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Autore: alegargano1    22/02/2015    1 recensioni
salve allora questa oltre a essere la seconda storia che scrivo in assoluto, è anche la mia prima storia originale ci tengo in modo particolare quindi, vi chiedo di dirmi cosa ne pensate anche solo per dire che è orribile e che solo un pazzo potrebbe leggerla.
Ora passiamo alla storia vi propongo un avventura che ha dello straordinario, fra: esseri malvagi, destini non voluti, combattimenti epici, creature straordinarie e bizzarre, teneri amori , e amicizie inscindibili io vi propongo questo strano strano racconto
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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CAPITOLO 6

IN VIAGGIO

Alberte e Irene erano in viaggio da diverse ore, ormai si erano lasciati alle spalle il castello della ragazza e ora stavano percorrendo una tranquilla strada ai limitari di un bosco, godendosi la fresca brezza che accarezzava i loro volti.

La rossa era al settimo cielo, inebriata dalla libertà da poco conquistata, tanto che sembrava sprizzare vitalità da tutti i pori, mentre ogni tanto si lasciava sfuggire una risata cristallina che sembrava addolcire l’aria.

Albert le si avvicinò, soffermandosi un istante a guardarla, lasciando che un sorriso si facesse largo sul suo volto, prima di rivolgerglisi dicendo, “Vedo che siamo allegri oggi, mi fa piacere”.

Lei si voltò con un sorriso soave a illuminarle il viso e disse, “E questo grazie a te amico mio, non potrò mai ringraziarti abbastanza per quello che hai fatto per me”.

Il cavaliere accennò un sorriso, chinando appena la testa per dimostrare fedeltà dicendo, “E’ stato un piacere mia signora”.

Irene rise piano, per poi fermarsi a guardare il ragazzo, non capiva per quale ragione tanti dicessero che gli umani erano distruttori pericolosi e malvagi, Albert sembrava essere la prova vivente del contrario.

Presa dalla curiosità, gli si rivolse con queste parole, “Parlami del tuo mondo, com’è viverci e come sono gli umani, vorrei saperne di più su di voi”.

Il ragazzo si rabbuiò leggermente e parve pensarci con attenzione, prima di rispondere, “Non c’è molto da dire sul mio mondo, sono convinto che non ti piacerebbe, li non c’è niente di paragonabile a questo”, disse indicando quel cielo sempre vivo di colori, che trasmettevano pace e allegria.

Poi proseguì così, “Il mio mondo, ha perso la sua pace, c’è così tanta gente, con così tanto a cui pensare, che le persone si tolgono il respiro a vicenda e sono così indaffarate, frenetiche ed egoiste da aver smesso di considerare l’altrui presenza, se non possono trarne un tornaconto, tanto da aver dimenticato cosa sia un atto disinteressato di reale e cortese affetto”.

La ragazza chinò leggermente il capo in segno di rammarico, non si aspettava che il suo amico esponesse i difetti della sua gente e gli si rivolse dicendo, “Ma … tu non sembri così”.

Il castano sorrise dicendo, “Diciamo semplicemente, che anche se non sono molte, ci sono ancora persone disposte a concedersi un momento per gli altri”.

Irene sembrava ancora più confusa, non sapeva cosa pensare degli umani, dalla descrizione di Albert sembravano creature indecifrabili:  in parte corrispondenti alle leggende che li descrivevano come barbari e in parte come esseri buoni.

Certo questo era normale per qualunque creatura, ma non riusciva a capire, quale dei due aspetti prevalesse negli umani, ma dopo averci pensato qualche minuto, sorrise, pensando che avrebbe avuto tutto il tempo che voleva per capirlo con tutta calma.


(Casa di Albert – mondo umano)


Nel frattempo, nel mondo degli umani, Maria era in ansia per l’irreperibilità del figlio, di cui non aveva notizie da quasi nove ore.

Era uscita più volte a cercarlo senza successo, percorrendo senza sosta le strade della città fino a sfinirsi.

Ora si trovava a casa sua, per riprendersi dall’ultima corsa di quell’infruttuosa ricerca, aveva anche avvertito le autorità, ma non aveva ancora ricevuto notizie.

