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Autore: PapySanzo89    22/02/2015    10 recensioni
John Watson è tornato dall'Afghanistan e un suo vecchio collega gli consiglia di andare ad uno speed date per tirarsi su di morale. Controvoglia accetta il consiglio ma non sa che l'uomo che incontrerà lì gli cambierà con tutta probabilità la vita.
#Parentlock
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John, Watson, Sherlock, Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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2.
 
 
 
 
 
 
Da quel giorno Sherlock ed Hamish sono una costante nella vita di John.
John si ritrova Sherlock tra i piedi molto più spesso di quanto si sarebbe mai immaginato e, stranamente, non per chiedergli di fare il babysitter. Per la verità passano molto tempo tutti e tre insieme e John ha così l’opportunità di conoscere anche la signora Hudson.
 
 
 
John sta preparando il tè in cucina con Hamish in piedi vicino a lui (per osservare tutto il processo di ebollizione ed infusione) mentre Sherlock se ne sta al tavolo in cucina a fare qualche calcolo e appunto su un foglio (dopo aver controllato qualche suo strano esperimento di cui John non vuole sapere nulla) ed è in quel momento che una vocina di fa sentire dall’ingresso.
 
«Cucù, siete in casa?» e quella che dev’essere la signora Hudson fa la sua comparsa nella stanza, portando con sé una borsa della spesa e fermandosi dal dire altro non appena vede John. E dalla faccia della signora Hudson pare quasi che John sia una specie di mostro a sei teste spuntato dal nulla.
 
Sherlock non si spreca nelle presentazioni e parte con una sfilza di deduzioni sulla donna –soprattutto sulla salute della sorella di quest’ultima- ma John evita anche solo di prestargli la minima attenzione, accarezzando la testa di Hamish –ormai un’abitudine fortemente insita dentro di lui- e avvicinandosi a lei con la mano tesa per presentarsi.
 
«Sono John Watson, molto piacere. Lei dev’essere la signora Hudson, ho sentito molto parlare di lei.» il ché è vero solo in parte, ma una o due parole su una persona da parte di Sherlock Holmes gli sembrano già sufficienti per far sapere quanto essa sia importante. Fa un sorriso quando la mano della donna stringe la sua e la scuote piano. E lei ora lo guarda come se le sei teste fossero sparite e lui fosse un miracolo della natura.
 
«Oh sì, caro. Spero solo che ti abbia parlato bene di me, non è vero, Sherlock?» il tono dubbioso traspare da ogni parola e si volta a guardare Sherlock oltre la spalla di John.
 
John non riesce a trattenere una mezza risata che tenta di nascondere con un colpo di tosse. «Oh, non si preoccupi signora Hudson, solo cose meravigliose.»
 
La donna sembra scettica ma appoggia le borse a terra e muove entrambe le mani in un cenno non curante. «Ne dubito mio caro, ma faremo finta sia così.» poi lascia cadere l’argomento e si volta a guardare Hamish. «E chi abbiamo qui, finalmente?» la donna sorride raggiante e apre le braccia, invitando Hamish a darle un abbraccio, e il piccolo, sorridendo con molto più affatto di quanto John gli abbia mai visto dimostrare in generale, avanza verso la signora e la abbraccia, sprofondando il viso nel collo della padrona di casa.
 
John alza gli occhi verso Sherlock ma nota che l’altro non sta nemmeno prestando attenzione alla scena, tornato ai suoi esperimenti senza dire nulla. Probabilmente allora questa è una scena abituale.
 
«Vi ho portato dei biscotti…» fa la donna, distogliendo l’attenzione di John da Sherlock. «Certo, ne avrei portati di più se mi avessi detto che portavi un ospite, Sherlock…»
La donna lancia a John una profonda occhiata –sembrando quasi divertita- e John non sa bene come rispondere.
 
Sherlock fa un gesto con la mano e la questione pare risolta così. La donna si volta nuovamente verso John mentre prende Hamish in braccio.
 
«Sono contenta che quella camera così grande solo per Sherlock ora venga sfruttata al massimo.» fa un occhiolino al dottore e John quasi si soffoca con la propria saliva.
 
«Cos- no, no, noi…» ma la donna sembra saperne una più del diavolo perché gli appoggia una mano sul braccio e scuote la testa.
 
«Non ti preoccupare, una persona in più non farà di certo aumentare l’affitto.» e detto questo il discorso sembra chiuso, perché se ne va nel soggiorno portando Hamish con sé e dandogli i biscotti per primo. John si volta verso Sherlock ma Sherlock di nuovo non dice nulla, non alzando nemmeno la testa dal suo esperimento. Il bollitore fischia e John va a spegnerlo, poggiando una tazza di tè sul tavolo vicino a Sherlock e portandone una alla signora Hudson che sorride, entusiasta.
Lui è meglio se si prepara una camomilla.
 
 
 
Alla fine John ha parlato con la signora Hudson con tranquillità e le ha detto che se mai avesse avuto bisogno di una mano con Hamish di non esitare a chiamarlo, lasciandogli il proprio numero, e di non esitare nemmeno se avesse lei problemi di salute o con la sua anca, sarebbe corso subito a dare un’occhiata.
 
La signora Hudson sembra adorarlo e John è un po’ spaventato e sorpreso dalla cosa, ma fa finta di nulla e continua a giocare con il piccolo per distrarre l’attenzione della donna e portarla su qualcosa di molto più adorabile di se stesso: Hamish.
 
La donna li lascia in tarda mattinata e assicura a John di chiamarlo per qualsiasi evenienza. John le sorride e la ringrazia.
 
Quando la porta si chiude alle spalle della donna John si volta verso Sherlock.
 
«Una signora davvero interessante.» è l’unica cosa che si sente di dire, nonostante le definizioni che trova superino di gran lunga la parola interessante.
 
L’unica risposta di Sherlock è un uuhm disinteressato. John aggrotta le sopracciglia e sbuffa. «Credi di rimanere in questo stato catatonico tutto il giorno o riceveremo delle risposte degne di tale nome?»
John ha imparato piuttosto in fretta che Sherlock è un tipo scostante, in un momento è tutto deduzioni e clamore e gioia entusiastica e l’attimo dopo è disteso sul divano a gridare al mondo la sua noia. È in quei momenti che John vorrebbe strangolarlo il più velocemente possibile, non per sé ma per Hamish, che pare preoccuparsi perché gli si porta affianco sul divano e si siede lì vicino, giocando con le macchinine che –ora John sa- vengono nascoste lì sotto piuttosto che essere riportate in camera.
 
Però è la stessa presenza di Hamish che sembra far tranquillizzare in qualche maniera Sherlock, che continua con la sua pantomima ma con un umore meno nero di prima, e voltandosi verso di loro piuttosto che verso il muro.
 
«Sto lavorando, John.» e il tono sembra quello di un padre che sta spiegando al figlio petulante qualcosa di ovvio per la centesima volta. E forse John è in questi momenti che lo vorrebbe strozzare di più, in realtà. E John si chiede com’è possibile voler strangolare e allo stesso tempo abbracciare una persona. Forse sta diventando bipolare, dovrà fare dei controlli.
 
A questo punto John si volta verso Hamish, intento a strappare dei fogli di carta e farli volare in giro per il soggiorno. Gioia e tripudio per chi dovrà sistemare dopo. Lui, se non fosse chiaro.
 
«Bene, Hamish…» il bambino si ferma e lo guarda, prestandogli la massima attenzione. «Siccome il papà sembra avere molto da fare…» e detto questo lancia un’occhiata a Sherlock che però pare del tutto disinteressato, quindi si avvicina ad Hamish allungando le braccia e per tutta risposta il bambino alza le sue, pronto per essere preso in braccio. «Io e te ce ne andiamo a fare una camminata, che ne dici?»
 
