeno Violetta e Leon che lo conoscevano meglio di chiunque altro, potevano immaginare che il suo disagio fosse stato tanto profondo e radicato, arrivando persino a condizionare la sua intera esistenza. La cosa positiva era che sicuramente ora si sentiva più leggero, come se si fosse liberato di un peso insostenibile e forse era davvero così. Lui aveva bisogno di dire quelle cose a Marco e da come lo guardava il ragazzo, capì che anche lui avesse bisogno di sentirsele dire. Il minore infatti non era più rigido, freddo o scettico, era decisamente stupefatto e non faceva nulla per nasconderlo. “Incredibile,” mormorò, per poi lasciarsi andare a una lunga risata, che confuse non poco Diego. Notandolo, Marco tornò di colpo serio, giocherellando con una bustina di zucchero lasciata lì da qualche cliente. “Per anni ho invidiato il tuo carattere diretto, sveglio, polemico e poi il successo che riscuotevi nelle ragazze e ora vengo a sapere che proprio tu eri geloso di me. Tutto questo è assurdo,” aggiunse tra se e se. A quelle parole il maggiore dei due sgranò gli occhi, poi a sua volta si ritrovò a ridacchiare. “Quindi abbiamo perso tanti anni ad essere gelosi l'uno dell'altro?”
“A quanto pare si,” commentò Marco, scuotendo il capo.
“Mi dispiace,” riprese Diego, tornando di colpo serio. “Sono stato un pessimo fratello, ero io quello problematico e ho finito per condizionare anche te.” L'altro scrollò le spalle, abbozzando un mezzo sorriso. “Io non ti ho di certo facilitato le cose, non ho fatto altro che farti terra bruciata intorno. Devo essere stato insopportabile,” aggiunse, facendolo scoppiare a ridere. “In effetti sono stato seriamente tentato di strozzarti, ma alla fine me lo meritavo. Sono uno stronzo.” Marco ridacchiò. “Nessuno è più stronzo di te, su questo non c'è dubbio.”
Diego sollevò le mani, divertito. “Non posso darti torto e bè...mi dispiace, Marco. Mi dispiace per tutto.” Il minore dei due si irrigidì improvvisamente a quelle parole, mentre il sorriso spariva dal suo volto. “Ti dispiace anche di avermi rubato la ragazza?” Nella sua voce non c'era ironia, al contrario non avrebbe potuto essere più serio e forse proprio per quello Diego si sentì colpito con un'intensità ancora più devastante. “So di avere le mie colpe,” continuò Marco, prima che lui potesse dire qualsiasi cosa. “Ma tu sin dall'inizio avevi progettato di farla innamorare di te e non ti sei fermato davanti a nulla.”
“Ti sbagli,” ribattè l'altro, scuotendo il capo. “Ho fatto di tutto per contrastare i sentimenti che provavo per lei, ho anche provato ad uscire con altre ragazze. Il senso di colpa continua a logorarmi, ma...” si interruppe, incapace di proseguire, ma Marco sembrava aver capito lo stesso, difatti mormorò: “Ma non puoi fare a meno di amarla, non è così?” Diego sbiancò di colpo, non sapendo proprio che dire. Poteva essere sincero, o così facendo lo avrebbe ferito? “Te lo leggo negli occhi,” continuò l'altro, quasi avesse compreso i suoi pensieri. “Non ti ho mai visto guardare una ragazza come guardi Francesca e anche lei ama te, tanto.” Nella sua voce c'era amarezza, ma anche consapevolezza, cosa che portò l'altro a rabbrividire. Non credeva si sarebbe mai trovato a parlare dei suoi sentimenti per Francesca proprio con lui e onestamente non sapeva come comportarsi. “Non c'è bisogno che lo neghi, anche un cieco se ne accorgerebbe,” riprese il più giovane, sollevando un sopracciglio. “Lei ha sempre amato te, lo sapevo quando ho iniziato ad uscirci e lo so adesso.” Diego sospirò, passandosi nervosamente una mano tra i capelli. “Mi dispiace Marco, non avrei voluto che le cose andassero così. So di non meritare il tuo perdono, ma ci tenevo lo stesso a scusarmi.” Marco annuì. “Non credevo lo avremmo fatto davvero, parlare intendo,” spiegò con un mezzo sorriso. “Tra di noi ci sono sempre stati problemi.”
“Problemi causati da me,” concluse per lui Diego con un tono carico di amarezza. “Con Francesca poi ho superato me stesso. Forse se le fossi stato lontano ora...”
