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Autore: Synapsis    25/02/2015    4 recensioni
//Storia momentaneamente sospesa//
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[...]Qui nessuno conosce veramente come stanno le cose. Tutto è severamente top secret. Le uniche informazioni a cui possiamo attingere sono quelle piccole indiscrezioni sfuggite dalle bocche degli inservienti (davvero troppo poco), e forse qualche scritta intagliata sotto un vecchio banco di scuola... ma puntualmente, anche a un solo, piccolo, lieve accenno al passato, la curiosità si accende con uno schiocco.
Io come ho già detto sono curioso, molto curioso, ma la mia curiosità non si ciba con la mera fantasia. Io cerco le fonti, sono un tipo pragmatico e – consentimi- anche piuttosto bravo nel trovare ciò che cerco. Per questo mi sono dato da fare in questi ultimi mesi e ho deciso di svelare la verità e lo farò su questi fogli sgualciti. Forse ti aiuteranno ad avere meno paura, o forse la incrementeranno ancora di più, chi può dirlo: questo spetta alla sensibilità di ciascuno.
Ebbene, mio affezionato lettore, ora ti chiedo:
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Quanto sai della prima generazione?
Genere: Introspettivo, Mistero, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alternate (A della Wammy's House), Altri personaggi, Beyond Birthday
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Winchester, 2027.



Tenevo ancora tra le mani la lettera ingiallita dall'agire del tempo e con un'espressione interdetta me la rigiravo tra le mani con estrema cautela, come per confermare che quel foglio non era frutto della mia immaginazione, che era reale e che quindi, così com'è apparso, non poteva scomparire.

Senza staccare gli occhi dalla mia sorprendente scoperta, mi avvicinai al davanzale del balconcino che occupava il lato opposto alla porta d'ingresso della stanza, in cerca di uno spiraglio di luce che potesse rendermi più agevole la rilettura.


"È incredibile, davvero incredibile", continuavo a ripetermi come un mantra. Non avrei mai potuto immaginare di trovare una cosa simile lì dentro, forse il soggiorno in quella stanza sarebbe stata più interessante del previsto.


Staccando gli occhi dal foglio, guardai di fronte a me e fissai un punto indefinito della stanza.

Il mio cervello si mise in moto e iniziai a ripassare mentalmente tutto ciò che era accaduto negli ultimi giorni, fino a ciò che era avvenuto giusto qualche minuto prima del ritrovamento della stranissima missiva.

Era successo tutto così velocemente...

Fino al giorno precedente mi trovavo nella mia stanza e magari, considerando l'ora, stavo facendo i miei compiti in santa pace. Ora, invece, ero in quella stanza fredda e buia.


Sì, quella in cui mi trovavo non era la mia stanza, ma da da quel momento in poi lo sarebbe stata. La mia cara e vecchia stanzetta che mi era stata affidata da quando avevo messo piede al Wammy's House, era "momentaneamente inaccessibile per cause maggiori".

Cercando di ignorare il gusto catastrofico che si nascondeva dietro le parole "per cause maggiori" (il nostro direttore è sempre stato un tipo particolarmente pomposo), questo era ciò che recitava l'avviso affisso sulle porte della stanza mia e di Zach (il mio coinquilino) e di altri due ragazzi che, come noi, si erano ritrovati sfrattati. Le cosiddette “cause maggiori”, altre non erano che delle infiltrazioni d'acqua provenienti dal soffitto, delle fastidiosissime infiltrazioni che ormai si protraevano da qualche mese.

Al sol pensiero, mi innervosivo di nuovo. Gli ambienti del Wammy's erano molto vecchi, ma certi problemi potrebbero essere evitati se solo si usasse più manutenzione!

Il direttore -dopo giorni e giorni dalla nostra segnalazione-, ci aveva finalmente concesso la grazia ponendo fine alle nostre sofferenze (giusto per usare un tono alla sua pari), in altre parole ci aveva assicurato che l'inconveniente sarebbe stato risolto al più presto e che nel frattempo avremmo potuto occupare altre camere.

