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Autore: RedLolly    06/03/2015    3 recensioni
Raccolta di brevi e taglienti racconti incentrati ognuno su uno specifico personaggio della serie, il quale risulterà dilaniato da una particolare malattia mentale. Benvenuti al manicomio.
I- Carne che brucia [Roy Mustang]
II – Cure amorevoli di una ragazza sola [Winry Rockbell]
III – L’uomo triste e la principessa di pezza [Hohenheim]
IV – Il rito [Riza Hawkeye]
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Edward/Winry, Roy/Riza
Note: Lime, Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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III – L’uomo triste e la principessa di pezza. [Hohenheim]

 

 

Lo studio era tetro. L’unica fonte di luce era una piccola lampada ad olio, che rischiarava la piccola stanza con una luce giallina e tremula.

Hohenheim aveva bisogno di stare in quella stanza con le persiane sbarrate, seduto curvo sulla sua scrivania.

E le sue grandi mani tremavano leggermente, le lacrime colavano sulle sue guance, il suo cuore batteva irrequieto.

Non sapeva che ora fosse, poteva essere anche già calata la notte, non era importante. Le finestre dovevano rimanere oscurate, lui doveva rimanere nascosto, rintanato nella sua tana.

Quella vita era così ingiusta ed intollerabile! Aveva vissuto per centinaia e centinaia di anni, e nel momento in cui gli era parso di trovare finalmente ciò che cercava si era ridotto in quello stato. C’era tensione in lui, il suo sesto senso gli diceva di stare all’erta, perché il Piccolo Uomo nell’Ampolla di certo non si era fermato, non dormiva, lui tramava, ingarbugliava, disfaceva, confondeva le sue tracce, complottava, spostava le sue pedine, ne era certo… E lui cosa faceva invece? Si era lasciato trasportare mollemente dalle acque tranquille e sicure della vita familiare. 

In quei pochi anni in cui si era imposto di rilassarsi non aveva fatto altro che sentirsi in colpa. Paradossale, no?

E le sue grandi mani tremavano leggermente, le lacrime colavano sulle sue guance, il suo cuore batteva irrequieto.

Con la coda dell’occhio era perennemente all’erta in ogni istante: tutti potevano essere dei nemici, il mondo era un luogo ostile, lo aveva imparato a proprie spese, e di anni per apprendere ne aveva avuti fin troppi.

Era tanto tempo che non usciva più dalla casetta di Resembool. Il mondo ormai lo aveva visitato tutto palmo a palmo.

Avvertiva ansia. Perfino il silenzio con cui cercava di circondarsi alla fine era assordante e lo innervosiva in modo terribile. Non esisteva nulla che non lo facesse impazzire di preoccupazione: dal vento al buio, dalla folla al vuoto, dalle risate al pianto. Si sentiva delirare e si isolava, tutto poteva essere una minaccia in quel mondo crudele. Passava così le giornate in quello scuro studio che sapeva di aria stantia, di polvere e di vecchio, proprio come lui.

Non sapeva dire nemmeno da quanto tempo si fosse rifiutato di vedere Trisha, forse erano passate ore, forse addirittura giorni. Gli era evidente di essere un gran codardo, oltre che un incapace.

E le sue grandi mani tremavano leggermente, le lacrime colavano sulle sue guance, il suo cuore batteva irrequieto.

Lei non lo disturbava mai, come se comprendesse a sua volta la gravità della situazione. Era proprio una moglie devota, che provava con tutta sé stessa a compiacerlo e ad aiutarlo… Era straordinaria nella sua infinita semplicità.

Hohenheim una cosa la ammetteva perfettamente: non aveva mai provato un tale sentimento per nessun altro al mondo. Strano a dirsi, si era innamorato proprio di lei, che era così poco appariscente, senza alcun tipo di istruzione, spensierata come se fosse rimasta bambina. Lui, con tutte le conoscenze che aveva acquisito, provava un amore trascendentale e profondo per una donna che aveva difficoltà persino a scrivere una lettera formale, e le cui conoscenze matematiche e scientifiche si fermavano alle quattro operazioni, possibilmente senza numeri decimali.

Quando le aveva confessato la verità sulla sua longeva vita lei aveva sorriso, solo sorriso, quella povera, piccola, ignorante Trisha Elric, Principessa di Pezza nel suo piccolo mondo di polvere…

La verità era che lei non capiva proprio nulla. Per quanto si sforzasse non era in grado di comprendere il pericolo che la circondava da quando lo aveva conosciuto, e Hohenheim prima o poi sarebbe stato costretto a prendere dei provvedimenti. La cosa lo terrorizzava, eppure un giorno avrebbe dovuto andarsene per proteggerla, per non vederla morire. Doveva solo convincersi…

E le sue grandi mani tremavano leggermente, le lacrime colavano sulle sue guance, il suo cuore batteva irrequieto.