“Ora niente,” scosse energicamente il capo il ragazzo. “Io e Francesca ci saremmo lasciati lo stesso. Non mi ha mai amato come io ho amato lei, nel suo cuore ci sei sempre stato tu.”
“Marco,” provò il maggiore, ma ancora una volta l'altro lo interruppe. “Le cose stanno così, lo devo solo accettare.” Fece poi per alzarsi, ma la voce di Diego lo bloccò. “Hai ragione, io la amo e... Marco, ho bisogno di sapere se un giorno potrai mai perdonarmi.” Marco esitò per alcuni istanti, a metà tra lo stare seduto e l'alzarsi, poi tornò ad incrociare il suo sguardo. “Abbiamo sbagliato entrambi, non sei il solo a doversi scusare.”
“Quindi?”
“Quindi credo che possiamo riprovarci.” Un grande sorriso si distese sul volto di Diego a quelle parole. Con tutto se stesso aveva desiderato sistemare le cose con suo fratello e finalmente lui gliene stava dando la possibilità, non poteva lasciarsela assolutamente scappare. A sorpresa anche Marco sorrise. “Ho bisogno di tempo per abituarmi a voi due, però se ho chiarito con lei non vedo perché non dovrei farlo con te. Siamo fratelli in fondo,” aggiunse e il ragazzo annuì. “Si, siamo fratelli.” Si guardarono per alcuni istanti, poi seppur con ancora un filo di disagio si strinsero la mano. Forse era ancora presto per un abbraccio o per ammettere quanto in fondo tenessero l'uno all'altro, ma quella stretta di mano e soprattutto le cose che si erano detti, erano un grande passo in avanti per mettere insieme i residui di un rapporto che per colpa delle gelosie e delle incomprensioni non era mai esistito del tutto, ma che ora essendo più maturi e consapevoli aveva buone possibilità di concretizzarsi.



-Leon, ne sei sicuro?- La voce di Fernando Vargas risuonò nelle orecchie del ragazzo dopo interminabili secondi silenzio, nervosa e agitata come mai l'aveva udita. L'incontro con quell'uomo nella hall dell'albergo gli aveva lasciato addosso una certa ansia e bruttissimi presentimenti avevano preso il sopravvento, perciò dopo aver trascorso la notte in bianco non ci aveva pensato due volte a chiamare suo padre e a informarlo della situazione. Se si aspettava di essere rassicurato in qualche maniera, aveva sicuramente dovuto ricredersi. Fernando infatti lo aveva ascoltato in silenzio per tutto il tempo e solo quando stava per chiudere la conversazione convinto che fosse caduta la linea, gli aveva posto quella domanda. -Voglio dire, sei sicuro che stia pedinando Violetta?- Ripetè l'uomo, tradendo una certa ansia. -Si, papà. L'ho beccato diverse volte e in più anche lei inizia ad avere dei dubbi.- Ancora una volta le sue parole furono seguite dal silenzio, un silenzio che gli fece ghiacciare il sangue nelle vene. -Papà, quell'uomo può essere pericoloso, vero?- Si azzardò a chiedergli, sforzandosi di apparire calmo e disinvolto. Fernando esitò ancora qualche istante, poi mormorò: -Ascoltami Leon, devi stargli alla larga, non voglio che prendi più iniziative stupide e istintive. Tu non hai idea di cosa è capace di fare,- lo ammonì, quasi più nervoso di prima e per quello il giovane non potè che concordare. Mai suo padre gli aveva fatto avvertimenti di quel tipo, convinto che fosse in grado di cavarsela in qualsiasi situazione, perciò se lo stava facendo in quel momento doveva trattarsi per forza di qualcosa di serio. Deglutì rumorosamente, sedendosi sul bordo della vasca da bagno e scompigliandosi nervosamente i capelli con la mano libera. -è stato il testimone di nozze del padre di Violetta e forse ora la pedina, come faccio a non intromettermi?- Sbottò, profondamente avvilito. Mai si sarebbe perdonato se fosse accaduto qualcosa alla sua ragazza, a costo di mettere in pericolo la sua stessa vita avrebbe fatto di tutto per proteggerla. -Ti ho detto che devi stargli lontano, Leon!- Ora Fernando sembrava decisamente alterato, cosa che lo portò ad allontanare il cellulare dall'orecchio, temendo che potesse rompergli un timpano. -Quell'uomo appartiene alla peggior specie e se dovesse arrivare a considerarti un problema, potrebbe ucciderti. Lo vuoi capire o no?-
-Si, papà, lo capisco perfettamente,- mormorò, sbuffando sonoramente. -Non sono un incosciente, so bene di cosa sono capaci quelli del nostro ambiente, ma stiamo parlando della donna della mia vita. La proteggerò, costi quel che costi.-
