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Autore: x Audrey x    20/02/2015    1 recensioni
Lentamente, si siede a terra, incrociando le gambe. Strappa un fiore un po' bruscamente, e poi un altro, e un altro ancora.
“Guarda, sono color del paradiso.” esulta, puerilmente.
Si inginocchia di fronte a lei, e ne raccoglie un altro.
“Sono davvero color del paradiso.” conferma, in un sorriso gentile.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lizzy


“Ti aspettavo, Will.”
La figura longilinea si volta verso di lui, cogliendolo di sorpresa. È così in ritardo. Non credeva che lei potesse averlo atteso per ben più di mezzora. Lei, che era solita a spazientirsi anche solo per un caffè che ribolliva più del dovuto.
“Non pensavo ti avrei trovato ancora qui.”
“E dove pensavi sarei andata? Ho lasciato quel noioso ufficio, ho scoperto che a me non piace firmare carte.” dice, e si passa una mano sulla fronte, quasi per scrutarlo meglio.
Non è cambiata, la dolce Lizzy. Larghi pantaloni militari le coprono le gambe, e una maglietta color pece le fascia la vita. Come stona quel verde aggressivo, in confronto all' erba tenue, fresca di rugiada, che le carezza i piedi nudi.
Incrocia le lunghe gambe, divertita.
“Allora, Will, come va il lavoro? Te la cavi anche senza di me? Ora, chi ti sveglia, quando ti addormenti sulla scrivania?”
Solo ora, però, trova il coraggio per guardarla in viso. Le sue iridi d' argento sfolgorano, con gli ultimi raggi del sole. Il nasino all' insù. Quella smorfia sulla bocca, che lei si ostina a chiamare sorriso. I capelli sono raccolti, eppure continuano a ricaderle disordinati sulla fronte. 
Non è cambiata, Lizzy. È lo stesso sguardo fiero, che lui si sente puntato addosso. Fiero, ma dolce, anche. Si chiede come possa una donna avere tale potere. Non ha bisogno di risposte. Lui la conosce, e sa che non è come una donna qualsiasi. 
“E tu, dimmi, tu ti darai mai una sistemata? Hai il viso sporco di terra e polvere, come l' ultima volta. Eppure, sono passati almeno cinque giorni.”
Lei sorride, in tono di scherno.
“Oh Will, pretendi perfino che passi ore davanti ad uno specchio solo per te?” i suoi occhi brillano. “Ecco” dice, e si toglie il fermaglio “Sei contento, adesso?”
I suoi capelli sono liberi ora. Una fluida cascata di miele le ricopre la schiena. Scuote il capo, come se in qualche modo potesse dare loro un po' di ordine. 
Com' è bella.
Le occhiaie le solcano il viso, e le guance sono più scarne, ora che vi pone più attenzione. È pallida come la luna.
Ma è così bella.
“Comunque, non prendertela troppo con me. Sei tu che mi ricordi così. Non posso farci niente se non corrispondo alle stupide ragazze di cui ti attorni.”
Non usava mezze parole, Lizzy. Era schietta e sincera. Una delle poche, in quella miriade di bugiardi e arrivisti.
“A proposito del lavoro, non posso certo dirti che è più semplice. Anzi, dopo l' ultima volta, sembra essersi tutto burocratizzato ancora di più. Insomma, una vera e propria rottura. E poi, anche Jack se n' è andato.”
Abbassa lo sguardo. Non ha più la forza si sostenere quegli occhi da bambina, seri, ma colmi di una fiducia mal riposta.
“Anche Jack? Oh no, Will, ma è un peccato. Mi stava simpatico. Era sempre carino con me. Sai, ci deve aver provato perfino due o tre volte .”
Capisce che l' ha detto apposta, solo per farlo innervosire. Ma stranamente, questa volta non sente la gelosia, che gli morde il cuore. Dentro di lui, c' è solo quella scintilla fastidiosa, che brucia sempre più forte, sempre più forte. 
“Elisabeth-”
“Si?” Alza gli occhi, con un cenno di preoccupazione. Stupido che non è altro, che tono rammaricato che ha usato, per chiamare il suo nome. È ovvio che si allarmi, pensa, mentre si pente subito della parola appena pronunciata. È la sua Elisabeth, ed è stanco di leggere timore nei suoi occhi dalle lunghe ciglia.
“Niente, scusami, mi è scappato di mente. Ad ogni modo, è un miracolo che non abbiano buttato fuori anche me.”
Ride, e la sua risata cristallina risuona tra le fronde del vecchio salice. I pettirossi si uniscono a quell' armonia, chiamando la notte.
