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Autore: TheMask    20/02/2015    1 recensioni
Questa fan fiction è una What if sui personaggi principali del Death Note.
Mi sono chiesta: se anche loro andassero al liceo, come passerebbero le loro giornate?
E' un po' OOC, me ne rendo conto e chiedo venia, ma spero possiate gradirla ugualmente! :)
Fatemi sapere che ne pensate se vi va!
estratto --->
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“COSA INTENDI DIRE?”
“Quello che ho appena detto.”
“NON CI SPEREREI SE FOSSI IN TE! E ORA ESCI DI QUI!”
“E perché dovrei?”
“PERCHè SE NO VENGO LI E TI STRAPPO I BULBI OCULARI!”
“Mi sembra un’ottima risposta” rispose infine il ragazzo, lievemente preoccupato per i suoi bulbi oculari.
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Fissavo uno scantinato illuminato quasi a giorno dalle finestre in alto, che davano probabilmente sulla strada sopra di noi, pieno zeppo di… quadri.
Appesi e appoggiati alle pareti, impilati l’uno sull’altro. Un cavalletto illuminato, sotto una delle finestrelle, ospitava una tela ancora incompleta.
Ma non era solo questo a farmi sentire come se qualcuno mi avesse calciato fuori dal mondo per proiettarmi in un sogno strano e surreale.
Tutti i dipinti raffiguravano, ora chiaramente, ora in modo quasi astratto, due volti femminili, che si alternavano nella stanza dando e restituendo molteplici sguardi.
Genere: Comico, Demenziale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het | Personaggi: Beyond Birthday
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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SAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAALVE GENTE, CI SI RIVEDE INFINE!
Lo so, è da un sacco di tempo che non pubblico niente e se c'è qualche anima pia che ancora segue questa storia probabilmente mi odierà, mi dispiace un casino!
Purtroppo ho avuto un periodo veramente allucinante, mi sono successe un sacco di robbe e sono incappata nel terribile blocco, non riuscivo a scrivere niente! Spero di riuscire a riprendere costanza, vita permettendo, e di pubblicare con più regolarità.
Detto ciò, sperando che mi perdoniate (allego cuoricini per corrompervi: <3 <3 <3 <3 <3 <3 <3 <3 <3 <3 <3 <3 <3 <3 <3 <3 <3), vi lascio a questo capitolo. Fatemi sapere se vi sconquinfera o no e perchè, se vi va. Può sembrare che alcune cose non abbiano molto senso, ma vi assicuro che poi si ricollega tutto, prometto u.u
A presto spero!
Un sacco di bbbbbbbbaci ;-*

Mina



Appena la campanella di fine suonò, mi lasciai cadere sul banco. Mi ero ridotta a dormire appena cinque ore quella notte, il che non giovava per niente al mio mal di testa o al mio già di per se incerto umore. E le due ore di spiegazione di latino mi avevano dato il colpo di grazia. Salutai con qualche gesto stanco i miei amici che uscivano: sarei dovuta rimanere a scuola ancora un paio d'ore quel giorno.
Appoggiai la testa alle braccia e tirai un profondo respiro, tentando di riprendermi.
Il tocco di una mano sulla mia spalla mi spinse però ad alzare lo sguardo. Mi ritrovai davanti gli occhi caldi di Aki, seduto davanti a me.
- Come va? - domandò tranquillamente.
- Sono un po' stanca, tu come stai? -
Lui fece uno strano sorriso a quel punto, appoggiandosi al mio banco. Per un momento un ambiguo scintillio nei suoi occhi mi allarmò. Quel sorriso, quello sguardo... non li avevo mai visti sul suo volto, erano qualcosa di nuovo. Mi spaventò.
Ma in un secondo quell'impressione era svanita, lasciando spazio al solito Aki.
- Io sto bene – mi rispose alla fine – anche se è molto probabile che io mi debba trasferire di nuovo, a breve -
Rimasi stupita da quell'affermazione. Sapevo che, non essendo riusciti a dividere me e Beyond, sia lui che Kendra sarebbero stati probabilmente puniti dal direttore dell'orfanotrofio. Beyond sosteneva che a quel punto i due avrebbero anche potuto decidere di ucciderlo, anche se in quel momento lo sguardo vagamente triste di Aki nel mio non mi avrebbe mai fatto sospettare di avere davanti un potenziale assassino.
- Come...? E perché? -
- Sarebbe troppo lungo da spiegare e non sono sicuro di aver voglia di parlarne... volevo solo che tu lo sapessi, prima di scomparire nel nulla senza alcun avvertimento. Mi sarebbe sembrato... maleducato -
-Ma... non capisco -
Aki evitò il mio sguardo interrogativo. - Mi dispiace molto... - disse alzandosi.
Non riuscii a dire niente. Mi aveva decisamente colto in contropiede. Lo vidi avvicinarsi alla porta.
- Aki.. -
Si voltò a guardarmi.
- Perché non mi spieghi cosa sta succedendo?-
Lui non mi rispose neanche, uscendo dalla classe.
Scossi la testa, poco convinta da quella conversazione. Presi subito il cellulare e uscii a farmi un giro per i corridoi mentre telefonavo a Beyond.
- Amore? -
- Ciao, senti, è successa una cosa -
- Tutto a posto? -
- Non lo so... - risposi pensierosa, cominciando a raccontargli quanto era appena accaduto.