Attese per quasi un ora scattando a ogni minimo rumore proveniente dall’ingresso, ma alla fine la sua pazienza esplose e un pensiero le attraversò la testa – E’ passato troppo tempo, sono stufa di aspettare, se i mezzi di questo mondo non possono aiutarmi, allora ricorrerò a qualcosa di più forte - .

Aprì un ripostiglio e dopo aver spostato varie cianfrusaglie, ne trascinò fuori una vecchia scatola logorata dal tempo e annerita da varie dita di polvere.

All’interno vi erano svariati fogli: sporchi, macchiati, alcuni strappati e persino corrosi dalla polvere.

Si trattava di disegni fatti da Albert quando era bambino, le figure appena abbozzate, il tratto indeciso, i colori vivaci rendevano evidente la tenera età del piccolo.

Cominciò a sfogliarli sorridendo ai bei ricordi, per poi prenderne uno tanto rovinato da aver reso quasi indistinguibili i tratti della matita.

Ripose gli altri fogli nella scatola e la scatola nel ripostiglio, solo per prenderne un'altra, ancor più logora della precedente, questa era decisamente più grande della prima, ed era stata chiusa ermeticamente, con diversi strati di nastro adesivo e tappezzata di svariati avvertimenti e ammonizioni che imponevano di non aprirla.

La donna si fermo un istante, guardando quella scatola e come a voler scacciare l’ansia, pronunciò poche parole in un sospiro mesto dicendo “Credevo che avrei finito col dimenticare questa cosa”.

Aprì la scatola con attenzione, riportando alla luce oggetti che avrebbero fatto bella mostra in un negozio di antiquariato, fra cui un magnifico incensiere di cristallo azzurro.

Ridusse il foglio in coriandoli, depositandolo nell’incensiere, per poi estrarre una piccola lama posta nel coperchio dell’incensiere stesso, con quella incise appena la propria carne, versando il sangue che tinse la carta di un rosso vermiglio.

Fatto ciò richiuse l’incensiere e attese paziente che il tempo facesse il suo corso, osservando il suo operato attraverso la trasparenza del cristallo.

D’improvviso, il sangue all’interno dell’incensiere divenne trasparente e altrettanto velocemente i coriandoli si sollevarono dal fondo, iniziando a galleggiare su quello strano liquido.

In fine il tutto prese fuoco, inghiottito da una piccola fiamma nera, ma questa non era minacciosa, tutt’altro sembrava infondere la quiete di un sonno leggero e del dolce risveglio al mattino.

In quel momento la paladina alzò il coperchio e la fiamma inizio a rilasciare un leggero fumo rossastro,che lentamente si espanse in una nube indistinta.

Maria si sedette di fronte all’incensiere, iniziando a inalare quel fumo con profondi respiri lunghi e controllati, mantenendo una calma glaciale .

Quel manufatto era stato creato dai veggenti delle nubi, appositamente per i paladini draconici duemila  ottocento anni prima, ne esistevano appena venti, poiché erano ritenuti troppo potenti per produrli in gran numero e rischiare di farli finire in mani sbagliate.

Lei aveva conquistato il suo ventiquattro anni prima,per aver salvato un villaggio di veggenti delle nubi da un assalto di predoni, guidati da un criminale del luogo, un ciclope ricercato per omicidio e cannibalismo.

Questo minacciava di rapire le donne e i bambini del villaggio, per poi di radere tutto al suolo, se i paesani non avessero soddisfatto le richieste sue e dei suoi compari.

Lei passava di li per caso e una volta venuta a conoscenza della storia, aveva deciso di aiutare quella gente, non solo perché era la cosa giusta da fare, ma anche perché non aveva mai potuto sopportare bastardi come quelli.

Una volta scacciati i predoni, ed eliminato il loro capo, la gente del villaggio l’aveva accolta con festeggiamenti che durarono tre giorni interi, al concludersi dei quali il capo villaggio l’aveva ricompensata con quel curioso oggettino, dicendole che grazie a esso nulla avrebbe potuto sfuggire ai suoi occhi.