Com' è bella, quando ride. È una delle poche volte dove indossare uno sguardo sereno non le viene troppo difficile. Ma a lei niente viene troppo difficile.
“Come sei ingenuo, Will. Non potrebbero mai cacciarti. Vedi, tu sei la pedina perfetta. O meglio, saresti, se non fossi così intelligente. Ma i piani alti sperano ancora che la senilità ti possa essere fatale.”
Lentamente, si siede a terra, incrociando le gambe. Strappa un fiore un po' bruscamente, e poi un altro, e un altro ancora.
“Guarda, sono color del paradiso.” esulta, puerilmente.
Si inginocchia di fronte a lei, e ne raccoglie un altro. 
“Sono davvero color del paradiso.” conferma, in un sorriso gentile. Ma è lei il suo paradiso, vorrebbe aggiungere. Apre la bocca, ma le parole non si degnano di andargli in aiuto.
“Come sei buffo.” Anche lei ha un sorriso gentile sulla labbra. 
“Hai degli occhi così belli. Sono come la notte.” si butta tra i fili d' erba, che le solleticano la schiena. “Non te l' ho mai detto. Eri troppo narcisista, per meritarti un complimento del genere.” Ride ancora. Oggi è serena, constata. Non l' aveva mai sentita ridere per due volte di fila.
“Ma ho una domanda. Se i pettirossi cantano, perchè il prato è bagnato di rugiada?”
Lui la sa la risposta. L' ha sempre saputa. Solo, non crede sarà in grado di accettarla.
Anche lui si butta tra i ciuffi d' erba. Sente un ruscello che scorre, dolce. Da quando in qua, c' è un ruscello? Non gli importa, non finchè Lizzy continua a canticchiare quella nenia sommessa che lo sta portando all' orlo dell' oblio.
“Sai, Will, ho cambiato idea, non voglio più saperlo.”
“Mi sei mancata, Elisabeth.”
“Oh, prendimi la mano, e sta zitto, Will.”
Sorride sommessamente. Non è cambiata per niente, la dolce Lizzy. 
Le loro dita sono intrecciate, e lei poggia indecisa il suo capo sulla sua spalla.
Può sentire il suo respiro caldo contro il suo collo. 
“Con chi sei stato, questa notte?”
è lei la prima a rompere quell' idillio.
“Come- cosa vuol dire, con nessuno, è ovvio.”
ma lui sa che ormai è stato preso in fallo.
“Il tuo profumo. Il tuo profumo. È di antico, come libri, con un goccio di colonia. Ma ora, c' è un cenno di gelsomino.
E non è il mio profumo, io so di lavanda. Me lo regalasti tu, ricordi?”
“Elis-”
“Non preoccuparti, Will, è normale. Lo hai sempre fatto, in passato. Che male c' è.
Quelle stupide ragazze, sono così fortunate. Non sai quante volte le ho invidiate, Will, non sai quante volte ho provato a mettermi un rossetto rosso.
Ma era più forte di me, non ero io. Non ce la facevo ad essere come avresti voluto, io non-”
Si è alzata dalla sua spalla, e si è raggomitolata su se stessa. 
“Lizzy, io-”
“E non chiamarmi Lizzy. Lo sai che lo ho sempre odiato, stupido idiota. Sembro una stupida ragazza anche io, con quello stupido nomignolo.” La sua voce è rotta dalla rabbia, e continua a farfugliare qualcosa di come tutto sia così stupido.
Non è cambiata per niente, la dolce Lizzy.
“Elisabeth, scusami, non intendevo offenderti-”
“E allora perchè mi hai mentito? Non ti fidi abbastanza?”
Si è alzata in piedi ora, e gli ha dato le spalle. Lievi tremiti le percorrono la schiena.
Un singhiozzo.
“Elisabeth-” 
Gli si avvicina piano, come se lei fosse un cerbiatto, e lui un cacciatore che sta per strappargli la vita.
“E non chiamarmi nemmeno Elisabeth. Non mi è mai piaciuto come nome. È sempre stato troppo lungo.” 
“Andiamo, e come dovrei chiamarti?” 
“Non devi, non devi chiamarmi. Non si dà un nome ai fantasmi.”
Si prende il volto tra le mani, accasciandosi a terra.
Un altro singhiozzo sommesso.
È spaventata.
E questo lo disorienta.
L’ accidia, la rabbia, la gioia. Erano cose sue.
Lei si impegnava semplicemente a fare in modo che tutto ciò non interferisse con il lavoro. Lei era la saggezza.
