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Autore: Ysis Donahue    23/02/2015    0 recensioni
Migliaia di anni fa gli Esseri Umani compirono uno spaventoso torto nei confronti delle Creature magiche, ed una di essa giurò di vendicarsi, appellandosi ad una creatura che non avrebbe mai dovuto evocare. Per secoli e secoli questo demone ha atteso di trovare lo strumento adatto alla sua opera di devastazione, e finalmente ci è riuscito: si tratta di una giovane strega molto famosa, senza dubbio la più brillante della sua età. Ma il suo fidanzato si accorge di tutto e, ingoiando l'orgoglio, si rivolge alle due uniche persone che sa possono aiutare la donna che ama. Potrà un diverso Trio di maghi riuscire, ancora una volta, a salvare il mondo?
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Draco Malfoy, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Draco/Hermione
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Inghilterra, 2005

Volendo esprimersi in maniera eufemistica, si poteva dire che Draco Malfoy, quella sera, fosse tremendamente agitato.
Da quelle che oramai erano ore ed ore intere percorreva incessantemente lo spazio non trascurabile del suo laboratorio di pozioni, cambiando e cambiando ancora l’ordine dei tomi e delle pergamene e spostando da uno scaffale all’altro le scorte degli ingredienti. Era incredibilmente stanco e nulla lo avrebbe reso più felice che salire alla sua camera da letto, tre piani più sopra, e stendersi tra le lenzuola, a fianco della sua compagna, ma non osava farlo.
In primo luogo perché il solo pensiero di sdraiarsi ed attendere, anche solo per qualche istante, l’oblio gli era insostenibile e secondariamente perché temeva che neppure la più perfetta ed efficace delle sue pozioni soporifere sarebbe stata abbastanza per fare tacere le voci delle sue ansie e delle sue paure.
Sapeva quel che voleva ed era certo e determinato nella sua decisione, ma ora che il momento era imminente tutte le ansie e le incertezze che aveva combattuto e negato per tre anni di fidanzamento si ribellavano violentemente, tormentandolo senza sosta.
La amava e sapeva di essere amato a sua volta, ma se non fosse bastato?
Se Hermione, portata a rivivere e ricostruire tutta la loro storia e, soprattutto, il loro passato affatto idilliaco avesse infine deciso che, no, erano davvero troppo diversi e che non era certa di riuscire a portare avanti la relazione, che ne sarebbe stato di lui?
Malgrado i lunghi e duri anni di lavoro sulla sua personalità e sul carattere, Draco in quel momento si sentiva nuovamente perfettamente calato nei panni dell’adolescente fondamentalmente pavido che era stato.
La paura del “non ordinario” ed il timore di un rifiuto erano talmente intensi, che quasi desiderava che i suoi genitori, o chi per loro, intervenissero in suo soccorso, come il deus ex machina che erano stati per larga parte della sua vita, e prendessero in mano la situazione, risolvendola a modo loro: uno stabile matrimonio combinato con una rampolla purosangue, che probabilmente non lo avrebbe mai conosciuto o apprezzato davvero ma che sarebbe stata un’impeccabile co-protagonista dell’intera messinscena, una vita lussuosa ed ostentata nel grande maniero di famiglia ed infine dei figli, non più di tre, da formare ed educare sin dal principio nel culto della famiglia e del nome.
E che fine avrebbe fatto Hermione, la brillante, volitiva, testarda e straordinaria Hermione Granger?
Beh, sarebbe dipeso da lei: ovviamente neppure l’influenza, peraltro piuttosto decaduta, o il patrimonio della famiglia Malfoy sarebbe riuscita a farla finire nel dimenticatoio, ma Draco sapeva bene che, a seconda di come lei avesse deciso di giocare le sue carte, suo padre e, soprattutto, sua madre avrebbero potuto favorire incredibilmente o, in caso contrario, rendere quasi impossibile la vita e la carriera futura di Hermione.
Era indubbio, però, che tutte le energie dei suoi sarebbero state spese nell’impedire che loro due potessero in qualche modo incontrarsi nuovamente.
Una vita senza Hermione. Una vita che, per quanto ricca, patinata e, in apparenza, pienamente soddisfacente, non avrebbe mai più potuto avere il sapore ed i colori di quella che si era faticosamente costruito da solo, passo dopo passo, negli otto anni che erano trascorsi dal termine della battaglia di Hogwarts.
No.
Quel sistema era, finalmente, sorpassato, i suoi stessi genitori erano sorpassati e lui era la sola persona in diritto e col dovere di gestire la sua vita.
Non c’era gonna o ala sotto la quale nascondersi, né un valido motivo per farlo.
Il ragazzo sospirò, e rilassò la schiena: la “crisi” era passata, almeno momentaneamente. Ma il pensiero di quella sua natura da pusillanime, sempre in agguato e pronta a farlo cedere alla minima difficoltà, lo faceva impazzire dalla collera.