Hamish sembra valutare la cosa, stranito nell’andare a fare una passeggiata con John ma senza il suo papà. È una novità e le novità sembrano non piacere troppo al piccolo.
 
«Papà ci aspetterà qui al nostro ritorno, non è vero, Sherlock?» del resto fuori è una bella giornata e gli sembra inutile sprecarla a casa, con Sherlock perso nel suo mondo. John porta Hamish in cucina e aspetta una risposta che tarda ad arrivare. Si ritrova a trattenere un grugnito solo perché c’è il bambino e non gli sembra bello inveire contro un genitore davanti al figlio. «Sherlock.» dice tra i denti e questa volta Sherlock si volta a guardarli.
 
«Cosa? Oh, sì. Sì andate pure, se finisco prima del previsto ti mando un messaggio e vi raggiungo.»
 
John a questo punto annuisce e si volta a guardare Hamish.
 
«Allora che dici, andiamo?» Hamish si appoggia nell’incavo del suo collo e annuisce, facendo ciao ciao con la manina a Sherlock.
Sherlock fortunatamente non ha ripreso immediatamente l’esperimento, così riesce a salutare Hamish con un sorriso e accarezzargli la manina tesa che poi tiene momentaneamente per gioco mentre Hamish tenta di liberarsi, strattonandola piano e ridendo senza emettere suono. Dopo un po’ Sherlock lascia andare la manina ed Hamish sembra più contento e meno forzato ad andarsene. John sorride di rimando e va a vestire il piccolo per la passeggiata.
 
 
 
John non ha ben chiaro dove andare ma pensa che l’importante sia prendere un po’ d’aria. Questo almeno finché non passa davanti a un negozio per bambini dai zero ai dieci anni e il suo sguardo si fissa sulle vetrine, fermando la sua camminata e tenendo ben salda la manina di Hamish nella sua per non farlo continuare a camminare. Hamish però sembra incantarsi come lui a guardare le felpe e ne indica una -puntando il dito e appoggiandolo sopra il vetro, facendolo appannare attorno al polpastrello- con sopra il disegno di un cartone animato che John non conosce.
 
John si abbassa sui talloni lo guarda negli occhi, sorridendo.
 
«Ti piace?» chiede e Hamish si porta una manina alla bocca –sembra sia un segno di nervosismo- ed annuisce, incerto, verso di lui. John si volta nuovamente verso la vetrina e fa un cenno con la testa. «E allora prendiamola.» dice semplicemente, alzandosi e porgendo di nuovo la mano ad Hamish che la prende e lo segue dentro il negozio.
 
Il negozio è pieno di gente. Bambini che strillano e corrono e guardano e toccano tutto quello che trovano, mamme e papà portati all’esasperazione che cercano di fermare l’indole esagitata dei propri figli tentando di far provare loro qualche vestito, per non parlare della zona giochi che sembra campo di battaglia. Nulla è al suo posto e tutto sembra esploso. Nemmeno in Afghanistan ha visto cose simili. Praticamente è all’Inferno.
Una certa parte del suo cervello tenta di immaginarsi Sherlock in un posto simile, ma alla fine scuote la testa e pensa piuttosto che mandi la povera signora Hudson a fare compere.
 
Sbottona il cappotto di Hamish per non fargli sentire troppo la differenza tra dentro e fuori quando usciranno -non è il momento adatto per prendersi il raffreddore- e si avvia tra i vari scaffali.
 
Una commessa dal viso gentile e il sorriso caloroso si avvicina loro e chiede se può per caso essere utile e John le risponde che sì, potrebbe eccome.
Le indica con un cenno la felpa e lei ritorna poco dopo con diverse taglie, poi si abbassa sui talloni per guardare Hamish.
 
«Ciao, piccolino, ma che belli che siamo.» dice lei, cercando di essere gentile e cortese, ma Hamish si nasconde dietro la gamba di John e ne afferra i pantaloni, chiudendoci attorno le dita in piccoli pugnetti.
John ne accarezza il capo e spiega alla commessa che è un bambino molto timido, lei sembra capire e si rialza, porgendo nuovamente le felpe a John.
 
Prima che John possa fare anche un solo tentativo per far provare qualcosa ad Hamish una bambina va a sbattere contro di loro e cade a terra direttamente sul suo sedere. John teme ardentemente che inizierà a piangere, invece quella si rialza e guarda prima John e poi Hamish.
 
«Mi scusi signore, non l’avevo vista.» dice la bambina –a giudicare dall’altezza sui sette, otto anni al massimo- e poi si rivolge ad Hamish. «Scusa anche tu.» e fa per avvicinarsi, probabilmente per fare una coccola sulla testa ad Hamish, ma il bambino si stringe di più su se stesso e si nasconde dietro l’altra gamba di John. Il dottore ne segue il movimento e vede gli occhi di Hamish farsi lucidi.
 
«Oh, no, no, no, no.» John si abbassa e prende Hamish in braccio, accarezzandogli la schiena e sentendola alzarsi e abbassarsi come se il bambino stesse singhiozzando. «Shhh, va tutto bene.» Hamish stringe le mani attorno al collo di John e ci nasconde il viso, il respiro tremante. Probabilmente c’è davvero troppa gente lì dentro e troppo rumore e Hamish non è abituato a tutto questo. John gira il volto e bacia la tempia di Hamish cercando di farlo calmare poi si volta verso la bambina che è ancora lì e li guarda come se avesse commesso un omicidio. Probabilmente un paragone che Sherlock apprezzerebbe.
 
«È tanto stanco, sai, non è successo niente di tragico.» John fa un sorriso rassicurante e posa una mano sulla testa della bambina che annuisce e poi se ne va, correndo evidentemente da quella che è la madre. John continua a fare qualche carezza ad Hamish e poi lo fa alzare dal suo collo per guardarlo per benino. Hamish ha gli occhietti pieni di lacrime e le sopracciglia corrugate, il labbro inferiore sporto e un po’ tremante. John gli bacia la fronte e Hamish porta le mani al suo visto, aprendo i palmi sulle guance ispide di John a causa della barba sfatta.
 
John non sa bene cosa fare ma ora capisce perché non è il caso di lasciare Hamish da solo all’asilo. «Vuoi che andiamo via o possiamo provare la felpa, prima?» detto questo prende fuori dalla tasca posteriore dei pantaloni un pacchetto di fazzoletti e cerca di aprirlo come meglio può con una sola mano. Asciuga gli occhi di Hamish e poi gli fa soffiare il naso. Hamish, strofinandosi un attimo gli occhi con le manine, guarda prima la felpa e poi la porta, finendo col guardare nuovamente la felpa.
 
«Bene, proviamo.» afferma John e sta ben attento a non rimettere Hamish a terra, chiedendo a una commessa se potrebbe cortesemente farlo sedere un attimo sul bancone per farlo cambiare. Le commesse non hanno alcuna obiezione e John sveste velocemente Hamish, facendolo rimanere con una maglietta a maniche corte, coprendolo subito con la felpa nuova. Ci vogliono un paio di prove per trovare la misura adatta ma alla fine Hamish indossa il nuovo capo.
 
Dubita che a Sherlock piacerà –Sherlock che è tutto una sfilata di moda da quando si alza a quando va a dormire- ma sembra piacere a Hamish e tanto basta. Hamish che adesso sorride di nuovo –evidentemente dimentico del fatto accaduto poco prima- alzandosi il bordo della felpa e mettendosi il pon pon dei lacci del cappuccio in bocca. Decisamente dovranno prendere quella felpa.
 