Ero soddisfatto: finalmente avremmo potuto dire addio alle bacinelle disseminate sul pavimento per raccogliere le goccioline che altrimenti avrebbero formato un bel laghetto sul parquet, alle lenzuola umide e al doversi svegliare il mattino dopo con anche i capelli bagnati.

Ma forse avevo cantato vittoria troppo presto.

Il giorno seguente, io e i miei compagni fummo riuniti nello studio del vicedirettore che ci informò candidamente che le nostre nuove stanze erano state preparate nell'ala ovest dell'edificio. Alla notizia, io e gli altri ci guardammo tutti sorpresi, perché nessuno di noi aveva preso in conto la prospettiva di un trasferimento proprio in quella sezione.

La motivazione era semplice: l'ala ovest dell'orfanotrofio era ormai disabitata da tempo, anzi, per quanto ne sapevo nessuno ci era mai stato.

Non mi andava dunque di stare in un luogo del tutto isolato, anche se per poco, e la cosa a quanto sembrava valeva per gli altri.

Ma le scelte del Vecchio erano sacrosante: le lamentele non avrebbero sortito alcun effetto sulla sua testa dura e lucida che tanto lo faceva assomigliare ai dorsi dei suoi scarafaggi imbalsamati ed esposti nelle teche del suo ufficio, ergo lamentarsi sarebbe stato solo uno spreco di fiato. E anche l'aver affidato il compito di avvertirci al suo vice era nel suo stile, a volte penso che odi prendersi delle responsabilità e che quindi trovi più comodo passare l'onere ai suoi dipendenti.

Ad ogni modo, il trasferimento sarebbe avvenuto nel primo pomeriggio, quindi senza fare troppe storie, ritornammo nelle nostre camere (ancora per poco) per fare i bagagli.

Dopo pranzo, ci avviammo verso la nostra nuova postazione, trascinando malvolentieri le nostre valigie sul prato all'inglese del giardino. L'ala ovest era accessibile solo dall'esterno, perché il portone che la collega all'altra parte della struttura dall'interno era inagibile (un'altra definizione piuttosto vaga del direttore per dire che non esisteva più la chiave per aprirlo).

Immaginavo tutti i bambini affacciati alle loro finestre che seguivano con gli occhietti vispi la nostra piccola processione e risi al pensiero.

Dovevamo essere proprio comici.

Io stavo in capo al gruppetto, dietro il signor Toby –il portiere- che con la sua camminata oscillante faceva tintinnare il mazzo di chiavi che teneva in mano. Stavo sulle mie, troppo preso dai miei pensieri scanditi dal suono delle chiavi e dalle voci degli altri ragazzi alle mie spalle che parlottavano tra loro.



«Ehi ragazzi, ho sentito dire che questo posto è infestato dai fantasmi!» disse Path con voce tremolante.


«Path, smettila di fare il frignone. Non crederai davvero a queste sciocchezze?» rispose R che camminava al suo fianco.


«Ma Rank non sono sciocchezze, è tutto vero! H mi ha detto di averne visto uno con i suoi occhi una volta! Mi ha anche raccontato come è successo».


«Sentiamo, cosa ti ha detto quel bugiardo?» si intromise Zach avvicinandosi ai due.


«Andiamo Zach, non iniziare anche tu adesso! Lo sai che Path è suggestionabile in queste cose e H, sapendolo, ne avrà approfittato raccontandogli una balla!»


«Sono solo curioso, R. Dai Path, racconta!»



Rank lanciò un'occhiata in tralice al compagno, ma Path aveva già iniziato a parlare e non poté accorgersene.



«Era una notte d'estate, ed essendo scoppiato un violento temporale estivo, H si avvicinò alla finestra lasciata aperta per richiuderla. Dal punto in cui è posta la sua camera, si vede chiaramente il lato ovest e da una delle finestre... ha visto una persona affacciata che lo fissava! Non riuscì a coglierne le fattezze perché era troppo buio e troppo lontano, ma era una figura pallida e sfocata. Era un fantasma! Cos'altro poteva essere altrimenti a quell'ora della notte, con quel tempaccio, in un luogo risaputo essere disabitato?»