Solo in seguito aveva scoperto il reale significato di quelle parole, servendosi del rituale per risvegliare la sua antica magia e inalando il fumo scarlatto per attingere ai poteri del manufatto, ai paladini draconici era concesso acquisire se pur per breve tempo gli stessi occhi dei draghi e utilizzando un oggetto che vi fosse legato, era possibile legare quegli occhi a un singolo individuo, per rintracciarlo ovunque fosse.

Ma quella volta l’occhio infallibile sembrava aver fallito, stava usando i suoi pieni poteri per scandagliare un area di tremilaseicento kilometri quadrati, ma Albert sembrava essersi volatilizzato.

Dato che era impossibile che un sedicenne, per quanto intraprendente,avesse fatto tanta strada e dato che l’incantesimo l’avrebbe rintracciato anche nella peggiore delle ipotesi, poteva significare solo una cosa, il suo piccolo non si trovava più nel mondo degli umani.

In quel momento realizzò che c’era una sola cosa da fare, tornare a indossare i panni di Maria della folgore e riprendere in mano, i simboli della sua vecchia vita.

Preparò il necessario per la partenza,recuperando ogni manufatto arcano fosse presente in quella casa, per poi dirigersi nel luogo, che da sedici anni faceva da ponte tra i due mondi.

Giunta sul posto qualsiasi dubbio o remora potesse ancora trattenerla scomparve la sua illusione aveva cessato di funzionare e ciò era un chiaro segno della riapertura del portale.

Si chiese come avesse fatto a sfuggirle un particolare tanto rilevante mentre cercava in città e sicura entrò in quello spazio rimasto vuoto.

Si diresse decisa verso una zolla di terra più scura delle altre e leggermente più in rilievo, tempo prima l’aveva rivoltata in quel modo proprio per distinguerla se mai fosse tornata.

E li sotto quello strato di due metri di terra c’era uno strano baule che conteneva la sua antica armatura e le sue più potenti armi con cui aveva affrontato e vinto innumerevoli battaglie.

Riesumato il baule, passo una mano sulla serratura e il coperchio scomparve, rivelando il suo prezioso contenuto.

Accertatasi che fosse tutto in ordine, richiuse il baule con un gesto della mano, per poi aggiungerlo ai bagagli, completando così i preparativi per la partenza.

Afferrò la spada ancora conficcata nel tronco e pronunciò la formula incisa nel legno, a chiare lettere e con sicurezza dicendo “Hucshiver”, ma contrariamente ad Albert prima che il vortice discendente toccasse il suolo, lei agguanto la spada, estraendola dal tronco che si ridusse in minuscole schegge, dicendo “Conducimi alla guglia del lampo”.

E un istante dopo scomparve, proprio come ore prima era toccato ad Albert.


(Foresta di Run – mondo dei draghi)


Nel frattempo, nel mondo dei draghi, Irene sperimentava il risveglio dopo la prima notte passata all’aperto e nonostante fosse abituata a un letto di seta e piume, dormire in un sacco a pelo, in una tenda, in qualche modo era stato ugualmente rilassante.

Si erano accampati in una radura nel folto del bosco, vicino a un ruscello, in modo da avere a disposizione tutto il necessario per l’indomani

Uscì dalla tenda e prese a sgranchirsi, per eliminare almeno in parte il torpore mattutino, per poi sciacquarsi il viso al ruscello, l’acqua fredda, sulla pelle delicata del suo volto, aveva un effetto rinvigorente, che restituiva tutta la lucidità perduta nel sonno.

Quando ebbe finito di rinfrescarsi, Irene decise di  risvegliare Albert, che ancora dormiva profondamente nella sua tenda, avevano un'altra lunga giornata di cammino ad aspettarli e il modo migliore di affrontarla, era svegliarsi presto e iniziarla con una bella colazione.

Entrò nella tenda del giovane cavaliere per poi avvicinarglisi e scuoterlo con gentilezza dicendo “Dai Albert in piedi, è ora rimettersi in cammino”.

Il ragazzo non diede alcuna risposta se non qualche mugolio confuso e infastidito, rigirandosi nel sacco a pelo.

La ragazza parve infastidita da quella reazione, ma certo non aveva intenzione di demordere, lo afferrò per un braccio, tirandolo a sedere di peso,per poi scoppiare a ridere alla vista dell’espressione del suo amico, che poteva essere paragonabile a quella di un ghiro appena ripresosi dal letargo.