Prima che John possa voltarsi per richiamare l’attenzione della commessa si sente tirare per una manica del giubbotto e, come si volta, la bambina di prima lo osserva con aria crucciata.
 
«Non volevo fare piangere il suo bambino.» dice come se stesse recitando la parte scritta di un discorso. John alza gli occhi e osserva i genitori della bambina guardarla, probabilmente l’hanno mandata a scusarsi di nuovo.
 
«Davvero non c’è pro-» ma prima che possa continuare la bambina alza una mano e porge a John un pacchetto di caramelle alla frutta che lui prende più per riflesso condizionato che altro. A quel punto non può far altro che sorriderle e ringraziarle e rivolgersi a Hamish.
«Hamish, guarda cosa ci ha regalato questa bambina gentile.» e il bambino si sporge un poco oltre il bancone per osservare la bambina che lo saluta e mostra una fila di denti bianchi e un dente mancante. Hamish finisce con l’osservare il pacchetto di caramelle e annuisce, porgendo la manina per prenderne una.
John però le toglie dalla sua portata e lo guarda, serio. «Vero che non sei arrabbiato con la bambina, Hamish?» e Hamish guarda John, intensamente quanto solo Sherlock sa fare, e dopo qualche istante guarda la bambina e fa cenno di no con la testa.
John a quel punto apre il pacchetto di caramelle e ne scarta una per Hamish, offrendone anche alla bambina che accetta ridendo e poi scappa via, più tranquilla, verso i suoi genitori.
 
John sospira e prende una caramella anche lui. Dio, è decisamente difficile fare il genitore.
E, prima che il cervello gli faccia ricordare che lui decisamente non è uno dei due genitori di Hamish, John si ritrova a storcere la bocca con fare disgustato. La caramella è alla fragola. Ricoperta di zucchero. Lui odia le cose dolci.
 
 
 
L’episodio di semi pianto viene presto dimenticato e Hamish ha gli occhi spalancati in totale meraviglia quando entrano in un negozio di giocattoli. John ha deciso di dedicare la giornata ad acquisti per Hamish e trova giusto comprargli qualcosa di nuovo, soprattutto perché lo vede sempre con quei due, tre giocattoli in croce. Esce dal negozio con una macchinina nuova fiammante, dei Lego e una sorpresa che ha preso di nascosto senza che Hamish la notasse. Spera possa piacergli.
 
 
 
Sherlock gli manda un messaggio quando John sta decidendo di tornare a casa – Hamish sembra stanco ed è ormai molto buio e di andare al parco con quel freddo non se ne parla – e insiste per andare a cena fuori, dandogli tutte le indicazioni per vedersi in un certo ristorante italiano a Northumberland Street. John sorride dell’insistenza e alla fine cede, immaginando che Sherlock voglia festeggiare un’altra riuscita di un esperimento. Dio non voglia che sia per festeggiare la cucina saltata in aria.
 
 
 
Sherlock è già lì che li aspetta quando arrivano, dà un’occhiata alle borse che John tiene in mano e non dice nulla, aprendo la porta del locale per far passare prima John e Hamish e seguendoli poi a ruota.
Il locale è caldo e accogliente e se John dovesse mai immaginarsi un vero locale italiano, beh, lo immaginerebbe così.
Non fa in tempo a voltarsi verso Sherlock che un omone dal forte accento si fa loro incontro, chiamando a gran voce il nome del consulente.
 
«Sherlock! Quanto tempo è passato, il solito tavolo? Oh, vedo che c’è anche un ospite oltre al nostro piccolo Hamish.»
John nota l’uomo farglisi vicino e Hamish allunga la manina in un saluto ma non si smuove dal petto di John, aggrappandosi con l’altra mano al suo giaccone.
 
«John, questo è Angelo.» Sherlock inizia con le presentazioni e John si ritrova a pensare che è la prima volta che l’altro si spreca nel farle.
 
Angelo, comunque, interrompe ciò che Sherlock stava per dire e prende parola, mentre s’incammina verso il loro tavolo. «Sherlock mi ha assolto da un caso di omicidio. Ha ripulito il mio nome.»
 
John può sentire il sorriso di Sherlock nelle sue successive parole. «Appena un po’. Ho dimostrato che non c’entrava nulla con l’omicidio perché era da tutta l’altra parte della città a commettere un furto d’auto.»
 
E John guarda Angelo con faccia stupita, mentre lui li fa accomodare e porta loro due menu e una candela perché è molto più romantico. John non fa in tempo a ribattere che l’uomo se n’è già andato.
 
John fa cautamente sedere Hamish accanto a sé, appoggia a terra le borse, e inizia poi a sbottonare il cappotto del bambino, togliendoglielo e appoggiandolo allo schienale. Hamish muove le gambe oltre l’orlo della sedia e prende un menu, aprendolo e sbattendolo sul tavolo. È evidente che gli piaccia sbattere le cose e nessuno dei due pare volerlo fermare.
 
«Esattamente, cos’è che sta indossando Hamish?» chiede Sherlock da dietro il menu sembrando volutamente disinteressato.
 
John si volge verso il bambino e nota la felpa nuova di zecca (se avesse saputo prima che sarebbero usciti a cena non gliela avrebbe fatta indossare) e fa spallucce. «Non è evidente?» chiede con un ghigno. Sherlock detesta le domande inutili e ovvie, così John non evita di fargli notare quando ne pone, giusto per punzecchiarlo un po’.
 
«È prettamente chiaro cosa sia, ma mi sembrava più carino fare conversazione.» e John pensa che le parole carino e Sherlock Holmes non stiano molto bene nella stessa frase. «Ma siccome pare evidente che anche tu, grazie a Dio, voglia saltare assurdi convenevoli, passiamo al punto: perché mio figlio sta indossando un felpa così abominevole? Ti prego, dimmi che non hai intenzione di passargli il tuo assurdo e quantomeno orrendo gusto per i maglioni.»
 
Sherlock ha questa capacità innata di offenderlo e fare sembrare quelle offese sempre come dei complimenti. Ogni volta che parla dei suoi orrendi maglioni (che, per la precisione, non sono orrendi ma sono caldi e semplicemente molto natalizi e del resto manca poco a Natale) le labbra gli si stirano in un piccolo sorriso e sembra quasi provare dell’affetto. Per i maglioni, sia chiaro, non per lui.
 
«Ti informo che è stato tuo figlio a sceglierla e secondo me è molto bella. Non è vero, Hamish?»
Il bambino, che stava assistendo a tutta la discussione, annuisce e tocca il piccolo uccello tondo e rosso stampato sopra la felpa con una mano e finisce a guardare Sherlock con aria crucciata, quasi offeso, poi si volta verso John e sorride.
 
John annuisce. «Sì, è molto bella, non ascoltare papà.»
 
Sherlock alza gli occhi al cielo e passa il menu a John (mentre l’altro continua a rimanere nelle mani di Hamish) che ride divertito. Angelo ritorna con una bottiglia di vino rosso che nessuno ha ordinato e dell’acqua naturale per il piccolo. John non dice nulla e ordina delle lasagne e, quando Sherlock sembra non prendere nulla, le ordina anche per lui facendo sbuffare quest’ultimo.
 
«Non ho fame.»
 
John gli lancia un’occhiata scettica.
 
«Hai insistito tu per uscire a cena, quindi mangerai.»
 
