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Autore: Aries K    20/02/2015    1 recensioni
Quando la giovane Emily Collins mette piede nel collegio più cupo e spaventoso di Londra non sa che la sua vita sta per cadere in un mondo oscuro fatto di sangue e creature che credeva vivere solo nei suoi incubi. Quando pensa che la sua esistenza non possa cadere più in basso di così incontra William Delacour, figlio della temibile preside Jennifer Delacour. William -così enigmatico e onnipresente in quel convitto esclusivamente femminile- nasconde un segreto che sembra coinvolgere anche la giovane. I due non potranno che avvicinarvi anche se, non molto lontano da loro, qualcuno cova una centenaria vendetta che sembra non volersi compiere...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Angolino Autrice: Devo chiedervi umilmente scusa per la mia prolungata assenza, ma il motivo è che ho avuto un danno piuttosto importante alla linea telefonica (quindi niente wi-fi) e, nemmeno a farlo apposta, contemporaneamente, mi si è rotto il cellulare e per tanto non accedo a internet o a qualche social network da un mese. Per cui mi scuso, e spero che siate ancora a bordo con me per questa avventura. Buona lettura!






Diciasettesimo Capitolo








Lo stato d’impasse in cui ero caduta si sbloccò solo quando mi resi conto di essere arrivata nell’atrio, e che le cinque ragazze presenti –intente ad allungare il passo verso la biblioteca- avevano rigirato la testa per guardarci con tanto d’occhi.
Il figlio della Delacour con la Collins. Tra tutte, proprio lei, potevo quasi sentire i pensieri delle loro teste vuote.
Feci scivolare la mia mano da quella di William.
“Mi spieghi cos’è questa storia? E hai detto quello che hai detto davanti a Nicole…e Jamie. Davanti alle mie due migliori amiche!”
“Non sono padrone delle emozioni che mi stanno attraversando, d’accordo?”, il respiro era affannato,-“non ho mai sperimentato una paura simile, capace di farmi sentire così vivo e spacciato al tempo stesso. Sono entrato nell’ufficio di mia madre per parlare, ma lei non era presente; c’era il diario che abbiamo trovato quella sera nel cassetto, ricordi?”
Annuii, stringendo le labbra.
“Ho letto delle pagine…e… c’erano scritte delle cose che io non avrei mai pensato di poter leggere, segreti di cui…io…”
“William sta’ calmo”, gli intimai, toccandogli il volto stravolto e accaldato.
“Sfogliando le ultime pagine ho trovato dei paragrafi che ti riguardavano: tu sei il mezzo, c’era scritto, e che per accedere e completare il suo obiettivo c’è bisogno di ucciderti. Non so che cosa significa tutto questo ma devo salvarti da lei.”
Presa da un’ondata di gelo abbassai le braccia lungo i fianchi, cercando di non farmi assalire dall’irrazionalità del panico. Dovevo rimanere lucida. Tra i due, almeno io.
“E come pensi di proteggermi? Facendomi esiliare dal collegio?”
“Qualsiasi luogo che non sia l’istituto, solo in questa maniera mi è possibile esserti vicino. Non ha senso rimanere qui.”
William recuperò la mia mano, ma io arrestai il movimento.
“Emily?”
“Devo prendere una cosa! Lasciami.”
Questo alzò il volto al cielo, dalle labbra digrignate uscì implorazione disperata, benché io avessi già superato la prima rampa di scale per dirigermi nel dormitorio e prelevare il pacco. Quel dono che mia nonna si era tanto premuta di farmi ricevere e che, oramai era impossibile negarlo, pareva essere il filo conduttore di tutto ciò che mi stava accadendo.
Aprii il baule e riempii la borsa con le prime magliette che mi capitarono sotto mano –il cellulare, della biancheria intima- e poi c’infilai la scatola che, dall’ultima volta, quasi era diventata ancora più pesante.
“Ehy, lo sai che non si può uscire dal collegio?”
Sussultai nel sentirmi dire quelle parole; era una ragazza che non avevo mai visto prima d’ora: aveva dei lunghi e riccioluti capelli rossi, una spruzzata di lentiggini ad impreziosirle il volto grazioso ed era appoggiata allo stipite della porta con aria annoiata.
Feci una smorfia mettendomi a tracolla la borsa e, passandole accanto le sussurrai un “ma per favore”.