Dal canto suo, Albert non ci trovava niente da ridere, non era mai stato un tipo mattiniero e lo svegliarsi in generale, senza che lo facesse da se, gli dava sempre parecchio fastidio.

Guardò un istante la ragazza, ancora intenta a ridere di gusto, sentendo la sua volontà di tornare a dormire, ignorando il richiamo della ragazza, svanire nel nulla, per poi unirsi alle risa e dire, “Va bene va bene ora mi alzo voglio vedere dove arriveremo oggi”.

Il cavaliere si avvicinò al ruscello,immergendo il viso in acqua, per liberarsi del sonno in eccesso accorgendosi a sue spese, di quanto fosse fredda.

Ritrasse subito il viso, non aspettandosi nulla del genere, l’acqua era a dir poco gelida, ormai del tutto sveglio si sciacquò velocemente, per poi prendere un profondo respiro e tornare da Irene.

Quest’ultima aveva preso dalle scorte il necessario per una buona colazione, per lei non era niente di eccezionale, una semplice selezione di formaggi e frutta fresca, un pasto piuttosto comune al mattino per dei viaggiatori, ma per Albert era squisito avevano un sapore totalmente diverso da quelli del suo mondo, era evidente che era tutta roba genuina, fatta a mano e cresciuta naturalmente.

Mentre assaporava quelle prelibatezze, un idea attraversò la mente del giovane cavaliere – Un mondo incontaminato, intriso di magia, abitato da creature straordinarie, si direi che se non dovessi più tornare a casa, questo sarebbe un buon posto in cui fermarsi - .

Albert interruppe il corso di quei pensieri per spostare la sua attenzione su Irene e preso da un momento di curiosità chiese “Dove siamo diretti esattamente? Cioè qual è il primo luogo che vuoi visitare, ora che sei libera?”.

Lei sorrise dicendo “Dunque, per prima cosa, vorrei andare a est, verso un luogo chiamato baluardo del vento, per incontrare una persona e da li poi verso il lontano nord, so che esiste un luogo, dove la sabbia si estende a perdita d’occhio,  pare che fra quelle dune si celi uno dei più antichi segreti di questo mondo”.

Il castano era ammirato, la ragazza aveva spirito di iniziativa e a quanto sembrava sapeva esattamente cosa fare, ma un dubbio venne a stuzzicargli la mente e quindi chiese “Quanto distano questi luoghi?,  come faremo a raggiungerli?”.

Lei rispose dicendo, “Questo dipende dalle correnti arcane, le isole si spostano in continuazione, èpossibile che fra una settimana dovremo cambiare completamente percorso per giungere a destinazione”.

Albert era alquanto sconcertato, non era certo di comprendere a pieno il significato di quella frase, così chiese delucidazioni con queste parole, “Non per essere pignolo, ma vorrei rammentarti che io non ho la più pallida idea di quali siano le forze che regolano questo mondo, quindi vorresti ragguagliare questo giovane umano molto confuso”.

Irene scoppio a ridere pensando che quel ragazzo era davvero strano, non perché veniva da un altro mondo, ma per quel suo carattere che gli dava un aria un po’  da bambino, cosi sorridendo decise di soddisfare la sua curiosità, cercando di esprimere al meglio con le parole a sua disposizione, l’entità dell’energia insita in ogni mutamento di quel mondo, fin anche nel suo più lieve respiro.

Ci pensò su alcuni minuti, prima di rivolgersi al giovane cavaliere dicendo, “In questo mondo, non esiste confine fra terra e cielo, si può dire anzi che essi siano un tutt’uno, infatti nella volta di questo cielo infinito,fluttua una moltitudine sconfinata di isole, ognuna delle quali procede senza sosta nel suo infinito vagare sospinta solo dai capricci delle correnti arcane che le muovono a loro piacere”.

Il cavaliere in un primo momento sembrò incerto e quel che disse sembrò confermare il suo stato di dubbio “Quindi, dicendolo in termini semplici, noi stiamo camminando su una roccia sospesa nel vuoto”.

Irene lo guardò per un istante per poi dire, “Bhe … si, si potrebbe dire anche così”.