Sherlock borbotta qualcosa e versa il vino ad entrambi, riempiendo anche il bicchiere di Hamish con l’acqua che il bambino manda giù tutto d’un fiato, evidentemente assetato. Sherlock gli sorride con affetto e glielo riempie di nuovo, accarezzandogli lievemente i capelli e spostandogli i ricci dalla fronte.
 
«Dovremmo proprio tagliarti i capelli.» dice a Hamish che non sembra molto entusiasta dell’idea, ma annuisce appena il padre gli fa una carezza sulla guancia.
 
«E poi cos’altro hai comprato?» si limita a chiedere Sherlock, senza alzare gli occhi dal figlio ma chiaramente intendendo le borse a terra.
 
John passa i giocattoli a Hamish e lo incita a mostrarli a Sherlock, che guarda la macchinina nuova con sorpreso compiacimento e i Lego con malcelato disgusto.
 
«E questi cosa sarebbero, esattamente?» chiede, indicando i personaggi disegnati sulla scatola dei Lego. Hamish agita la scatola come se volesse dare una risposta e John sorride. Come Sherlock faccia ad essere così fuori dal mondo, certe volte, proprio non lo sa.
 
«Quello che stai indicando è Legolas. Se vuoi sapere in generale chi sono i personaggi, beh, fanno parte della compagnia dell’Anello.»
 
E John inizia a spiegare la storia di Frodo, di un anello e del viaggio intrapreso da degli eroi non proprio ordinari.
E Sherlock lo guarda come se John fosse un caso patologico da internare all’istante.
Hamish ride, i piatti arrivano e Sherlock mangia senza fare obiezioni, dividendo il piatto con Hamish che invece mangia con gusto, continuando ad ascoltare la voce concitata di John che sta tentando di convincerlo a dare una possibilità se non ai libri almeno ai film.
E Sherlock ci farà un pensiero, non perché gli interessi nulla di tutto ciò, ma per avere altro tempo da passare con John e sentirlo lamentarsi delle sue frasi caustiche su tutti quei personaggi idioti.
 
 
***
 
 
«Davvero, John, come hai potuto buttare via soldi per questa roba? Non gli piacerà.»
 
«Io da piccolo ce le avevo e mi piacevano tantissimo.»
 
«Per cortesia, non farmi esprimere ulteriormente ad alta voce la tua idiozia in certi frangenti.»
 
«…Se non la smetti di offendermi ti faccio ingoiare il nylon, Sherlock.»
 
«… Tsk.»
 
 
***
 
 
John è sicuro che a Hamish piaceranno per il semplice fatto che sa che a Hamish piace poco il buio e, soprattutto, lo stare da solo. Lo ha notato ogni volta in cui lo ha messo a letto: Hamish non si addormenta se non c’è nessuno nella stanza con lui e inizia ad emettere dei silenziosi singhiozzi quando John spegne la luce e fa per andarsene.
 
Ha notato che la cosa non accade se rimangono in soggiorno ma John non ha di certo cuore di far dormire Hamish sul divano, così ha deciso di provare ciò che sua mamma, a suo tempo, ha provato con lui. Così, quand’è ora di andare a dormire, John accende la luce e accompagna Hamish a letto, coprendolo per bene e lanciando occhiate a Sherlock, che li sta guardando con aria dubbiosa dalla porta. John lo ignora e si alza, andando alla mensola posta sopra la scrivania e scegliendo un libro di avventure (una sua collega gli ha regalato una borsa piena di libri che il figlio –ormai troppo grande- non legge più), sedendosi nuovamente accanto a Hamish, che lo guarda con immensa adorazione e lo fa sentire incredibilmente importante. John si abbassa e gli lascia un bacio sulla tempia, scompigliandogli poi i capelli.
 
«Ora il papà ti mostrerà una bella cosa, Hamish.»
 
«Bella è ancora tutto da vedere.» risponde Sherlock sempre appoggiato allo stipite della porta ma, dopo l’occhiataccia di John, spegne la luce e osserva le stelle adesive poste sul soffitto risplendere grazie al chiarore assorbito in precedenza.
 
Hamish le guarda e rimane a bocca aperta, indicandole con le manine e voltandosi sia verso John che verso Sherlock: gli occhioni enormi pieni di contentezza.
 
John fa un mezzo ghigno e si gira a guardare Sherlock. «Allora: chi aveva ragione?» e il tono è infantile quanto potrebbe esserlo quello di un bambino, ma non gliene importa nulla e osserva Sherlock sbuffare –mani incrociate al petto- e girare sui tacchi, scendendo le scale (i rumori dei passi più pesanti del solito fanno capire a John che Sherlock se l’è legata al dito).
 
John lascia perdere per un attimo l’umore di Sherlock e accende l’abat-jour sul comodino, interrompendo così la visione delle stelle lucenti di Hamish che si volta a guardarlo male. John ride.
 
«Leggiamo la storia e poi guardiamo le stelle?» chiede, e Hamish sembra pensarci su seriamente per poi annuire e distendersi meglio contro il fianco di John, poggiandogli la testa sopra la spalla. John gli fa posto col braccio e lo stringe a sé con una mano, iniziando a raccontare la storia di un giovane ragazzino costretto dagli zii ad alloggiare in un sottoscala e di come scoprì di essere un mago.
 
 
 
***
 
 
 
John si chiede come sia possibile passare da una ridente giornata di sole al cielo più nero mai visto negli ultimi decenni in meno di cinque minuti. La pioggia cade come se il Giorno del Giudizio avesse deciso di avvenire proprio in quel momento e John si ritrova ad essere fradicio dalla testa ai piedi, infreddolito dal vento che soffia impetuoso e con l’ombrello da dover buttare al primo cassonetto.
 
Baker Street gli appare davanti come un’oasi di pace e benessere e spera che Sherlock abbia acceso il fuoco nel caminetto o sarebbe morto assiderato nei prossimi minuti.
Tira fuori la copia delle chiavi e si fionda all’interno, gocciolando su tutto il pavimento (sentendo già le urla di protesta della signora Hudson quando lo scoprirà) e salendo i diciassette gradini con dei sonori squek delle scarpe completamente zuppe d’acqua.
 
Ha freddo, ha fottutamente freddo. Non fosse per la temperatura poco al di sopra degli zero gradi probabilmente nevicherebbe e chissà, forse lo preferirebbe alla pioggia scrosciante.
 
Inizia a togliersi il giubbotto e dalla bocca gli esce un suono indistinto, una specie di imprecazione masticata, ritrovandosi con anche il maglione –e a questo punto anche la camicia- completamente zuppi.
Sta arrivando al pianerottolo quando vede la porta del 221B aprirsi e Sherlock accoglierlo con un asciugamano. Inutile dire che con quello ci potrà fare ben poco, ma allunga comunque la mano e saluta l’altro con un grugnito, frizionandosi i capelli e notando con la coda dell’occhio che no, il camino non è acceso.
Maledizione.
 
«Vatti a fare una doccia.» è tutto ciò che gli dice Sherlock mentre Hamish si alza dai piedi del divano e inizia a corrergli incontro, Sherlock però lo frena dalla sua corsa sollevandolo prima che possa aggrapparsi a John e bagnarsi del tutto. Hamish storce la bocca per protesta e protende le braccia verso John.
 
«Mi spiace piccino, ma ha ragione il papà.» riesce a dire tra un battito di denti e l’altro.
 
«John. Bagno. Muoviti.»
 
John alza lo sguardo su Sherlock e vede che è serio. «Posso approfittare…?» chiede allora, perché l’idea di una doccia calda non gli fa poi così schifo. Sherlock alza gli occhi al cielo e sospira, facendogli strada verso il bagno anche se John sa perfettamente dove sia.
 