-Parlare con te è come parlare a un muro!- Ribattè Vargas senior, stizzito. -Io lo conosco bene, abbiamo concluso diversi affari in passato e mettersi contro di lui equivale a una condanna a morte. Io ho degli uomini che mi guardano le spalle, tu sei lì da solo, solo Leon, solo. Non posso difenderti da laggiù.- Leon ruotò gli occhi, sforzandosi di restare calmo. Non si era mai trovato a discutere con suo padre, di solito la pensavano quasi allo stesso modo e in caso contrario assecondava il genitore, ma ora non poteva proprio. -Io non ti sto chiedendo nulla, ti sto solo informando e al massimo vorrei sapere se tu sai che collegamento potrebbe esserci tra quell'uomo e la famiglia della mia ragazza. Angelica non voleva che partissimo e credo che il motivo sia proprio lui.-
-Aspetta, pensi che tormenti in qualche modo la famiglia di Violetta?- Chiese Fernando stupito. -Ti rendi conto di cosa questo potrebbe significare? La situazione potrebbe essere peggiore di quanto immaginiamo e... vedo cosa riesco a scoprire, ma tu giurami che non farai gesti avventati. Giuramelo, Leon.-
-Si, papà, te lo giuro,- sbuffò il ragazzo, esasperato da tutte quelle raccomandazioni a cui era ben poco abituato. -Tu però fammi sapere al più presto.-
Prima che Fernando potesse rispondere, la porta del bagno si aprì di scatto mostrando una sorridente Violetta. Leon sbiancò di colpo, ma si affrettò a camuffare il tutto con un sorriso. -Ora devo andare, ci sentiamo stasera. Ciao, papà.-
-è arrivata Violetta, vero?- Intuì l'uomo. -Stasera ti chiamo e ne riparliamo. A più tardi.-
“Tutto bene?” Chiese Violetta preoccupata, avanzando di un passo quando lo vide riporre il cellulare. “Certo,” sorrise lui, raggiungendola e stringendola prontamente tra le sue braccia. “Mio padre voleva solo sapere se andasse tutto bene, nulla di cui preoccuparsi.” La ragazza annuì contro il suo petto e come gli accadeva puntualmente in quel periodo, Leon si sentì un vero schifo. Non faceva altro che mentirle e anche se sapeva che era per proteggerla, la cosa non lo faceva sentire meglio. Doveva risolvere quella situazione il più in fretta possibile e per farlo, doveva sperare che suo padre gli fornisse delle informazioni degne di nota su quell'uomo. “Andiamo a fare una passeggiata?” Propose a Violetta, sperando così di farla distrarre e distogliere l'attenzione da lui. Anche se stranamente passiva, lei accettò e insieme si incamminarono per le strade di Venezia. Dopo alcuni tentativi di portare avanti una conversazione, un lungo e teso silenzio si diffuse tra loro. Leon non riusciva a smettere di pensare alla conversazione avuta con suo padre e Violetta, dal canto suo, era sicura che lui le stesse nascondendo qualcosa. Più tentava di farlo parlare però, e più le ripeteva che andasse tutto bene e che fosse solo stanco. “Leon,” sbottò alla fine, piazzandoglisi di fronte e poggiando le mani sui fianchi. “Io ti conosco, so quando c'è qualcosa che ti turba e ora è uno di quei momenti.” Vargas si irrigidì paurosamente a quelle parole, ma soprattutto furono quei grandi occhi nocciola a preoccuparlo. Loro erano sempre riusciti a leggergli dentro, a capirlo e sentiva che anche quella volta le possibilità erano molto alte. “Parlami, Leon,” insistette lei, avvicinandosi di un passo e guardandolo dritto negli occhi. “Si tratta di quell'uomo, non è così? Hai scoperto qualcosa?” Violetta era così agitata, così fragile e probabilmente mille brutti pensieri le stavano attraversando la mente e non poteva accettarlo. Lei era venuta lì per affrontare i ricordi dei suoi genitori, non per combattere le guerre di qualcun altro e Leon doveva utilizzare qualsiasi arma a disposizione per proteggerla, anche a costo di mentirle e poi sentirsi un mostro. Sotto il suo sguardo confuso perciò, le prese il volto tra le mani e la baciò. Violetta tentò di scostarsi, determinata e farlo parlare, ma lui rafforzò la presa intorno al suo volto e la baciò con più decisione, mordicchiandole il labbro inferiore. Leon si odiava per quello che stava facendo, ma non aveva scelta. Continuò a stringerla e a baciarla con sempre