Senza quasi rendersene conto, il ragazzo afferrò un’ampolla vuota e la scagliò contro il muro con un urlo di rabbia, irritandosi poi ulteriormente per quel puerile scatto di nervi.
“Signorino, state bene? Mi spiace disturbarvi, ma ho udito rumore come di vetri infranti.”
La vocina esitante e sommessa giunse, assieme ad un leggero bussare, da dietro la porta di quercia massiccia che dava sul corridoio.
Con un rapido colpo di bacchetta, Draco ricompose l’oggetto in frammenti e poi si avvicinò alla porta.
“Va tutto bene, Falyse, ho semplicemente urtato il tavolo. Piuttosto, come mai ancora in piedi a quest’ora così tarda? Hermione ha forse bisogno di qualcosa?”
“No, signorino, la signorina Hermione sembra dormire tranquillamente. Ma in vista del suo grande giorno, domani, avevo pensato che sarebbe stato molto carino prepararle dei biscotti speciali, seguendo sia la sua ricetta che il suo metodo. Solo che, in questo caso, la preparazione diventa un po’ più lunga del solito.”
Nonostante le ansie e la stanchezza, Draco sorrise per quella piccola mezza verità.
Quell’elfa domestica aveva iniziato a servire la sua famiglia poco prima che lui nascesse e quindi, fin dall’inizio, era stata lei ad occuparsi di lui e ad accudirlo.
In questo modo, tra i due si era creato un certo rapporto, anche se non un vero e proprio legame affettivo, e Draco aveva imparato a conoscerla bene: mai, neppure sotto tortura, Falyse avrebbe cucinato qualcosa senza fare impiego della magia.
Più probabilmente, invece, l’elfa aveva percepito la sua tensione e deciso di rimanere sveglia a sua volta, in caso di necessità e per fornirgli muto conforto.
Questo esempio di riguardo lo intenerì. “Mi sembra un’ottima idea, sono certo che verranno squisiti ed Hermione li apprezzerà sicuramente moltissimo!”
“Volete che ve ne porti qualcuno, una volta pronti?”
“Vedo che mi conosci sempre.” Rispose il ragazzo, schiudendo la porta.
Dal basso del suo metro scarso di altezza, il visino verde dell’elfa si illuminò di gioia.
“Avete sempre avuto un debole per i biscotti. Ma se non ricordo male vi piacciono appena dorati: sarà il caso che vada a controllare la cottura!”
Falyse si inchinò velocemente, un abitudine talmente antica e ben radicata che neppure Hermione era riuscita ad estirpare totalmente, e scomparve nel buio del corridoio.
Draco rientrò nel suo ufficio e chiuse la porta: si guardò attorno, sconfortato dal disordine che aveva creato durante le travagliate ore di veglia, e dopo una breve esitazione si sedette alla poltrona dietro la scrivania, congiungendo le dita sotto il mento ed osservando il cielo oscuro dalla finestra incantata: la notte era ancora lunga, così come la sua veglia.

Qualche ora dopo, Falyse si materializzava fuori dalla porta della camera da letto padronale, barcollando quasi impercettibilmente sotto il peso del gigantesco vassoio stracolmo che aveva preparato per la prima colazione.
Da dietro la porta proveniva un borbottio incessante e regolare, segno che la fidanzata del signorino era già in piedi e ripeteva le arringhe per il processo.
Con qualche difficoltà, la domestica bussò.
“Buongiorno signorina Hermione, vi ho portato la colazione. Posso entrare?”
L’uscio si schiuse immediatamente e la giovane strega apparve nel vano della porta, vestita per metà.
“Insomma, Falyse, ti ho detto mille e mille volte di darmi del tu!” La rimproverò bonariamente, togliendole poi dalle braccia il pesante carico.
“Quante cose meravigliose hai preparato, non dovevi disturbarti! Anche perché sono nervosa a tal punto che non credo riuscirò a mandare giù un solo boccone!”
Detto ciò posò il vassoio sul letto e fece per afferrare di nuovo le pergamene, ma la manina dell’elfa domestica la bloccò a metà del movimento.
“Signorina, non potete davvero essere più pronta di così, sono mesi che studiate i casi e giorni interi che perfezionate le vostre parti.
Il vostro debutto sarà straordinario, ma solo se non sverrete prima dalla fame! Ieri sera non avete praticamente toccato cibo, quindi sedete e mangiate almeno qualche biscotto, mentre io vi preparo il tea.”
 “E va bene.” Si arrese la strega, sorridendo per il tono autoritario e assieme materno dell’elfa.
Accantonò i foglietti con gli appunti e i discorsi  e sedette sul letto, avvicinandosi il piatto dei biscotti. Ne prese uno e fece per mangiarlo, ma si bloccò.
“Ma questi biscotti… no, non può essere!”
“Li ho preparati apposta per voi, signorina, seguendo la ricetta che mi avete dato tempo fa. Spero che siano venuti bene, al padrone sono piaciuti molto.”