Sul volto di Albert si allargò un grande sorriso quando disse “Questo posto mi piace sempre di più”.

Lei rise dolcemente in risposta, Albert era davvero una persona sorprendente.

Si alzò poi in piedi, invitando Albert a fare lo stesso, era ora di rimettersi in cammino.

Raccolsero le loro scorte e le tende, per poi tornare a percorrere il sentiero principale e dopo neanche un ora di cammino, la fortuna sembrò arridergli.

L’incedere di passi pesanti alle loro spalle, che con fragore scuotevano i dintorni, colse la loro attenzione e il loro interesse, voltatisi videro arrivare una lunga fila di carri zeppi di frutta e ortaggi, tutti trainati da un animale enorme che a parere di Albert doveva essere grande almeno come un elefante.

La creatura sembrava una sorta di bizzarro incrocio fra un rinoceronte e un coccodrillo, la pelle squamata dalle forti tinte marroncine doveva essere spessa diversi centimetri e l’intero corpo dell’animale appariva come un immenso fascio di muscoli.

Inoltre, quel coso avrebbe potuto comodamente schiacciarli senza accorgersene, aveva le zampe grandi come ceppi di quercia, munite di unghie enormi, simili a quelle di una talpa, mentre l’enorme testa sembrava in tutto e per tutto un gigantesco ariete munito di un corno osseo lungo almeno un metro e mezzo.

Era impressionante, in compenso non sembrava affatto carnivoro, la mascella di quella creatura non avrebbe potuto ospitare zanne di alcun tipo piccola com’era rispetto alla testa.

Albert era esterrefatto, quell’affare era un rinhoxonte, un animale mitologico che si pensava creato dai persiani per giustificare i rinoceronti.

L’aveva visto una volta sola in un libro illustrato sui miti e leggende del mondo, uno dei primi regali ricevuti da sua madre, non avrebbe mai creduto, di vederne uno in carne e ossa, tanto che persino avendocelo a un palmo dalla faccia, quasi non riusciva a capacitarsene.

Ma ancora più strano, era l’essere che reggeva le redini di quell’improbabile trasporto : una creatura bassa e ingobbita dalla pelle verdastra chiazzata di marrone, che quasi sembrava ridicolo piccolo com’era, alla guida di quel bestione.

Il ragazzo non faticò a identificare neppure quello, non c’era certo bisogno d’essere un genio per riconoscere un goblin.

Ok, appena arrivato in quel mondo, aveva visto una gigantesca fenice volargli sopra la testa e il fascino della cosa lo aveva lasciato totalmente indifferente al dettaglio, che si trattava di un essere teoricamente inesistente e la cosa andava bene così.

Vada anche per il rinhoxonte in fondo il bestione li aveva la sua eleganza anche se poca.

Ma il goblin no, era troppo da sopportare senza chiedersi, quante delle leggende e dei miti che conosceva, fossero in realtà verità fatte e finite.

Da quel che aveva capito, Irene era una paladina draconica, creature che non aveva mai sentito nominare, il che portava all’ovvia conclusione, che quel mondo ospitasse anche esseri che gli umani non avevano descritto nei loro racconti e questo lo spinse a chiedersi, quanto poco gli umani conoscessero la magia che tanto li affascinava.

Si ripromise di trovare una risposta a quell’interrogativo.

Ma ora era più importante capire, se il nuovo arrivato rappresentasse una qualche sorta di pericolo, mise delicatamente mano alla daga che portava alla cintura e rivolgendosi al goblin disse “Amico o nemico”.

Quello lo guardò con tanto d’occhi, mostrando il bagliore rossastro delle iridi, non capendo se fosse una qualche strana forma di umorismo.

Così si limitò a rispondere, “Non oserei muovere ostilità, verso due viandanti, se così giovani come siete voi poi, sarebbe disdicevole e disonorevole e io da mite quale sono non oserei fare nulla di simile”.

Albert spostò la mano dalla daga, rilassandosi visibilmente, per poi rivolgersi al goblinoide e dire “Chiedo perdono signore, mi scusi di aver dubitato”.