più forza, poi finalmente la ragazza iniziò a ricambiare il bacio, aggrappandosi ai suoi avambracci con le piccole mani. Mentre i loro petti si scontravano, lui poteva sentire i loro cuori che battevano come dei forsennati e nonostante un mugolio di protesta per averle morso il labbro con troppa irruenza, prolungò quel bacio e la fece indietreggiare sempre di più fino ad intrufolarsi in un vicolo isolato. Ciò gli fece tornare in mente i primi tempi in cui lui e Violetta si frequentavano ed erano costretti a farlo in segreto, quante cose erano cambiate da allora. Prima era un ragazzo con gli ormoni in subbuglio che cercava solo un posto dove amoreggiare con la sua ragazza, ora invece non era solo quello, ora c'era anche quel disperato bisogno di saperla al sicuro e l'unico modo era che fosse tenuta all'oscuro di tutto. Violetta fece aderire la schiena al freddo muro di pietra e gli allacciò le braccia al collo, sorridendo ammiccante. “Ma quanto sei appassionato oggi,” lo provocò, strofinando volontariamente il corpo contro il suo. Fino a un attimo prima era convinta che Leon le nascondesse qualcosa, ma a quanto pareva aveva solo bisogno di un po' di intimità e cosa c'era di male nell'approfittare di quel momento lontano dagli occhi vigili di Pablo e Angie? Il ragazzo ridacchiò, avvolgendole la vita con il braccio sinistro e facendo così combaciare i loro petti. “E questo ti piace molto, non è così?” Soffiò maliziosamente al suo orecchio, per poi lasciarvi tanti piccoli morsi. “Ammettilo che non desideri altro che le mie appassionate attenzioni,” continuò, scendendo a dedicarsi al suo collo, che cosparse di baci infuocati. Violetta rabbrividì, mordendosi il labbro inferiore, ma lo stesso non riuscì a trattenere un sospiro di piacere. Leon sghignazzò, risalendo a baciarle la mascella. “Mmm...qualcuno qui è eccitato.”
“Leon!” La ragazza avvampò di colpo, guardandosi nervosamente intorno. Se fossero stati al sicuro in una delle camere lo avrebbe anche assecondato, ma fino a prova contraria erano in un vicolo dove chiunque avrebbe potuto vederli o sentirli. “Forse dovremmo aspettare a quando saremo in albergo,” tentò di convincerlo e seppur contrariato lui annuì, non prima però di averle strappato un lungo e appassionato bacio. Mentre si incamminavano mano nella mano verso l'albergo, Violetta era raggiante e non faceva altro che canticchiare e schioccargli baci sulle guance. Leon non avrebbe potuto avere un umore più diverso. Si sforzava di sorridere e assecondarla, ma dentro di se si sentiva uno schifo per come l'aveva raggirata. Vigliaccamente aveva rigirato la situazione a suo favore e ora avrebbe anche ottenuto dei momenti di paradiso con lei, cosa che per le sue bugie non avrebbe assolutamente dovuto meritare. Se però il fine giustificava sempre i mezzi come si diceva, lui stava facendo la cosa giusta, no? Voleva proteggerla da un uomo che chissà quali dolori avrebbe potuto causarle, ma perché allora si sentiva lo stesso così in colpa?



Pablo si avvicinò per l'ennesima volta alla grande porta a vetro che dava sull'esterno dell'albergo, grattandosi nervosamente il mento. Erano passate diverse ore ormai da quando Diego era uscito per parlare con Marco e non vederli tornare gli metteva una certa ansia. E se avessero finito per litigare e ricorrere alle mani? E se li avessero arrestati per atti violenti in luogo pubblico? In quel caso sarebbe stato avvisato, no? Scosse il capo, tentando di calmarsi. Forse si stava preoccupando inutilmente, forse i suoi figli stavano ancora parlando. Il fatto però che Lena lo avesse fermato diverse volte chiedendogli perché Marco non rispondesse al cellulare, non abbandonava un attimo la sua mente. Credeva davvero che le cose tra i due ragazzi potessero risolversi, li aveva visti entrambi più che disposti, eppure il timore che potesse esserci una ricaduta era sempre lì. Fino a poco prima anche Angie era lì con lui parecchio in ansia, ma poi aveva ricevuto una chiamata ed era sparita. Sembrava che tutta la sua famiglia fosse sparita. Francesca e Lena erano chiuse in camera, Leon e Violetta erano ancora in giro e lui era da solo e in ansia. Perché non poteva mai avere un attimo di pace?