“Io non so che dire, grazie!” La strega la guardava con un grosso sorriso e gli occhi lucidi di gratitudine, e Falyse fu lesta a distogliere lo sguardo, per evitare di mostrarsi commossa a sua volta.
Adorava letteralmente quella ragazza per  la sua intelligenza, la sua dolcezza e soprattutto l’effetto che aveva sul suo signorino ed ogni giorno ringraziava il cielo che lui avesse trovato una simile compagna con cui dividere la vita.
Sin dall’inizio aveva assistito alla vita del padrone e si era quasi rassegnata a vederlo sprofondare nella bambagia preconfezionata e letale in cui l’avevano da sempre avvolto i suoi genitori, ma poi c’era stata la seconda venuta di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato e il ragazzo si era come risvegliato, trovando dentro di sé la forza e il coraggio di dire finalmente “no”, con sua grande gioia.
Aveva temuto, però, che il cambiamento non fosse permanente e che dopo il conflitto ed il delicato periodo della ricostruzione, Draco potesse tornare ai vecchi sistemi.
Per come la vedeva lei, però, l’essersi innamorato di Hermione aveva definitivamente accantonato quella possibilità e anche se talvolta, come la notte appena trascorsa, il suo padrone poteva avere dei momenti di debolezza, Falyse era oramai certa che il ragazzino sciocco, bizzoso, viziato e pusillanime che era stato non sarebbe mai più tornato.
“Forza, il tempo vola! Vi aiuto a sistemare i capelli mentre finite di ripetere.” Esclamò l’elfa domestica, riscuotendosi dai ricordi e concentrandosi sulla padroncina.
In breve Hermione fu vestita ed acconciata di tutto punto e finalmente pronta per uscire.
“Credi che andrà tutto bene?” Domandò ansiosamente la strega, dandosi un’ultima, nervosa, occhiata nello specchio accanto al camino.
“Ma certo che si, padroncina, li incanterete tutti. Siete assolutamente perfetta per questo lavoro e vi siete preparata molto duramente, nulla potrà andare storto.”
“Spero sia così. L’udienza si terrà alle undici, poi tornerò in ufficio, quindi rientrerò alla solita ora.”
“Vi farò trovare la vasca pronta per un bel bagno rilassante. Buona giornata, Signorina.”
“Buona giornata a te, Falyse, e grazie di tutto. Al Ministero della Magia!” Esclamò poi, gettando una manciata di metropolvere nel camino ed entrando nelle fiamme verdi, sparendo subito dopo.
L’elfa domestica si voltò e tornò ai suoi mestieri, non prima di aver sentito un leggero tonfo provenire dalla porta che conduceva al seminterrato.
Sorrise: il suo padroncino poteva essere molto cambiato, ma nel profondo qualcosa in lui sarebbe sempre stato riservato e serpentesco come lo ricordava.


110 a.C. Turchia
 

Sumir saltò il muretto e rimbalzò sulla tenda lacera posta sopra la bottega di uno speziale. Tocco terra pochi istanti dopo e spiccò una corsa indiavolata attraverso i vicoletti della città.
Le guardie del Visir non lo avrebbero acchiappato.
Attese qualche minuto ancora poi, stringendo attraverso la tasca degli ampi pantaloni il Mokassino che conteneva i gioielli appena rubati a palazzo, si confuse con la folla di uomini e donne che percorrevano il mercato mattutino. Si guardò attorno con attenzione e, dopo una rapida ricerca e la certezza di non essere osservato da anima viva, si diresse verso il modesto banchetto di Tegoo, orafo e gioielliere per i più, eminente signore della criminalità cittadina per i ladri come lui.
O ti rivolgevi a lui, o lasciavi la città.
“Un consiglio, maestro, la prego.”
Disse il giovane, utilizzando nonostante la certezza di non essere osservato il solito codice segreto.
Il mercante, un pingue uomo sulla quarantina dai piccoli occhi gelidi, vestito con una semplice tunica rosso sangue molto impolverata e un turbante color crema tutto storto annuì e lo condusse con un gesto fluido della mano verso un lato del banchetto, a prima vista non diverso dagli altri.
Sumir sapeva bene, però, che quell’uomo dall’aspetto innocuo e modesto padroneggiava spaventose arti magiche e che quel lato della bancarella, nello specifico, aveva la straordinaria capacità di celare qualsiasi cosa vi si dicesse o venisse mostrata: molti, redditizi, scambi di tesori erano avvenuti tra i due uomini in quel modo.
“Allora, mio giovane amico, cosa hai portato oggi al buon Tegoo? Un vero bottino, confido, visto il tuo calibro come ladro. Inoltre, i miei uccellini mi hanno riferito che raramente hanno visto le guardie del palazzo tanto agitate e furiose.”
“Lo sarei anche io, se mi fossi fatto rubare da sotto il naso i tesori preferiti del mio padrone.”
Concordò Sumir, vuotando il contenuto della bisaccia sul morbido tessuto del banco.