 

Mello aveva portato Lucy a pranzare fuori. Avevano mangiato le loro pizze in silenzio, l'uno davanti all'altra. Lo sguardo di lei si perdeva nei piccoli gesti di lui con una strana tristezza: dal comportamento del biondo non si presagiva nulla di buono.
Quando ebbero finito e furono usciti all'aria aperta, lei gli chiese cosa volesse fare.
- Casa tua – disse semplicemente lui.
Camminarono mano nella mano per alcuni minuti, Lucy che tentava di trasmettergli qualcosa con sguardi che non venivano colti.
Furono presto in camera di lei, a disagio, sospesi in un'atmosfera che incastrava entrambi nel silenzio.
- Mello... - sussurrò lei, sedendosi di fianco a lui, sul letto.
Gli scostò i capelli biondo grano dal volto, lasciandogli una carezza.
- Ti devo dire una cosa – disse lui, estorcendosi ogni parola a forza. Non voleva dirle niente, invece. Non voleva che lei soffrisse per causa sua. Si era messo da solo in quella situazione pericolosa e non sopportava che qualcun altro dovesse subire il peso delle sue decisioni.
Sapeva che le avrebbe fatto male. Ma sapeva altrettanto bene di doversene andare. Sapeva quando sarebbe successo e più ci pensava, più il tempo gli pareva essere arrivato ad un limite estremo. Gli stava gocciolando dalle dita troppo in fretta.
Quanto gli rimaneva?
Quanto? Poche ore, pochi minuti, pochi secondi. Nulla. Era già troppo tardi.
- Non mi devi dire niente – mormorò alle sue orecchie Lucy, una mano intrecciata alla sua.
- No.. ascolta... -
Ma lei gli posò un dito sulle labbra, invitandolo al silenzio. Come lui non voleva parlare, lei non voleva ascoltare: immaginava da sola quello che avrebbe sentito e quanto ne avrebbe sofferto.
Non voleva sprecare il poco tempo che rimaneva loro a scambiarsi inutili parole che non avrebbero lasciato niente.
- Tu ti ricorderai di me? - domandò al biondo.
- Tu? -
- Sempre – assicurò lei con gli occhi più seri che Mello le avesse visto addosso.
Si perse in quegli occhi di cioccolato. - Mi ricorderò – disse infine.
Lucy si colorò di un impercettibile sorriso, cercando un contatto con lui che le ricordasse che ciò che stava vivendo era vero.


