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Autore: Nuel    23/02/2015    6 recensioni
Durante il lungo e rigido inverno del Nord, la regina madre Esyllt rivela al figlio Gavio la propria storia: da incantatrice nata nell'ultimo villaggio del mondo, ai piedi della montagna del drago, a regina di Tara. Da pedina a giocatrice, in un tempo scandito dal cadere della neve.
♣ Questo racconto si è classificato quinto e si è aggiudicato il Premio Giuria nel contest "La Caduta dell'Inverno Boreale" indetto da Deidaradanna93 sul forum di EFP.
♣ Questo racconto si è classificato sesto e si è aggiudicato il Premio Miglior Storia Fantasy nel contest "Cento giorni di introspezione, fantasia e romanticismo" indetto da WhatHasHappened sul forum di EFP.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Tre
Il patto delle regine


 


« Esyllt, non essere timida, avvicinati ». Morwenna sembrava una ragazzina. Teneva tra le braccia una bambola di pezza vestita sontuosamente, i riccioli scuri le ricadevano morbidi intorno al faccino ancora pieno. « Sai chi sono? » le aveva chiesto con voce insolitamente impostata per una creatura tanto giovane.
Lei aveva scosso il capo, rivolgendo uno sguardo carico di confusione alla regina Grainne, come ad implorare il suo aiuto.
    « Non può saperlo, » aveva detto allora la regina, affiancandosi alla giovane al cui cospetto l’aveva portata. « Esyllt, voglio che tu conosca mia sorella: la regina Morwenna ». Stavano in piedi, una accanto all’altra, di fronte ad un’ampia finestra da cui entrava una luce pallida e quasi malata, la nebbia sembrava essersi diradata, all’esterno ed Esyllt aveva guardato la ragazzina e poi la regina Grainne, nella cui chioma si intravvedevano i primi capelli grigi.
    « Ti starai chiedendo perché ti abbia voluta conoscere, Esyllt » aveva iniziato Morwenna, con una sicurezza che non apparteneva all’età infantile. « Grainne mi ha parlato delle tue doti e abbiamo convenuto che possiamo aspettarci grandi cose da te ».
    Esyllt l’aveva guardata, ancora senza capire: la veste severa, scura, come se stesse portando il lutto, sembrava impropria sulle gracile membra di Morwenna, proprio come lo erano la sua voce ed il modo in cui la guardava. « Non capisco, mia signora » aveva risposto, pregando di non sembrare sciocca.
    « Viviamo in una terra brutale, Esyllt, che affama i suoi figli e li rinchiude in bare di ghiaccio. Gli uomini adorano i loro dei di fuoco e da noi pretendono che seppelliamo i nostri figli, morti durante il lungo inverno, senza ribellarci ». Esyllt la ascoltava, ma continuava a non capire. « Ci temono quando non chiniamo il capo al loro volere... uccidono quelle di noi che osano ribellarsi perché desiderano il nostro potere ».
    « Continuo a non capire... » aveva mormorato, cauta, occhieggiando Grainne, ma temendo che Morwenna potesse fare chissà cosa se avesse distolto lo sguardo da lei.
    « Non ti hanno, forse, portata qui per uccidere una strega? » le chiese allora Morwenna.
    « Non ci sono vivi, in questa città, Esyllt, » era intervenuta la regina « Morwenna regna sui morti, qui, dove nascemmo e lei morì molto prima che tua madre ti accogliesse nel suo grembo  ».
    Si era quasi sentita svenire, gli occhi fissi su Morwenna, dal volto pallido come la neve che la guardava a sua volta, la bocca morbida e un po’ imbronciata, lo sguardo senza tempo di chi ha vissuto a lungo e non teme più nulla, ma c’era qualcos’altro in quegli occhi, qualcosa di spaventoso e oscuro.
    « Sai perché sei qui, Esyllt? » le chiese Grainne, con quel suo tono pacato e quasi materno e lei aveva scosso impercettibilmente la testa. « Puoi seguire le indicazioni di Tighe, cercare di distruggere entrambe e morire » le sorrise « o, forse, potresti riuscire, tornare dai tuoi compagni ed essere uccisa da loro ». Aveva atteso che le parole attecchissero in lei, facendo germogliare il seme del dubbio. « Sei come noi, Esyllt. Il tuo potere ti rende pericolosa ai loro occhi. Ti hanno usata per entrare, ma non hanno mai avuto intenzione di farti uscire da qui ».