“Capisco …” rispose il mercante, osservando con occhi scintillanti di gioia i gioielli che il giovane estraeva dal sacchetto di pelle e calcolando il profitto che ne avrebbe tratto.
Quel ragazzo era una vera e propria miniera d’oro, senza dubbio il ladro migliore di tutto il paese: astutissimo ed agile, non c’era oggetto di cui non riuscisse ad appropriarsi e guardiano al quale non riuscisse a fuggire.
E, cosa migliore, non aveva la benché minima traccia di magia in sé, né quindi era in grado di riconoscerla negli oggetti che talvolta rubava.
Certi suoi colpi avevano fruttato al mercante guadagni davvero incalcolabili e gli avevano fatto stringere accordi e patti con stregoni e creature magiche che, senza i tesori e gli amuleti procuratigli da Sumir, non avrebbe mai neppure osato immaginare di poter contattare.
Quel giorno, però, prima ancora di iniziare ad osservare e valutare la merce, il mercante-stregone si sentì scuotere da un brivido di autentico e puro terrore.
Un’aura devastante, letale e potentissima, sembrava propagarsi a spire dalle profondità del contenitore del ragazzo e l’uomo, che aveva ucciso a sangue freddo per profitto più e più volte senza neppure battere ciglio, temette per la prima volta per la sua vita e la sua anima immortale.
Pregò di non dover vedere da cosa fosse prodotta, di non ritrovarsi mai e poi mai tra le grazie o, peggio, disgrazie di quell’essere, ma fu tutto vano.
Per ultima, trionfante nel suo corpo di platino e diamanti, uscì Lei, e catturò sulle scaglie della sua pelle indistruttibile la luce del sole, facendo risplendere nell’aria decine e decine di piccoli arcobaleni.
I suoi occhi rossi dardeggiavano di intelligenza e Sumir si pentì immediatamente di aver rubato senza prestare attenzione a ciò che prendeva: sicuramente il mercante avrebbe preteso quel gioiello di straordinaria bellezza, e a lui si spezzava il cuore a lasciarlo, anche gli avesse fruttato il più ricco dei compensi.
Anzi, a lasciarla.
Sapeva, sentiva, con incredibile certezza, che quell’anello era femmina, per assurdo che fosse.
“Ebbene, maestro? Cosa ti sembra del mio bottino?” Si sforzò di domandare in tono normale, mentre la sua mente e i suoi occhi correvano irresistibilmente al gioiello.
Tegoo sorrise e passò la mano sopra le ricchezze ammonticchiate sul banco, bene attento però a non coinvolgere nel gesto quell’ultimo, terrificante anello a forma di serpente.
“Eccezionale, davvero eccezionale! Credo che mi troverò parecchio alleggerito, oggi, dopo il tuo passaggio. Vediamo… per questa roba posso darti trecento lire turche. Aggiungendo queste collane e i bracciali posso arrivare a mille.
Quanto agli anelli col sigillo della casata, posso comprarteli a settanta lire l’uno, dato che non sono in ottime condizioni e che ci dovrò lavorare parecchio su per riuscire a venderli.”
Mentì disinvoltamente, sapendo che il suo acquirente avrebbe speso non meno di otto volte tanto pur di poterli avere.
“Poi, vediamo cosa ci rimane… ah, si, la pietra del turbante del Visir! Quella, all’incirca, potrà fruttarti ...”
“Non accetterò meno di mille e cento lire, per quella, maestro! É preziosissima.”
“E tanto nota e riconoscibile quanto bella, temo. Dovrò tagliarla più e più volte per avere qualche possibilità di venderla.”
Replicò il mercante con una smorfia contrariata, mentre dentro di sé esultava per l’offerta ridicolmente bassa per quel talismano quasi unico al mondo.
“Ma sono certo che ci riuscirete senza problemi. Mille e cento lire, o non se ne fa nulla.”
“Oh, sia come vuoi, non posso certo rischiare che tu ti rivolga a chissà qualche altro mercante o, peggio, disonesto truffatore! Ecco i tuoi soldi, controllali pure, se desideri.”
Il pesante sacchetto di lino sparì rapidamente nella saccoccia di Mokassino.
“Non credo di averne bisogno, siete sempre stato molto onesto. E in quanto a questo anello, maestro? Non lo volete?”
Sumir si diede dello stupido da solo: sicuramente era stata una dimenticanza, ma ora non aveva più possibilità, si era rovinato con la sua stessa linguaccia avventata.
Sicuramente Tegoo l’avrebbe pretesa per lui, e al maestro non osava rubare, era una persona troppo influente e pericolosa.
Lo avrebbe trovato ovunque, per quanto astuto fosse stato il suo nascondiglio, e lo avrebbe ucciso senza pietà.
Ma forse, Lei, valeva un tale prezzo…
“No, ragazzo, non voglio quell’anello.”
Il suo stupore fu tale che quasi urlò. “Cosa? Perché?”
