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Autore: Tsubaki3    20/02/2015    1 recensioni
Quando il compagno lo raggiunse i loro sguardi s'incrociarono e il vento, forse timoroso di disturbare, abbandonò il suo confortevole canto per donare ai due uomini quel momento che a entrambi serviva, quell'istante in cui senza parlare si scambiavano le loro preoccupazioni riguardo a ciò che loro erano. Ormai era divenuto un rituale di cui entrambi necessitavano. Era l'ultima possibilità, se entrambi fossero rimasti allora ogni ripensamento e cruccio sarebbe dovuto restare fuori dalla porta della nona casa. Ambedue lì dentro sarebbero divenuti solo uomini, normali persone che si amavano.
Primo capitolo revisionato.
Genere: Drammatico, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Crack Pairing | Personaggi: Aries Shion, Sisifo di Sagitter
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Gabbia della mente, prigione del cuore






Seduto su questo freddo seggio tutto ciò che posso fare è guardare dinnanzi a me.
Le larghe mura che mi circondano mi appaiono sempre più strette e più fredde, mentre i rumori mancati mi trafiggono le orecchie.
Aspetto che la porta spalanchi le sue grandi fauci per liberarmi da questa silenziosa oppressione. Sto attendendo, perché è la sola cosa rimastami.
In questa vuota stanza, la solitudine mi annebbia la mente da troppi anni ormai, ma è grazie ad essa se riesco ad udire ancora l'eco dei vostri passi risuonare allegramente, compagni miei. Solo attraverso lei e sua sorella Mnemosine ti rivedo, con quella stessa luce che ti avvolgeva come fosse un manto, con quella dolcezza sul fondo dello sguardo; ed è in questi istanti che lo risento. Il nostro incanto non è svanito, né Hades né la sua terribile compagna hanno potuto sottrarcelo.
Eppure è come morire.
Quando allungo le mie mani per sfiorarti il viso, con il cuore ancora esitante, non riesco mai a sentire il tuo calore, la tua pelle.
Svanisci ancora e ancora; lasciandomi il tutto e il nulla a colmare, apparentemente, la tua assenza. La tua immagine mi ha accompagnato in questi anni come una guida e una condanna. Eri la mia ispirazione per il presente che stavo costruendo, ma la mia ancora per quel passato che non mi sarebbe appartenuto di nuovo.
Troppi sono i pesi che la mia figura deve portarsi appresso: mi sento come Atlante, ma al contempo non mi sembra di possedere la sua forza. Che le innumerevoli stagioni passate me l'abbiano sottratta? Era forse questo l'onere che i miei predecessori percepivano?
Questa, tra tutte le case, è certamente la più grande e la più ricca di assenza.
Non vi sono risa, né sguardi o sorrisi; solo io e questo seggio, il quale è decisamente troppo ampio e scomodo per un'unica persona.
Restano soltanto le memorie, le quali si mescolano con i desideri, ridonando vita per qualche istante a ciò che non esiste più.
Non è altro che un luogo di sofferenza, dove non può presenziare un animo debole, e in cui può perdurare per lungo tempo questa logorante attesa.
In questo tempio non si può fare altro che sperare che qualcuno rimuova questa profonda desolazione, varcando semplicemente la soglia, non gli si richiederebbe altro.
Nonostante ciò, ogni volta che si schiudono quei possenti battenti in legno, egoisticamente, vorrei fosse la tua persona a mettere piede qui, donandomi quel sorriso accogliente dal sapore di casa.
I miei occhi si fissano malinconicamente su quelle inusuali sbarre di prigione che, sorprendendomi, si aprono lasciando entrare nuova aria fresca. Per un istante, per un secondo soltanto ho creduto di rivedere la tua ombra, quella scura immagine che anticipava la tua persona. Ma il Fato e la sua più crudele compagna, Realtà, avevano deciso di ridere per l'ennesima volta di me, facendo varcare la soglia a colui che avrebbe detenuto la tua eredità.
Aiolos di Sagitter è sempre stato un valido cavaliere, meritevole d'indossare le tue sacre vestigia e, come ogni guida, non ho potuto far altro che affezionarmi a lui. Eppure, ora, quasi mi disturba vederlo dinnanzi a me.
Mi porge rispetto inchinandosi in silenzio, attendendo che gli conceda di parlare.
“Hai completato la tua missione, Cavaliere di Sagitter?” domando con quel tono autoritario che avevo sviluppato negli anni.
“Certamente Gran Sacerdote.” risponde il giovane cavaliere mantenendo il capo chino verso terra.