    « Ma il maestro Tighe... » aveva provato a ribattere. Aveva provato una sorta di affettuoso rispetto per quell’uomo e non solo perché era un saggio, ma perché aveva trovato una sorta di padre, in lui.
    « È un uomo » aveva risposto Grainne, come se ciò dicesse tutto.
    « Mi avete messa voi nelle sue mani! » protestò allora, alzando la voce, le mani strette a pugno, lungo i fianchi.
    « E lui ti ha istruita, ha scorto in te il potere su cui da tempo desiderava mettere le mani e si è, infine, tradito ».
    « Mi avete usata! » si era risentita, rendendosi conto di essere solo una pedina nelle mani di quella donna che non sembrava disposta a lasciare la presa su di lei.
    « Imparerai presto che l’essere utili mantiene in vita ben più a lungo di ogni altra cosa ».
    « Sono arrivati » si era intromessa la voce di Morwenna. La regina bambina si era rigirata, raggiungendo la finestra retrostante, salendo un gradino così da poter vedere l’esterno agevolmente. Dalla piazza sottostante provenivano i suoni della battaglia e Grainne le aveva fatto segno di avvicinarsi: i suoi compagni avevano quasi raggiunto il castello. Erano feriti, stanchi e gli scheletri li incalzavano, senza fine, senza distinzione di genere e di età poiché per loro non avevano senso.
    « Credi che vinceranno loro? » le aveva chiesto Morwenna girandosi a guardarla da sopra la spalla, la boccuccia atteggiata ad un piccolo broncio delizioso.
    « Io... non lo so » aveva ammesso, intimorita dagli occhi senza fondo che sembravano leggerle dentro e l’aveva visto, quello che vi si agitava dentro: odio. Risentimento. Morwenna era piena di rancore.
    « Non vinceranno, Esyllt. Guarda: uomini mortali che, se anche vincessero, perderebbero la vita e i morti che più nulla hanno da perdere. Se anche vengono distrutti, a loro non importa e quindi avanzano ancora e avanzeranno fino a quanto Grainne e tu sarete le uniche mortali a potervi aggirare per la città ».
    Esyllt l’aveva guardata e poi aveva guardato Grainne: si aspettavano qualcosa da lei, ma ancora non le avevano detto cosa e lei era tornata a guardare lo scontro, nell’ampio cortile antistante il castello. La sua mente si era sgombrata di ogni pensiero, era rimasta a guardare mentre, uno ad uno, i suoi compagni venivano abbattuti. Il loro sangue tingeva la terra su cui non cresceva nulla, sprecato. « Cosa volete che faccia? » aveva chiesto allora.
    « Tornerai a Tara » aveva detto Grainne. « Aprirò un varco nella nebbia perché tu possa raggiungere incolume la capitale. A tempo debito, quando avrai ultimato i tuoi studi, Morwenna farà uscire i morti dalle tombe, ma tu li ricaccerai in dietro e ti presenterai al re come salvatrice. Lo consiglierai come ho fatto io e cercherai altre donne dai grandi poteri perché possano crescere a Tara e rendere più forte il regno ».
    « E voi? » le aveva chiesto, incerta.
    « Il mio tempo a Tara è finito, per questo mi servi Esyllt: guiderai il mio regno nel mio nome. Sposerai mio figlio Eoghan e quando sarà il momento, per lui, di succedere al re, sarai regina. Il tuo sangue, unito al mio, darà origine ad una stirpe di streghe potenti, capaci di dominare il Nord ».
    « Così accadrà ciò che i re temono: che le regine portino la corona e lo scettro! » aveva concluso Morwenna, stirando le labbra in un sorriso e, nonostante l’incertezza, in quel momento Esyllt aveva promesso. Aveva stretto un patto con Grainne e con Morwenna e la regina aveva aperto un varco nella nebbia perché lei potesse raggiungere Tara. 
Aveva desiderato tornare a casa e aveva corso nella nebbia fredda, mentre i suoi compagni morivano poco lontano da lei, senza sapere che li aveva abbandonati, che sarebbe diventata come la donna che volevano uccidere. Sarebbe diventata regina o forse sarebbe semplicemente sopravvissuta e aveva continuato a correre, a correre, fino a quando era uscita dalla nebbia, ma non a Tara.