«Usa pure il mio accappatoio.» si limita poi a dire Sherlock, uscendo dal bagno e chiudendosi la porta alle spalle. E John si ritrova un attimo in difficoltà al pensiero di doversi spogliare completamente in un bagno non suo e farsi una doccia non avendo con sé le proprie cose. Ma alla fine pensa che in Afghanistan ha fatto ben di peggio, quindi apre l’acqua aspettando che questa si scaldi e inizia a spogliarsi, decidendo di lasciare i vestiti bagnati nel lavandino, non sapendo dove altro metterli.
 
Il getto caldo sulla pelle ghiacciata gli fa sembrare di stare andando a fuoco ma almeno gli fa rilassare i muscoli del collo, contratti per il freddo fino a quel momento. Non vuole metterci più del necessario (non più dei suoi cinque minuti standard nell’esercito, se possibile) così s’insapona alla meno peggio, si lava i capelli e si risciacqua velocemente ma con accuratezza e poi esce dalla doccia, ritrovandosi Sherlock davanti.
 
Sherlock, che gli dà la schiena, vede John uscire dalla doccia dal riflesso dello specchio sul lavandino di fronte a lui e si volta a guardarlo, stranito del vederlo già fuori. John dal canto suo non si muove, rabbrividendo per la temperatura al di fuori della doccia e non chiudendo le porte smerigliate, rimanendo semplicemente lì, completamente nudo con un piede sul pavimento gelido, di fronte a Sherlock.
 
Fortunatamente è lo stesso Sherlock a rompere il silenzio, ma non il contatto visivo.
 
«Ti ho portato dei vestiti asciutti. Trovo inutile che tu ti faccia una doccia e poi indossi nuovamente la tua roba zuppa. Pensavo di riuscire a lasciarteli prima che tu finissi la doccia, ma evidentemente sei molto più rapido di quanto pensassi.» e a John non sfugge che lo sguardo di Sherlock per qualche istante ha vagato su tutta la sua figura, ritornando poi al suo sguardo. E John non si sentiva in imbarazzo, non fino a quel momento perlomeno.
John esce dalla doccia (anche se forse l’idea più saggia sarebbe stata semplicemente chiudere le porte) mostrandosi così in tutta la sua figura e va a prendere l’accappatoio, coprendo qualcosa che ormai Sherlock ha visto per intero.
La cosa non dovrebbe metterlo in difficoltà, è stato visto nudo praticamente da tutti i suoi commilitoni, tra le docce, le ispezioni mediche e il cambiarsi in mezzo al nulla per andare in branda, ma John sa che Sherlock è un qualcosa di completamente diverso e non riesce a stare del tutto tranquillo con la consapevolezza di essere completamente nudo davanti a lui.
 
Alla fine John si volta e torna a guardare Sherlock che non ha spostato lo sguardo da lui nemmeno per un istante, a quanto pare.
 
«Grazie.» si limita a dire, e una parte del suo cervello spera che la sua voce non sembri così roca come l’ha sentita, e Sherlock semplicemente annuisce, prendendo i vestiti fradici di John e buttandoli nell’asciugatrice.
 
«Non c’è di che.» dice, e questa volta persino lui sembra imbarazzato, gli occhi bassi sulle piastrelle. Cala per un attimo il silenzio, finché Sherlock non biascica dei sì, sì e poi si volta, apre la porta e lascia John da solo in bagno.
E John butta fuori l’aria che non sapeva nemmeno di aver trattenuto fino a quel momento e si appoggia schiena al muro, passandosi una mano su tutta la faccia.
Terrificante. Semplicemente terrificante.
 
 
 
Dire che i vestiti di Sherlock gli stiano stretti sarebbe un eufemismo. Hanno due corporature completamente diverse e quello che a Sherlock veste aggraziato e seducente a lui veste nemmeno fosse strizzato in una tutina di pelle.
 
La maglia a maniche corte gli stringe su petto e spalle (rendendogli fastidiosi i movimenti) e gli copre a malapena il busto (causa tessuto appiccicato su di lui come una seconda pelle, invece che cadere morbido come dovrebbe). I pantaloni poi sono una cosa ancora più ridicola; stretti sulle cosce decisamente più muscolose di quelle di Sherlock, cadono poco elegantemente oltre il tallone, così si è visto costretto ad arrotolarli alle caviglie facendoli sembrare quei pantaloni che andavano tanto di moda quand’era giovane lui, qualcosa come quindici anni prima.
Però non può lamentarsi e non può sicuramente continuare ad andare in giro in accappatoio, così esce dal bagno, continuando a sfregarsi i capelli con un asciugamano, e trova il caminetto acceso e una tazza di tè pronta ad aspettarlo.
 
Beh, questo è decisamente sorprendente.
 
Sherlock è seduto sul divano, il laptop in grembo e Hamish al suo fianco a guardare entusiasta cosa fa il papà. John prende posto vicino a loro.
 
«Qualcosa di interessante?» chiede dopo aver baciato la testa di Hamish che aspettava un saluto da prima.
 
Sherlock nega con la testa e poi chiude il pc, poggiandolo al basso tavolino da tè, e finendo col guardare John, sembrando sorpreso di ciò che vede.
John si dà un’occhiata e immagina di non sembrare un bello spettacolo.
 
«Eh, sì, mi spiace, mi sa che ti ho sformato la maglietta.» dice, evitando di muovere troppo le braccia per non tirare le cuciture sulle spalle, ma Sherlock nega con la testa.
 
«È un pigiama. E adesso sarà sicuramente più comodo.» sorride nel dirlo e i suoi occhi scendono, oltre quelli di John, oltre naso e labbra e oltre il collo- su cui si soffermano comunque per diversi secondi- e finiscono ad osservare il petto di John.
Di nuovo tra di loro cala il silenzio.
 
«Devo farmi una doccia anch’io, rimani tu con lui?» chiede alzandosi improvvisamente, come se ci avesse pensato di punto in bianco e non fosse un qualcosa che doveva fare davvero, indicando con una mano Hamish. John annuisce, come se fosse una cosa assolutamente ovvia (chi altri dovrebbe tenerlo?) e poi si alza, prendendo Hamish in braccio e decidendo di andare in camera sua a prendergli i Lego per fargli fare qualcosa che non sia stare tutto il giorno davanti la Tv. Peccato si sia già dimenticato della fastidiosa maglietta, che si alza scoprendogli mezza pancia e gli stringe le spalle come se fosse una morsa.
 
«Va bene, Hamish, mi sa che oggi non ti posso prendere in braccio, eh.» il bambino sporge il labbro inferiore e lo guarda con malcelata disapprovazione. John ride e gli bacia la fronte prima di riappoggiarlo a terra e sistemarsi nuovamente la maglietta.
 
In tutto questo, Sherlock è rimasto a guardare la scena ma l’unica cosa su cui la sua mente sia riuscita a focalizzarsi è la pelle nuda e ancora vagamente umida di John.
La maglietta, alzatasi fino sopra l’ombelico, ha lasciato intravedere l’abbronzatura che sembra non volersene andare, la muscolatura non ben delineata ma evidente, della leggera peluria bionda sotto la perfetta “o” del suo ombelico che scompare oltre l’orlo dei pantaloni, stretti sulle cosce muscolose.
Sherlock deglutisce a fatica, la gola secca e gli occhi fissi sulle anche sporgenti che segnano un percorso ben definito verso l’elastico dei pantaloni della tuta, nascondendosi poi alla vista sotto il tessuto e lasciando Sherlock ad immaginare altro.
 
Altro che sarebbe meglio non immaginare affatto.
 