«Tutto qui?» disse Rank alzando un sopracciglio biondo.


«Certo che non è il tuo forte raccontare delle storie, Path...»


«Sta zitto, Zach, quel che conta è il messaggio che Rank sembra non aver colto! Non so se ti è chiaro Rank, ma Hope ha detto di aver visto un essere tutto bianco che lo fissava in modo inquietante da una finestra che appartiene a un luogo da decenni disabitato, per inciso lo stesso luogo dove noi dovremmo vivere per i prossimi trenta giorni! Oh già, forse non è abbastanza spaventoso per il signorino!»



Rank sbuffò sonoramente e con tono di sufficienza rispose al discorso concitato del compagno. Non potevo fare a meno di chiedermi come facevano a sopportarsi a vicenda, visto che i due condividevano da anni la stessa camera. Deve essere stato davvero stressante.



«L'ala ovest è una normalissima ala del Wammy's House, come tutte le altre. È solo deserta tutto qui. Ma già basta questo piccolo particolare per far scatenare le più assurde fantasie! Io ho visto più volte Roger salire fin lassù, forse per controlli. Lo sanno tutti che questo posto è una topaia, e non lo dico per modo di dire. Capisco che è un vecchio decrepito con un piede in terra e uno nella fossa, ma sinceramente non vedo nulla di sovrannaturale o fantasmagorico in lui!» e con una fragorosa risata concluse il suo discorso.



Zach accompagnò la risata di Rank con frasi del tipo "ben detto!", "hai ragione!", “un vecchio decrepito, sì”, e il povero Path, vedendosi contraddetto, chiuse la bocca e si avvicinò a me.



«Tu almeno mi credi?» mi chiese lamentoso Path.



Sussultai leggermente, ridestandomi dallo stato catatonico in cui ero sprofondato: non credevo che P avrebbe chiesto un mio parere. Ad essere sincero, mi trovavo d'accordo con Rank, ma a differenza sua avrei utilizzato un tono più cordiale per spiegare le mie ragioni. Path era pallido in viso, quindi cercai di essere il più gentile possibile e di tranquillizzarlo.



«A dire il vero, non credo che ci siano dei fantasmi nell'ala ovest, Path. Sono solo dicerie. È più probabile trovare dei topi nel letto piuttosto!» e la buttai sul ridere.



Path rise insieme, anche se non sembrava molto convinto.



«Mmh, già! Forse avete ragione voi, ragazzi...»


«Sbrigatevi voi tutti! Tra due ore avete il corso pomeridiano di latino e se non fate in fretta non avrete neanche il tempo per sistemarvi!», gridò il signor Toby richiamando la nostra attenzione.


Arrivati davanti l'ingresso, il signor Toby ci lasciò alle cure amorevoli della signora Agnes che ci diede delle indicazioni e distribuì a ciascuno la chiave della propria stanza.

Dunque ognuno avrebbe avuto una stanza tutta per sé e non appena Agnes mise sul palmo della mano di Rank la sua chiave, un largo sorriso gli spuntò in viso.

Anche io ero felice, finalmente avrei provato cosa significava avere una stanza tutta propria.

Mi ero abituato alla presenza di Zach, ma in certi momenti avrei tanto voluto avere la mia privacy, così vidi la situazione che la sorte ci aveva riservato da un punto di vista decisamente più positivo. Dimenticai per un istante tutte le mie preoccupazioni e salii le scale. Anche gli altri fecero lo stesso non vedendo l'ora di entrare nelle loro nuove stanze; tutti tranne Path che continuava a guardarsi attorno con circospezione.


Il corridoio dell'ala ovest era più piccolo di quanto credessi. Vi erano solo sei stanze, una difronte all'altra. Il legno scuro delle porte, con il colore smunto dei muri incrostati di muffa, gli conferivano un aspetto un po' cupo, ma bastava aprire di più la finestra a ghigliottina che stava in fondo per migliorare la situazione.