“Zio, tutto bene?” Pablo sobbalzò, vedendo la Castillo e Vargas venire verso di lui, decisamente accigliati. “Si,” si affrettò a mormorare, scompigliandosi nervosamente i capelli. “Avete visto Diego e Marco? Ancora non sono tornati.” I due scossero il capo. “Tranquillo, Pablo, avranno molte cose da dirsi,” lo rassicurò Leon, dandogli una pacca sulla spalla. “Ci sono tanti anni da recuperare in fondo,” aggiunse Violetta con un grande sorriso. “Questa città ci sta davvero insegnando che tutto può succedere.” Euforica, corse verso gli ascensori e Leon fece per seguirla, quando lo vide seduto a una poltrona in un angolo della hall. Ancora una volta l'uomo aveva lo sguardo fisso sulla Castillo, uno sguardo che non gli piaceva per niente. Istintivamente strinse i pugni e contrasse la mascella, gesti che a Pablo non sfuggirono. “Leon,” provò, ma lui lo interruppe con un gesto della mano. “Devo andare.” E prontamente seguì la sua ragazza, evitando accuratamente di guardare ancora quel maledetto uomo che da troppo tormentava la sua mente. In ogni caso, Galindo era troppo in ansia per capire il motivo del repentino cambio di atteggiamento del messicano e così tornò ad affacciarsi all'ingresso, in attesa dei suoi figli. Fu quando era al limite della sopportazione, che gli arrivò un messaggio di Marco. Preoccupato si affrettò ad aprire quella piccola letterina che lampeggiava.

Papà, io e Diego restiamo fuori ancora per un po'. Tu e la mamma state tranquilli, ci sono tante cose di cui dobbiamo parlare.

Istintivamente si aprì in un grande sorriso. Allora era accaduto, i suoi ragazzi avevano messo da parte le divergenze e avevano finalmente chiarito. Emozionato, ripose il cellulare e si fiondò nel primo ascensore. Doveva assolutamente informare Angie, avevano un grande evento per cui gioire. Probabilmente se avesse saputo ciò che lo aspettava, ci avrebbe pensato due volte prima di entrare nella camera sua e della moglie in punta di piedi e senza nemmeno bussare. Angie era in bagno, ma dato che la porta era aperta, potè chiaramente sentirla parlare al telefono. “Tranquilla, mamma,” stava dicendo la bionda, tradendo una certa ansia. “Ho tutto sotto controllo, Pablo e i ragazzi non sanno nulla.”
Galindo si bloccò di colpo a quelle parole. Di cosa parlava sua moglie? Cos'è che non sapeva?
“Ora devo andare,” proseguì Angie. “Se non mi vedono tornare, potrebbero insospettirsi, soprattutto Pablo. Ci sentiamo domani, mamma.”
Appena la bionda uscì dal bagno e notò il marito immobile al centro della camera, sgranò gli occhi e assunse la tonalità di un cadavere. “Pablo, quando sei arrivato?” Gli chiese con un filo di voce, pregando tutti i santi del paradiso affinché non avesse sentito nulla. L'uomo sospirò, tornando poi a guardarla, serio. “Sono arrivato proprio nel momento in cui dicevi a tua madre che io e i ragazzi non sappiamo nulla. Cosa significa?”
“Pablo,” provò Angie, ma lui la interruppe scuotendo il capo. “Non provare a negarlo, ci sento perfettamente.” Con pochi passi la raggiunse, incrociando le braccia al petto. “Sei mia moglie, Angie,” riprese, scrutandola attentamente. “Ti conosco e so quando menti.”