L’altro scosse il capo bozzuto rispondendo “Si figuri sir, la fama dei miei parenti è nota, bellicosi, ingannatori, bugiardi e spesso predoni violenti, non stupisce che anche chi come me è per bene sia mal visto, la prego quindi, in nome della mia buona fede, accetti che io e la vecchia Ivet vi portiamo almeno fino al villaggio più vicino”.

Si fermò pochi istanti prima di aggiungere “In fondo stiamo andando la a consegnare questo carico, la recente gelata e la neve hanno distrutto il loro raccolto e poverini non hanno di che sfamarsi così il governatore ha ben pensato di raccogliere un piccolo tributo dai vari villaggi che avevano delle eccedenze, per aiutare i poveretti in difficoltà, hanno chiamato me e Ivet per fare da corrieri”.

Albert era colpito, Edward era davvero un ottimo sovrano, per prendere simili provvedimenti in favore del popolo, chi mai avrebbe osato attaccare un anzi una rinhoxonte come Ivet e un goblin per prendersi un semplice carico di viveri.

Quando poi vide Irene sorridere capì, Edward aveva solo firmato quell’ordine, ma quell’idea era opera della rossa, che in quel momento parlò dicendo “Grazie per queste parole, riferirò al governatore che i suoi sforzi sono stati apprezzati”.

Il goblin all’inizio sembrò non capire, ma poi venne colto da un illuminazione e inchinandosi alla paladina disse “Perdonatemi principessa, non l'avevo riconosciuta, pochi, forse pochissimi, possono dire di avervi visto al di fuori dei confini del castello, non potevo sapere a questo punto insisto per poterla accompagnare insieme al vostro amico, la gente sarà felice di vedervi”.

La ragazza parve riflettere qualche momento prima di rispondere, “La ringrazio buon uomo, io e sir Albert saremmo lieti di viaggiare in vostra compagnia”.

Detto questo il goblin si prodigò subito per far loro posto sul carretto prima di riprendere il viaggio incitando la rinhoxonte a proseguire.


(Guglia del lampo – villaggio ai piedi della rupe)


Maria era arrivata da appena due ore e già iniziava a chiedersi come diavolo avrebbe fatto a trovare Albert, se già i luoghi che meglio conosceva del suo mondo d’origine, erano cambiati così tanto.

Appena arrivata, aveva trovato il suo castello ridotto in macerie, bruciato fin o alle fondamenta, le poche ricchezze che erano rimaste li erano andate distrutte, o del tutto sparite, forse trafugate da qualche viandante in cerca di facili bottini.

Al villaggio invece nessuno sembrava riconoscerla, ne tanto meno lei riusciva a riconoscere qualcuno, in oltre, era tutto completamente diverso, per la miseria come poteva in meno di venti anni un luogo cambiare a tal punto.

Nemmeno la vecchia locanda era più la stessa, sembrava essere stata trasformata, in una di quelle taverne di alta classe per i nobili.

E quando aveva chiesto in giro di Stuart il capo villaggio, le avevano detto che l’uomo in questione era morto da quasi tre secoli.

Dire che era confusa, spaesate e arrabbiata, era poco, molto poco, non ci stava capendo nulla, tutto ciò che ricordava e che credeva di conoscere per certo, era come scomparso nel nulla.

Infine prese da parte l’ennesimo passante, rivolgendoglisi con una nota grave, che impensierì non poco il povero malcapitato dicendo, ”Da quanto tempo il castello sulla rupe è in macerie?”.

Quello la guardò preoccupato, prima di dire, “Da trecento venti anni, anzi saranno trecento ventuno tra una settimana”.

La donna lo lasciò andare, ormai era chiaro, qualcosa non tornava affatto, i paesani erano davvero convinti di quel che dicevano: ovvero che la sua assenza fosse durata più di trecento anni.

Ma lei per ovvi motivi, era più che certa di aver trascorso solo sedici anni nel mondo degli uomini.

Improvvisamente le venne un illuminazione, su un evento simile avvenuto al suo arrivo nel mondo umano: le era capitato per caso di venire in possesso di un libro di storia, che attestava che il periodo feudale istituito da Carlo magno, si era concluso  si era concluso più di un millennio prima, con la morte dell'ultimo superstite dei suoi tre figli.

