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Autore: roxy92    24/02/2015    4 recensioni
Una serie di misteriosi delitti si stava verificando in diverse aree della Francia. Nessuno sembrava prestarci troppa attenzione: erano vittime invisibili, figli del popolo. Il segno di artigli di un poderoso animale e la sinistra fama di un mostro che si avvicinava a Parigi scandivano i giorni che separavano le uccisioni, perpetrate nelle notti di luna piena.
"Si parla di un lupo mannaro, Oscar."
L'algido comandante ascoltò preoccupata i fatti che Andrè riportava. Si portò il calice di vino alle labbra e ne bevve un sorso. Alla luce del fuoco nel camino, quel liquido parve vischioso come sangue che zampilla da una ferita.
Deglutì a fatica a quel pensiero. Chissà perchè, quando aveva quelle sensazioni, aveva sempre addosso gli occhi di quella nuova cameriera sorda e muta, accolta per pietà.
Chi aveva detto che le sensazioni a pelle nascondono sempre un fondo di verità? Forse, perchè la luna brillava già piena nel cielo scuro e non si sapeva quale misfatto avrebbe illuminato quella notte.
NB: L'OOC è messo solo per sicurezza. E' una delle mie prime fic, abbiate pietà :)
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Un po' tutti
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Il fattaccio era avvenuto in una residenza nobiliare, neppure troppo lontano da versailles. Durante il breve tragitto in carrozza, Oscar era rimasta in silenzio, attenta a non perdere neppure un particolare della conversazione in corso tra il medico che aveva provato a visitare l'aggredito quando ormai era cadavere, l'ufficiale che aveva provato ad ispezionare la stanza del morto e suo padre.

I tre uomini, all'incirca tutti della stessa età, tracciavano il racconto di un'uccisione efferata e veloce, perpetrata da una mano esperta.

Il generale abbozzò un sorriso di scherno, quasi a voler dire che se l'aspettava, nel momento esatto in cui aveva inteso che il tutto si era svolto nel silenzio più assoluto, al punto che gli ospiti che dormivano a pochi metri dal malcapitato non si erano accorti di nulla.

“Modo di agire senza dubbio raffinato per una bestia diabolica.”

Da persona pratica qual era, si era rifiutato di credere facilmente all'ipotesi del fantomatico licantropo e, sotto sotto, era contento della cosa perché significava non esporre a rischi assurdi sua figlia.

Quell'espressione furba, se non fosse stata celata dalla severità dei suoi anni, sarebbe stata identica a quella che illuminava lo sguardo di Oscar e lo faceva infiammare nel pieno esercizio delle sue funzioni. Tuttavia, l'entusiasmo scemò presto.

“Senza ombra di dubbio però l'assassino non era un semplice essere umano: ha dilaniato un uomo con un solo colpo. Nessuno possiede una forza simile e neppure quegli artigli”

Ad aver parlato era stato il medico. Era un uomo magro, dai lineamenti affilati. La sua voce asciutta era quella che si era sentita meno. Tuttavia, la calma della sua serietà lo mostrava come il più sicuro degli altri nelle proprie affermazioni.

Negli occhi di Oscar era balenata una luce scura: l'immagine di una mano ornata di unghie appuntite e di una certa persona a cui apparteneva. Non poteva tacere la domanda.

“Che intendete per artigli?”

Il medico aveva rovistato per un secondo in una tasca della giacca di velluto nero. Aveva estratto un foglio piegato in quattro che le aveva porto. Mentre la giovane lo apriva, il medico spiegò che aveva cercato di ottenere la forma della presunta mano dell'omicida sulla base dell'impronta della ferita.

Le guance della bionda scolorino a quella vista: somigliava tanto alla mano di Angelique.

Ignorato, Andrè aveva deglutito. Non gli era sfuggito un solo microscopico istante dei diversi stati d'animo della donna che amava. Per trarla d'impaccio, provò a far notare che quegli artigli disegnati non sembravano poi così lunghi.

Il medico, stizzito, aveva allora riposto in tasca il suo schizzo.

“Affermo che sono artigli non molto lunghi...”

Precisò l'uomo.

“... ma a giudicare dal modo netto in cui hanno reciso pelle e muscoli sotto la ferita, sono sicuro che siano taglienti come le migliori lame.”

L'altro ufficiale rise anche lui. Per quanto gli riguardava, su quel foglio poteva essere disegnato tutto, fuorchè la zampa di un lupo mannaro.

 

 

In realtà, solo l'ufficiale era certo che l'assassino fosse un uomo, al massimo un soldato o un mercenario molto ben addestrato.

 

Non appena entrarono nella casa del misfatto, il puzzo ferrigno del sangua rappreso investì le loro narici. Alla luce dolce del pomeriggio la carnagione del medico sembrava ancora più chiara mentre elencava, uno ad uno, i conti che non gli tornavano. Il taglio alla giugulare troppo netto, l'angolazione, l'altezza a cui era stato vibrato il colpo. Secondo lui, l'assassino era un uomo massiccio e potente. La definizione di gigante sfuggì almeno due volte alle sue labbra e, se per gli uomini di casa Jarjaeys si era trattata solo di una coincidenza che si dicesse lo stesso di Angelique, le gote di Oscar erano impallidite. A poco erano valse le battute sarcastiche dell'altro ufficiale e Andrè si era fatto più vicino all'amica. Attento come sempre, aveva notato subito l'imbarazzo in cui Oscar si trovava. Non visto, le poggiò la mano sulla spalla e le chiese se se la sentisse di continuare.