All’alba, Bronia ruppe il sottile strato di ghiaccio nel tino che teneva in cucina, attingendone un secchio da mettere a scaldare per il lavabo del re e della regina. Il fuoco era già acceso e il pane duro era stato messo ad abbrustolire su una piastra di ferro. Accanto, due panni ben piegati si stavano riscaldando. Uno degli uomini le aveva già consegnato il latte munto al sorgere del sole. Presto non ne avrebbero avuto più: il latte sarebbe servito ai cuccioli, per compensare la carenza di cibo, ma, per fortuna, nella dispensa c’erano diverse forme di formaggio che avrebbero permesso a tutti loro di superare l’inverno, anche se la caccia non avesse dato frutto.
    La porta si aprì e Bronia si inchinò all’ingresso di Esyllt. « Mia signora, siete mattiniera, oggi ».
    Esyllt le sorrise, raggiungendo il lavabo per lavare via il sonno dal viso e la fantesca le porse uno dei panni caldi con cui asciugarsi. « Il re partirà prima di mezzodì e dobbiamo parlare ancora di molte cose » le rispose, accettando il panno per asciugarsi. 
    La fantesca versò metà del latte in una ciotola e la mise davanti alla regina che aveva preso posto a tavola. Mentre le portava il pane, entrò il re e la fantesca ripeté per il figlio ogni gesto che aveva compiuto per la madre. 
    « Grazie Bronia ». Il re prese posto di fronte alla madre e cominciò a mangiare in silenzio, l’aria pensierosa.
    « Hai riposato abbastanza? » gli chiese dopo poco Esyllt, osservandolo. « Nonostante le mie chiacchiere? » chiese ancora, precedendo la sua risposta e porgendogli un sorriso affettuoso, come quando era piccolo e si adombrava per piccole cose.
    « Nonostante le vostre chiacchiere » rispose lui, il tono un po’ stanco, nonostante cercasse di nasconderlo. « Sono curioso di vedere quello che avete da mostrarmi ». Gavio era diventato un uomo paziente, come devono essere i combattenti ed i sovrani. Si era adattato per sopravvivere.
    Esyllt annuì. « Nella forgia. Il fabbro ha preparato una cosa su mio ordine, » il sorriso le si allargò sul volto « spero che ti piaccia ».
    « Mi piacerà sicuramente » garantì lui, sorridendole di rimando.
    Esyllt era certa che il dono gli sarebbe piaciuto. Aveva seguito le istruzioni che, molto tempo prima Ynyr le aveva dato; aveva commissionato una spada dalla lama lunga, a doppio filo, con la scanalatura finemente cesellata, forgiata col fuoco di torba e temprata nella neve dell’inverno. Sul pomolo era stato incastonato un rubino; era più piccolo di quello che Esyllt portava al collo, ma era altrettanto prezioso.
Il fodero era stato cucito in cuoio, impreziosito da decorazioni bronzee che raffiguravano fiamme ed il fabbro lo porse a Gavio con un’espressione piena di orgoglio. « La migliore spada che abbia mai forgiato, mio sire! » 
    « Grazie, Ifor ». Gavio prese l’arma dalle sue mani callose e la sfoderò. Un sorriso sdentato si allargò sul volto del vecchio Ifor, dalle braccia ancora forti e dalla pelle dura come il cuoio, mentre i piccoli occhi grigi scrutavano il viso del re per coglierne l’espressione.
    Anche Esyllt lo osservava e vide lo stupore comparire sul volto di Gavio quando il re comprese l’eccezionalità dell’arma. Leggera, ma resistente, perfettamente bilanciata, un prolungamento del suo braccio. « Ifor, va’ a fare colazione, adesso » gli ordinò, allungando una mano a sfiorare il suo braccio in un muto gesto di ringraziamento.
« Provala » disse poi, quando furono soli nell’officina, abbastanza ampia da consentire a Gavio di provare qualche colpo contro un vecchio manichino rattoppato, accostato alla parete, che doveva essere stato usato molte volte. L’arma era splendida, ma soprattutto era di qualità straordinaria e, ciò nonostante, quello che si poteva vedere non era che una parte infinitesimale del suo potere: dopo che l’arma era stata forgiata, Esyllt aveva impiegato ogni singolo giorno ad infonderle capacità arcane.
    Il re fremeva dal desiderio di provarla e non se lo fece ripetere due volte, avventandosi contro il manichino con due sgualembri ed un affondo bene assestati. I suoi movimenti erano rapidi e sicuri; da tempo non era più solo l’esercizio a guidare il braccio, ma l’esperienza accumulata in anni di scontri. Le sue ferite erano sempre guarite in fretta. “Sua madre è una strega” sussurravano le voci alle loro spalle ed Esyllt faceva finta di non sentirle: i saggi la temevano, gli sciocchi, prima o poi sarebbero sprofondati nella torbiera, ma nessuno, in nessun caso, avrebbe sospettato mai che Gavio avesse sangue di drago.
    « Può assorbire la forza dei tuoi avversari e donarla temporaneamente a te » esordì Esyllt mentre Gavio tornava a colpire. Prese a camminargli attorno, osservandolo da diverse angolazioni, come aveva fatto il suo maestro di spada, molti anni prima. « Può intrappolare un piccolo numero di incanti e rivolgerli contro i tuoi avversari a tuo comando » continuò sorridendo dell’espressione del figlio, che si era fermato, volgendo il capo a guardare lei. 
    « L’avete incantata voi? » chiese il re, con un filo di voce.
    « Può attaccare fino a distruggere il tuo avversario... o essere distrutta, anche se il tuo braccio non la sostiene... a patto che tu lo comandi... non esiste arma più affilata ».
    « Come? » chiese Gavio, guardando la lama.
    « Devo legarla a te. A quel punto sarà tua e non obbedirà a nessun altro. In caso contrario sarà un’arma potente, ma lo sarà in  mano a qualunque guerriero » attese qualche istante la sua risposta, poi gli si avvicinò e parlò a voce più bassa « Incuterà timore nei tuoi avversari, sarà fredda come il ghiaccio della nostra terra durante il più rigido degli inverni. Colpirà con la forza del fulmine e... »
    « Quanto del tuo potere hai riversato in quest’arma? » la interruppe lui, abbassando la lama, posandola sul palmo aperto della propria mano.
    « L’inverno è lungo, ho trovato un modo costruttivo per impiegare il tempo, mentre attendevo che tornassi da me ».
    « Cosa devo fare perché sia mia? » chiese lui, allora.