Un verso di sorpresa gorgogliò nella sua gola, prima che potesse ribattere scesi di volata i primi scalini, udendo oltre il rumore dei miei pensieri una voce che mi chiamava:
“Emily! Emily!”
Mi voltai stringendo la borsa contro il petto, quasi avessi timori che arrivasse qualcuno per strapparmela di dosso; Nicole mi guardava con una tale ansietà che non potetti non provare collera nei confronti di Will per aver fatto esplodere quella bomba, in infermeria, in modo tanto plateale e violento. Benché avessi accettato con strizza e rassegnazione il coinvolgimento di Nicole nella vicenda non sopportavo di vederla addolorata in quel modo.
“C’è una spiegazione alle parole che ho sentito, non è così?”, domandò raggiungendomi.
“C’è, di sicuro. Ma io non ne sono a conoscenza”, le risposi con la voce che andava e veniva. Avvicinai le mie mani alle sue e poi le accolsi in una flebile stretta; sembrava mi rendessi conto dei miei gesti solo a metà.
“Dove ti sta portando?”
“Non lo so ma lontano da qui.”
Rafforzai la presa e lei allargò leggermente gli occhi, mentre mi guardavano nascondendo in quel color nocciola una serie di domande e parole che non riuscivano a prendere voce.
“Ti chiamerò, Emily. Hai preso il tuo cellulare?”
“Sì, ma…”
“Non ti abbandonerò adesso che inizia la partita. Non sarà un problema solo tuo e di qualsiasi cosa si tratti io…”
“Non puoi fare niente”, la interruppi, lasciandole le mani di colpo,-“è ora che tu ti ritiri da tutto questo. La piega che sta prendendo è ingestibile e non voglio scappare sapendo che tu possa cacciarti nei guai da un momento o l’altro!”
“La spierò. E ti dirò quando uscirà, se verrà a cercarti o se capterò qualcosa di strano. Non potrebbe mai sospettare del mio coinvolgimento.”
Ora fu lei a recuperare le mie mani, afflosciate e poggiate sulle cosce.
In quel momento pensai che non avevo mai visto un volto come quello della mia amica: ogni sua espressione era come se fosse incisa su un viso di pietra, anziché di carne, perché trasmetteva talmente tanta carica da farti provare sulla pelle le sue emozioni. Ed ora nelle mie vene scorreva la sua determinazione, la speranza, l’appoggio.
“Ti voglio bene Nic”, dissi,-“dillo anche a Jamie. Spiegale tutto, fallo per me.”
“Lo farò e te ne voglio anche io.”
Abbandonammo una volta per tutte la salda stretta delle nostre mani; mani destinate a riunirsi ancora… a cercarsi ancora… solo, non potevamo sapere che tra non molto si sarebbero strette per l’ultima volta.



Mezz’ora dopo mi ritrovai ad arrancare dietro il passo svelto di William in un sentiero di ghiaia, residui di neve e foglie morte che scricchiolavano sotto il nostro passaggio.
Quello era il sentiero che ci avrebbe condotto verso il luogo in cui si rifugiava quando terminava il servizio al collegio: casa sua.
Avevamo lasciato la macchina nella stradina solitaria ad inizio della vegetazione in cui eravamo immersi, e le nubi facevano capolino dai rami deformi come se ci stessero osservando, spiando.
“Ce la fai a camminare, Emily?”
Sorpresa per averlo finalmente sentito parlare –si era rifugiato nel suo ermetismo non appena mi ero lasciata scivolare sul sedile dell’auto- e presa in contropiede dall’innaturalità della sua voce in quel silenzio, mi ritrovai a sussultare e a portarmi una mano al petto.
“Certo che ce la faccio, non sono così debole.”
“Perché mia madre vuole ucciderti?”
“Mi stai davvero facendo questa domanda? Cosa vuoi che ne sappia io?”
“Quel che c’era scritto. Tu dovresti essere il mezzo per qualcosa ma…”, arrestò il cammino e si voltò a guardarmi,-“perché proprio te?”
“Will…”, sussurrai per colpa di un calo improvviso della voce,-“non lo so, te lo assicuro non capisco niente di quello che sta accadendo. Ho visto tua madre tracciarti uno strano simbolo sulla fronte e ti ho visto cadere nelle sue braccia. Quando ti sei svegliato sei venuto a cercarmi perché ti eri risvegliato nella mia camera, rammenti? Ma di quello che è successo prima tu non ricordi niente, perché la tua memoria è stata cancellata.”