Altro che non gli dovrebbe essere concesso.
 
Altro che non si merita.
 
Sherlock lascia la stanza e si dirige in bagno senza dire altro, allontanandosi a passo svelto e sbattendo la porta molto più forte di quello che avrebbe voluto. Spera di non aver fatto spaventare Hamish. Spera che John non si preoccupi.
 
Un bussare leggero alla porta gli fa stringere gli occhi e la mascella, vanificando le sue speranze.
 
«Sherlock, tutto bene?» la voce di John arriva attutita ma preoccupata e Sherlock va ad aprire il miscelatore della doccia, puntandolo sul freddo ghiacciato.
 
«Sì, mi è sfuggita la presa sulla maniglia » mente. E sa che John ne è consapevole, ma John è troppo buono per insistere quando Sherlock non vuole parlare di determinate cose e Sherlock riesce a sentire una strana fitta indistinta lì, dentro allo stomaco, al pensiero che conosce John da quanto, nemmeno tre mesi? Eppure sembra conoscerlo meglio di quanto conosca se stesso.
 
Il silenzio dall’altra parte della porta dura ancora qualche istante.
 
«Se hai bisogno, chiama.» e l’unica cosa che Sherlock dovrebbe davvero dirgli è di andare via, di cercare una persona migliore di lui, di trovare qualcuno che lo meriti davvero. Ma è troppo egoista per questo, è già dipendente dalla sua presenza, dal suo modo di fare il tè, dai suoi modi gentili con la signora Hudson, dal suo folle affetto sia per Hamish che per lui, da tutto quello che riguarda John e questa è un’altra prova a favore del fatto che è una persona egocentrica e mostruosa e dovrebbe davvero lasciarlo andare.
Una parte di lui sa persino che se Hamish non ci fosse l’avrebbe già obbligato – con qualsiasi mezzo- a trasferirsi lì al 221B, con lui. Ma Hamish c’è e ringrazia chiunque ci sia all’ascolto ogni giorno per questo.
Quindi dovrebbe dirgli di andarsene, ma l’unica cosa che riesce a dire è un semplice « sì ».
 
 
***
 
 
Hamish non sembra propenso ai Lego quindi l’unica cosa che John si sente di fare è sdraiarsi a terra e rotolare con lui sul tappeto, vicino al fuoco, prenderlo con un braccio quando si allontana troppo e inondarlo di pernacchie sulla pancia e teneri morsi sul collo per farlo ridere di gusto.
Ed è così che Gregory Lestrade trova John Watson in casa di Sherlock Holmes: disteso schiena a terra con Hamish seduto sulla propria pancia che tenta di picchiarlo con un cucchiaino di plastica.
 
Hamish sposta l’attenzione dagli occhi blu di John all’entrata dell’appartamento e John segue il suo sguardo, cercando di notare cos’abbia catturato l’attenzione del piccolo anche se sta in quella posizione scomoda che lo costringe a guardare il mondo al rovescio. Quando vede un uomo all’entrata, fermo lì a guardarli come se fosse una statua, John fa un colpo di tosse imbarazzato e si alza a sedere, tenendo Hamish contro il proprio petto con una mano.
 
«Ah, buongiorno.» dice, riservando una lunga occhiata all’uomo che ha davanti, e quello gli restituisce lo sguardo prima di proferir parola.
 
«Buongiorno, sì. Er… stavo cercando Sherlock Holmes, è in casa?» chiede, voltandosi poi verso Hamish che non ha lasciato il collo di John. «Ciao Hamish.» dice infine e il bambino solleva la manina in un piccolo cenno di saluto e l’uomo pare sorpreso di ricevere un qualche genere di risposta.
 
Dev’essere qualcuno che frequenta spesso la casa se Hamish non sembra spaventato.
 
Sherlock ha parlato solo di un paio di persone da quando si conoscono e gli habitué che passano da quelle parti si possono contare sulle dita di una mano, quindi John non ha molte scelte: quest’uomo o è Lestrade o è il fratello di Sherlock. E, dal modo di porsi, decisamente non può essere il fratello di Sherlock.
 
John quindi sorride, alzandosi finalmente da terra e spolverandosi i pantaloni (fin tanto che le maniche della maglietta gli permettono i movimenti) lasciando una carezza sui capelli di Hamish e dicendogli di andare a giocare e che lui arriverà subito.
Hamish annuisce e va a prendere le macchinine.
 
«Lestrade, immagino.» dice John, tendendo la mano e cogliendo l’altro di sorpresa. «Sherlock si sta facendo una doccia, non dovrebbe volerci ancora molto.» e John non ha mai visto un’espressione più scioccata sul viso di un uomo.
 
«Doccia?» chiede quest’ultimo, salvo poi fare un cenno con la mano come per dire fa niente e la porge a John, presentandosi. «Sì, Gregory Lestrade. Non so come lei faccia a sapere di me e forse non voglio nemmeno saperlo.»
 
John sorride e si presenta, stringendogli la mano – una stretta ferma e salda che fa sorridere Lestrade senza un motivo apparente – dirigendosi poi in cucina e offrendogli qualcosa da bere. Lestrade pare sempre più allucinato.
 
«C’è qualcosa che non va?» le sopracciglia si alzano in automatico e lo sguardo si fa più indagatore ma Greg fa cenno di no con la testa e si addentra anche lui in cucina, chiedendo un semplice caffè siccome in servizio.
 
«No è che… Non sapevo che Sherlock convivesse con qualcuno, sa. Credo sia qualcosa di veramente sorprendente, soprattutto pensando al suo bel modo di fare.»
 
John sta per aprire bocca e ribattere qualcosa quando la voce di Sherlock lo chiama dal bagno ma, prima che possa fare anche solo un passo in sua direzione, la porta si apre e ne esce fuori uno Sherlock completamente zuppo con indosso lo stesso accappatoio che ha usato lui poco prima, grondando acqua lungo tutto il pavimento.
 
«John! Dov’è il mio telefon- Oh, Lestrade. Cosa ci fai qui?» Sherlock fissa il DI per qualche istante per poi rivolgersi nuovamente a John. «Volevo vedere se mi avesse scritto, ma a quanto pare non è più necessario. Comunque: il telefono?»
 
John sospira e alza gli occhi al cielo dirigendosi alla presa vicino al microonde e staccando il cellulare dalla carica. «Qui.» si limita a dire, poggiandoglielo sul palmo della mano aperto. «Ce l’hai messo tu prima.»
 
«Mi è toccato passare perché non rispondevi alle telefonate, anche se ora capisco perché.» l’occhiata che Greg lancia a John lascia sottintendere molto poco ma, mentre John vorrebbe rispondergli qualcosa, Sherlock si limita a fare spallucce notando le chiamate perse.
 
«Qualcosa d’importante, dunque?» chiede, gli occhi già illuminati dalla sfida e l’altro annuisce, decisamente meno entusiasta di Sherlock.
John decide di mettere su il caffè e bersene uno doppio.
 
 
***
 
 
La pioggia non ha smesso di cadere nemmeno per mezzo istante e ogni tanto John dà un’occhiata fuori dalla finestra -i lampioni ormai accesi nella sera grigiastra che riflettono una luce giallognola contro le vetrate- e si sente preoccupato per Sherlock. Non sa dove sia andato, se sia fermo sotto la pioggia battente per un appostamento o chiuso in un posto al caldo seguendo un indiziato, sa solo che ogni tanto si incanta ad osservare fuori e solo le pallonate che gli lancia Hamish riescono a riportarlo indietro.
 