L’imponente uomo si asciugò le gote tirando nel frattempo su con il naso, ingoiò lo spesso nodo che gli si era formato in gola e si alzò dalla sedia scricchiolante. Il suo passo era incerto e lento, stanco, come se sentisse sulle spalle il peso di tutti gli anni che aveva vissuto e di tutte le anime che aveva assorbito involontariamente dopo essere stato ingannato. No, non sarebbe più successo, nessuno lo avrebbe più tradito.

Aprì la porta lievemente, permettendo ad una lama di luce artefatta di entrare della stanzetta. Era sera o notte, evidentemente.

«Trisha…»

Il suo richiamo era basso e roco, lamentoso.

«Trisha, dove sei?»  

Avvertì un rumore di passi e aspettò.

La donna arrivò in poco tempo e sul suo viso pallido e insalubre poteva notare un’espressione sollevata e felice. La sua pelle emanava costantemente l’odore tipico e malsano della malattia: odorava lievemente di sudore, di latte e di cavolo.

Povera Principessa degli Stracci, non capiva proprio nulla…

«Finalmente sei uscito da lì… Volevo portarti la cena, ma avevo paura di disturbarti, e così l’ho lasciata in cucina. Ho fatto una minestra di cereali, però sarà diventata fredda, se vuoi mangiare vado a darle una scaldata veloce…»

«Hai chiuso le imposte?»

La sua domanda affettata non la colse nemmeno tanto di sorpresa, era abituata a quel genere di domande.

«Sì, caro, ho chiuso tutto come al solito, stai tranquillo… Non succederà nulla… Non piangere…»

Come faceva ad esserne così sicura? Era evidente che fosse troppo ottimista, Trisha. Ottimista, infantile, bellissima, incolta, malata. Non riusciva ad adirarsi con lei per la sua ingenuità, anche se avrebbe voluto. L’emozione che provava maggiormente era un profondo senso di angoscia e di paura che potesse succederle qualche disgrazia. Il Piccolo Uomo nell’Ampolla conosceva le sue debolezze, sapeva che il suo più grande desiderio era stato quello di avere una famiglia, e ora che era riuscito ad ottenerla viveva nel terrore che quell’infame potesse fare a pezzi tutto ciò che amava.

E le sue grandi mani tremavano leggermente, le lacrime colavano sulle sue guance, il suo cuore batteva irrequieto.

Trisha era meravigliosa come un angelo anche in quel momento. La sua voce era delicata, il suo sorriso delizioso. Non c’era una singola parte di lei che non adorasse, dai suoi capelli al modo impacciato con cui gli chiedeva di aiutarla nelle situazioni più disparate. In quel momento non c’era nulla di più gradevole alla vista della curva dolce del suo ventre carico di vita. Era in attesa del suo bambino, il suo secondo figlio. Come poteva pensare, la povera Trisha, che quella sottile barriera di pelle e tendini potesse essere una protezione sufficiente per lui? Chiunque avrebbe potuto ferirli entrambi, far loro del male, e la malattia già la consumava irrimediabilmente da tempo… Possibile che non se ne rendesse conto da sola, che dovesse pensarci lui?  Era così nervoso e preoccupato… Aveva desiderato quei figli con tutto sé stesso, non poteva perderli… Amava già alla follia anche quello che ancora doveva vedere la luce, nonostante le difficoltà e i pensieri crudeli che continuavano incessantemente a tormentarlo. Amava Edward, il suo primogenito nato circa un anno prima, a dispetto di tutto quello che gli sembrava di percepire: quel bambino così piccolo pareva non essere in alcun modo legato a lui, viveva esclusivamente in simbiosi di sua madre.

«Edward… Sta dormendo?» chiese timidamente ora che gli era venuto in mente il figlio.

«No, sta gattonando per casa, penso che sia giusto che faccia le sue scoperte… Però tra poco lo metto a dormire… Anche io sono molto stanca…» rispose lei sorridendo, prima di pendergli una mano umida di lacrime e di appoggiarla dolcemente sul suo ventre gonfio «Oggi non ha smesso un attimo di scalciare! Ho bisogno di riposare… In più Ed consuma tutte le mie energie.»

«Hai visto che lui con me non ci vuole stare. Non gli piaccio.»

