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Autore: Shinny_Leaf    20/02/2015    1 recensioni
Mi chiamo Venus. Venus Blain. Ho 16 anni e vendo me stessa per portare a casa da mangiare.
Domani ci sarà la Mietitura e c'è solo una cosa di cui sono certa: io verrò sorteggiata. Non c'è via di scampo.
Non fatevi impressionare. Io non sono un agnellino impaurito, ma non provo nemmeno piacere a uccidere. Sono sempre la via di mezzo.
La via di mezzo tra una ragazzina un po' pazza e una donna sadica. Quella figura a metà.
Una cosa è certa: se dovrò andare io tornerò a casa.
Tributi...
tremate di paura.
Genere: Azione, Comico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Caesar Flickerman, Finnick Odair, Nuovo personaggio, Presidente Snow
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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19. Meno mi farò schifo

Venus’ s POV
 
Non siamo nulla.
Non siamo acqua che cade.
Non siamo fuoco che brucia.
Non siamo Soli che riscaldano.
Non siamo vento che spira.
Non siamo umani che amano.
Non siamo cuori che pompano.
Non siamo demoni che odiano.
Non siamo divinità che giudicano.
Non siamo tempo che scorre.
Non siamo luce che illumina.
Non siamo piante che crescono.
Non siamo polmoni che respirano.
Non siamo gatti che miagolano.
Non siamo deserti che s’inaridiscono.
Siamo ferite che sanguinano.
Solo sangue.
 
Tutto bianco, il pallore invade la mia mente e mi porta in un posto che io conosco.
Non c’ero quel giorno, ma è come se ci fossi sempre stata. Giorni di gioia erano.
Sono di fianco a mio padre, al mio vero padre. Riley Sky.
È giovane, avrà avuto al massimo una ventina d’anni, ed è alto. Si strofina compulsivamente una mano sopra l’altro braccio, lisciandosi continuamente l’abito dall’aspetto costoso.
Il completo è nero con la camicia bianca e candida. Porta la camicia leggermente aperta e la cravatta slacciata, lasciando intravedere una catena con un cristallo verde come ciondolo.
Il ciondolo di mamma.
È proprio mio padre… alto, magro e con una buona dose di muscoli. Ha i capelli biondo cenere tirati indietro con del gel. Sorride, come mai l’ho visto fare. I suoi occhi neri sono lucenti e felici e le sue labbra hanno la piega più serena che possa esistere.
La promessa che tutto andrà per il meglio.
Continua a starsene fermo, impalato di fianco a me con quel suo sorriso estasiato.
Guardo per terra e noto un lungo pezzo di tessuto bianco che inizia da sotto i nostri i piedi e termina dopo una decima di metri come a formare… una navata?
Il matrimonio.
Io e mio padre ci troviamo sotto un arco di legno a cui sono stati intrecciati piccoli fiori rosa e bianchi. Ai due lati della navata, sono disposte in modo ordinato numerose sedie di legno pitturate anch’esse di bianco con drappi di velluto bianco alle estremità rivolti verso la navata.
Dalla parte di mia madre compaiono numerose persone sorridenti che fanno una confusione allegra. Tutti vestiti da Hippie con lunghi capelli selvaggi, acchiappasogni, piume, talismani e fiori. Moltissimi fiori; nei capelli, sui vestiti, come ornamenti.
Noto che mio padre sta sorridendo verso una donna che deve essere sui 45 anni, più o meno. È seduta sulla prima fila e sembra più felice che mai. Non sembra molto alta, ma ha davvero un bel fisico. Ha dei lunghi capelli biondo platino e degli occhi spaventosamente chiari. Nemmeno un filo di rughe sul suo viso e una piccola bocca a cuore. È fasciata in un abito morbido color lavanda e ha delle piccole roselline bianche intrecciate nei capelli. Dalla scollatura del vestito si può intravedere un ciondolo particolare; una foglia le cui venature e il resto del corpo sono state placcate in quello che credo sia oro. È seduta nella prima fila e sorride raggiante verso mio padre.
Non riesco a capire chi sia. Eppure mi è così familiare.
I suoi capelli biondo platino, i suoi occhi chiari, la sua pelle candida, le sue labbra rosse…
Nonna.
Ma certo, come ho fatto a non capirlo? Del resto, non l’ho mai vista.
Ed ecco che compaiono numerose persone anche dal lato di mio padre. Tutte persone ricche e posate che sorridono e conversano amabilmente. Orologi, completi, tacchi alti, oro e collane di perle. Tutti fasciati in abiti dai colori neutri, ma sfavillanti. Alcuni di loro lanciano qualche occhiata di rimprovero alla massa rumorosa di colori sgargianti che si trova dall’altra parte della navata.
Tutt’intorno a noi, solo alberi e qualche sprazzo di cielo azzurro. Piccoli petali rosa che cadono e vengono trasportati da un leggero venticello caldo creando un’ottima atmosfera.
Siamo nella riserva naturale del Distretto.
I due violini iniziano a suonare una leggera armonia e tutti gli invitati si alzano in piedi tentando di osservare per primi la purezza di mia madre il giorno del suo matrimonio.
È raggiante ed è bellissima com’è sempre stata.
È fasciata da un abito bianco con le maniche lunghe e strette costituito da ricami e che si allarga verso il basso. Davanti le lascia scoperte le gambe dalle ginocchia in giù e dietro strascica per terra. Cammina sicura sui petali di fior di pesco a piedi nudi con la sola promessa di volersi fondere, non solo con il ragazzo che l’aspettava all’altare, ma anche con il terreno.
Si sposa a Riley e alla natura.
Il bouquet che stringe fra le mani era formato da cinque rose bianche.
I suoi capelli sono fili dorati, che ha scelto di lasciare sciolti, nei quali sono incastrati piccoli fiori rosa e piume bianche.
Il suo viso è di una bellezza indescrivibile, eterea, più candida della neve stessa.
Le sue labbra rosse si aprono in un sorriso estasiato alla vista di mio padre, gli occhi lucidi e il piccolo naso all’insù.
Alza leggermente il bouquet dall’altezza dello stomaco ed eccomi lì, in una pancina di appena due mesi.
Forse mi sono sbagliata nel dire di non esserci stata perché, in realtà, c’ero anch’io.
 
