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Autore: RedLolly    23/02/2015    4 recensioni
Raccolta di brevi e taglienti racconti incentrati ognuno su uno specifico personaggio della serie, il quale risulterà dilaniato da una particolare malattia mentale. Benvenuti al manicomio.
I- Carne che brucia [Roy Mustang]
II – Cure amorevoli di una ragazza sola [Winry Rockbell]
III – L’uomo triste e la principessa di pezza [Hohenheim]
IV – Il rito [Riza Hawkeye]
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Edward/Winry, Roy/Riza
Note: Lime, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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II – Cure amorevoli di una ragazza sola.

[Winry Rockbell]

 

 

Era sola. Completamente sola.

Tutti si erano congratulati con lei, eppure nessuno le era mai parso realmente accanto. Le persone che la circondavano le erano sembrate lontane, indistinte, estranee.

Winry Rockbell odiava la sua condizione, e malediva il giorno detestabile in cui aveva dato una possibilità ad Edward Elric. Avrebbe dovuto ascoltare quella vocina nascosta che le diceva “Stai facendo una cretinata, stupida che non sei altro!” mentre lei cos’aveva fatto? Aveva ascoltato il suo sciocco cuoricino palpitante e aveva gioito nello scoprire che Ed teneva a lei molto più di quanto si aspettasse. Lui, quel ragazzo testardo, incapace di stare fermo, scapestrato, attaccabrighe, distruttore di automail! Non c’era una persona al mondo che poteva competere con lui nel farla infuriare… Eppure lo amava, lo aveva sempre amato e ammirato, quindi poteva definirsi lei stessa l’artefice della propria rovina.

Winry non poteva non pensarci anche in quel momento, abbandonata stancamente su una sedia in legno scricchiolante al piano di sopra della sua piccola casetta a Resembool, casetta che continuava a dividere con l’anziana nonna Pinako… E da poco, anche con il suo bambino. Quella piccola creatura rugosa e urlante che aveva sgravato nemmeno da un mese.

Almeno una cosa era migliorata, lo ammise tra sé e sé, guardando il tramonto rosato e spruzzato di pagliuzze aranciate: non doveva più sopportare quel peso gravoso nella sua pancia. Gli ultimi mesi della gravidanza erano stati un inferno. Si era sentita goffa, pesante, perennemente sudata, con le caviglie che assomigliavano a due zampogne violacee, incapace di muoversi come avrebbe voluto e di costruire di conseguenza i suoi amati automail. Aveva passato notti insonni in cui non trovava una posizione comoda e si sentiva continuamente soffocare, aveva avuto dei picchi ipertensivi ed era stata terrorizzata dal parto. In parte si era resa conto che il suo malessere era semplicemente una conseguenza delle poche informazioni che aveva ricevuto durante tutta la sua vita riguardo ad un momento così particolare. I suoi genitori erano morti, e Pinako… Era comunque una donna di un’altra generazione, non era in grado di spiegarle in modo dettagliato cosa le stesse succedendo. Non aveva amiche della sua età che aspettassero figli, non aveva nemmeno una suocera amichevole con cui confidarsi, era sola. Lo era sempre stata. 

Tante volte aveva pensato di telefonare a Riza Hawkeye, oppure alla signora Hughes… Ma per dire loro cosa? Che si sentiva gonfiare, che aveva la nausea, che le cedevano le gambe, che aveva paura di partorire? Ogni volta che aveva afferrato la cornetta aveva poi desistito scuotendo la testa. Erano dilemmi stupidi. Pinako le aveva detto che una donna sapeva per istinto cosa fare quando portava una vita in grembo, e Winry si era sentita terribilmente inadeguata. Perché lei non era serena come tutte le madri che aveva conosciuto?

Ancora in quel momento, dopo che quella tortura era terminata, dopo che aveva partorito in quella stessa stanza, sostenuta unicamente dall’anziana e dal medico di Resembool, la sua Anima non era per nulla in pace.

Girando un poco il capo, si guardò allo specchio sulla parete, e vide solo una ragazza. Una bionda ventenne con i tratti da bambina che era dovuta crescere troppo in fretta. Sì, lei e Edward avevano avuto una svista, non sapeva nemmeno bene come fosse successo… Eppure alla fine pareva quasi che l’unica che stesse patendo le conseguenze di quell’imprecisata notte di passione fosse lei. Lui era partito come al solito mesi prima. Non riusciva a stare fermo, era più forte di lui, doveva viaggiare, cercare, sperimentare…  Lui, che si era sempre lamentato di come Hohenheim aveva abbandonato la sua famiglia, pareva comportarsi nello stesso modo con lei, tuttavia non riusciva ad odiarlo. Non ce la faceva.