Lui aveva ascoltato ogni mia parola corrugando la fronte, i margini delle sopracciglia che quasi si toccavano mi fecero intuire che il suo stato di smarrimento era tanto destabilizzante quanto il mio. Con la mano mi traccio dei rassicuranti cerchi sulla pelle tesa e arrosata del viso.
“Ti prometto che scopriremo presto cosa significano tutte quelle parole che ho letto su quel maledetto diario e ti assicuro che non ti accadrà niente.”
Gli sorrisi aggiungendo la mia mano sulla sua.
“E qualsiasi cosa scopriremmo, io farò in modo che nemmeno a te accada qualcosa.”
Tornammo a camminare per un’altra manciata di minuti. Ben presto, ai nostri piedi, apparve un sentiero ben delineato che appariva e scompariva a seconda degli innalzamenti e sprofondamenti del terreno; poi, come un miraggio in quel deserto di mobile gelo, scorsi la dimora. Per alcuni versi, a pensarci a mente fredda, c’è da dire che sembrava surreale – con tutto quel rigore geometrico, le vetrate ampie che lasciavano indovinare l’interno e il modo in cui la poca luce che riusciva a svignare dai rami colpiva determinati punti strategici- come se fosse stata progettata nel luogo sbagliato.
Un po’ come a soddisfare i miei dubbi, William disse:
“Ci è voluto del tempo per renderla così accogliente. Prima cadeva a pezzi, era inabitabile.”
Salimmo gli scalini resi scivolosi dalla neve sciolta e poi entrammo nell’abitazione. Dopo aver attraversato il corridoio William mi fece accomodare sul divano bianco di velluto e lasciò che mi ambientassi in quell’immobile posizione. Si era catapultato all’interno di una stanza che –quando spalancò la porta- mi parve intuire fosse la cucina; davanti ai miei piedi vi era un mobiletto di cristallo sgombro di gingilli o merletti ricamati all’uncinetto, alzando lo sguardo potevo ritrovarmi di fronte ad una lunga ed estesa vetrata che mi permetteva di scorgere il cammino appena compiuto e una parte di cielo che prometteva tempesta. Alle mie spalle, invece, vi indovinai quattro scalini di legno che conducevano al secondo piano.
Strinsi la borsa contro il corpo, in un certo senso sembrava che quel gesto mi facesse trarre una sorta di rassicurazione. Il che era davvero strano.
Non riuscendo a trattenere l’insofferenza che mi faceva sbattere le ginocchia mi alzai in piedi, sfiorando con le dita il davanzale di marmo del camino, ignorando un corridoio scuro e dirigendomi verso le scale. Queste si curvavano nascondendo alla vista il piano, accompagnate dalla luce della vetrata su cui una pianta rampicante sembrava volersi insidiare all’interno; fu proprio mentre mi ero soffermata ad ammirare tutto quel verde selvaggio che con la coda dell’occhio vidi materializzarsi una sagoma alla mia destra, proveniente dal piano che stavo per andare a visitare.
Istintivamente mi voltai indietreggiando, riuscendo solo per prontezza di spirito a non rovinare per tutta la rampa che avevo appena superato; di fronte a me vi trovai un ragazzo.
Forse non avrei dovuto pensarlo –vista la situazione e lo shock di quell’inaspettata presenza- ma il primo pensiero che mi attraversò la mente era che, davanti ai miei occhi, avevo la creatura più bella che avessi mai visto.
Il ragazzo era perfettamente immobile, in contro luce, e se non fosse per la concentrazione e lo sforzo con cui lo stavo osservando avrei potuto pensare che quella apparizione fosse solo uno scherzo dei miei sensi o, ancora, dello stress.
Il primo vero dettaglio che passò in rassegna della mia osservazione furono i suoi fulvi capelli rossi; rossi come il sangue più prelibato che un vampiro potrebbe agognare, le sopracciglia arcuate e nere che conferivano al suo viso –il quale sembrava plasmato dalle mani sapienti degli scultori- un accenno arcigno a quell’espressione enigmatica. I miei occhi scivolarono sul suo collo lungo tempestato di piccoli e deliziosi nei, attraversarono il suo addome coperto da una camicia bianca come la pelle avorio; i pantaloni neri che fasciavano le lunghe e magre gambe, tendendosi ai lati delle cosce.
Non ebbi modo di esibirmi in nessuna reazione che vicino ai suoi piedi si avvicinarono altre scarpe.