«Bene ragazzi, eccoci qui. Sulla chiave è scritto il numero della vostra stanza, basta confrontarlo con la targhetta che vi è sopra la serratura. Io starò con voi per tutta la durata del soggiorno e alloggerò in un'altra di queste stanze, così se avete bisogno di qualcosa fate un colpo! Ora vi lascio sistemarvi tranquillamente, tornerò tra due ore per aprirvi il portone principale. A tal proposito, questa è un'altra indicazione datami dal direttore in persona: la porta d'ingresso, per ragioni di sicurezza, resterà chiusa in mia assenza. Ma non preoccupatevi, cercherò di mancare il meno possibile e se ciò accadrà, sarà solo durante le lezioni, quando voi non siete nel dormitorio. Tutto chiaro?»


Io e gli altri annuimmo silenziosamente.



«Bene, il direttore mi ha chiesto di andare da lui, per cui adesso vi lascio. Tra due ore vengo ad aprirvi. Fatevi trovare pronti, sapete quanto Roger odi i ritardi!»



Agnes scomparve dalla nostra vista e non appena sentimmo la porta sbattere con un tonfo, girammo le chiavi nelle serrature che scattarono con uno scricchiolio ed entrammo nelle rispettive camere.

Mi chiusi la porta alle spalle e trattenni il respiro per tre secondi.

La finestra della mia stanza era stata aperta, il letto era stato preparato e sulla scrivania risiedeva una torre di asciugamani. Nonostante ciò, era evidente che essa era in disuso ormai da tanto tempo. Dopo aver posato la valigia sul materasso, camminai avanti e indietro contando i miei passi per constatare quanto fosse grande: il numero dei passi era maggiore rispetto a quelli che avevo contato nella mia ex- stanza: questo significava che la mia nuova stanza era più spaziosa della precedente.


Perfetto, oltre ad essere tutta per me, è anche più grande”, pensai.


Dopo questo controllo, mi riavvicinai al letto e aprii la zip della mia valigia. Posi tutte le magliette ben ripiegate nei cassettoni dell'armadio in legno antiquato e poi sistemai anche i pantaloni e le camicie, stavolta appendendoli nelle grucce in dotazione.

C'era un silenzio di tomba e sapevo che sarebbe stato sempre così da ora in poi. Mi ero abituato allo scalpiccio continuo degli altri bambini, e non sentirlo più rendeva il silenzio ancora più pesante se possibile.


Una volta che ebbi finito di sistemarmi, con rassegnazione capii che oltre al silenzio, un'altra mia nuova compagna sarebbe stata la noia. Nella stanza non c'era neanche il computer, nessun libro, niente di niente. Non avevo atteso mai con così tanta impazienza il corso pomeridiano di latino, il ché mi fece preoccupare.

Decisi di dare un'altra occhiata alla stanza, giusto per farmela piacere un po' di più.

Non era molto bella, forse per via del mobilio ormai vecchio e fuori moda. Sembrava risalire agli anni cinquanta del novecento, erano in legno massiccio, dello stesso colore scuro delle porte. Accarezzai con una mano la scrivania, avvertendo la cera passata da poco. Poi il mio sguardo fu catturato da una poltroncina di un orribile giallo canarino addossata al muro, accanto la finestra.


Chissà da quanto tempo sta ferma là”, pensai.


La afferrai dai braccioli e dopo averla posizionata alla bell'e meglio sotto il cono di luce proveniente dalla finestra, ci sprofondai pesantemente. Al mio gesto, il cuscino tossì una nuvoletta di polvere che mi pizzicò il naso e mi costrinse a chiudere gli occhi.

Non appena li riaprii, centinaia di particelle di pulviscolo mi danzarono tutt'attorno, e illuminati dalla luce dorata del pomeriggio, giuro di aver pensato che erano quasi "carini".