Lascio che il mio silenzio pervada nuovamente questo luogo, permettendo così alle labbra di Aiolos di dischiudersi e liberare quelle frasi che dovrebbero occupare ogni spazio della mia testa. Sono parole serie, importanti, sicure, eppure non riesco ad udirle. I miei pensieri sono troppo assordanti e il suo discorso di poco interesse perché la mia mente lo segua.
La tua immagine si stava già scolpendo nella mia testa quando il nuovo cavaliere di Sagitter entrò nella mia gabbia, anche volendo non potrei donargli l'attenzione di cui è meritevole. Questo perché in ogni lineamento del suo volto, gesto della sua figura e suono espresso dalle sue labbra vedo te. Riesco a cogliere ciò che potrebbe divenire e scorgo, tanto nel suo corpo quanto nel suo animo, quell'uomo che persi più di due secoli fa.
Tremo all'idea di quanto, crescendo, diverrà simile a te. Ciononostante, per quanto tema tutto questo, una parte di me odia il fatto che la tua persona si adatti così bene a quella di Aiolos, poiché udirlo parlare, vederlo allenarsi o sorridere mi trafigge l'animo.
È estenuante vivere con questi sentimenti sapendo che dovrebbero essere altri, che lui, uomo leale e fidato, non è altro se non un mezzo per averti ancora accanto a me. Innumerevoli sono state le volte in cui adattai la tua immagine a lui, cosicché tu potessi esistere nel mio tempo, nonostante fosse un epoca che non poteva appartenerti.
È vergognoso da parte mia un tale atteggiamento. Irrispettoso tanto di lui quanto di te, tuttavia sento di doverlo fare, poiché comincio a incrinarmi. Vado a pezzi e ciò che bramo non è aria per respirare, ma te.
È allora che, ritornando per qualche minuto la persona che dovrei essere, dico “Cavaliere di Sagitter, per stasera ritiratevi. Riposate e domani mi farete rapporto.”
Aiolos alza per un istante lo sguardo, probabilmente nel tentativo di verificare che io stia bene. Tuttavia, senza porre inopportune domande, si leva dal suo inchino e, abbassando il capo come gesto di saluto, aggiunge “Ai vostri ordini Gran Sacerdote”. Infine indossa nuovamente l'elmo, che con riverenza, si era tolto prima di entrare, e se ne va.
Esce da quelle fauci come io mai potrò fare; poiché anche se abbandonassi questo Santuario le mie
sbarre continuerebbero ad avvolgermi. Questa prigione non può svanire: è grande, immensa e la sua esistenza è inestinguibile. Ovunque io vada, dovunque io sia, questa gabbia mi sarà sempre appresso. Non vi è luogo dove la pace mi possa sfiorare.
Non sono diverso da un canarino che ha conosciuto la libertà e ora non può far altro che piangerla, agognarla, dentro quella casa di metallo in cui tutto ciò che gli rimane è attendere la morte.
Che sia questo ciò che resta di me? L'ultimo canto prima di sopire?
Con l'animo ricolmo di queste domande mi muovo, cercando nuovamente di evadere. Uscendo da quelle grigie mura sento sulla pelle il leggero tocco del vento che, innumerevoli volte, aveva accompagnato le nostre notti da semplici uomini. È severo e carezza il mio viso rudemente, quasi a sgridarmi per ciò che mi mostro esser divenuto; come un amico, il sospiro del cielo esprime a modo suo quella preoccupazione che sarebbe stata anche la tua.
Ignorando persino questo ammonimento continuo a camminare, dirigendomi dove la solitudine sarebbe stata attenuata dalla luminosa guida del firmamento. Avanzo passo dopo passo nella speranza che, una volta raggiunto quel luogo accessibile solo a me, i gentili e ragguardevoli corpi celesti rispondano alle mie incerte domande, svelandomi una via da seguire, un nuovo futuro da costruire o, quantomeno, un dovere a cui il mio animo possa nuovamente aggrapparsi. Se così non dovesse avvenire, se un cammino non mi sarà mostrato, finirò alla deriva, come i residui delle navi fieramente decedute in mare a seguito di una tempesta; allo stesso modo i miei pezzi saranno sparsi sulla spiaggia. Lì rimarrebbero finché la follia non si prenderà ciò che resta.