 
Di nuovo tutto bianco, spento.
Apro a fatica gli occhi, le palpebre troppo pesanti che sbatto qualche volta.
E mi ritrovo a fissare un soffitto di nuovo troppo familiare.
Sollevo le mani verso l’alto e quasi urlo notandole minuscole, come quelle di un neonato. Riconosco improvvisamente l’acchiappasogni e gli elefantini colorati che pendono dal soffitto e oscillano fra loro in una piccola danza.
Volto leggermente la testolina per guardarmi attorno e vedo solo il colore bianco delle pareti e la luce soffusa che spunta tra le pesanti tende blu oceano.
Sento il mio visino aprirsi in un sorriso al suono di passi che vengono verso la mia direzione.
Passi leggeri ed eleganti.
Mamma.
 
 
Mi ritrovo in uno spazio del tutto bianco. Un bianco che fa quasi male, ma che stavolta riesco a toccare.
Il pavimento e il cielo sono bianchi, i miei pensieri sono bianchi ma lucidi.
“ Ciao.”
Mi volto improvvisamente verso la voce maschile che proviene alle mie spalle. Delusa, non mi ritrovo a fissare una persona, ma una luce rossa fluttuante.
“ Tu sei Venus, giusto?” La voce è cambiata, mi è familiare. È calda e amichevole.
Annuisco un po’ incerta.
Il cielo si colora di azzurro chiaro e una fitta coltre di fumo grigio va a oscurarlo.
“ La mia mamma vuole tanto che diventiamo amici.”
Il pavimento si trasforma in terra che, a sua volta, fa crescere dell’erba verdissima.
“ Anche la mia.” Mi ritrovo a dire senza spiegazione sorridendo teneramente.
Compare un piccolo torrente dalle acque stanche vicino all’Anima Fluttuante.
Qualche tulipano cresce rapidamente in tutto il giardino verde.
Un bellissimo pesco si forma poco distante dall’Anima e dal torrente.
“ Quindi, ti va di giocare insieme?”
Blaze.
I colori si mescolano e turbinano un vertice che sostituisce l’Anima con un formato di Blaze di appena 3 anni. La prima cosa che una persona potesse notare in lui è il sorriso. Sempre sorridente. Per non parlare delle espressioni buffe che dipingono quel visetto da innocente. Non è mai stato semplicemente una bocca da sfamare per i suoi genitori, è frutto di un amore pacifico.
“ Mi piacciono i tuoi occhi.” Dice di colpo.
Mi si scalda il cuore all’udire un’altra volta il suono di quelle parole.
 