Ma la realtà è che la polvere mi aveva sempre fatto... schifo. Non sono un maniaco dell'ordine, ne della pulizia, ma la polvere non l'ho mai tollerata, e sapere che essa gironzola indisturbata sulle nostre teste mi ha sempre messo su una certa apprensione.

Forse sembrerà esagerato, ma se qualcuno mi avesse chiesto qual era la mia paura più grande, io avrei risposto: " La polvere!".

O almeno, se me lo avessero chiesto da bambino, avrei risposto in quel modo. Infatti da piccolo ho pure immaginato che di notte tutta la polvere che abitava nella casa si riunisse, e che per vendicarsi dell'ammazzapolvere (aspirapolvere) di mamma, ci avrebbe soffocati tutti -a me e ai miei genitori- tappandoci naso e bocca. Allora io mi raggomitolavo sotto le coperte credendo che in questo modo non mi avrebbe potuto raggiungere.

Quando i miei genitori morirono, inizialmente ero convinto che fosse stata proprio la polvere ad ucciderli. Adesso al sol pensiero mi veniva da ridere, ma ero davvero troppo piccolo per poter sapere quale fosse la verità. Quando si è piccini un dolore così grande non può essere capito ne svelato.

Così ad uccidere i miei genitori non fu quel terribile deragliamento del treno che avrebbe dovuto condurli a lavoro, ma il mostro della polvere.

È questo che fanno i bambini, prendono il dolore, lo maneggiano trasformandolo in un gioco, gli danno una maschera dalle fattezze grottesche, gli danno un volto per renderlo famigliare.

Il volto della polvere ha lo stesso volto di mia madre, poiché l'unico suo ricordo che mi era rimasto era proprio lei intenta a passare l'ammazzapolvere sul tappeto del salotto di casa nostra. Se pensavo alla polvere pensavo a mia madre, se pensavo a mia madre pensavo alla polvere: erano diventate una cosa sola. E anche quella volta non potei far altro che ridere, era così tragicomico.


Comunque, tornando a me sulla poltrona.

Scossi la testa con disappunto e mi rialzai. Non avrei potuto utilizzare quella poltrona così polverosa, non con quel cuscino infernale. Dunque lo tolsi con l'intenzione di portarlo in lavanderia.


Ed è a questo punto che avvenne la scoperta.


Guardai il fondo, dove prima stava adagiato il cuscino, e notai qualcosa di strano. Niente di che in realtà, un particolare così minuscolo che forse a qualcun altro sarebbe sfuggito, ma io ero famoso in quella casa per avere una vista d'aquila.

Vi era un piccolo spago che fuoriusciva da un angolo interno del fondo.

Era davvero piccolo, tanto che mi risultò difficile afferrarlo tra il pollice e l'indice. Lo tirai leggermente e mi venne un colpo quando vidi il fondo muoversi leggermente. Tirai più forte e pian piano riuscii a sollevarlo del tutto.


«Che mi venga un colpo, un nascondiglio!» esclamai eccitato.


Mi tappai la bocca con entrambe le mani, sperando che nessuno mi avesse sentito. Nessuno venne a bussare alla porta, così infilai la mano nel profondo vano.

Le mie dita si richiusero su un oggetto quadrato e morbido, tirai su il braccio e alla mia vista spuntò un malloppo di fogli.

I fogli erano tenuti stretti tra loro attraverso un nastro blu e io, dopo aver sciolto il nodo, presi il primo dei tanti foglietti: la famosa lettera.


Ritornai alla realtà: rilessi la lettera per la terza volta, mentre la consistenza liscia del foglio accarezzava i miei polpastrelli che lasciavano una scia trasparente su ogni riga, quasi per imprimere al meglio ogni singola parola. La grafia del mio interlocutore era sconnessa e in certi tratti illeggibile, insomma era una di quelle grafie né belle da vedersi né da leggersi. Ma anche le grafie più brutte possono essere portatrici di preziose informazioni: è questo il bello della scrittura, essa non ha pregiudizi.