Winry sospirò, dondolandosi appena contro lo schienale di legno ruvido. Il neonato dormiva in un lettino contro la parete a destra, ne percepiva il respiro lieve e regolare. Aveva sul capo una rada peluria dorata, e somigliava così tanto a suo padre…  Se non fosse stato per il fatto che fosse malato. Chiamava il dottore tutti i giorni, eppure costui non era in grado di dare nessuna spiegazione certa. Le diagnosi erano incerte, talvolta anche fantasiose. Il medico aveva provato ad immaginare qualsiasi cosa, da un occlusione del piloro ad un’infezione gastro-intestinale, da un allergia al latte materno ad un’epatite. Gli esami non confermavano nessuna di queste problematiche.

Quando era venuto al mondo sembrava sano, eppure dopo pochi giorni aveva iniziato a prendere pochissimo peso ed era diventato pallido, smunto. Sì, era stato un errore, eppure non voleva che il piccolo morisse… Era sempre il suo bambino, ed era così spaventata, ma anche fiduciosa che prima o poi sarebbe guarito… Se solo Edward fosse tornato, si sarebbe tutto risolto, ne era sicura.

Quando il telefono squillò Winry saltò sulla sedia, persa com’era nei suoi torbidi pensieri. Scattò in piedi velocemente e si diresse trepidante verso la scrivania, per sollevare la cornetta dell’apparecchio che strepitava. Se il piccolo si fosse svegliato sarebbe stato difficile farlo riaddormentare, e quella piccola creatura indifesa si meritava un po’ di riposo per quell’Inferno che stava passando.

«Pronto.» rispose con voce infastidita.

«Winry, sono Ed! Come stai?»

Le guance di lei si scaldarono imporporendosi. Avrebbe voluto urlare e insultarlo, tuttavia quella volta non ci sarebbe riuscita. Non voleva che le sbattesse in faccia la telefonata, non voleva più essere sola…

«Io… Più o meno… Sono molto stanca… Ed… Ti prego, devi tornare…»

«Sto tornando, Winry! Te l’ho promesso! Come sta il bambino?»

«Come ieri… Ho paura, Ed, per favore… Non voglio che… Che gli succeda qualcosa di brutto… E tu nemmeno l’hai visto, non l’hai preso in braccio neanche una volta, ti prego…»

Aveva le lacrime agli occhi, e Ed non poteva nemmeno vederla. Tutta quella situazione la faceva stare tanto, troppo male, era un maledetto incubo. Ascoltare la voce del suo amato al telefono era uno strazio, così piangeva silenziosa, inerme.

«Winry, calmati. Ancora pochi giorni e arriverò da te, te l’ho detto che sto tornando indietro, ma ci vuole tempo, i treni sono lenti! Davvero, tra tre giorni al massimo sarò arrivato! Tu devi stare tranquilla!»

La faceva facile, Edward. Non era lui quello isolato dal mondo nella sua casetta, in un villaggio delizioso alla vista ma popolato da gente ignorante e irrazionale che non l’aveva minimamente aiutata durante la gravidanza. Non aveva dovuto subire le occhiatacce delle pettegole che sparlavano di quella giovane e avvenente biondina che non aveva saputo tenere chiuse le gambe.

Le brave ragazze sanno utilizzare le precauzioni e l’uomo, si sa, è cacciatore di natura. Queste erano le cose che aveva udito dire alle sue spalle e l’avevano ferita così tanto. Anche Pinako all’inizio si era infuriata con lei e l’aveva riempita d’insulti, ma per fortuna poi le era passata… Era sempre sua nonna, e l’affezione che provava sia per la nipote che per quel ragazzo testardo l’aveva avuta vinta sulla rabbia che aveva provato.

Adesso poi che il bambino era malato un sacco di gente veniva a casa sua a darle un poco di solidarietà, e anche se il modo di fare di certi individui era a dir poco stucchevole, tutto sommato le faceva un po’ di piacere. Anelava al sentire parole confortevoli come un assettato all’acqua nel deserto. 

«Grazie, Ed… Io ti aspetto…»

«Non vedo l’ora di rivederti! Adesso ti lascio o i padroni di quest’albergo mi fanno pagare un sacco di soldi per questa telefonata! Ti voglio bene!»

«Anche io, buona serata…»

Ti voglio bene, certo. Edward non diceva quasi mai di amarla, e non sapeva nemmeno il perché. Questo la confondeva, la inquietava. Era sempre gentile e premuroso, allora perché non confessava liberamente i suoi sentimenti? Si vergognava ancora dopo tutto quel tempo che era passato dal giorno in cui aveva fatto una fatica del Diavolo a chiederle un appuntamento? O forse stava frequentando qualcun altro?