 

E finalmente, le prove. Ero arrivata in sala qualche minuto prima degli altri e ne avevo approfittato per attaccare la mia chitarra a quella fantastica testa Fender di cui adoravo il suono e mettermi a strimpellare qualcosa.
Ma Matt si fece vedere quasi subito, basso in spalla e le enormi cuffie che sparavano musica a volumi così indecenti che li sentivo io dall'altro lato della stanza. Quel ragazzo era un caso perso...
Fischiettando una canzone mi salutò, sorridendo, e cominciò a sistemare basso e pedali con calma e metodo, ripetendo gesti ormai familiari anche a me. Io appoggiai la chitarra e mi sedetti alla batteria, giocherellando con i piatti.
L'occhiata d'intesa e ironia che ci lanciammo io e Matt vedendo arrivare batterista e cantante insieme fu abbastanza evidente da far alzare gli occhi al cielo ai suddetti. Jack salutò con rassegnazione, lanciandomi addosso le bacchette per farmi sloggiare dal suo posto, mentre Jen, ridendo, cominciava a sistemare l'impianto voce.
- Vediamo di muoverci, ritardatari! - li rimbeccai. - Ho capito che l'ammòre chiama, ma le prove sono più importanti, ok? - ridacchiai.
- Sei solo invidiosa - provocò Jack, montando il doppio pedale.
- Ti piacerebbe! -
- Allora, oggi dobbiamo vedere due canzoni nuove quindi basta litigare! - ci rimproverò scherzosamente Matt.
- Certo mamma... - commentò Jen.
Tempo di una prova volumi e attaccammo a suonare. C'era un ottimo clima in sala prove quel giorno, suonammo bene e un'ora passò in fretta.
- PAUSA! - implorò quindi Matt.
- Accordata!- esclamai, sfilandomi la tracolla della chitarra stiracchiandomi.
Uscimmo dalla sala per prenderci un po' d'aria fresca . Jack si fece come al solito un thé alla pesca alle macchinette, Matt un caffè. Mentre i ragazzi sparivano con gli spiccioli, io mi lasciai cadere sui divanetti neri del corridoio, osservando Jen che saltellava inquieta.
- Che c'hai oggi? - le chiesi.
Lei sbuffò, scostandosi i capelli dal volto e stringendosi nelle spalle. - Boh, sono un po' nervosa -
- Successo qualcosa? -
- No, solo che... - mi guardò un po' incerta.
- Solo che? -
Sorrise timidamente. - Sono felice per... per Jack sai. Sono solo un po' preoccupata per i miei genitori. Oggi mio padre dovrebbe chiamarmi e visto che... beh, mi ha detto che stanno divorziando, quindi vorrei capire che ne sarà di me, in sostanza -
Annuii, cercando delle parole da dirle. - Spero che si risolva tutto per il meglio Jen. Se hai bisogno di qualcosa, noi siamo qua, eh -
- Lo so, grazie... -
I ragazzi comparvero con in mano le loro bevande e si sedettero anche loro, mentre Jen riprendeva a camminare inquieta.
Jack la osservò per qualche secondo e con una sorta di compiaciuta rassegnazione sospirò, scavallando le gambe e facendole cenno di sedercisi.
- Almeno sta ferma – commentò, ridendo, beccandosi un'occhiataccia della bionda.
Ma un attimo dopo si appoggiò a lui come una gattina e gli prese le bacchette per giocherellarci. Io e Matt ridemmo silenziosamente nel vedere il più cinico e brusco dei batteristi guardarla con un fondo di tenerezza e correggerle per l'ennesima volta la presa sulle sue stesse bacchett, coprendola di scherzosi insulti.