Ora, questo sarebbe stato perfettamente normale, se solo non fosse stato per il fatto, che la storia umana attestava che tutto questo era avvenuto circa mille duecento anni fa.

Mentre nel mondo dei draghi, la storia attestava che i draghi avevano abbandonato il mondo umano, da circa ventiquattromila  anni da quando i figli dell'imperatore avevano tentato di derubarli.

E ora le si presentava questa nuova incongruenza, apparentemente senza senso, ma si ripromise di trovare una risposta.

Ora l'importante, era trovare al più presto una qualche traccia di Albert, prima che fossero i draghi a trovarlo, per far ciò però, c'era solo una persona a cui poteva rivolgersi.

(Pashurn – villaggio portuale).


Il buon goblin mantenne la parola e condusse i due giovani  fino al villaggio più vicino, dove scaricò una parte del carico di viveri, fra i ringraziamenti degli abitanti.

Dopo di che il corriere si rivolse a Irene dicendo, “Buona fortuna principessa, che la serenità vi accompagni sempre”.

Lei assentì, prima che il goblin spostasse la sua attenzione su Albert, rivolgendoglisi così, “A lei Sir, chiedo di prendersi cura della principessa, sembra avere molta stima di voi, per questo avete anche la mia, quindi non mi resta di augurare anche a lei buona fortuna e buon viaggio”.

Quando il carro si fu allontanato, i due giovani decisero di vedere cosa offriva la città, o meglio, Irene decise di mostrarlo ad Albert.

Il caso volle, che Pashurn fosse la migliore delle destinazioni auspicabili: la gente sembrava cordiale e vivace, in più sembravano apprezzare gli stranieri, mentre passavano per le vie della cittadina infatti ben cinque locandieri gli avevano proposto di fermarsi nelle loro locande.

Ma Irene aveva declinato ogni volta, dicendo che di li a poco si sarebbero imbarcati.

Tale risposta incuriosiva parecchio Albert, quello in cui si trovavano, era un territorio prevalentemente montuoso, o comunque troppo elevato o instabile per ospitare un porto di qualunque tipo.

Dovette rimangiarsi il suo stesso pensiero, pochi minuti dopo, quando vide qualcosa che rasentava l'inconcepibile, si l'inconcepibile, perché avendocelo davanti agli occhi non poteva negare che fosse perfettamente possibile.

Delle navi immense, erano sospese in aria e ancorate come palloni da parata, a delle gigantesche colonne di ferro e legno, alte diverse decine di metri, attorno alle quali erano state costruite rampe e scale a chiocciola, per permettere a merci e passeggeri di salire sulle imbarcazioni.

Vedendolo così  imbambolato, Irene rise soavemente, richiamando l'attenzione del giovane cavaliere.

La ragazza gli si rivolse subito dopo dicendo “Se  questo ti sembra bello, lascia che ti mostri una cosa”.

Detto questo la rossa afferrò Albert per mano, trascinandolo fino a un punto imprecisato del porto e li, davanti aglio occhi stupefatti del ragazzo, si presento uno spettacolo incredibile .

Il paesaggio era meraviglioso, vascelli immensi, che sospinti dalle correnti arcane catturavano i venti, viaggiando come senza peso in quell'immenso cielo, verso le isole vicine.

Si, da li si potevano vedere anche alcune isole, sospese nel vuoto, sorrette unicamente da quell'inspiegabile forza, che sembrava dominare tutto in quel mondo, se non ricordava male, Irene l'aveva chiamata Arcanorum.

Era estasiato, al punto che quasi non si accorse, delle parole dettate del suo istinto, che gli fluirono dalla bocca, “Non ho mai visto niente di più bello in vita mia, a parte la fenice che ci ha fatti incontrare forse”.

Come folgorato dai suoi stessi pensieri, Albert si riscosse, cercando le parole per rettificare, ma certo non si aspettava che la ragazza avrebbe risposto così “Lo penso anche io”.

Rimasero li qualche minuto, chi a guardare il cielo, chi a osservare l'altro, finché la ragazza non decise che era giunto il momento di partire.

Nuovamente Irene condusse Albert a destinazione, guidandolo verso la cima di una delle grandi colonne di legno e ferro, dove ad attenderli c'era un mastodontico galeone dalle vele color cobalto.

