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Autore: Har Le Queen    25/02/2015    5 recensioni
E se Ruki fosse la Superstar più acclamata del momento? E se la sua voce fosse come un faro nel buio, accogliente come un ritorno a casa dopo un viaggio durato secoli? E se Akira fosse l'unico a non poterla sentire?
[Reituki/Aoiha]
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Eccovi qui fringuelline ♥ sono tornata con un nuovo capitolo, a quanto pare la ff sta andando bene (o comunque meglio di quanto mi aspettassi xD) quindi vi ringrazio m( _ _)m ma vediamo come sarà l’ingresso in scena di Kouyou *w* buona lettura~

 

Sing for me

 

 

Quella mattina Yuu si era svegliato di ottimo umore. Aveva potuto dormire beatamente finché non era stato risvegliato dal profumo del caffè ancora fumante che aveva trovato sul comodino, aveva preso tutto il tempo che voleva per una doccia da sogno ed aveva raggiunto il supermercato all’angolo. Era una magnifica giornata di sole e la sua unica preoccupazione era stata scegliere tra un vino italiano ed uno francese, alla fine aveva comprato una bottiglia di profumato Chianti perché quel sabato andava celebrato nella sua ventata di buonumore.

Quando girò l’angolo  riuscì a malapena a fare due passi che il suo nome gli giunse trasportato dal vento, si voltò per incontrare la figura di Yutaka in dolce compagnia. Gli si avvicinarono quasi subito e non poté fare a meno di notare la scatola rettangolare che stringeva in mano il moro e in cui sicuramente si nascondeva una delle sue prelibatezza a cui nessuno riusciva a rinunciare. Avrebbero mangiato così tanto da star male, lo sapeva. 

«Sempre il solito!» Yuu indicò il misterioso dolce scatenando la sua ilarità.

«Anche tu.»

Il moro mise in bella vista il suo acquisto. «Mi ci ha mandato Akira.»

«Lui è Kouyou.» Yutaka gli presentò il ragazzo altissimo che gli stava vicino. «E lui è Yuu.»

«Piacere.» la sua voce era profonda e trasparente aldilà di ogni previsione. I capelli ramati incorniciavano il viso dagli zigomi leggermente sporgenti, i lineamenti erano armoniosi e abbastanza comuni, ma labbra così non ne aveva mai viste: quello superiore era sporgente soltanto al centro, quasi fosse rimasto intrappolato in un bacio, o ne chiedesse uno a gran voce e chi era lui per rifiutarsi?

«Piacere mio.» ma si limitò soltanto a stringere la mano che gli porgeva e fu come trovare un senso alla sua vita. Non aveva mai visto un uomo così bello, poteva sembrare una vuotissima frase fatta, ma non riuscì a pensare niente di più coerente; se gli avessero chiesto di descrivere la sua bellezza in una parola, lui avrebbe fatto scena muta perché tutta quella perfezione non poteva essere racchiusa in uno stupido ammasso di lettere. «Andiamo, o Akira ci verrà a prendere di peso.» ma non trovando le chiavi che credeva di aver preso, si ritrovò costretto a bussare.

Akira lasciò sul tavolo l’ultimo bicchiere e si precipitò al citofono non appena vide la luce all’ingresso lampeggiare insistente, sollevò la cornetta ed attese che l’immagine nel display fosse abbastanza nitida da scorgere l’espressione più idiota che suo fratello avesse mai potuto metter su: il suo sopracciglio si alzava ritmicamente ammiccando con il suo occhio scuro che, in quel momento, era l’unica cosa che riusciva a vedere del suo viso. Fece scattare la serratura trattenendo a stento una risata, eppure credeva di aver conosciuto il fondo della sua stupidità. 

Aprendo la porta Akira vide i tre percorrere il piccolo vialetto lastricato che portava ai quattro gradini prima dell’ingresso, Yuu faceva strada ridendo di ciò che Yutaka gli stava dicendo a giudicare dal suo gesticolare e a chiudere la fila c’era un ragazzo altissimo che doveva essere Kouyou; era molto diverso da come se l’era sempre immaginato grazie alle descrizioni di Yutaka che non gli rendevano affatto giustizia.

Non appena furono a destinazione, suo fratello gli passò davanti lasciando la solita scia del suo profumo, Yutaka lo salutò con un bacio sulla guancia facendogli capire subito dopo che il suo dolce non poteva più aspettare di essere messo al fresco. «Tu devi essere Kouyou, piacere Akira.» non era il tipo da lasciarsi imbarazzare da stupide formalità, perciò strinse subito energicamente la mano lattea che l’altro gli porgeva.

«Kouyou, piacere.»

«Vieni, accomodati.»