“Beh, intanto perché è eccessivamente riconoscibile, dovrei smontarlo pezzo per pezzo e, una volta fatto, il solo valore dei materiali di cui è fatto non mi ripagherebbero lo sforzo. Inoltre…” Esitò brevemente e studiò attentamente gli occhi del giovane.
“Inoltre c’è qualcosa che non mi piace affatto, in quel gioiello, qualcosa di profondamente malvagio. Non mi va di averci nulla a che fare e, se posso darti un consiglio disinteressato, sarebbe bene che te ne liberassi pure tu. Ci sono forze e poteri, in questo grande mondo, che sarebbe meglio ignorare.”
Sumir studiò a lungo il volto insolitamente teso ed espressivo del mercante e lesse chiaramente la paura nei suoi occhi.
Ne fu profondamente turbato, tanto più che quella reazione gli sembrava estrema ed esagerata in relazione ad un semplice monile.
Ma poteva tenerla, e questo era quello che contava.
“Lo farò, maestro, la ringrazio per le sue parole.” Fece un breve inchino e si allontanò, sparendo velocemente nel caos del mercato.
Tegoo, finalmente, rilasciò il fiato che non si era accorto di avere trattenuto e rilassò tutto il corpo, scoprendo che muscoli che credeva sepolti da anni nel cibo e nell’inattività ora tremavano e guizzavano per la tensione e la tremenda paura.
“No, non lo farai. Chi mai potrebbe? È un gioiello meraviglioso, fatto apposta per sedurre l’animo degli umani e ha scelto di servirsi di te. Spero solo di sbagliarmi, e che tu possa resistergli.”
Scosse il capo rassegnato e si deterse il sudore dalla fronte con un grosso fazzoletto.
Dall’altra parte del banco una donna attirò debolmente la sua attenzione e lui le andò in contro, sfoderando il suo miglior sorriso da venditore.
Lei, intanto, si era risvegliata ed ora si rivolgeva al giovane ladro con una nenia cantilenante ed ipnotica, prendendo possesso del suo corpo e soprattutto della sua mente, tanto astuta e vivace da averla riscossa dal suo secolare torpore.
“Faremo grandi cose assieme, vedrai! Esaudirò ogni tuo desiderio e capriccio e tu non avrai di che lamentarti nel servirmi.”
Lo rassicurò, materializzandosi attorno al suo dito e sollevando il capo scintillante per parlargli.
Sumir annuì debolmente, elettrizzato ed incredulo, oramai totalmente dimentico del saggio consiglio del mercante.
“Si mia signora. Con quale nome devo rivolgermi a voi?”
“Il mio nome è Esshielt.”


Inghilterra, 2005


Finalmente era finita, ed era stato un vero successo!
Troppo elettrizzata per poter rimanere chiusa a mangiare in ufficio come faceva solitamente, Hermione varcò la soglia del Ministero della Magia e si tuffò nell’orda familiare e caotica che percorreva Diagon Alley in quel meraviglioso pomeriggio di primavera anticipata.
Vagò qua e là per un po’ e si diresse infine verso il Ghirigoro, sua meta sin dal principio. Curiosò per un po’ tra gli scaffali, in cerca di letture di approfondimento e testi che la aiutassero a scrivere due articoli che aveva promesso ad altrettanti giornali e quasi per caso, nella sezione dei libri di seconda mano, si imbatté in un libretto che, una volta aperto, si rivelò una raccolta di pozioni che avevano davvero poco da invidiare a quelle contenute nel “De Potentissimis Potionibus”, che per tanto tempo aveva studiato durante il suo secondo anno ad Hogwarts.
Incuriosita, cercò il nome dell’autore sulla copertina, sulla costa e persino in prima pagina, ma non trovò niente, né nulla che le potesse essere d’aiuto a capire di chi si trattasse.
Si diresse quindi alla cassa, per cercare di risolvere il mistero, e il cassiere, un uomo di colore alto, dall’enorme sorriso e con una gran massa di treccine che gli arrivavano a metà schiena, l’apostrofò con un vivace e fin troppo rumoroso.
“Che piacere vederla nel mio negozio signora Malfoy! Cosa posso fare per lei, oggi?”
Hermione arrossì e gli lanciò un’occhiataccia, sebbene non riuscisse a trattenere un sorriso.
“ Smetterla di gridare potrebbe essere un inizio, Lee Jordan! Non cambierai mai vero?” Domandò, sporgendosi poi a baciarlo sulle guance con un gran sorriso.
L’ex compagno sorrise a sua volta e ricambiò il saluto “ E perché mai dovrei? Senza di me questo posto sarebbe un vero mortorio! Guarda che roba sono costretto a vendere! “Lineamenti teorici di aritmanzia”, “Teoria ed ipotesi dello studio delle fatture mediche”, “Atti completi dei processi alle Creature Magiche, anni 2002/2003”! Non si può sopravvivere a questa roba senza un po’ di allegria qua e là! E questo cos’è?”
 Domandò, accantonando tutti gli altri pesanti volumi per concentrarsi sul libriccino.
“Speravo potessi rispondermi tu, non sono riuscita a trovare il titolo da nessuna parte.”