«Ma sei suo padre, non puoi non piacergli! Secondo me devi solo passare più tempo con lui… Non lo prendi mai in braccio, non gli racconti le favole, non lo fai addormentare… Perché non ci provi almeno? Io so che tu lo ami… Però glielo devi dimostrare…»

Povera, piccola, ignorante Trisha.

Hohenheim aveva un figlio che già lo odiava, lo aveva letto nei suoi occhietti dorati  così intelligenti. Non sapeva spiegarsi nemmeno troppo bene come facesse a presagire una cosa del genere, era quella solita maledetta sensazione che non smetteva un attimo di tormentarlo… Eppure nonostante tutto, si era promesso che non avrebbe mai smesso di proteggere il suo piccolo Ed…

Non avrebbe avuto il coraggio di assistere anche alla sua morte, quando questa era la punizione spietata a cui il destino (o forse era meglio dire Il Piccolo Uomo nell’Ampolla?) lo aveva condannato… E ciò lo spaventava, aveva il terrore che gli riempiva l’animo al solo pensare che sarebbe stato inevitabile, e li avrebbe visti spirare tutti quanti. Come avrebbe voluto proteggere i suoi cari anche dalla Morte…

Non poteva fare a meno di pensare che alla fine fosse solamente colpa sua. Con il suo egoismo, con la sua voglia smodata di avere una famiglia, aveva condannato la dolce Trisha e i suoi figli ad una vita difficile e pericolosa.

Sì, era stato uno stupido a lasciarsi trasportare in quel modo dai suoi sentimenti… Per il suo bene non avrebbe mai dovuto dichiararsi durante quella serata estiva, non avrebbe dovuto baciarla, sfiorarla, fare l’amore con lei, permettere a quei bambini infelici di venire al mondo…  Ora era tutto troppo difficile e doveva sbarrare le finestre e chiudersi in quello stupido studio a fare i conti con i propri demoni, mentre nella sua testa i pensieri contrastanti lottavano furiosamente. Voleva rinchiudere sua famiglia nel suo piccolo nido sicuro, eppure sapeva che quell’oppressione avrebbe potuto spezzare il cuore della sua giovane moglie, oltre che il suo fisico già affaticato e cagionevole.

Con questi pensieri in mente si voltò lentamente scostando la sua mano piccola e leggera.

E le sue grandi mani tremavano leggermente, le lacrime colavano sulle sue guance, il suo cuore batteva irrequieto.

«Mi dispiace per tutto questo, Trisha… Io non volevo… Non voglio farti soffrire… Non voglio che Edward mi disprezzi… Tutti a questo mondo mi odiano. Prima o poi lo farai anche tu…»

«Non ti odio, caro… Non potrei mai odiarti…»

Lei sorrideva ignara, cercando di consolarlo.

Lo accompagnò nella stanza appoggiandosi al suo fianco forte, beandosi del suo calore, pronta a confortarlo amandolo ancora una volta, regalandogli il suo corpo nudo e morbido nelle forme.

Trisha Elric era una moglie amorevole e devota al proprio marito.

Hohenheim pianse. Pianse tutto il tempo abbracciato spasmodicamente al corpo fin troppo perfetto di lei, mentre due piccoli occhi dorati ed intelligenti scrutavano le ombre protagoniste di quella scena surreale, che di lì a poco si sarebbe persa nell’oblio della mente di bambino di poco più di un anno.

Hohenheim non se ne accorse mai.

E le sue grandi mani tremavano leggermente, le lacrime colavano sulle sue guance, il suo cuore batteva irrequieto.

 

A

 

Disturbo paranoide di personalità:

è un disturbo di personalità

caratterizzato dalla tendenza persistente ed ingiustificata

a percepire e interpretare le intenzioni, le parole e le azioni degli altri

come malevole, umilianti o minacciose per la propria persona

o per le persone a cui il paranoico vuole bene (figli, genitori, famigliari...).

Il mondo esterno è vissuto come ostile e guardato con diffidenza e sospettosità,

con conseguente predilezione per uno stile di vita solitario.

Tutto questo porta le persone che soffrono di questo disturbo ad avere un atteggiamento ipervigilante (ricercano segnali di minaccia, di falsità e di pericolo).

La sensazione che si vive è quella dolorosa di essere escluso, in quanto non voluto,

di essere emarginato, e  prevarranno ansia, tristezza, senso di solitudine e astenia,con la conseguente tendenza ad isolarsi, a ritirarsi dal mondo.

Gli individui con questo disturbo possono sospettare, senza reali motivi, che il partner sia infedele o gli altri familiari li disprezzino.

La sensazione di minaccia non viene mai considerata come una fantasia o un’ipotesi, ma come un dato di realtà assoluto e certo.

 

 

 

 

 

 

 

  
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