Feci risalire di botto la visuale verso l’alto e questa volta, nel mio campo visivo, fece il suo ingresso una ragazza.
Aveva dei lunghi capelli neri e lisci, le arrivavano a sfiorarle i fianchi stretti, le sopracciglia sollevate verso l’alto nel mirarmi con una curiosità tale che mi recò non poco disagio; aveva le gote rosate e gli occhi di un azzurro tenue e freddo, un lungo vestito bianco che cozzava terribilmente con l’epoca in cui si muoveva.
Quei dettagli: la pelle candida, gli occhi ghiacciati, l’abito di lei, le movenze talmente eleganti e fine da non essere intercettate, avvalorarono la mia istantanea tesi che, davanti al mio sbalordimento, vi erano una coppia di vampiri.
“Tu saresti Emily?”
La voce della ragazza era delicata, il suo sguardo impenetrabile e acceso da una viva curiosità.
Feci un passo indietro, irrimediabilmente intontita…quando sbattei contro il petto di William, che non avevo sentito arrivare.
-“Genevieve?”, esclamò quest’ultimo, porgendo le sue mani sulle mie spalle rigide.
Non potrei descrivervi l’emozione che provai in quel momento nell’udire il nome della sorella cara, che viveva a Parigi con il suo amante Henry Devonne –fu allora che presi coscienza dell’identità della creatura al suo fianco- nemmeno con l’ausilio del miglior dizionario potrei descrivervela.
“Fratello”, fece lei avvicinandosi e baciandolo, -“dalle tue ultime telefonate ho pensato fondamentale la mia presenza qui. Sentirti così turbato ed essere a leghe di distanza mi provocava un dolore troppo grande.”
Rimasi a bocca aperta per via del suo linguaggio e per via della teatralità delle sue movenze.
-“E’ così, vecchio amico”, parlò Henry mettendosi le mani in tasca, un sorriso sardonico a piegargli le labbra,-“Genevieve soleva raccontarmi di come ti trovasse abbattuto e di altre faccende che non mi riguardano ma che hanno provato tua sorella. Ma è lei, l’umana per la quale hai perso il senno, amico mio?”
“Amico mio”, sputò William con un ghigno,-“da quando siamo amici, noi due?”
Henry alzò le spalle, schernendosi dal tono sarcastico usato da William.
“Non stai rispondendo alla domanda.”
“Sì, è lei. Si chiama Emily. Emily, questi sono Henry Devonne e mia sorella Genevieve.”
Dovrei esser sembrata una maleducata perché annuii senza porgere la mano e senza fiatare una sola parola. I due mi sorrisero, ma non appena tornarono a mirare Will, i loro visi tornarono seri.
“Che cosa ci fa lei qui?”
William sospirò.
“E’ complicato”, masticò, serrando la presa sulle mie spalle,-“venite in soggiorno, non rimaniamo immobili sulle scale. Andiamo.”
Prima che William potesse scendere le scale lo presi per un lembo della manica e gli bisbigliai che io avrei preferito andare a farmi una doccia, lui annuì, a quel punto mi scusai con i due e scomparii dalla loro vista. Al piano superiore vi erano alcune stanze aperte, azzardai ad entrare in quella chiusa.
Il bagno era piccolino, tra il lavandino e la vasca non c’era poi così spazio; poco m’importava dal momento che mi fu sufficiente per accasciarmi a terra e rovesciare il contenuto dalla mia borsa. Il pacco atterrò sulla montagna di indumenti, potevo sentire il richiamo di ciò che vi era al suo interno anche da oltre quello strato di cartone.
“Coraggio Emily, fatti coraggio”, mi sussurrai appuntando i capelli dietro le orecchie.
Le mie mani si mossero a scatti prendendo con una certa incertezza l’involucro di cartone; affondai le dita e lo scoperchiai poi, riempiendomi di aria i polmoni, rovesciai il contenuto sul pavimento.
La prima cosa che cadde fu una lettera ripiegata e sporca che a contatto con il suolo si disfò aprendosi. Come se non aspettasse altro di esser letta. L’urgenza di quella coincidenza non mi permise di vedere nell’immediato il secondo oggetto che seguì la caduta: un pugnale.
Indietreggiai spaventata, nemmeno ci fosse, davanti a me, un leone feroce.