« Cosa devo fare per accrescere il mio potere? » aveva chiesto lei, giovane ed entusiasta, mentre Ynyr sogghignava, compiaciuto dei risultati da lei ottenuti, sotto la sua guida. 
    « Ti darò qualcosa che renderà il tuo potere inesauribile, Esyllt, ma tu cosa mi darai in cambio? » aveva risposto lui, gli occhi neri come carbone che sembravano trapassarla.
    « Che cosa vuoi? » aveva chiesto, sospettosa. L’inverno era quasi finito e avrebbe dovuto fare ritorno a Tara, l’aveva promesso a Grainne e Morwenna, ma, se avesse potuto, sarebbe rimasta sulla montagna con Ynyr. Il cavaliere nero l’aveva sorpresa sulla montagna dopo che le regine della Città di Nebbia l’avevano rimandata in dietro. Troppo in dietro: Esyllt aveva corso attraverso la nebbia, verso casa, era stato il suo unico pensiero. Verso casa. Si era ritrovata vicino al luogo in cui sua madre deponeva le offerte per il drago, la neve era già caduta sulla cima della montagna e il sentiero era scivoloso. Cercando un passo per tornare a Bean Sidhe, era salita più di quanto avesse mai fatto e aveva trovato un riparo per la notte. Una grotta buia e profonda, dove sembrava che il vento non potesse penetrare. Aveva invocato il fuoco magico per rischiarare e scaldarsi e si era addentrata nella montagna.
    Ynyr dormiva. Era grande, nero come la notte, circondato dal ghiaccio eterno. Il suo respiro era lento e regolare. Esyllt lo aveva guardato, paralizzata dalla paura ed era strisciata all’indietro, imboccando un altro sentiero. La montagna era percorsa da decine di cunicoli e gallerie che si aprivano in sale. Le sale più interne erano arredate, c’erano libri, c’era un letto e lei si era fatta vincere dalla stanchezza e dal freddo. Sembrava non ci fosse nessuno.
    Si era svegliata con il peso di un corpo a bloccarla sul letto ed una lama premuta alla gola. Ynyr si era svegliato.
    « Sono l’ultimo della mia specie, Esyllt. Ho volato oltre quelli che tu credi i confini del mondo, ma non ci sono altri draghi » le aveva detto quel giorno, mesi dopo il loro primo incontro. 
    « Oltre i confini? » gli aveva chiesto, affascinata, come sempre, quando lui le parlava, le insegnava. Avrebbe potuto essere la regina della Montagna di Fuoco e non avrebbe mai chiesto niente altro.
        « Il mondo è molto più grande di quanto voi umani crediate » le aveva risposto, gli occhi neri che bruciavano sul volto olivastro, dai tratti duri come se fossero stati scolpiti nel legno. « Ma per quanto sia vasto, non c’è un altro drago ». L’aveva presa tra le braccia, quelle braccia umane, che l’avevano stretta, ormai, tante volte. Non aveva creduto fino a che non aveva visto il cavaliere nero mutarsi nel drago ed il drago nel cavaliere nero. Quello era un potere che lei non avrebbe mai padroneggiato.
    « Non posso darti un drago, Ynyr » gli aveva detto con il cuore stretto.
    « No, ma puoi darmi un re ».