Ma ora sembra lo abbia dimenticato. O forse, non l' aveva mai saputo.
Come ti ho rovinato, Lizzy.
“Guarda, guarda come ci siamo ridotti, Will.”
I suoi occhi sono leggermente arrossati, come il nasino all' insù. Sembra una bambina.
“Ed è colpa mia, solo colpa mia. Come ho fatto a non capirlo? Smettila di fare quella faccia Will. Sono stata io che l' ho scelto. È stata una mia responsabilità. Smettila di fare quella faccia, Will.”
E lui si costringe a sorridere. 
Si distende nuovamente tra i ciuffi dell' erba. La terra le inzacchera i capelli dorati.
Lui le si siede vicino.
“Non dire così. Lo sai bene che non è così.”
Lei si volta, con gli occhi che luccicano. “Sei troppo buono. Lo sei sempre stato. Non sei nato per questa terra, Will. Il mondo ti plagerà senza che tu te ne possa rendere conto.”
“Mi hai detto la stessa cosa, una volta. Che poca fiducia che hai riposto. Mi mancano pochi gradi ormai. Pochi gradi, e avrò il potere.”
Lei scuote gentilmente la testa. 
“Come sei ingenuo. Ma non importa. Ti ho seguito, ti ho seguito fino all' inferno. E ti seguirei ancora.”
La guarda, colmo di amarezza.
“Non avresti dovuto. E io non avrei dovuto chiedertelo.”
“Sta zitto, Will. Tu sei il mio sole, e io sono la tua luna. E le stelle vegliano su di noi.”
“Le stelle non sono altro che ammassi infuocati di gas.”
La sua bocca fa una lieve smorfia divertita. 
“Non essere sempre così pragmatico. Leggi troppi libri di scienze. Le stelle mi tengono compagnia, mentre ti aspetto.”
La luna lattiginosa è coperta a metà, ma risplende, in mezzo a quella macchia di inchiostro che è il cielo. Ma non brilla quanto gli occhi di Lizzy, pensa. Non potrà mai farlo.
“Tornerò presto, non hai bisogno delle stelle.”
“Oh, e invece, non tornerai. Non tornerai mai più. Ti prego, promettilo, Will, prometti che non lo farai.”
“Ma certo che tornerò, non potrei mai lasciarti in questo posto- Oddio, Elisabeth, cos' hai al collo?”
Un rivolo scarlatto le scorre sulla pelle candida, impiastricciandosi con i capelli di miele.
“Cos' hai combinato? Hai bisogno di un dottore. Presto, dobbiamo ritornare in città.”
Cerca di alzarsi, e di trascinarla con sé. Non ha idea di cosa le sia successo. Non può essersi fatta male, è sempre stato lì con lei.
“Non è niente, è solo una vecchia ferita. Maledizione, pensavo fosse guarita. Ma cinque giorni non bastano, a quanto pare.”
Lo trattiene, prendendolo per la manica “Non portarmi in città, per favore. Non mi piace la città di notte. Per favore.”
Ha già fatto troppo. Non se la sente di contraddirla. Si toglie la giacca, cercando in qualche modo di bloccare il flusso di sangue. Non capisce, perchè non si ferma? Era così sottile, ora, perchè sembra sempre più grande, sempre più grande?
“Elisabeth-”
“Devi andare Will.”
“Non scherzare, non posso lasciarti qui in questo stato.”
“No, Will. Tu, non scherzare. A questo gioco, o si vince, o si muore. E, io, non voglio che-”
si morde il labbro. 
“Io non volevo morire, Will.”
“Ma tu non-”
“Non tornare. Non farlo mai più. Ti prego, promettilo.”
Le sue mani si sono tinte di scarlatto, e sente la loro presa venire meno. Il suo viso è sporco di terra e polvere. I capelli d' oro sono un groviglio di nodi.
Lacrime silenti scorrono, bruciandogli la pelle.
Serra la bocca, in una muta preghiera.
Alla fine, non ha trovato nemmeno il coraggio per dirglielo.
Le bacia la fronte, e poi le labbra, come se fosse una principessa, e lui potesse risvegliarla come la Bella Addormentata. 
“Promettilo, Will.”
Un profumo inebriante di gelsomino gli dà alla nausea.
Sente un respiro regolare accanto a lui.
È una donna bionda, girata su un fianco, semi coperta dalle lenzuola candide.
Le stelle gentili lo guardano.
Tu sei la mia luna e io sono il tuo sole.
“Perdonami, Elisabeth.”







 
Dedicato alla mia Cicci e alla mia Boo. Grazie per essere passati.

 
  
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