“Ma che cosa…”
Gattonai nel punto in cui ero, esaminandolo: questo aveva la lama coperta da un fodero di cuoio, l’elsa rovinata, oro e rame, con una goccia di cristallo incastonata nel centro dove, al suo interno, conteneva la lacrima di un liquido che non identificai. L’afferrai per esaminarla meglio. C’era davvero del liquido all’interno del cristallo; cristallo che, a seconda di come la luce artificiale del bagno lo colpiva, mutava. Lo soppesai con una mano, meravigliata di quanto pesasse nonostante fosse piccolo e suggerisse il peso d’una piuma.
Lo depositai a terra, certa che se non avessi ricevuto una spiegazione nell’immediato, sarei sicuramente impazzita.
Piegai il foglio e una calligrafia familiare mi mostrò una fitta rete di parole che aspettavano solo di essere lette; il desiderio inespresso di quelle parole fu esaudito perché i miei occhi incontrarono la prima riga e subito la mia attenzione venne catturata:



Emily cara,
se hai tra le mani questo pezzo di carta è perché il momento che io e tuoi genitori abbiamo cercato di allontanare con tutte le nostre forze da te è arrivato. Non ho molto tempo per scriverti tutto quello che vorrei per questo cercherò di essere il più concisa possibile.
Tutto ciò che conosci non avrà più senso dopo le mie parole, ma sappi che non hai libertà di scelta: devi prenderle come oro colato. Devi crederci. Fermamente.
Sei in pericolo, bambina mia. Lo sei sempre stata ma ora più che mai sei sola e questo mi addolora più di tutto ciò che ho dovuto affrontare nella mia vita e in questi giorni che mi hanno vista prigioniera.
Prigioniera di Jennifer Delacour.
D’altro canto non sei stata anche tu, per tutto questo tempo, sua prigioniera nelle mura di quel collegio immondo?
So riconoscere un muro quando lo vedo e so che noi due siamo con le spalle contro questo muro. Poco dopo che ci separarono mi rinchiusero in una casa di riposo per mantenere le apparenze, infatti poco dopo la nostra prima telefonata la signorina Williams sotto ordine di Delacour mi trasportò in un capannone invivibile appena fuori città. So riconoscere un vampiro quando lo vedo, tuttavia la compassione che Rebecca Williams mi aveva mostrato durante il sequestro mi ingannò poiché anche lei, come avrai già certamente capito, è un vampiro.
Esiste un mondo di tenebre e sangue, bambina mia, un mondo oscuro, senza scrupoli dove un tempo sembrava poter arrivare in ogni angolo del pianeta, espandendo la propria oscurità su chiunque avesse l’avverso destino di capitarvi. Eppure un tempo queste tenebre sono state fronteggiate da due famiglie, i Collins e gli Stryder, conosciuti altrimenti come Cacciatori di vampiri.
Tu discendi direttamente dalla famiglia fondatrice, nel tuo sangue scorre quello dei rivendicatori del giusto, della luce. Con il passare del tempo ogni continente, ogni nazione e ogni territorio è stato reso sotto l’ala protettrice di migliaia di Cacciatori. Tranne Londra, perché Jennifer Delacour la governa grazie al suo essere diversa da qualsiasi vampiro io abbia avuto modo di affrontare. E i tuoi genitori hanno imparato a loro spese cosa vuol dire arrestare il potere di quel mostro. Bambina mia, non c’è stato nessun incidente; è stata Jennifer Delacour ad ucciderli. Ma vorrei parlarti di questo non appena arriverai in Francia, nella casa degli Stryder. La Williams (puoi fidarti di lei) ti scorterà fin qui e tu sarai veramente al sicuro. Ma salvo complicazioni nel pacco che ti ho fatto consegnare vi è il tuo pugnale. Esso ti proteggerà da qualsiasi vampiro, basterà che lama affondi nel suo corpo ed egli diverrà cenere. D’altro canto anche tu dovrai proteggere questo oggetto prezioso dalle capacità incredibili poiché Jennifer Delacour lo cerca e, una volta che l’avrà tra le sue mani, diventerà un’arma di distruzione.
Non voglio dirti altro, non voglio nemmeno invocare il tuo perdono su questa carta straccia e lurida; tutto ciò che ho capito –e che probabilmente ho sempre saputo- è che non è con una bugia che si protegge chi si ama.

A presto, Emily.

Nonna Caroline



Il foglio mi cadde dalle mani, strusciando le mie dita rigide come per correre in conforto al mio stato d’animo indecifrabile.