La chiglia della gigantesca nave, era costruita con un legno chiarissimo, quasi bianco, mentre il ponte e i quattro alberi, sfumavano sui toni del rosso, ma il meglio dell'imbarcazione era rappresentato dalla magnifica polena di bronzo, rappresentante un aquila con due saette strette fra gli artigli.

Era quasi inquietante, come se si trascinasse dietro un vago sentore di minaccia, tanto che Albert si spinse a chiedere alla ragazza, “Questa è una nave da battaglia vero?”.

La rossa assentì dicendo, “Questo è il < Rapitore di lampi > la nave ammiraglia della flotta della mia famiglia”.

Albert parve sorpreso di sapere che la famiglia della ragazza possedeva una flotta militare, ma non era questa la domanda più impellente che gli passava per la testa, come se avesse un peso sul cuore disse, “Credevo che almeno in questo mondo non esistesse la guerra”.

Irene rimase in silenzio per qualche secondo, come se non avesse pienamente capito quelle parole, ma poi disse, “Infatti, qui non esiste niente del genere, ma esistono comunque i criminali, senza contare il pericolo rappresentato dalle creature mistiche ostili”.

Albert era perplesso, un qualcosa di così imponente, era stato ideato per mantenere l'ordine e per proteggere la gente, il che era ammirevole, ma al contempo, dava da pensare, in questo mondo la forza era un mezzo prevalentemente di difesa e protezione, mentre al contrario nel suo mondo era prevalentemente un mezzo di dominio e repressione, i due mondi collimavano sotto entrambi i punti di vista, ma prevalevo agli antipodi.

Per un breve momento, il ragazzo si chiese cosa avessero i suoi simili di così sbagliato, da non capire qual era la cosa giusta da fare.

Ma i suoi pensieri vennero interrotti, quando gli si parò di fronte un uomo enorme, abbigliato di un uniforme blu come le vele della nave, con ricami su entrambe le spalle rappresentanti tre cerchi concentrici attraversati da una spada.

L'uomo li stava guardando con attenzione, scrutandoli in cerca di segni che li identificassero come amici o nemici.

Rimase solo qualche secondo sulla ragazza, per poi fissare i suoi occhi grigi ma fieri e risoluti, su Albert, che sentendosi quasi invitato a farlo, rispose allo sguardo cercando di sostenerlo nel tentativo di mostrarsi imperturbabile.

A un tratto l'uomo spezzo il contatto, rivolgendosi ai due giovani così, “Cosa ci fanno due marmocchi a cui puzza ancora la bocca di latte, sul ponte di imbarco della mia nave”.

A quelle parole, Irene rimasta anche lei sconcertata dall'apparizione del gigantesco uomo, si fece avanti e parlo dicendo, “Io sono Irene, principessa di questo regno, secondogenita del re dello zaffiro eterno e proprietaria della flotta difensiva di cui lei è a capo, io e il mio attendente Sir Albert siamo qui per chiederle un trasporto fino all'isola delle sorgenti”.

Il comandante assottiglio lo sguardo, che si fece improvvisamente più duro, fece un sonoro sbuffo di fastidio prima di dire “Vostra altezza, io sono il Capitano di vascello Telonius, detto il colosso, per quel che mi riguarda il vostro titolo su questa nave vale poco o niente, se volete guadagnarvi la traversata dovrete farlo lavorando come uomini del mio equipaggio ai miei ordini, spero di essere stato chiaro”.

I due ragazzi erano allibiti, riconoscevano che la richiesta del capitano era giusta, ma certo non se l'aspettavano.

Si guardarono qualche minuto, leggermente confusi, prima che Albert si rivolgesse al capitano dicendo “Non mi sembra che abbiamo molta scelta”.

Il capitano si allontanò dal ponte d'imbarco, lasciando che i due salissero a bordo della nave, prima di dire “Esatto, non avete alcuna scelta se volete la traversata … vi do il benvenuto sul rapitore di lampi, spero che riuscirete a sopravvivere”.

Così il viaggio dei nostri eroi era cominciato e presto ne avrebbero viste delle belle .

FINE CAPITOLO 6

  
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