Quando un'ora dopo finimmo di provare e uscimmo dalla sala ci trovammo Beyond che mi aspettava appoggiato al termosifone. Chiacchierammo per una ventina di minuti prima di separaci: Matt se ne andò in biblioteca, Jack e Jen sparirono insieme e io mi avviai verso casa insieme a Beyond.
Camminammo silenziosamente, mano nella mano, preferendo fare due passi che prendere l'autobus. Il cielo era bianco quel giorno e faceva particolarmente freddo, sebbene ormai il peggio dell'inverno fosse passato. Il nostro respiro si condensava in sottili nuvolette facili a dissolversi.
- Senti, cosa ne pensi di Aki? - gli domandai ad un certo punto, camminando al suo fianco nella luce pallida.
Avevo continuato a pensare a quello che il ragazzo mi aveva detto alla fine delle lezioni. Il fatto che mi avesse anticipato della sua imminente partenza mi aveva preoccupato. Poteva significare solo una cosa: sapeva che lui e probabilmente anche Kendra sarebbero stati tolti dalle nostre vite. E ok, la cosa di certo non mi dispiaceva. Ma da quello che Beyond mi aveva fatto capire, non sarebbe finita così facilmente.
- Beh, evidentemente sa che il direttore li toglierà dal gioco. Voglio dire, non stanno riuscendo a separarci, quindi non servono più. Non so cosa potrebbe succedere sinceramente... - rispose lui, abbassando lo sguardo.
- Se dovesse succederti qualunque cosa voglio saperlo, ok? -
- Spero di potertelo far sapere – rispose semplicemente lui, evitando il mio sguardo.
Sospirai pensierosa, aprendo il cancello e facendolo entrare in casa.
Ci sistemammo in sala con due tazze di caffè e tutta la volontà di studiare, ma finimmo quasi subito per chiacchierare fra noi. Il libro di fisica sembrava lanciarmi occhiate di aspro rimprovero, ma decisi che poteva aspettare.
Beyond era nervoso, ma tentava di nasconderlo in ogni modo, probabilmente per paura di contagiare anche me. Tentai in tutti i modi di tranquillizzarlo, ma mi resi conto che ero io la prima ad essere in ansia.
Alla fine mi andai a sedere in braccio a lui e lo abbracciai, sperando che laddove le mie parole avevano fallito un silenzio sarebbe bastato.
- Mi mancheresti davvero troppo, se dovessi scappare via – disse alla fine, ricambiando il mio abbraccio.
- Non ce ne sarebbe bisogno, lo sai. Qualunque cosa dovesse capitare voglio che tu mi chiami o che tu venga direttamente qui -
- Io non posso... -
- Promettimelo –
Lui mi guardò, decisamente insicuro. - Ma se -
- Non voglio sentire altre ipotesi catastrofiche -
- Va bene, te lo prometto... - cedette.
- Grazie Beyond. Lo sai che non ti lascio da solo, scemo -
Lui sorrise.
Fu in quel momento che il suo telefono suonò.
- Pronto? -
Io mi alzai e portai in cucina le tazze di caffè, approfittando del momento. Ma quando ritornai, notai che qualcosa non andava. Beyond era in piedi, pallido.
- Cos'è successo amore? -
- Il direttore mi ha detto di tornare – disse. - All'orfanotrofio, intendo -
- Cosa... perché? -
- Non l'ha detto... -
Beyond sembrava decisamente spaventato.
- Non ci andare – mi sfuggì.
- Non posso -
- Non è vero , puoi scappare! - protestai.
- Ti metterei in pericolo, tu non lo conosci -
- Potrei scappare anche io – lo interruppi.
Lui scosse la testa, ritrovando all'improvviso tutta la sua fermezza. - Lo sai che devo andare -
E per quanto potessi protestare, non avrebbe cambiato idea. Capii che il direttore lo spaventava davvero troppo per rischiare. Tutte le parole che tentai di dirgli furono inutili e non potevo certo costringerlo con la forza.
Alla fine, non potei fare altro che guardarlo andare via a sguardo basso. Non riuscii a fermarlo.


 