Lo vide togliersi le scarpe ed avanzare guardandosi intorno con aria curiosa, lo precedette per raggiungere la cucina dove Yutaka si stava occupando della torta.

«Che hai fatto stavolta?» il moro chiuse il frigo e si voltò sorpreso di aver udito la sua voce, ma non accennò nulla a riguardo, ormai lo conosceva così bene da riuscire a decifrare ogni suo comportamento. Doveva avere a che fare con Kouyou.

«Non te lo dico.»

«Dai!» 
Yuu scosse il capo sorridendo a quella scena e si allontanò per raggiungere il tavolo dopo aver stappato una bottiglia del vino che aveva appena comprato. «Porto i piatti in tavola!» Akira recuperò i piatti stracolmi che aspettavano fermi sul ripiano della cucina che fingeva di essere marmo, non gli era mai piaciuto ed ogni volta che lo vedeva gli faceva crescere dentro una punta di irritazione che, però, svaniva subito dopo. Lui odiava le finzioni, probabilmente perché lui stesso aveva basato la sua vita su una menzogna che diventava sempre più grande, temeva che un giorno gli sarebbe sfuggita di mano

«Ti aiuto?» Kouyou si propose gentilmente, per fortuna si era voltato in tempo per vedere ciò che aveva da dirgli.

«Puoi prendere quel piatto, grazie.» chissà se Yutaka gli aveva detto del suo udito.

Gli sorrise mentre raggiungevano il salotto dove una tavola imbandita creava un’atmosfera di casa, Yuu aveva già pensato al resto dei piatti perciò i due ultimi arrivati non dovettero fare altro che sedersi. «Avete notato che oggi stranamente caldo?» Yuu intavolò il discorso per frantumare la brina che si era posata su di loro e che, altrimenti, si sarebbe trasformata in ghiaccio.

«Sì, credevo che il freddo sarebbe arrivato senza pietà, invece ritarda!» del resto era normale in quel paese parlare del tempo prima di ogni altra cosa. «Almeno mette di buonumore.» Yutaka sorrise illuminando l’intera stanza.

«Non fare complimenti, prendi tutto quello che vuoi.» Yuu cominciò a servirsi passando agli altri il piatto di portata pieno di invitanti verdure fritte.

Kouyou si guardò intorno con l’espressione di un bambino in un negozio di caramelle: indeciso, ma con la chiara intenzione di fare la scelta giusta; puntò i gamberetti accanto ad Akira e lontano dalla sua portata. «Potrest-» ma si fermò quando si rese conto che l’altro era concentrato altrove e non avrebbe potuto vedere ciò che aveva da dirgli. Come se avesse sentito il suo sguardo su di sé, Akira si voltò nella sua direzione. «Potresti passarmi i gamberi?» aveva parlato molto lentamente, insicuro sulla giusta velocità che gli avrebbe permesso di capire. Aveva fatto bene o era sembrato solo un idiota? Magari era stato scortese, ma si sentiva un po’ a disagio all’idea che dall’altra parte ci fosse qualcuno che viveva in un mondo ovattato che lui poteva solo sperare di raggiungere dall’esterno.

Akira gli passò subito ciò che gli aveva chiesto con un sorriso. «Puoi parlare normalmente, so leggere benissimo le labbra.» Yutaka gliene aveva parlato eccome e non poteva certo biasimarlo, era lui a volerlo nascondere al resto del mondo, era lui non accettarlo per primo; per gli altri era una cosa normale e faceva parte della sua natura, come se avesse avuto i capelli neri invece che castani. Akira era alto, aveva gli occhi castani, era magro e sordo. Niente di straordinario, ognuno è ciò che è.

«Scusa.» aveva cominciato col piede sbagliato. Non che fosse una novità, probabilmente nella sua vita non esisteva ancora qualcosa che aveva fatto nel modo giusto.

«Non preoccuparti, di solito urlano convinti che sia una questione di volume.» non c’era posto per una dose di tagliente ironia nella sua voce, in realtà non avrebbe saputo coglierne la sfumatura per imitarla, tutto ciò che poteva catturare sull’emozioni umane risiedeva solo nell’espressione del viso.

Il nuovo ospite parve tranquillizzarti cominciando a mangiare. «È davvero buono!» e non lo diceva solo per essere gentile, non era il tipo di persona che si lanciava in complimenti fini a se stessi.

«Grazie, ma sono sicuro che non saranno mai buoni quanto i tuoi dolci.» Akira aveva passato l’intero pomeriggio sui fornelli, mentre quello sfaticato di suo fratello aveva pensato solo a fare da assaggiatore ufficiale, perché qualcuno doveva pur fare da cavia per la scienza.

«Non so se non siano poi così buoni.»

«Come no? Yutaka non fa che vantarti, devo ammettere che mi ha riempito di curiosità.» intervenne Yuu.