Oscar era un soldato: aveva incontrato la morte tante volte e aveva conosciuto la vista straziante delle sue vittime. Eppure, quella volta era inquieta. Non aveva smesso un attimo di fissare quel cadavere e i pizzi scomposti che ricadevano flaccidi sulla stoffa lavorata che lo copriva.

Il povero conte era ricco e i pregiati capi di vestiario, gli arazzi, gli oggetti finemente lavorati, neppure tutti i suoi averi erano riusciti a salvarlo da quella fine atroce.

“Sicuri non manchi nulla da casa? Non è stato trafugato niente?”

Pratico, il generale non dimenticava di battere ogni pista.

“No. Ogni cosa è esattamente nel posto che dovrebbe.”

L'uomo si era girato su se stesso per osservare la stanza a trecentosessanta gradi e non gli era parsa diversa da qualsiasi camera da letto che fosse abituato a conoscere.

“Nessuno ha sentito o visto nulla di strano, né familiari, né servitù?”

Il medico confermò e il generale borbottò qualcosa fra sé. Per lui, qualcuno doveva sapere qualcosa. Nella sua mente, si era formata la chiara idea di un complice.

Fu però al calar del sole, quando le dita rosse del tramonto carezzarono i vetri sporchi della grande finestra che illuminava il letto a baldacchino, che Oscar notò un barluginare sul marmo lavorato del pavimento davanti al balcone. Si inchinò e raccolse un unico pezzo di vetro. All'altezza della sua testa osservò il piccolo buco vicino la maniglia. I contorni del foro e quelli del tassello che reggeva tra le dita combaciavano perfettamente. Istintivamente, provò ad inserire la tessera nel foro ma le sue dita rimasero ferme a mezz'aria. L'immagine che vide trasparire le mozzò il respiro in gola.

Senza curarsi dei presenti, si alzò di scatto ed aprì la finestra. Arrivata sul balcone, poggiò una mano sul parapetto, l'altro pugno vibrava chiuso in aria. Urlava a qualcuno nascosto tra i cesugli del boschetto di venire fuori allo scoperto. A risponderle fu solo il frusciare del vento tra le foglie e il braccio di Andrè sulla sua spalla.

“Chi hai visto Oscar?”

Davvero, la ragazza le era sembrata spiritata e fuori di se. Oscar aveva farfugliato di un paio d'occhi scuri e lucenti che la fissavano e voleva sapere di chi si trattasse. Era scesa di sotto in fretta e non erano riusciti a fermarla.

Andrè, preoccupato per l'amica, aveva guardato nello stesso punto di Oscar e, per il brevissimo arco di un istante, ebbe l'impressione che lei avesse ragione. Si sentì spiato da due occhi intelligenti e scuri come opale. Sbattè le palpebre e quello sguardo non c'era più. Il cuore che gli martellava in petto, però, era tremendamente reale.

Furono presi in giro entrambi dagli uomini d'armi del gruppo e per il viaggio di ritorno restarono in silenzio. Nel loro cuore, ormai, si agitava la stessa strisciante inquietudine.

 

 

“Sembravano gli occhi di Angelique!”

Per la quarta volta, Oscar ripeteva percorreva il lato lungo della stanza, sragionando di cose assurde.

“Eravamo soli. Hai preso un abbaglio. In quel giardino non c'era nessuno.”

Cercava di convincere lei ma, in realtà, faceva fatica anche con se stesso.

Si ritrovò all'improvviso l'amica che lo fissava diretto in viso, le mani appoggiate ai braccioli della sua poltrona e lo sguardo deciso. Deglutì. Erano ben diversi dal licantropo i suoi pensieri, in quel momento.

“Sai benissimo che ho ragione.”

La sicurezza di quell'affermazione lo riportò alla realtà. Doveva esserci un minimo di verità in quella convinzione. Oscar non era una sciocca.

Il moro si grattò la testa e si tirò indietro, poggiando tutto il busto sullo schienale, mentre l'amica ricominciava il suo peregrinare tra le quattro mura di quella stanza.

“In ogni caso, Angelique non poteva essere: è rimasta tutto il giorno a casa, a fianco di mia nonna. Non è stata persa di vista per un attimo.”

Ad ogni modo, quell'affermazione doveva aver smorzato lo spirito battagliero dell'amica. La vide sedersi, finalmente, e scaldarsi alle fiamme del camino.

Oscar sembrava spossata dopo una lunga battaglia. Si allungò per prendere il suo calice di vino rosso. Ne bevve solo un sorso e il sguardo si illuminò di nuovo.

“Se non era Angelique, allora era qualcuno che le somigliava: uno come lei.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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