Jack osservava la sua ragazza decidere cosa indossare in vista di una festa a cui doveva partecipare di lì ad una settimana, sdraiato sul letto di lei con le mani dietro la testa e un sorriso divertito che faceva capolino sul volto.
- No, questo mi fa sembrare una vecchia... questa gonna potrebbe andare, ma non ho niente da metterci sopra! E poi c'è questo vestito rosso che però è troppo osè, e quest'altro nero che però non mi convince per niente... - discorreva lei, senza neanche aspettarsi delle risposte.
- Jen... -
- Che vuoi tu? -
- A me quello nero piace – affermò Jack.
- Davvero? Mi stavi ascoltando? - si stupì la bionda, sorridendo.
- Sì, beh, sono qui. Provatelo, dai -
- Chiudi gli occhi! - ordinò Jen, ripescando il vestito nero dalla pila ammonticchiata sulla poltrona.
Il riccio obbedì, stiracchiandosi. Quando gli venne dato il permesso di guardarla di nuovo, si fermò qualche istante ad analizzare il risultato.
Il vestito nero aveva una gonna vaporosa che finiva poco sopra il ginocchio e una scollatura che scopriva completamente la schiena. Davanti non era troppo scollato e aveva qualche ornamento in pizzo che conferiva eleganza a tutto l'insieme.
- Io approvo – decise infine il batterista.
Ma la bionda non era convinta.
- Non è troppo... non lo so, se poi sono inopportuna? -
- Nah, sarai solo la più carina, fidati -
Lei bofonchiò qualcosa e si sedette sul bordo del letto, tirandosi i capelli di lato e cominciando a farsi una treccia. Sorrise quando Jack si tirò a sedere dietro di lei, tentando di scombinarle la capigliatura senza successo.
- Eddai, sei terribile! - protestò ridendo insieme a lui.
- Ma sono più belli sciolti – si giustificò il ragazzo.
- Perché pensi di avere potere decisionale sui miei capelli, tu? -
- Mh, in effetti... -
Si girò sorridendo e gli accarezzò il volto, ma lui distolse lo sguardo accennando un sorriso e scostandosi di poco. Poi però, preoccupato di averla contrariata, prese la mano di lei fra le sue tentando un gesto di affetto.
La bionda aveva scoperto che il batterista era molto timido a volte, e non sapeva come comportarsi. L'aveva divertita scoprire che in certi casi anche lui fosse impacciato, sebbene ciò non gli impedisse di essere dannatamente insensibile per il resto del tempo. Non che la cosa la disturbasse: adorava il suo modo di ragionare e la sua totale assenza di filtri. Quando Jack voleva dire qualcosa, la diceva senza porsi troppi problemi. Certo, quando poi capitavano quelle rare occasioni in cui invece si tratteneva dal dire alcunché era difficile capire cosa gli passasse per la testa o perché lo facesse.
- Posso farti una domanda? – disse, affondando una mano nei suoi ricci, compiaciuta di essere l'unica con il diritto di farlo.
- Dimmi -
- Come mai ti dà fastidio quando qualcuno ti tocca il viso e gli occhi? L'ho notato, ultimamente - gli domandò la bionda con curiosità.
- In realtà è una cosa che risale a quando ero piccolo – disse lui, ridendo. – Sai che sono daltonico, no? Ecco, non so perché quando ero piccolo avevo paura di diventare cieco. Perdo ancora dieci anni di vita ogni volta che a kung fu tentano di tirarmi un pugno vicino agli occhi. Poi da quando due anni fa mi hanno rotto il naso perché avevo la guardia bassa sono diventato ancora più attento -
- Attento? Direi vagamente paranoico – lo prese in giro Jen tirandogli un riccio.
- Mi hanno distrutto il naso! - protestò lui.
- A me piace così – fece lei.
Jack alzò gli occhi al cielo, rassegnato. - Tra l'altro mi hanno dovuto tenere il ospedale un paio di giorni. Tecnicamente ci dovevo stare una notte, ma dormendo involontariamente mi sono tolto la medicazione, quindi mi hanno messo “sotto sorveglianza” -
- Sei terribile – rise lei. - Ma non provare a svicolare. Dobbiamo lavorare su questa cosa -
- Perché? - chiese lui sarcasticamente.
- Perché non voglio che tu perda dieci anni di vita ogni volta che qualcuno ti sfiora, cavolo, moriresti troppo giovane! - scherzò Jen.
- Che cagacazzo – commentò lui con un sorriso sarcastico.
- Che simpatico -
- Non era certo mia intenzione essere simpatico – puntualizzò.
- Pf, e quando mai? - fece la bionda, con una risata.
- Dovresti apprezzare la sincerità -
- Anche tu, paranoico -
- Non sono paranoico! -
- Ah no? Hai paura di diventare cieco se ti tocco gli occhi, l'insalata mista ti turba profondamente, conti sempre gli scalini e se non sono pari la cosa ti mette a disagio... -
- La pianti? -
- Se la pianti tu! - rispose Jen con una risata.
Jack colse la citazione da Scrubs al volo. - Ah, sono troppo fiero di te per risponderti – disse dunque.
Lei sorrise e gli accarezzò lentamente il viso. - Ti dà fastidio allora? -
Visto che non ottenne risposta se non quella di uno sguardo imperscrutabile, la bionda gli coprì delicatamente gli occhi con le mani. Sentì le sue ciglia sbattere qualche volta prima di abbassarsi definitivamente. Si avvicinò ai lineamenti che tanto le piaceva osservare e pose un bacio sul naso del riccio, che sorrise.
- Quanti anni di vita stai perdendo? - lo prese in giro.
- Sei proprio una cagacazzo, sappilo – rispose lui ironicamente.
- Quindi nessuno? - incalzò Jen.
- Non ho alcuna intenzione di rispondere -
La bionda spostò le mani e lo guardò negli occhi scuri. - Allora, sei diventato ceco? -
- Ovviamente no –
- Chiudi gli occhi, piccolo stronzo -
Lui obbedì suo malgrado, sospirando. Jen baciò gli occhi del riccio, per poi ridere sommessamente e scostarsi in attesa di una reazione. Quando il batterista riaprì gli occhi non disse nulla, ma le sue mani si intrecciarono a quelle della bionda e il suo sguardo rimase fisso nel suo, imperscrutabile.
Si avvicinò a lei fino a che le loro fronti non si sfiorarono, accarezzandole il viso e sorridendo ogni tanto delle carezze che da lei riceveva.
Non c'era alcun bisogno di parlare per nessuno dei due, non volevano rompere quel momento, non volevano superarlo. Sarebbero rimasti lì per sempre, ma evidentemente non era quello che erano destinati a fare.
Il telefono di Jen cominciò a squillare, sotto il mucchio di vestiti che aveva tirato fuori.
La ragazza si rabbuiò di colpo, ma corse a prenderlo e rispose. Si capì subito che la telefonata era quella che stava aspettando da giorni, quella da parte di suo padre.
La bionda fece un cenno di scuse a Jack ed uscì dalla camera, rispondendo ad un tono di voce sempre più cupo ed incalzante a ciò che sentiva dall'altra parte.