«Sei davvero bravo, altrimenti non saresti nella mia pasticceria.» sentendosi chiamato in causa lo chef ci tenne a fare la sua precisazione.

«Allora devi farci assaggiare qualcosa!»

«Volete sentirvi male?!» una risata era sempre la miglior cosa per condire un pomeriggio pieno di novità.

«Ops, non ho portato l’acqua!» Yuu si accorse della sua mancanza guardando speranzoso suo fratello che, lanciandogli uno sguardo annoiato, si allontanò per raggiungere la cucina trascinando quasi piedi. Gliel’avrebbe fatta pagare, quanto avrebbe goduto nel guardarlo lavare quella montagna di piatti che avrebbe incrementato con ogni mezzo, a costo di usarli per appoggiarci l’aria.

«Spero non se la sia presa per prima.» Kouyou era terrorizzato all’idea di aver, in qualche modo, offeso Akira.

«No, tranquillo. È abituato a cose peggiori.» Yuu riuscì chiaramente a vedere quanto fosse limpido e cristallino il ragazzo che gli sedeva di fronte, sembrava fosse un vetro trasparente oltre al quale leggere le sue emozioni; e poi se davvero avesse fatto, o detto, qualcosa che avesse dato fastidio al suo piccolo Akira, lo avrebbe sbattuto fuori casa senza esitazioni. Neanche davanti a quel bellissimo viso. Akira ritornò con due bottiglie d’acqua e la conversazione poté continuare. «E così, ti sei trasferito da poco?»

«Si, da Osaka.»

«Per forza sei bravo in cucina allora!» non per niente quella città era conosciuta come la capitale della buona tavola.

«Credo siano più bravi in America, anche se gli ingredienti hanno sapore completamente diverso lì.»

«Ci sei stato?!» Yuu sbarrò gli occhi dalla sorpresa. Gli sarebbe piaciuto lanciarsi in un viaggio di quella portata, raggiungere una destinazione diametralmente opposta, così lontano da tutto e tutti per poter ricominciare senza che qualcuno si aspettasse qualcosa da lui. «Ti piaceva vivere lì? Come mai sei venuto a Tokyo?» Yuu aveva sempre avuto grandi sogni e grandi progetti per il suo futuro, ma gli aveva sempre messi da parte perché, come diceva lui: i sogni non pagano le bollette. Per lui lasciare il paese delle mille opportunità doveva essere più o meno come strappare una banconota da mille yen perché, in fondo, era solo carta. Una pazzia. Akira si chiese, inevitabilmente, se i suoi sogni li avesse messi da parte solo per stare con lui.

«New York è davvero troppo caotica e io non abitavo neanche in una zona movimentata, può sembrare un sogno, ma viverci giorno dopo giorno ti fa pentire di averci anche solo pensato e poi il Giappone resta sempre la mia casa. Bisogna cercare il proprio posto nel mondo, quello in cui ti senti a casa e non era lì; almeno posso dire di averci provato.»

«Beh, dico solo che lì sarebbe stato più facile diventare qualcuno, realizzare i propri sogni perché se vali sanno aiutarti.»

«Potrei avere qui le stesse opportunità e non saranno un lavoro o un conto in banca a rendermi qualcuno. Io so già chi sono e cosa voglio.»

Akira riconobbe all’istante la scintilla nello sguardo di suo fratello, ad innescarla era l’attimo in cui qualcuno lo contraddiceva o se ne usciva con una frase che stuzzicava il suo interesse. «E chi sei?» in quel momento gli sembrò davvero un gatto dispettoso che aveva appena puntato la preda a cui avrebbe dato la caccia, non si sarebbe fermato finché non l’avrebbe avuta tra le unghie, magari poi l’avrebbe lasciata andare, ma niente sarebbe stato appagante quanto sapere di aver vinto. 

«Non sono io a doverlo dire.»

«Dovrei scoprirlo da solo?» e Yuu ne sembrò divertito.

«Perché no?»

Akira alzò lo sguardo su Yutaka aspettando che anche lui lo guardasse per comunicare con lui e sussurrargli la sua richiesta d’aiuto. Si è trasformato in un appuntamento al buio! Mi si stanno staccando gli occhi! Andava bene tutto, ma non guardare suo fratello flirtare in quel modo indecente, non che gli desse così tanto fastidio, ma sentiva il bisogno di allontanarsi per un attimo: per lui Yuu era dolce ed asessuato come i putti dai riccioli castani che si scambiavano un bacio attraverso lo sguardo innocente.

Yutaka gli sorrise mostrandogli le fossette in cui gli era sempre piaciuto infilarci la punta dell’indice. Andiamo a prendere gli altri piatti?