Quella telefonata le lasciò l’amaro in bocca. Riagganciò con un gesto sfibrato la cornetta, per poi dirigersi verso il lettino. Osservò silenziosa il neonato che fortunatamente aveva continuato a riposare, poi lo accarezzò dolcemente su una guancia. Era così piccolo ed indifeso…

Risollevatasi, uscì in punta di piedi dalla stanza e scese al piano di sotto per controllare come fosse la situazione nella casa.

Pinako sedeva incastrata in una poltroncina foderata di stoffa verde, e si scaldava coprendosi le gambe con una pesante coperta tartan. Appena vide giungere la nipote nel modesto salottino, le indirizzò un sorriso sdentato e rugoso.

«Allora, come stai? Non ti sei fatta molto vedere questo pomeriggio, non avevi voglia di mangiare i biscotti che ti avevo preparato per merenda?» le chiese premurosa.

«E’ che il piccolo sta male, nonna, lo sai. Voglio passare tutto il mio tempo con lui, mentre aspetto che Edward torni…»

«Quel mascalzone quando arriva mi sentirà! Possibile che ci metta così tanto tempo? E’ proprio sconsiderato, l’ho sempre detto! Cocciuto e irresponsabile, non come te che sei una ragazza matura! Ti prendi proprio bene cura del piccolino, non l’avrei mai detto! Sei un’ottima madre… Bambina mia, vedrai che andrà tutto bene, e poi ci sono qui io con te! Non ti lascerò certo da sola!»

Winry annuì sedendosi sul pavimento, vicino alla nonna. Le accarezzò lentamente una mano segnata dalle macchie della vecchiaia, scarna e ossuta, per poi darle un delicato bacio affezionato.

Alla fine quel bambino malato non era una sventura così grande. Aveva ovviamente paura che morisse, la cosa l’avrebbe distrutta, eppure sentiva rivolta verso di sé un’attenzione che probabilmente in pochi le avrebbero riservato se fosse andato tutto bene: le persone di Resembool avrebbero continuata ad additarla come una meretrice, Pinako avrebbe continuato a non parlarle e a trattarla male, Edward forse non avrebbe nemmeno voluto tornare. In questo modo invece anche se si sentiva sola, il modo iniziava ad accorgersi di lei e del suo stato d’animo.

«Winry, tesoro, perché non mi porti giù la creaturina? Non posso fare le scale, lo sai… Ma vorrei tenerlo in braccio un po’, così tu puoi riposarti. Ha una faccia stravolta, lasciatelo dire piccola. Metti qualcosa sotto i denti che mi sembri uno scheletrino pure tu, con tutte le energie che gli dedichi.»

«Va bene, nonna, sei molto gentile… Però prima devo dargli da mangiare. Te lo porto subito di sotto appena ho finito!»

La ragazza si rialzò e tornò a piano di sopra velocemente, ormai completamente rasserenata. Quando si sentiva sola poteva sempre contare sull’effetto che il suo figlio malato faceva sugli altri.

Sorrise amabilmente, mentre sollevava con dolcezza il frutto del suo ventre dal lettino, svegliandolo con parole dolci. Il neonato distorse il viso in una smorfia contrariata, e aprì la bocca sdentata per emettere un grido di disappunto.

Winry non ci avrebbe messo molto tempo a dargli da mangiare. Aveva a portata di mano un biberon preparato già dal pomeriggio, con dentro la sua pappa speciale fatta di caffè nero e un po’ di lassativo.

Strinse teneramente al petto il bambino singhiozzante, per trasmettergli un po’ del suo calore.

Sì, era spaventata, ma sarebbe andato tutto bene dopo che Edward sarebbe tornato. Sapeva che loro figlio sarebbe guarito.

 

 

A

 

Sindrome di Münchhausen per procura:

si tratta di un disturbo mentale che affligge perlopiù donne madri,

e le spinge ad arrecare un danno fisico ai figli

(solitamente neonati o comunque piccoli)

per farli credere malati e attirare l'attenzione su di sé.

Il genitore viene così a godere della stima e dell'affetto delle altre persone perché apparentemente si preoccupa della salute dei propri figli.

Quello che stupisce è che queste madri sono straordinariamente cooperative

 e vengono considerate affettuose e amorevoli.

I metodi usati per creare sintomi nei figli sono eterogenei e spesso crudeli,

e le madri affette non provano alcun senso di colpa o rimorso.

 Il ruolo del padre è misterioso e incerto.

Il più delle volte è assente dalla vita familiare,

lasciando sola la moglie nel periodo delicato del puerperio.

  
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