Lei abbassò lo sguardo afflitta, portandosi nervosamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Doveva aspettarselo che prima o poi Pablo avrebbe capito, in fondo era un tipo sveglio e attento, impossibile nascondergli qualcosa. “Perchè tua madre non voleva che venissimo qui?” Insistette Galindo, prendendola per le spalle e costringendola a guardarlo negli occhi. Fino a quel momento non aveva insistito molto su quella domanda e al contrario le aveva lasciato i suoi spazi, ma ora aveva sopportato fin troppo e voleva delle risposte. “Perchè hai così paura?” Aggiunse, notando come il corpo di sua moglie tremasse sotto il suo tocco e come quegli occhi smeraldo evitassero i suoi. “Angie,” la scosse. “Che sta succedendo?”
La bionda chiuse gli occhi per alcuni istanti, sperando di trovare nella sua mente una disperata soluzione a quella situazione che non le giovava per nulla. Aveva promesso di mantenere il segreto, non poteva permettersi di tradire la fiducia della sua famiglia, nonostante si trattasse comunque dell'uomo che a sua volta rappresentava per lei una famiglia. “Io non ti sto nascondendo niente,” mormorò alla fine, tornando a specchiarsi nei suoi occhi scuri. “L'unica cosa è che mia madre non riesce a trovare pace, teme che Violetta possa avere una ricaduta e che lei non possa essere qui ad aiutarla, capisci?” Si aggrappò alle sue braccia, tirando su col naso. Normalmente Pablo si sarebbe fatto impietosire da quegli occhi lucidi, ma in quel momento non ci riusciva. Quelle parole che aveva origliato si ripetevano continuamente nella sua testa e assumevano significati sempre diversi, significati che però si distanziavano molto da ciò che sosteneva Angie. Gli stava mentendo ancora una volta, era sicuro che fosse così. “Perchè continui a mentirmi? Perché?” Esplose, allontanandola e agitando le braccia. “Pensi che sia stupido? Sono giorni che sei strana, taciturna, ti chiudi in bagno. Ti ho lasciato il tuo spazio, ma ora non posso più. Basta bugie, dimmi la verità.”
Angie però scosse la testa, imperterrita. Per quanto avrebbe voluto dirgli la verità, in fondo si fidava di Pablo come di nessuno, non poteva coinvolgerlo in quella terribile storia. A tutti i costi doveva proteggere lui e la sua famiglia. “Mi dispiace, Pablo, ma io non posso,” singhiozzò con un filo di voce. “Ho promesso di mantenere il segreto.”
“Come?” Chiese Galindo, sicuro di aver capito male. “Fammi capire, mi stai dicendo che hai intenzione di non dirmi nulla?” Era incredulo, stupefatto. Sua moglie aveva praticamente ammesso che ci fosse qualcosa che gli stesse nascondendo, ma non voleva dirgli cosa. Lei, sconvolgendolo ancora di più, annuì. “Fidati di me.” Gli prese le mani, stringendole con le sue. “Risolverò questo problema e poi tornerà tutto come prima, te lo prometto.”
Pablo però scosse la testa, liberandosi della sua stretta con stizza. “Se è uno scherzo, non è per niente divertente,” sbottò. “Tra di noi dovrebbe esserci fiducia e dovremmo condividere tutto, ma qui sembra che fai tutto da sola.”
“Pablo.”
“No, Angie, non ho intenzione di farmi abbindolare dalle tue bugie,” la interruppe lui, esasperato. “Anzi, sai che ti dico? Ti lascio da sola a riflettere sulle tue assurde azioni e chissà che finalmente non capirai qual è la cosa giusta da fare.” Furioso, ma anche ferito e deluso, Galindo lasciò la camera sbattendo forte la porta. Perché la sua Angie non si fidava di lui? La cosa gli faceva male, un male atroce e incontrollabile. La Saramego nel frattempo si raggomitolò sul letto, lasciandosi andare a un pianto disperato. “Mi dispiace Pablo, ma non ho scelta,” singhiozzò. “Devo proteggere la mia famiglia e questo è l'unico modo.”




Holaaa!!
Eccoci qui al capitolo dei tormenti, in particolare quelli di Angie e Leon, che si ostinano a mentire alle persone che amano. Se Vilu nonostante i dubbi, finisce per assecondare Vargas, Pablo al contrario si scontra duramente con Angie, profondamente ferito :( in tutto questo abbiamo un Fernando Vargas decisamente preoccupato e l'uomo misterioso che continua a controllare Vilu, che ansiaaaa 0.0
In compenso c'è finalmente il confronto tra Diego e Marco e arriva anche l'atteso chiarimento, con il proposito di ricostruire il loro rapporto *_______*
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e vi ringrazio infinitamente per il vostro costante supporto :3
Trilly


 
  
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