“Già, ora ricordo, è un libro che ho archiviato io stesso: un nostro fornitore ce lo ha portato assieme a circa sette casse di libri di pozionistica, che ha trovato per caso in una casa abbandonata da anni.
É una raccolta di pozioni decisamente complicate, ma dagli effetti curativi davvero straordinari.
Molto interessante, sebbene io dell’argomento abbia sempre capito poco, come un certo pipistrello untuoso potrebbe certamente testimoniare, se solo fosse ancora in questo mondo.
Lo fascio per il tuo fidanzato?”
Domandò, strizzandogli l’occhio con fare cameratesco.
Hermione annuì: rimproveri in qualità di Prefetto a parte, con Lee si era sempre trovata molto a suo agio, e gli era grata per averla sempre trattata come una persona normale, anche dopo che, oramai quasi quattro anni prima, si era ufficialmente fidanzata con Draco, con tutto quello che ne era derivato, pettegolezzi, maldicenze e teorie improbabili di strani complotti in primis.
Si era sforzata di non darvi molto peso, ben sapendo che quello che aveva scoperto in Draco valeva bene qualche occhiataccia e commento sgradevole, ma era stato confortante vedere che una faccia amica era rimasta tale, anche in quell’occasione sicuramente un po’ insolita.
Lee l’aveva sempre trattata gentilmente, accolta senza commenti, battutine o domande indiscrete all’interno del negozio e le aveva persino indicato l’entrata per un magazzino dei dipendenti oramai quasi in disuso, dove la strega poteva leggere per ore ed ore nella pace più completa.
In quel frangente, la nostalgia per Harry, Ron e la sua famiglia e tutti gli amici e membri dell’Ordine superstiti si era fatta bruciante.
Chi per seguire la propria carriera, chi per ritrovare se stesso, chi per cercare di ricucire strappi e ferite ancora troppo fresche: si erano tutti allontanati per qualche motivo, e ristabilire i contatti e gli antichi legami, ora, sembrava un’impresa quasi impossibile alla strega, che a malincuore aveva rinunciato.
“Ecco a te. Ti faccio recapitare tutto a casa, come al solito?”
“Si, grazie, prendo con me solo quello.” Rispose Hermione, riscuotendosi improvvisamente dai ricordi ed indicando il pacchettino fasciato in carta rossa e dorata.
“Una scelta casuale, immagino.” Disse all’amico, con aria di rimprovero, anche se non riuscì ad impedirsi di sorridere.
“Certo, assolutamente casuale! Perché, c’è forse qualcosa che non va?” Replicò Lee, con un’aria fin troppo innocente, sporgendosi oltre il bancone e baciandola nuovamente sulle guance.
“Passa una buona giornata, Hermione. Perché uno di questi giorni non cerchiamo di organizzare una rimpatriata? É passato davvero troppo tempo dall’ultima volta che ci siamo trovati tutti assieme, e anche in quel caso l’occasione non era delle più felici.”
“Ma certo, mi sembra un’idea favolosa! Mi farebbe proprio piacere rivedere un po’ delle vecchie facce!”
“Allora vedrò di organizzare qualcosa!”
Hermione sorrise ed uscì velocemente dal negozio, prima che al compagno potesse venire in mente di chiederle di sentire l’opinione di Harry, Ginny o Ron a riguardo. Una rapida occhiata all’orologio la convinse a tornare rapidamente al suo ufficio.
La pausa pranzo era appena terminata.

 

70 d.C.  India

La figura incappucciata si muoveva, silenziosissima ed invisibile, attraverso i corridoi semideserti del sontuoso palazzo. La Confraternita aveva prescelto lei tra tutti i discepoli, ritenendola la sola in grado di portare a termine la missione, e non aveva la minima intenzione di fallire.
La ricerca del manufatto era stata lunga e complessa, ma finalmente riteneva di averlo localizzato.
Prima che sorgesse il sole, avrebbe rubato il gioiello maledetto e l’avrebbe affidato ai Sapienti, affinché sigillassero l’empio demone che lo animava da ormai troppo tempo.
Quanto al suo possessore…. Beh, erano passati oramai sedici lunghi anni, ma finalmente Nantima avrebbe potuto vendicare l’orrenda strage della sua famiglia.
Al solo pensiero, un brivido di gioia le carezzò il cuore, ma la giovane si impose di mantenere la calma: aveva sacrificato troppo della sua vita per giungere sino a quel punto, e non avrebbe permesso che il suo momento di trionfo le fosse rovinato da uno scatto emotivo.
Nantima trattenne il fiato ed aguzzò le orecchie, nascondendosi in un’ampia macchia d’ombra: nell’enorme spazio davanti a lei percepiva il respiro, le risate, i sospiri ed i gemiti di non meno di trenta persone, di sesso ed età differente.
Percepire il suono che le interessava non sarebbe stato affatto semplice, ma non per questo si perse d’animo.