«Sì, scusa Hamish, mi sono distratto di nuovo.» la palla di plastica azzurra (un regalo di una certa Molly assieme a dei dadi di peluche giganti) è rotolata da qualche parte in cucina e lui si vede costretto ad alzarsi e andare a recuperarla, seguito dallo sguardo di Hamish che si tocca i piedini con le manine e sembra in un qualche strano modo fare stretching.
 
John recupera la palla da sotto il tavolo e si siede nuovamente davanti al bambino, facendo scivolare la palla sul tappeto mentre Hamish gliela rilancia gettandola in aria, facendo i tiri più disparati possibili che la mandano quasi sempre fuori dalla traiettoria di John che, paziente, si alza ogni volta e torna a prenderla semplicemente perché Hamish si diverte così.
 
Passano così quasi un’ora, finché Hamish non si alza e raggiunge John (che gli fa spazio tra le gambe per non farlo inciampare) e lo abbraccia, strusciando poi la piccola guancia soffice e paffuta contro quella ispida in una tenera carezza.
John sorride e gli deposita un bacio tra i capelli, passandogli una mano su e giù lungo tutta la schiena, sentendo un calore espanderglisi nel petto.
 
«Ti voglio bene anch’io, Hamish.»
 
Hamish stringe ancora un po’ la presa prima di scioglierla e sederglisi in grembo, il viso poggiato al petto di John, e poi riprende la palla in mano, passandogliela con sonnolenza e tormentandosi un occhietto con la mano libera e John capisce che è arrivata l’ora del sonnellino.
 
«Va bene campione, vediamo di andare a dormire un pochino, mh?» e John fa per alzarsi quando un rumore alle sue spalle cattura la sua attenzione e lo fa voltare.
 
Un uomo in completo tre pezzi lo sta osservando dalla soglia del soggiorno, elegantemente appoggiato ad un ombrello in tinta con l’abito, e controlla l’ora sul suo orologio da taschino.
John non l’ha sentito entrare e non gli piace per niente la nonchalance con cui l’uomo sta fermo sulla porta senza fare troppo caso a loro.
 
«Posso esserle utile?» chiede, prendendo Hamish in braccio e stringendolo a sé come a volerlo proteggere.
 
L’uomo chiude con uno scatto l’orologio e lo ripone nell’elegante panciotto.
 
«Il dottor Watson, presumo.»
 
John alza un sopracciglio alla domanda e fissa l’uomo intensamente. «Ci conosciamo?» ed è più che altro una domanda retorica perché è sicuro di non aver mai visto quella faccia in tutta la sua vita.
 
«Temo di no.» fa l’uomo e si avvicina con una mano tesa verso Hamish e John si scosta, togliendo il bambino dalla sua traiettoria. L’uomo per tutta risposta alza un sopracciglio elegantemente e sbuffa fuori un suono che assomiglia a qualcosa tra l’irritato e una risatina. «Credo sia, in qualità di zio, un mio diritto poter toccare mio nipote.»
John si ritrova a sbattere gli occhi un paio di volte, fisso su quel viso.
 
«Lei sarebbe il fratello di Sherlock?» e la cosa gli sembra piuttosto assurda, almeno finché non vede Hamish allungare un braccio verso l’uomo e salutarlo in segno di riconoscimento e, a una seconda occhiata, anche se non si assomigliano quasi per niente tranne che per l’altezza, John nota un certo portamento simile a quello di Sherlock; quella sorta di eleganza insita in lui nonostante quelli che dovrebbero essere gesti a dir poco rozzi, come ad esempio il gettarsi sul divano sbuffando ma sembrando sempre e comunque un irritante damerino.
 
Certo che la casa è piuttosto affollata, oggi.
 
John allora rilassa la postura e smette di premersi addosso Hamish, lasciandolo così libero di muoversi.
 
«Sherlock non è in casa.» dice giusto per mettere in chiaro le cose e l’altro uomo lo osserva.
 
«Certo che no. Non sono qui per cercare lui, in realtà sono qui per prelevarvi entrambi e portarvi all’ospedale dove Sherlock sta dando gran spettacolo di sé.»
 
E il cuore di John perde qualche battito.
 
«Sherlock? È in ospedale? Come sta? Che è successo?» e probabilmente il panico nella sua voce deve essere piuttosto evidente perché Hamish gli si stringe addosso e lo guarda con occhi grandi e liquidi.
 
«No, no, tesoro, va tutto bene.» gli dice, non sicuro nemmeno lui di quelle parole, continuando a guardare il fratello di Sherlock.
 
L’uomo annuisce. «Non è nulla di grave, ma immagino preferirà avervi entrambi lì quando finirà di starnazzare e i medici gli daranno i moduli per l’uscita anticipata, cosa che preferirei non accadesse, se capisce cosa voglio dire.»
 
E forse John capirebbe al volo se non avesse il cervello ingolfato di preoccupazione.
 
«Venga e veda con i suoi occhi, dottore. L’unica cosa che le chiedo è di far rimanere mio fratello almeno per una notte sotto un attento controllo, non qui in casa da solo senza nessuno che lo possa aiutare.»
 
L’uomo si volta e John fa per seguirlo quando il maggiore degli Holmes gli lancia un’occhiata. «Spero non verrà vestito così.» si limita a dire. «Ci vediamo tra dieci minuti di sotto, non un minuto in più.» e detto questo si allontana. John non perde tempo, correndo in camera con Hamish e vestendo prima lui, passando poi alle sue cose ancora umide ed indossandole con una smorfia infastidita.
 
«Andiamo a trovare il papà, Hamish.» e forse la sua voce è davvero troppo nervosa, così decide di star zitto e dare un altro bacio sui capelli a Hamish, scendendo di sotto in meno di cinque minuti e trovando una berlina nera con la portiera aperta pronta ad attenderli.
 
 
 
Il viaggio in macchina non dura poi molto (ma Hamish si è addormentato comunque sulla sua spalla) e il fratello di Sherlock si presenta come Mycroft (e John immagina non potesse aspettarsi nome meno altisonante). John tenta di chiedere qualcosa sulla salute di Sherlock, ma Mycroft si limita a dire che non è nulla di grave e che lo avrebbe visto di lì a poco.
 
«Certo che avrei preferito che Hamish non lo vedesse in determinate condizioni.» si è risolto a dire Mycroft prima di scendere dalla macchina quando si sono fermati dinnanzi l’ospedale, lasciando John in totale confusione, ma è comunque sceso dopo di lui, facendo attenzione ad Hamish e seguendolo senza fare più domande. Del resto ha ben altro a cui pensare.
 
 
 
Decide di lasciare Hamish con Mycroft e di entrare da solo nella stanza (preoccupato di come potrebbe trovare Sherlock  e di conseguenza spaventare per nulla Hamish) e, quando apre la porta, un’infermiera ne esce quasi scontrandosi con lui, chiedendogli frettolosamente scusa e allontanandosi con aria stizzita lungo il corridoio. Sherlock deve averne fatta una delle sue.
 
John entra in camera e nota Sherlock mezzo seduto sul letto, una flebo al braccio e una fasciatura a coprirgli gran parte del lato sinistro del viso, mentre cerca di scendere e staccarsi tutto quello che ha addosso, camicia d’ospedale compresa.
 
«Ehi, ehi! Che stai facendo? Torna a letto!»
 
Sherlock alza la testa di scatto e fa una smorfia di dolore al gesto, facendo così accorrere John al suo fianco che lo sostiene per le spalle e lo fa riadagiare a letto. 
 
«John?» si limita a chiedere Sherlock, gli occhi chiusi e una smorfia di insofferenza in faccia.
 