Era stata tutta una trappola: il mio ingresso al collegio era un modo per dividermi dall’unica persona in grado di introdurmi nel ruolo che i miei genitori avevano deciso di strapparmi dalla pelle per proteggermi, un espediente per arrivare ad avere per sé il pugnale capace –dacché ne avevo capito- di cose straordinarie. E poi la signorina Williams.
Nicole aveva ragione, quel giorno nell’ufficio della Delacour c’era lei.
Lei, serva di una vampira che era stata capace di reclamare il sangue della mia famiglia da intere generazioni.
Mi alzai e scoprii un terrore autentico per ciò in cui ero capitata perché…perché ora Rebecca Williams doveva concedermi la fuga ma invece si era suicidata senza adempire completamente all’incarico che mia nonna le aveva richiesto. Perché prendersi la briga di farmi ricevere il pacco, senza poi concludere la questione? Perché si era gettata sotto quel maledetto treno? Erano domande, quelle, che non avrebbero ricevuto risposta. Almeno, non nell’immediato.
Girai in tondo passandomi le mani tra i capelli, solo dopo aver scorto la mia immagine riflessa decisi di appiattirmi contro la vasca, immobile. A ragionare.
Ero una cacciatrice di vampiri, ma non una qualsiasi: la leggendaria. Quella che doveva arrivare, secondo il fato, per dare il via alla seconda Caccia che, stando al racconto di William, sarebbe stata quella che avrebbe portato la sua famiglia alla distruzione.
Proprio come lei aveva messo fine alla mia.
Fu proprio la voce di William –ovattata e lontana- che mi riscosse da quei pensieri.
“Emily?”, chiamò.
Mi schiarii gola per evitare che il panico si manifestasse in tutta la sua devastante potenza.
“Will?” La mia voce era pressappoco un soffio di alito.
“Emily posso entrare? Sei già nella vasca?”
“Sì”, mentii, -“ho quasi fatto.”
“Non avere fretta. Volevo solo farti sapere che sto uscendo per andare a comprare qualcosa da mangiare per te. Genevieve e Henry sono di sotto.”
Rabbrividii al solo pensiero di rimanere sola con quei due…il mio sguardo cadde sul pugnale.
“V-va bene.”
Lo sfoderai con un colpo secco.
“Sai, prima mentre parlavo con Genevieve mi è tornato in mente quel momento in cui eravamo nella tua stanza, il giorno del tuo compleanno, e io ti dicevo che avevo previsto qualcosa di terribile. Non ho voluto dirtelo, ricordi? Credo sia stato un errore perché forse se ti avessi reso partecipe a quest’ora non staremo in questa situazione. Deve esserci stato il motivo per cui mia madre vuole…”, lasciò per un attimo cadere la frase,-“ecco perché ha voluto cancellarmi la memoria. Genevieve dice che lei vuole tagliarmi fuori da questa storia e, siccome ti ho salvata una volta, teme che posso farlo per una seconda volta. Perché, così facendo, crede che io stia cercando di assolvere lei e non salvare te perché… per me sei importante.”
“Sono d’accordo.”
No, non lo ero affatto per il semplice motivo che non avevo ascoltato del tutto le sue parole. I miei occhi erano rapiti dalla lama scintillante e affilata del pugnale; roteando il polso per maneggiarlo mi domandai di quanto sangue si fosse macchiato. La luce lo colpì e lungo la lunghezza dell’acciaio rilevai una parola incisa in modo obliquo ed elegante: Collins.
Lo rifoderai alla svelta e lo gettai nella borsa, poi, mi avvicinai alla porta porgendo le mani sul legno.
“…tornerò subito”, stava ancora parlando.
Avevo come l’impressione che tra noi ci fosse molto più di una semplice porta a dividerci, adesso. Una sorta di faglia incolmabile e ineluttabile che aveva deciso di spaccarsi una volta arrivata al culmine.
Il terrore –per un istante- cedette il posto alla disperazione.
-“William…”, uggiolai, -“mi dispiace così tanto.”
Strinsi i pugni e serrai la mascella: non era quello che volevo dire.
Quando lui mi rispose percepii il sorriso nelle sue parole.
“Non sei tu che devi dispiacerti. Farò di tutto per proteggerti, per cambiare la situazione. Tornerò subito.”
Detto questo si allontanò, lasciando me dinanzi il piccolo specchio che mi mostrava l’immagine di una ragazza che stava piangendo, e che non si era accorta di farlo.
   
 
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