Pazientemente e con enorme determinazione, rimase in ascolto a lungo e finalmente individuò la nota che cercava, metallica e raspante come un sibilo. I suoi studi si erano rivelati corretti, e presto la sua sete di vendetta si sarebbe placata.
Senza tradire la minima emozione, la giovane sganciò dalla cintura un sacchettino intrecciato di fibra vegetale e, dopo essersi tappata naso e bocca con un lembo del turbante che la proteggeva e mascherava al contempo, lo aprì.
Al suo interno una polverina azzurra, lucente ed impalpabile, vorticava e si arrotolava su se stessa, come mossa da un vento misterioso. Non appena i lembi della sacca si schiusero, la rena si librò da sola in aria e, intrufolandosi tra gli interstizi delle assi, sotto le porte chiuse e tra le fibre dei ricchi tessuti  appesi a mura ed infissi, riempì tutte le stanze del palazzo, facendo sprofondare in un profondo sonno incantato chiunque si trovasse al suo interno, con la sola ovvia eccezione di Nantima.
La giovane assassina attese qualche istante, poi forzò la porta serrata con un pugnale incantato e si fece largo nel livello più interno dell’edificio.
Dapprima si imbatté in due guardiani armati, dall’aspetto selvaggio e feroce e subito dopo in decine e decine di ragazze bellissime e molto giovani, appena avvolte in sete colorate, costose e striminzite.
Su un gigantesco letto a baldacchino, al centro della stanza, altre giovani donne bellissime e, in mezzo a loro, un ragazzo riccamente vestito.
All’apparenza non poteva avere più di vent’anni, ed un’aria così mite e spensierata che avrebbe convinto chiunque, ma Nantima sapeva che le cose erano molto diverse: stando alle informazioni raccolte nel tempo, l’uomo davanti a lei aveva molti più anni di quelli normalmente concessi agli esseri umani e le mani grondanti del sangue di migliaia di vite innocenti, incluse quelle dei suoi genitori.
Un uomo, Sumir, che di mestiere ufficiale faceva il mercante ma che era anche e soprattutto un famigerato ladro, stregone, assassino e trafficante di praticamente ogni cosa fosse proibita, tanto che, da troppo tempo, rappresentava un pericolo persino per un’organizzazione importante come la Confraternita.
Un nemico scomodo, difficile da affrontare, proprio perché crudele, potente e in grado di manipolare la realtà.
Nantima sapeva di essere stata scelta proprio perché era solo una recluta fra tante, perfettamente sacrificabile, e perché il suo coinvolgimento personale le avrebbe impedito di mollare il lavoro a metà, ma le andava bene comunque.
“Sai, è pericoloso rimanere imbambolati di fronte ad un nemico, anche se stordito. Potrebbe riprendersi.”
Le parole raggiunsero la ragazza assieme al pugnale, ed ebbero sulla sua mente il medesimo effetto della lama sulla sua pelle: dapprima sembrarono sfiorarla appena, gelate, e poi la colpirono violentemente, con un’ondata di calore e dolore.
Nantima alzò gli occhi verso il letto, ma il giovane ovviamente non era più lì; la giovane provò a voltarsi, ma prima che potesse riuscirvi la lama di un coltellaccio apparve poco sopra la sua spalla destra e le percorse la gola, incidendo appena lo strato più superficiale della pelle.
“Credevi davvero che un uomo come me potesse farsi imbrogliare da un trucco misero come quello della polvere soporifera? Evidentemente tu e la tua Confraternita non siete altro che dei novellini.”
“O forse sei tu ad essere troppo sicuro di te stesso.” Nantima recuperò in un istante tutto il proprio raziocinio e fece una finta in avanti, distraendo l’avversario mentre con la mano libera trovava e scagliava con precisione un pugnale avvelenato, mirando alla sua gola.
La lama affondò con precisione nella carne tenera e scura e la giovane esultò interiormente, ma Sumir le cancellò rapidamente il sorriso dalle labbra.
Senza tradire la benché minima emozione, il ladro si sfilò il coltello dalla gola e lo contemplò con distaccato interesse, ignorando persino il copioso rivolo di sangue che fuoriusciva dalla ferita.
“E di cosa dovrei avere paura? Io sono imbattibile!” Le rilanciò l’arma, ma questa volta la giovane era pronta.
Parò il colpo e, con una smorfia di dolore, sguainò la propria sciabola: con quella prima pugnalata inaspettata, Sumir le aveva reso praticamente inutilizzabile il braccio destro, ma Nantima non avrebbe permesso alla ferita di darle il benché minimo svantaggio.
Con un grido si lanciò all’assalto, sperando di cogliere il ladro di sorpresa ma lui evocò in un istante una sciabola oscura e diede battaglia senza la minima esitazione.
Il duello tra i due continuò serrato per moltissimo tempo: Nantima era una combattente più prudente e riflessiva, che giocava molto in difesa e si muoveva parecchio, guizzando qua e là per evitare di rendersi un facile bersaglio; Sumir, al contrario, si limitava a caricare e ad attaccare con forza bruta, senza neppure curarsi di schivare appieno gli assalti della giovane.