 
Ormai ho fatto l’abitudine con questo vortice bianco che mi trasporta da un flashback all’altro.
1 anno dopo.
Blaze e io ci rincorriamo nel giardino di casa mia.
“ Amica, come ci si sente ad avere un fratellino in arrivo?” Mi chiede Blaze curioso.
“ Strani, ci si sente strani.” Rispondo continuando a scappare da lui.
Balze ride di gusto e urla “ Adesso ti prendo!”.
Sghignazzo e corro verso l’albero.
“ No, non salire. Poi come ti prendo?!” Esclama quasi scocciato.
Mi arrampico agilmente, nonostante il vomitevole vestitino che mi ha rifilato la mamma.
“ Sali con me.” Gli rispondo.
Non capisco di cosa abbia paura; è risaputo che i peschi del nostro Distretto hanno rami molto più spessi e resistenti di quelli normali.
Mi guarda storto e mi fa la linguaccia.
“ Dai amico, con me non cadi. Te lo prometto.” Cerco di incoraggiarlo.
Non sembra ancora convinto.
“ E se cado?” Mi chiede.
“ Cadiamo insieme.”
Dopo svariati tentativi, si sistema malamente accanto a me.
“ Chissà poi come nascano i bambini.” Dice perplesso.
 
 
2 anni dopo.
Notte fonda.
Urla di un uomo furioso e rumore di vetro che s’infrange contro il pavimento.
Vago come un fantasma per le stanze di casa mia. Questo non sembra essere un mio ricordo…
Entro in salotto e mi fermo di colpo a fissare la scena che si svolge in cucina.
Mio padre è sudato e regge in mano una piccola bottiglietta dai vetri scuri. Ma c’è qualcosa decisamente fuori dal normale; il colore dei suoi occhi è di un rosso acceso inquietante e le vene che gli corrono sulle braccia e sul collo si sono ispessite notevolmente.
Fissa mia madre con aria colpevole e con odio inteso.
Lei è a terra, contro il bancone della cucina, con le ginocchia al petto cerca di cancellare la sua figura.
“ Non puoi togliermi questo! Tu non puoi chiedermi di rinunciare a l’unica cosa che non mi fa percepire la merda nella testa!” urla mio padre quasi disperato.
“ Non comportarti come se questo problema non esistesse. Guardami!”
“ Indigo! Sono qui.”
Lui continua a urlare, ma lei non lo sente nemmeno.
Un pianto di bambino inonda la stanza e fa tremare le pareti.
Lavinia.
 