 


 

Matt aveva passato un paio d'ore a studiare filosofia insieme con Cleo, a casa di lei. I due erano entrati in perfetta sincronia da un po' di tempo a quella parte, tanto che a volte sembravano leggersi nel pensiero. Ormai avevano imparato a conoscersi a vicenda abbastanza bene da capire l'altro con un solo sguardo.
Quando avevano finalmente chiuso il libro di filosofia, uscire a fare due passi era parso loro un obbligo.
In quel momento – camminavano già da un paio di minuti – stavano entrando nel parco vicino a casa di Cleo, mano nella mano. Il freddo spingeva a stringersi l'uno con l'altra.
- Certo che sei una stufetta! - rilevò ad un certo punto lei.
- Modestamente, sono quasi perfetto –
- Se, credici –
- Eccerto che ci credo, e anche tu! -
- Ah sì?-
- Infatti mi ami! - continuò Matt.
- Ah sì? - incalzò ancora lei.
A quella domanda il rosso esitò, lanciandole una mezza occhiataccia ironica. - Questo è un colpo basso! -
Cleo rise, scompigliandogli i capelli.
Presto i due si trovarono una panchina libera e la occuparono. Matt si accese silenziosamente una sigaretta e fece un tiro, soddisfatto.
- Che sonno... - sospirò la ragazza, appoggiandosi a lui.
- Come mai? -
- Beh, è un periodo un po' stressante – disse lei, rubandogli i guanti dalle tasche della giacca e infilandoseli, sebbene fossero decisamente grandi per lei – fra una cosa e l'altra non riesco mai ad andare a letto ad ore decenti... -
- Continua – la invitò Matt.
- Non c'è molto altro da dire... sono un po' preoccupata per la scuola: ormai stiamo per finire l'anno ed è parecchio pesante. Ma ultimamente sto avendo un piccolo calo, nulla di che, però mi secca. Anche per questo sto cercando di studiare di più e, di conseguenza, vado a letto tardi. E poi vedo tutti molto stressati -
- Tutti? -
- Sì, i miei amici, te.. alla fine mi stresso anche io -
Matt aspirò una nuvola di fumo, pensieroso. - Mi dispiace che ti senta così. Vorrei poterti dire che non sono stressato, ma purtroppo, lo sai... -
- Non ti devi mica sentire in colpa, scemo! -
- Mh... -
Cleo si strinse al rosso, infreddolita. - Non ti devi preoccupare Matt, è solo un periodo. Ok?-
Lui annuì, continuando a fumare. Quando finì la sigaretta ricambiò l'abbraccio di Cleo, dandole un buffetto sulla guancia.
Fu pochi minuti dopo che il suo telefono squillò. Non appena rispose, il rosso cambiò espressione, sotto lo sguardo attento e preoccupato della ragazza. Le sue parole furono brevi e concise, come la telefonata stessa. Per quanto breve, quando mise giù, il rosso pareva un'altra persona.
- Cleo, devo andare – disse senza guardarla.
- Hey, si può sapere cosa sta succedendo? -
- Io... non lo so, probabilmente non potrei comunque dirtelo... -
- Ti ha chiamato Mello? -
- Sì -
- E dove dovresti andare? -
Matt prese un profondo respiro. - All'orfanotrofio. Sta per succedere -