Quando le sue ferite diventavano troppe, o troppo gravi, si limitava a sfiorarle con una mano ed esse svanivano all’istante, sicuramente ad opera di un potente incantesimo, che però, stranamente, lo stregone non aveva neppure bisogno di sillabare o pronunciare a mezza voce.
Ciò, unito al fatto che le cure miracolose erano sempre fatte con la mano destra, insospettirono Nantima a tal punto che la ragazza decise di giocare il tutto per tutto sull’intuizione che aveva avuto.
Giocò ancora a lungo con Sumir, celando le sue vere intenzioni, e quando fu certa del fatto che le sue difese fossero concentrate da tutt’altra parte, con uno sforzo estremo passò la sciabola da una mano all’altra e con un fendente preciso spiccò di netto la mano al suo avversario e, per buona misura, gli tagliò la gola.
O, almeno, così sarebbe andata se quella mano non avesse indossato Esshielt.
Con il suo potere, infatti, il demone fece si che la ferita non sanguinasse e che la mano tranciata rimanesse in vita e librata a mezz’aria, ma allo stesso tempo approfittò dell’inaspettata situazione che si era venuta a creare per prendere una decisione che rimandava da molto tempo.
Oramai aveva imparato tutti i trucchi e le astuzie di Sumir, fin nel minimo dettaglio, e dalla maniera in cui il ladro si era affidato totalmente a lei anche durante quell’ultimo, semplice, scontro Esshielt aveva capito aveva oramai estirpato da lui anche la minima scintilla di autonomia.
Non era minimamente interessata a fare la guardia ad un’ospite che non potesse in qualche modo ripagare i suoi servigi, quindi forse era il caso di abbandonare quel corpo e cercare nuovi luoghi da scoprire e cose da apprendere.
Inoltre, da quello che poteva cogliere sondando la sua mente, quella ragazza e il gruppo di cui faceva parte sembravano essere un po’ troppo informati circa la sua natura e la sua esistenza: anche se, per abitudine, durante lo scontro si era resa invisibile con un incantesimo, il demone sapeva bene che se avesse dissolto l’incanto la giovane l’avrebbe vista e riconosciuta per ciò che realmente era, e ciò era un male.
Se sottovalutata, quella situazione rischiava di diventare potenzialmente spinosa, per non dire decisamente problematica. Meglio correre ai ripari sin da subito.
Presa così la sua decisione, Esshielt abbandonò la mano del suo ospite dopo più di due secoli, portandolo alla morte senza il minimo ripensamento.
Il demone si sentì precipitare e toccò terra bruscamente, venendo poi sommersa da un fiume di sangue, che ingerì avidamente prima di mostrarsi.
Ancora incredula per l’inaspettata efficacia del suo attacco Nantima, dopo essersi accertata della morte del suo avversari trapassandogli il cuore con la sciabola, bendò rapidamente le ferite più gravi e si dedicò poi ad osservare, non senza malcelato disgusto, la mano mozzata di Sumir e, soprattutto, il meraviglioso gioiello che vi era improvvisamente comparso sopra.
L’anello si sentì sollevare e sfilare con cautela dalla mano mozzata del suo, oramai precedente, padrone.
 Percepì in maniera chiara e netta l’odore della paura e del disgusto di Nantima, che trattenne il fiato quando vide che la falange dove il serpente aveva trovato rifugio per tanti anni era scarnificata e consumata. L’osso era come bruciacchiato e venato e la scarsa pelle che a tratti lo celava sembrava essere stata sciolta con un qualche acido e si presentava di un’orribile colore giallo infetto.
Non desiderando prolungare neppure per un secondo il contatto con quel mefitico artefatto, la giovane lasciò cadere Esshielt all’interno della sua bisaccia incantata e si concentrò sull’uscire da palazzo prima che qualcuno potesse accorgersi che qualcosa non andava e decidesse di dare l’allarme.
Una semplice bisaccia incantata, però, non era neppure lontanamente in grado di impedire al demone di ottenere le informazioni che desiderava e pianificare un piano che le permettesse di annientare la Confraternita e di continuare ad esistere indisturbata, adescando di volta in volta giovani dalla mente pronta o un’enorme energia magica, in attesa di trovare la creatura speciale, quella che le avrebbe finalmente consentito di realizzare il suo piano.
 

Liberarsi della Confraternita degli Assassini fu semplicissimo, quasi un gioco da ragazzi.
Tra quei tronfi, vanesi ed arroganti guerrieri e sapienti, non ce ne fu neppure uno che si dimostrò in grado di resisterle o darle battaglia e in poche ore la Confraternita venne totalmente cancellata dal mondo e dalla storia.
Dopodiché, Esshielt si avvolse su se stessa e si addormentò, attendendo che la sua aura chiamasse a sé la prossima creatura che si sarebbe dimostrata degna di ospitarla.

   
 
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