Finalmente giunto, la silente terra lascia presto spazio al sonoro marmo. L'eco dei miei passi risuona, mentre attraverso quell'austero tempio che mi appare più un intramezzo tra quelle emozioni che mi si agitano nel petto e quell'àncora di cui tanto necessito. Quando intravedo dalle colonne lo
scuro cielo, accelero la camminata, poiché sento tanto in cuor mio, quanto nell'agitazione che prende vita nel mio animo, che non potrò resistere ancora molto senza una fioca luce che illumini i miei pensieri. Finalmente sono su quello sprazzo di terra dal quale, quasi, si possono sfiorare le apparentemente morbide compagne del cielo. Fermo lì sopra, risento lo sferzare rigoroso del vento sul mio volto, seguito dal flebile gelo che tutto rende immutabile. Alzo lo sguardo verso le costellazioni, poiché qui, sull'Altura delle stelle, dovrei carpire le informazioni che così disperatamente vado cercando. Eppure, quasi sia una punizione, nessuna luminosa compagna si mostra a me. Nessuna di loro mi aiuta a rischiarare animo e corpo. Sono stato abbandonato dal firmamento. Se anche la follia non si appropriasse del mio essere, cosa può un Gran Sacerdote ripudiato da ciò che lo protegge e lo conduce?
Sono colpevole, tanto del mio amore quanto della mia infedeltà ad Athena. A lei sarebbe dovuto andare il mio intero essere, tutta la mia anima le sarebbe dovuta appartenere, invece è divenuta tua. Nonostante ciò, per quanto grave sia il mio peccato, per quanto profondo il mio senso di colpa, non potrò mai fare ammenda, poiché sono già irrimediabilmente perso. Non può esservi ritorno per me poiché per quanto io stia lentamente spezzandomi, per quanto irrispettosamente mi sia comportato in questi infiniti giorni, non ho mai desiderato smettere di amarti.
L'unico pentimento che possiedo riguarda me.
Ti chiedo perdono per essere io la persona che ti ha amato e voluto, perché ieri come ora non ne sono degno.
In questo momento, mentre i miei pensieri si concentrano sulle mie più profonde colpe, percepisco il tuo cosmo prima dei tuoi passi. Profondo e oscuro, esso non può far presagire avvenimenti piacevoli a uno qualsiasi dei sensi. Mi disturba l'animo, anche se non lo fa tremare quanto i pensieri che mi hanno mosso finora, poiché ciò che avverto non è solo buio, ma anche brevi e veloci fasci di luce, come lampi nella notte. Eppure, per ogni passo che fai verso di me quegli sprazzi luminosi si fanno più effimeri e, presto, non ci sarà più luogo in cui la tua mente potrà far ritorno.
Mi volto, ben sapendo chi sei e cosa brami. Incrocio i tuoi occhi folli e avari, ma persino in un momento come questo mi assale il dubbio di non essere all'altezza di agire, perché in fondo sono già perso da troppo tempo per poter essere io una guida. I miei ricordi sono ferite troppo profonde per essere guarite, le mie mancanze troppo evidenti per non essere giudicate e i miei peccati troppo gravi per esser perdonati. Quindi che diritto ho di vivere quando non sono utile a questo luogo a cui dovrei essere dedito completamente? Come posso fermare questo ragazzo dall'uccidermi ora che ho compreso che l'unico modo per tornare ad essere libero è morire? Ora che sono certo che morendo potrei ricongiungermi a te? Per cui, mentre ti guardo un'ultima volta, Saga, mentre vedo il desiderio e il terrore dipinto nel tuo sguardo, intanto che attendo che il tuo colpo sicuro e forte giunga su di me, non posso far a meno di risentire il vero peso del mio corpo ora privo delle ingombranti catene di poco prima. Perdonami, Saga, per non aver evitato la morte che mi hai donato: l'ho percepito nel tuo cosmo quell'ultimo brandello di coscienza. L'ho sentito urlare e strepitare, l'ho quasi visto dimenarsi nel tentativo di fermare quello che il proprio corpo stava attuando, ma anche adesso non sono riuscito a fare nulla. Pur sapendo che avrei dovuto fermarti, tanto per il tuo bene che per quello del Santuario, non l'ho fatto, perché infine sono stato uomo prima che cavaliere.
Quando mi colpisci non sento quasi dolore, avverto solo il mio corpo cadere e il tuo essere immergersi nel buio. Non fatico a comprendere perché la sofferenza non è giunta. Ero già morto, con la sola differenza che fino ad ora ho trascinato gli ultimi resti di me, ma adesso non dovrò più farlo.
Ho finalmente raggiunto il terreno, non mi sembra quasi di aver sentito il rumore sordo del mio corpo che sbatteva rudemente contro la dura terra, eppure sono sdraiato col capo rivolto verso il cielo. Mi appare strana la morte, ora che giunge ogni senso si attutisce. Tranne la vista: questa, quasi a farsi beffe di me, è limpida, mentre invece il calore del mio corpo sfuma, come il mio cosmo.