 
3 anni dopo.
Tutti sanno come siano fatte le persone. Tutte le persone possono essere considerate tali nel profondo. Anche il più vuoto e crudele carnefice può infine pentirsi per i suoi peccati. La morte ci accompagna tutti ed è la nostra unica certezza terrena, ma perché rovinare la vita? Perché rovinare la parte buona della nostra esistenza?
E si sa: l’odio porta solo altro odio e la vendetta non è mai stata nulla di positivo per il nostro cammino.
Eppure perché io desidero solo che lui soffra atrocemente?
Guardo Tom nascondere il viso nella giacca di Riley per piangere.
Se ne sta lì, distrutto, a chiedere a mio padre “ Perché vai via papà? Perché ci lasci qui?”.
Piange, dio mio se piange. E tu, sporco bastardo, te ne stai lì e non lo guardi nemmeno? Con che coraggio ti alzi la mattina?
“ Te l’ho già detto: devo andare a Capitol City.” Risponde mio padre.
Le parole pensano come un macigno eh? Te lo meriti, merda se te lo meriti. Spera che tu soffra almeno la metà di quanto stia soffrendo tuo figlio.
“ È colpa mia? Ho fatto qualcosa di sbagliato?” Chiede Tom disperato.
Dimmi: domani riuscirai ancora a guardarti allo specchio?
“ Posso farmi perdonare, davvero. Non andare, ti prego.” Continua Tom.
Ci sono quei momenti nei quali vorresti solo sparire piuttosto che assistere a certe scene. Non posso reggere le lacrime di mio fratello. Piove fuori, ma piove anche dentro casa. E, sono sicura, che ci siano temporali dentro il corpicino di Tom.
Il viso di mia madre è fermo, privo di espressione; riserva sguardi di dispiacere verso la piccola Lavinia che stringe con una manina un lembo del suo vestito.
Si tiene salda, la piccola. Come se avesse paura di crollare.
Riley accarezza la testolina di Tom e lentamente lo stacca dalla sua giacca. Poi si dirige verso Lavinia e, chinandosi, le sussurra qualcosa all’orecchio.
Lei sorride e annuisce.
Accarezza il viso di mia madre e le sorride mesto. Lei, rigida, lo fissa con uno sguardo di odio.
“ Allora, non si saluta il proprio padre?” Chiese rivolgendosi a me.
Un colpo, un solo e unico colpo, e il mio cuore è esploso.
Carica d’odio e sarcasmo dissi “ Ah sì? E il mio dov’è?”.
 
 
10 mesi dopo.
Esistono dolori che una persona non dovrebbe conoscere. Scene che non dovrebbe guardare. Anime che non dovrebbero scomparire. Eppure è la vita, è il suo corso.
No, non dovrebbe essere così. Perché dovrei ritrovarmi a desiderare di non essere mai nata? Perché sono costretta a desiderare di cessare di esistere?
Perché, mamma, non potrò più chiamarti.
E scorderò il suono della tua voce.
Precipiti a rallentatore nei miei ricordi, anneghi nel mio oceano interiore. Saprò portare il tuo amore nel mondo? Reggerò la tua figura nelle foto di famiglia?
Scorderò il tuo dolore e la tua pazzia? La risata di Lavinia sarà lo spettro della tua?
Mio odieranno, mi odieranno sicuramente.
Perché adesso? C’era ancora tanto da vivere. C’erano quadri da dipingere, canzoni da cantare, fiori da crescere che non vedranno mai la vita.
E tu, tu te ne stai lì a penzolare da un albero, le ultime lacrime che rigano il viso.
Niente lettere: non hai lasciato nulla.
Come pensi che dovremmo fare noi adesso?
Tenevi davvero così poco a noi? Mamma, vorrei morire anch’io adesso, ma il tuo è stato puro egoismo.
Niente re o regine, quando il rituale comincia: non è il giorno del tuo matrimonio, non ti ha visto nessuno.
Hai chiesto a mio padre di fare qualche sacrificio, ma alla fine sei stata tu l’unica a sacrificarsi.
 
 
4 anni dopo.
“ Buongiorno bellezza.”
Sollievo e calore sulla mia pelle.
Tu risali l’albero, più abile di quanto non fossi in passato. E mentre sorridi ti accomodi affianco a me con le gambe strette attorno al grosso ramo che ci sorregge; spettro della paura che provavi dell’altezza.
E leggero t’avvicini, specchiandoti nei miei occhi per qualche secondo prima di rubarmi un piccolo bacio a fior di labbra. Gentile e dolce, come sei sempre stato con me.
“ Buongiorno Blaze.” Ti rispondo in un sospiro.
“ Solo Blaze?” Mette su un broncio invidiabile, mentre io lo fisso confusa.
“ Insomma, mi aspettavo una cosa più del tipo “Blaze, il gran Figo” oppure “Blaze, colui che incarna tutti i miei ideali di bellezza terrena” oppure, il mio preferito, “Blaze, il dio greco”.” Continua lui mentre gli brillano gli occhi.
Ah, dimenticavo: gentile, dolce e coglione. Un grandissimo coglione che mi fa morire dal ridere.
“ Oh dio, non credevo che il tuo ego fosse così grosso.” Rispondo ridendo.
“ Beh, tanto per informarti, non è l’unico ad essere grosso.. se capisci cosa intendo..” Dice mandando sguardi allusivi al suo basso ventre.
Un emerito coglione.
 