 

Ero decisamente troppo nervosa per restarmene in casa, dunque misi il guinzaglio al cane e uscii a fare due passi. L'aria fresca mi aiutò a riordinare i pensieri, ma l'ansia rimase. Non sapere cosa stesse succedendo era una sensazione orrenda.
Camminai per un buon quarto d'ora prima di decidere di fermarmi e sedermi su una panchina scrostata dal tempo, Nacho accucciato al mio fianco.
Sospirai, ripensando a come era cambiata la mia vita da quando Beyond ne faceva parte. E a come ero cambiata io: stare con lui mi aveva dato molto e speravo che la cosa fosse reciproca.
Pensare di perderlo da un giorno all'altro senza sapere dov'era finito o cosa stava facendo mi faceva impazzire. Non potevo permetterlo.
Ma non potevo fare niente, al tempo stesso.
Quando il telefono cominciò a squillare per poco non mi prese un infarto. Nella speranza che fosse lui risposi al primo squillo, alzandomi in piedi senza motivo.
- Hey Alma, sono Cleo -
Mi sedetti nuovamente, reprimendo un sospiro. - Ciao, come va? -
- Senti, ti devo dire una cosa - fece lei.
Notai che aveva un tono di voce strano. - Tutto a posto? -
- Non proprio... -
- Dimmi tutto -
- Ero fuori con Matt e ad un certo punto Mello l'ha chiamato e gli ha chiesto di tornare all'orfanotrofio. Ora, io non so cosa stia succedendo, ma sono abbastanza certa che sis qualcosa di grave e... non ce la faccio ad aspettare senza fare niente. Non so che cavolo stanno combinando, non so perché... e ho pensato che visto che anche Beyond è di quell'istituto, forse tu sapevi qualcosa di più. - spiegò.
- Io.. in effetti anche Beyond è dovuto tornare, poco fa. È stato richiamato dal direttore. E anche io sono molto preoccupata. Senti, dove sei? -
- Al parco, tu? -
- Anche io! -
- Punti di riferimento? -
- La fontanella strana, quella rotta. Becchiamoci lì – stabilii prima di chiudere la chiamata e alzarmi.
Dopo pochi minuti mi trovai ad abbracciare Cleo e parlare faccia a faccia, Nacho che ci trotterellava attorno. Parlammo per un po' prima di giungere alla conclusione che ci avrebbe forse permesso di sentirci meno inutili.
- Allora andiamo all'orfanotrofio -
Annuii.
- Succedesse qualcosa, almeno saremmo lì-
- Giusto -
Ci avviammo senza dire altro.


 

  
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