Mi disperdo e mentre ciò avviene non riesco a non pensarti un'ultima volta. Ho sbagliato tutto, vero? Ti ho deluso, giusto? Riesco a udire i tuoi rimproveri e non posso che esser d'accordo con essi. Persino il mio ultimo gesto è stato un egoistico errore, anche adesso non riesco a rendermi degno di te. Mi vergogno di ciò che ho fatto, di ciò che sono stato, ma l'onere era divenuto insostenibile, un solo battito di ciglia pesava come cento dei massi che sorreggono questo luogo. La mia forza se n'è andata anno dopo anno e con essa la speranza di riuscire a meritarti. Ma dopo tutto questo, come potrei riabbracciarti senza suscitarti disgusto, come posso aspettarmi in dono un sorriso sincero dopo tanta debolezza?
Perdonami, perdonami, perdonami...
Non ho potuto darti nulla quando eri in vita, non sono riuscito ad onorarti dopo la tua morte e, infine, non ho adempiuto nemmeno al ruolo datomi da colei a cui avremmo dovuto dedicare noi stessi.
Percepisco una nota di calore nel gelo che si espande in tutto il mio corpo. Morbida e delicata segue la linea della mia guancia fino a che la pelle non termina e poi, come me, sprofonda nel terreno, credo lasciando una circolare macchia scura. Pensare che di quelle umide chiazze di calore non ne avevo versata nemmeno una quando sei morto, ma ora sapendo che ti ho deluso per l'ennesima volta è scappata, il mio animo si è ribellato a me un'ultima volta.
Sento che i prossimi saranno gli ultimi sospiri strozzati, lo so. Tuttavia fisso le nuvole nella speranza di vederci il tuo volto, ma ciò che vi trovo è solo un oscuro vuoto.
Sbatto ancora una volta le pesanti palpebre, mentre perdo completamente la coscienza dei miei arti, e stavolta vedo le nubi muoversi velocemente, concedendomi di osservare l'arcata celeste.
Eccolo, questo è l'ultimo respiro e, con ciò che rimane della mia forza, esprimo ciò che mi resta da dire “Ti amo Sisifo.”
Me ne vado, mentre la pace m'invade. Lascio infine il Santuario e la Terra con la tua costellazione che brilla vivida sopra di me.
L'ultima cosa che ho visto è stata la costellazione del sagittario che pareva rincuorarmi. L'ultima cosa che ho visto sei stato tu, Sisifo.




 
Ama, ama follemente,
ama più che puoi.
E se ti dicono che è peccato,
ama il tuo peccato e sarai innocente.
(Anonimo)




-Meandro dell'autrice-

Buonasera gente,
sono finalmente tornata, anche se per poco xD
Alcune persone mi hanno chiesto di fare un seguito del primo capitolo così, dopo averci ragionato un po' sopra, ho valutato se sarei stata in grado di continuare effettivamente quella che doveva essere una one-shot ed infine, dopo un sacco di lavoro (anche se sono quattro pagine sono state un parto xD), questo è il risultato.
Inizio con lo spiegare questo Shion molto depresso, infatti mi sono immaginata che in principio, il cavaliere dell'ariete, si fosse messo d'impegno per ricostruire il Santuario, tanto perché era suo dovere quanto per il fatto che sarebbe stata anche la volontà di Sisifo. Ovviamente più gli anni passano, più Shion sente la mancanza dell'uomo che ha amato e non solo, al tempo stesso (anche a causa della carica di Gran Sacerdote che ora ricopre) comincia a percepire il dubbio che averlo amato sia stato un affronto, un peccato, verso Athena a cui non è riuscito a donarsi completamente e verso Sisifo nel timore di non essere mai stato degno di lui. E queste emozioni che sente in maniera sempre maggiore con il passare del tempo possono, a mio parere, essere una valida giustificazione per la sua morte, poiché è difficile credere che Saga sia riuscito a sconfiggere e superare il Gran Sacerdote. Non è forse più probabile che Shion abbia permesso a Saga di ucciderlo?
Questa è una mia interpretazione, io non voglio offendere né la serie né i fan, per cui mi scuso in anticipo se per qualcuno è stata di cattivo gusto, ma ribadisco è una mia libera interpretazione che può piacere o meno. In ogni caso ringrazio tutti coloro che hanno letto i miei capitoli, sia chi li ha apprezzati che chi non l'ha fatto. Grazie per aver speso parte del vostro tempo sulla mia storia.
Vi mando un bacio.
A presto,
Tsubaki3.

 
   
 
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