Comunque, giusto per restare in tema, anche il mio interlocutore parlava di paura e se questo sentimento era legato al Wammy's House, la cosa mi incuriosiva parecchio.


Sì, anche io sono un tipo curioso.


Il mio dito continuva a scivolare sulla carta, e quando giunse per l'ennesima volta sulla domanda finale, un brivido di emozione mi attraversò.


Quanto sai della prima generazione?


In realtà, non sapevo proprio niente e neanche mi ero mai chiesto chi siano stati i suoi rappresentanti. Era qualcosa di troppo lontano, era passato troppo tempo. D'altronde io appartenevo all'ottava generazione, ne era passata di acqua sotto i ponti - come si suol dire-, ragion per cui la prima generazione era ormai storia vecchia per me e per tutti. Ma c'era qualcosa di speciale in essa? Meritava di essere ricordata e distinta dalle altre generazioni a venire?

Dal modo in cui ne parlava -o meglio- scriveva l'autore della lettera, sembrava di sì.

Sembrava che ci fosse qualcosa di insospettabile sotto.

Non sapevo quanto potevo fidarmi delle parole della persona che scrisse quei fogli, ma almeno avevo trovato un passatempo niente male per ammazzare la noia.

Un bel racconto, sì.

Presi i fogli che avevo posato a terra per leggere la pagina successiva, ma il rintocco del campanile della chiesa vicina mi bloccò.


Erano passate di già passate due ore?!


A malincuore riposai la lettera tra l'altro mucchio e misi il tutto dentro il nascondiglio. Sistemai il cuscino al suo posto e presi sotto braccio il sussidiario di latino e il vocabolario.

Qualcuno bussò alla porta.



«Ehi, sei pronto? Agnes è nell'androne che ci aspetta! Ci ha detto di venirti a chiamare» grida la voce di Zach, attutita dallo spessore della pesante porta.



Senza rispondere aprii la porta e mi ritrovai davanti oltre a Z, anche R.



«Sarà anche il primo in classifica, ma è sempre l'ultimo ad essere pronto» dice Rank guardandomi con un sorrisetto. Che sbruffone.



Senza rispondere, corsi verso le scale e scendo giù con Zach e Rank alle calcagna.



«Oh, eccoti finalmente!» esclamò Agnes agitando il dito a mo' di rimprovero.


«Vi avevo ricordato di essere puntuali, e la cosa vale anche per te!».


«Scusami, Agnes. Ma ho avuto dei piccoli... problemucci, sì»



Vidi Agnes trarre un lungo sospiro e poi guardarmi con occhi duri che in fondo celavano immensa dolcezza.



«Sei sempre il solito ritardatario, A».







[Angolo Autrice]:


Ed ecco a voi il nostro secondo narratore. Impressioni?

Forse siete un po' confusi, ma state tranquilli tutto si farà chiaro ahaha

Vi avverto solo che in questa storia ci saranno tanti salti nel tempo, per cui tenetevi pronti.

Ringrazio chi ha inserito la storia tra le seguite e tra le ricordate, chi ha recensito e chi ha semplicemente letto. Inoltre vi allego uno schemino con tutte le date importanti che intercorrono dalla prima generazione alla settima, giusto per farvi un'idea. Ho fatto riferimento alla cronologia del manga, ma le date che troverete sono frutto di alcuni calcoli che mi sono fatta (leggere come: sono frutto della mia mente malata).

Avvertitemi se non si dovesse vedere, spero di non aver creato pasticci con l'HTML.

Per concludere volevo dire che tra due giorni parto per Praga e starò lì per una settimana, per cui il prossimo aggiornamento slitterà di qualche giorno.



Alla prossima!



Synapsis







  • X e Y, vengono accennati nel romanzo “Another Note” come gli ultimi studenti della prima generazione. Io li ho considerati come i primi membri della seconda generazione, iniziata dopo la scomparsa di A e B, ma destinata a durare solo un anno perché fuggiranno anche loro.



Revisione 27/03/2015

  
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