1 settimana dopo.
“ Blaze, lascio la scuola.”
“ Cosa?”
“ E non credo che riusciremo a vederci così spesso d’ora in poi.”
“ Non capisco…”
“ Del resto, cosa posso farci? È l’unico modo.”
“ Frena un secondo, non credi di dovermi delle spiegazioni?”
“ No, meno sai e meno ti farò schifo.”
Meno mi farò schifo.
 
 
2 giorni dopo.
Sudato, brutale e divertito; mi prende da dietro e si porta via la mia verginità. Il mio primo cliente.
 
1 mese dopo.
“ Sei solo una ragazzina! Non puoi farlo veramente!” mi urlò Blaze furioso.
“ Pensi che se avessi scelta lo farei?! Pensi veramente che mi piaccia farlo?!” gli urlai di rimando.
“ C’è sempre più di una scelta!” disse come se quella frase fosse ovvia.
“ Oh andiamo Blaze! Questo ce lo dicevano da bambini! Non è mai stato vero!” gli risposi.
“ Ti dico io cosa non è mai stato vero; la nostra amicizia non è mai stata vera e tu non sei mai stata vera! Ma guardati! Sei solo una bambina abbandonata dai genitori che gioca a fare la sgualdrina! Sei patetica.”
 
1 anno dopo.
Le prime luci del mattino, il cielo che si tinge di un azzurro chiarissimo si scontra con la nube nera che sovrasta il Distretto 5 e i miei stivaletti col tacco che s’infrangono contro la neve accompagnano il mio ritorno a casa.
Ci sono bambini che corrono verso scuola con le proprie madri. Ridono e corrono entusiasti della neve.
Ogni donna che passa si ferma a guardarmi con disappunto. Cosa pensate? Che provi piacere a girare per le strade con l’eyeliner che mi cola sulle guance? Che mi piaccia mostrarvi le mie gambe piene di lividi e segni rossi e i collant ridotti a un paio di fili? Che io muoia di caldo ingabbiata in vestiti succinti mentre tutto intorno nevica?
Come se avessi scelta.
Coprite gli occhi ai vostri figli mentre mi sorpassate a passo svelto per paura che io possa fare chissà cosa. Una quindicenne che cammina ridotta come una schiava fa paura, non è vero?
Nonostante tutto, io rivolgo un sorriso a ognuna di voi e ai vostri cari bambini. Solo per augurarvi una buona giornata.
Voi mi fissate sempre contrariate, come se vi avessi insultate.
Mie care genitrici novelle, badate bene a non uccidervi e sperate che nessuno uccida vostro marito. Altrimenti la bambina che ora tenete per mano potrebbe sostituirmi.
Sono solo una schiava.
E mentre sorpasso gli edifici scolastici, vedo due occhi che mi guardano da lontano.
Non ho nemmeno bisogno di ricambiare lo sguardo.
Blaze è andato.
Ora sono sola.
 
1 anno dopo. La Mietitura.
“ Venus Blain” Non voglio mostrare debolezza ed è per questo che pronuncio il mio nome con strafottenza come se avessi già vinto. Come se mi conoscesse già tutta Panem.
 
 
Mi scoppiano i timpani.
Le ossa mi fanno male.
Un dolore fortissimo mi colpisce la testa.
Percepisco il mio cuore battere.
Percepisco il peso del mio corpo sopra un materasso.
Percepisco un ago infilato nel incavo tra braccio e avambraccio.
Percepisco una mano che stringe forte la mia.
E poi, un boato profondo s’irradia nel mio torace e si espande nel resto del corpo.
Simultaneamente, un profondo respiro mi scuote il petto e le palpebre si aprono di colpo.
Il mio sguardo s’incatena a quello dell’anima che mi completa.
Axel.
 
 
 
 
 
A chi ancora legge ciò che scrivo, a chi ancora aspetta un mio aggiornamento.
A chi ancora non ha perso la speranza, a chi ha lasciato il suo pensiero nel mio scorso capitolo.
A chiunque voglio giurare che finirò questa storia.

- Valeria
  
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