« Il tuo sangue, » rispose « basteranno poche gocce ». Non attese la sua risposta e posò una mano su quella di lui su cui era poggiata la lama. « Questo sangue versato una volta e per sempre » cantilenò, stringendo le dita del figlio sul filo dell’arma. Sul viso di Gavio si dipinse una smorfia, ma non si oppose alla madre, la cui voce andava incupendosi. Parole arcane, in una lingua antica, fecero illuminare la lama, mentre Esyllt muoveva la mano come se stesse accarezzando l’aria con gesti misurati che sembravano disegnare forme astratte nell’aria. 
    Gavio sentì la ferita bruciare, ma la mano della madre, gentile, ma ferma, gli impediva di allentare la presa, il ferro fu percorso da striature rosse, come se stesse assorbendo il sangue che scivolava fino all’elsa. Il rubino si illuminò, mentre Esyllt cantilenava, immersa in una sorta di trance in cui, però, rimaneva cosciente di quanto le stava attorno. « … ecco il tuo padrone... » tornò ad usare la lingua corrente, lo sguardo che tornava a fuoco. « … ecco la tua arma ».
La luce si spense, la regina tacque e lasciò la mano del figlio. La lama non mostrava più traccia  delle scie rosse, ma la pietra incastonata nel pomolo sembrava viva, come quella che la regina portava al collo.
    « Di’ il suo nome » ordinò allora lei, la voce un po’ vibrante, forse per la fatica, forse per l’emozione, allontanandosi di un paio di passi, un sorriso a distenderle le labbra.
    « Ynyr » disse Gavio e la spada s’infiammò con violenza straordinaria, tanto che, per la sorpresa, quasi la lasciò cadere.
    « Non usare questo potere prima di essere disceso dalla montagna. Nessun altro dei poteri che vi ho infuso è visibile, » gli disse lei « quando tornerai a Bean Sidhe, dirai che è il segno che Ynyr ti ha dato ».
    Gavio era rapito dalla vista di quel fuoco e annuì senza distogliere lo sguardo dalla lama.
    Esyllt, intanto, prese il fodero, abbandonato in disparte e glielo porse. « È ora che tu vada » disse infine, cercando di mascherare la sofferenza che la separazione le arrecava.
    « Così presto, madre mia? » Gavio ripose l’arma nel fodero e lo fissò alla cintura. Non si sarebbero visti per un anno e, in un anno, potevano capitare molte cose.
    « Devi andare: non puoi permettere che altri salgano sulla montagna. I tuoi uomini dovranno aspettarti al villaggio, impedendo che altri decidano di seguirti ».
    « Così sia, madre. Vi ringrazio per i vostri consigli e per questo dono ». Gavio le baciò la fronte e la strinse tra le braccia, prima di lasciarla sola, senza farle altre domande.
    Esyllt lo guardò allontanarsi, chiedendosi se l’avrebbe mai rivisto: Ynyr si sarebbe svegliato e sarebbe tornato a volare, ma le nubi si stavano radunando a Sud e, presto, un implacabile nemico avrebbe rivolto lo sguardo su Tara e spettava a lei affrontarlo. A lei e a Ynyr.


« Darti un re? » aveva chiesto, incerta e Ynyr aveva stretto tra le dita i suoi capelli lunghi, color del rame.
    « Perché sposare il figlio di Grainne e regnare con lui, se puoi sposare il vecchio re, liberarti di suo figlio e regnare da sola? » le aveva detto con tono sicuro e così aveva fatto, consapevole che, prima o poi, sarebbe giunto il momento di saldare il debito con le regine della Città di Nebbia
.



Ringrazio tutti i lettori di questa storia, in particolare chi mi ha speso qualche minuto del proprio tempo per commentarla.
Mentre scrivevo le ultime parole di questo capitolo, già immaginavo di scrivere il seguito, quindi, sì, La regina della torbiera avrà un seguito!
Per tenervi informati su questa e sulle altre mie storie, vi do quindi appuntamento sulla mia pagina FB!
A presto! ^^



Questo racconto si è classificato quinto e si è aggiudicato il Premio Giuria nel contest "La Caduta dell'Inverno Boreale" indetto da Deidaradanna93 sul forum di EFP.


          


   
 
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