«No, sono un sosia. Domande ovvie? Devi aver preso una bella botta in testa.»
 
«Che ci fai qui?»
 
«Tuo fratello è venuto a prelevare gentilmente me e tuo figlio, che è qui fuori, giusto perché tu lo sappia.»
 
Sherlock emette un sospiro di rassegnazione e l’unica cosa che gli esce tra i denti è il nome di Mycroft insieme ad un evidente fastidio. «Mai che si faccia gli affari suoi.» riesce a dire in qualche modo e John gli lancia un’occhiataccia, roteando gli occhi e prendendo con una mano la cartella alla base del letto, leggendo la diagnosi: trauma cranico.
Beh, non che ci volesse un genio per capirlo. L’occhio sinistro di Sherlock è completamente rosso a causa della rottura dei capillari e dalla fasciatura si intravede chiaramente una parte dell’ematoma. John alza una mano e va ad accarezzare lo zigomo di Sherlock sospirando piano.
Sherlock lo fissa.
 
«Perché, credi che non me ne sarei accorto? Credo sarebbe pressappoco impossibile non notare qualcosa di così vistoso come un’enorme macchia nero bluastra sulla tua tempia, ne sei consapevole, sì?»
 
Sherlock scuote le spalle e si sporge verso il palmo caldo di John, i calli delle dita che gli solleticano la pelle. «Magari sarebbe passato inosservato, tanto con le vostre capacità di osservazione…»
 
John scuote la testa e alza gli occhi al cielo facendo ancora una breve carezza a Sherlock per poi tornare a prestare attenzione alla cartella clinica.
Non c’è nulla a parte il trauma cranico, nessuna lesione, nemmeno una lacerazione e John tira un sospiro di sollievo. Salvo poi notare un appunto fatto a fine pagina con una matita in una scrittura quasi del tutto indecifrabile. La cartella clinica in effetti serve ai medici, giusto? Quindi è normale che non facciano caso a chi possa o meno leggerla, serve a loro per somministrare gli antidolorifici e solitamente chi non è un medico non si spreca a superare la prima pagina.
Ma quell’informazione dev’essere sbagliata.
 
«John?» John alza la testa dalla cartella e riporta gli occhi su Sherlock che lo sta guardando preoccupato, probabilmente si è incantato per diverso tempo.
 
«Sì, scusa, dicevi?»
 
«Potresti abbassare un po’ le luci, mi danno fastidio agli occhi.» e John rimette la cartella al proprio posto e va ad abbassare le luci fino a lasciare la stanza in penombra.
 
«Va meglio?» chiede aspettando un segno affermativo o meno da parte di Sherlock.
Sherlock annuisce e John va a sedersi accanto a lui.
«Potevi chiederlo all’infermiera prima, sai?»
 
«No, non mi fido dei dottori qui dentro, sono tutti idioti.» e detto questo si volta su un lato e prende la mano di John nella sua. «Ma di te mi fido.» dice, e la fa sembrare la cosa più naturale e facile del mondo e John non sa come questo sia possibile e come e quando abbia ottenuto tutta questa fiducia.
Comunque Sherlock deve aver ricevuto una bella botta per parlare così.
 
John trattiene il fiato per qualche istante e infine stringe la mano di Sherlock nella sua. «E io mi fido di te.»
 
Sherlock sorride mestamente. «Pessima scelta.»
 
Ma prima che possa continuare un bussare alla porta li interrompe.
 
Mycroft fa la sua apparizione nella stanza tenendo Hamish per mano (il piccolo ora sveglio si tormenta gli occhietti con la manina) e Sherlock si scosta così velocemente che se non fosse per il calore che continua a sentire sulle proprie dita John crederebbe di aver avuto un miraggio.
 
«Allora Sherlock, come stai?» chiede il fratello ben consapevole delle condizioni dell’altro e Sherlock si limita a non rispondere, guardando Hamish sbadigliare e arrancare verso di lui con le braccia alzate quando Mycroft lo lascia andare.
 
Prima che Sherlock possa scendere dal letto per prendere Hamish tra le braccia, John intercede e solleva Hamish da terra, sussurrandogli qualcosa all’orecchio. Hamish annuisce.
 
«Stai attento che il papà si è fatto male.» dice John mentre deposita Hamish sul letto (incurante delle scarpe) ed Hamish si allunga subito verso il padre ed alza una manina verso la guancia sana e gli fa una carezza, andando poi a depositare un piccolo bacio umido sullo zigomo di Sherlock che rimane del tutto sorpreso dall’iniziativa.
John lo guarda con aria di chi ne sa una più del diavolo ma non apre bocca, rimanendo semplicemente a guardarli mentre Hamish si muove e si siede sulle gambe di Sherlock, poggiandosi contro di lui e continuando a fargli carezze, ‘sta volta su un braccio.
E Sherlock ha un groppo in gola che non riesce a mandar giù.
 
Mycroft si fa nuovamente vivo con la sua insopportabile presenza e tutto quello che Sherlock vorrebbe sarebbe rimanere da solo con John e suo figlio, ma evidentemente non gli è concesso nemmeno quello. Nemmeno dopo un trauma cranico.
 
«Ti sei finalmente deciso a passare la notte in ospedale? Un patto è un patto e io te li ho portati entrambi.»
 
John si volta a guardare Mycroft e sente una forte insofferenza nei suoi riguardi al momento, poi si volta a guardare Sherlock e nota che il più insofferente in quella stanza è proprio lui. Lui che odia gli ospedali, le persone che ci lavorano dentro e stare lontano da suo figlio. E John realizza appena in quel momento che non c’è mai stato un singolo giorno in cui Sherlock non si sia fatto vedere almeno per qualche ora. E non può sopportare l’immagine di lui lì, da solo, quando potrebbe benissimo starsene a casa sua.
 
«Non è necessario che resti qui.» dice d’improvviso, senza rendersene nemmeno conto ed entrambi gli Holmes si voltano a guardarlo. «Sono un medico anch’io e posso prendermi cura di lui al meglio. Sarebbe utile rimanesse qui se non ci fosse nessuno a tenerlo d’occhio ma io ci sono.» John guarda Sherlock dritto negli occhi quando lo dice e Sherlock è quasi sicuro di poter sentire il proprio cuore esplodere.
 
«Dottor Watson, non credo lei sappia-»
 
«So perfettamente, non si preoccupi lei di questo.» l’occhiata che lancia a Mycroft ha ben poco di amichevole, poi passa a spiegare la procedura a Sherlock. «Ti dovrò svegliare ogni tre ore e tu dovrai rispondere a qualche semplice domanda, non è il massimo della vita ma vedrai che passerà presto.»
 
Sherlock annuisce e fa un sorriso speranzoso mentre John prende le carte dal comodino e passa una penna a Sherlock mentre Hamish strattona la camicia d’ospedale del padre.
 
«Hai sortito l’effetto inverso, Mycroft.» sputa fuori Sherlock mentre firma i moduli di dimissione e bacia la zazzera scura del figlio.
 
Mycroft non sembra prendersela e semplicemente emette uno sbuffo infastidito dalle narici.
 
«Vedi di non esagerare con la morfina fintanto che resti qui. Non vorremmo ricadere in vecchie abitudini, vero Sherlock?» e Mycroft va via con un cenno del capo, salutando il nipote con una lieve carezza sulla testa e lasciando John con una certezza in più di quando è arrivato.
Quando si volta verso Sherlock gli occhi di quest’ultimo sono colpevoli e tentano di non restituire lo sguardo.
 
Un ex-tossicodipendente, chi lo avrebbe mai detto?
 
   
 
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