Akira annuì e si alzò seguito dall’altro, nonostante fosse sicuro di aver fatto rumore spostando la sedia quei due non gli prestarono la minima attenzione. 
Gli venne quasi da ridere, e anche da piangere perché quando a Yuu piaceva qualcuno era la fine per tutti.

 

*

 

Se non fosse stato per il messaggio ricevuto poco prima di mettersi a dormire, a quell’ora Akira sarebbe stato nel suo letto a ronfare beatamente. Invece, da bravo amico qual era, si ritrovava a montare il latte da aggiungere ai due cappuccini che aspettavano solo di essere bevuti; non avrebbe dovuto essere lì quella domenica mattina, a servire quei pochissimi pazzi che, presi dalle smanie di potenza, si presentavano a lavoro anche quando non dovevano. Il suo amichetto Kenji avrebbe fatto meglio a procurarsi tutto l’occorrente per costruirgli una bella statua tutta d’oro, magari grande come quella del Buddha a Kamakoura. Spolverò un po’ di cacao nelle tazze davanti a lui e sorrise agli strani ragazzi che le aspettavano, proprio come se gli piacesse da matti servirli e fosse la sua massima aspirazione di vita; odiava stare al banco, ma per fortuna quando dava le spalle ai clienti c’era un enorme specchio dove riposavano le bottiglie che gli permetteva di tenere tutto sotto controllo, poteva gestire la situazione con relativa calma impedendo alla sua testa di gridare vendetta qualche ora più tardi. Con la coda dell’occhio vide il suo capo rispondere al telefono, per fortuna non gli aveva mai chiesto di farlo, o avrebbe dovuto inventare una scusa che non avrebbe mai retto. Quando riagganciò gli andò incontro con un biglietto in mano, qualcuno aveva fatto un ordine dai piani alti.

«Cercano te.»

«Eh?» Akira non fu sicuro di aver capito bene, Yuu gli aveva detto che di tanto in tanto lo facevano anche quelli che avevano sentito bene, ma che si prendevano un po’ di tempo per pensare alla giusta risposta.

«Gli è piaciuto così tanto quello che gli hai preparato ieri, che ha chiesto espressamente di te. Vai, qui ci penso io.» il ragazzo prese tra le dita il foglietto dell’ordine: cappuccino con cacao, panna a parte. Ruki. Terzo piano. Quello stronzo aveva voglia di scherzare, doveva averlo riconosciuto la sera precedente ed ora aveva voglia di urlare contro di lui come una checca isterica, ma si sbagliava di grosso se pensava di aver ragione. Si mise subito a lavoro, stavolta ci avrebbe sputato nel cappuccino, o magari avrebbe sputato direttamente sulla sua faccia da schiaffi. Mise tutto sul vassoio e si precipitò verso l’ascensore, dopo cinque minuti si ritrovò a percorrere il lungo corridoio isolato, quando arrivò a destinazione trovò la porta già spalancata, ma prima di entrare bussò ugualmente. All’interno scoprì che Ruki non era solo, era in compagnia di altre persone che non aveva mai visto prima, uno di loro gli fece segno di avvicinarsi e di posare ciò che aveva in mano sulla grande scrivania al centro della stanza. A quanto sembrava erano intenti ad ascoltare qualcosa che li stava entusiasmando parecchio, lo poteva facilmente dedurre dai movimenti delle loro dita che battevano il tempo in sincronia con la testa del più anziano che annuiva contento. 

«Tu non hai sentito niente qui dentro, ragazzo!» un uomo robusto sulla quarantina gli si rivolse continuando a sorridere.

«Assolutamente niente.» ad Akira venne quasi da ridere, non sapevano quanto ciò che dicevamo avesse del vero. Con la voglia di tornarsene dietro al suo adorato bancone, avanzò reggendo in bilico il vassoio pieno di bicchieri di polistirolo su cui campeggiavano i suoi kanji eleganti e sbilenchi, così lui non avrebbe dovuto parlare più del dovuto e tutti avrebbero saputo quale bicchiere prendere.

«Ah, ragazzo! Come ti chiami?» Akira vide un uomo che lo stava fissando quindi dedusse che doveva avergli rivolto la parola.

«Akira.» era difficile dedurre dalle espressioni ciò che avrebbe dovuto capire dal tono di voce, dalla sfumatura di indecisione di una domanda imbarazzante, dal tremore dell’insicurezza di una dichiarazione d’amore, per lui le voci erano tutte uguali e avevano tutte il colore del silenzio. Ma riusciva a capire quando era solo il suo nome che gli chiedevano.

«Akira, perfetto! Ci prepareresti altri due cappuccini?»

«Certo.» si mise subito all’opera ringraziando di aver portato con sé latte e caffè extra. Versò con cura la bevanda scura e, successivamente, il latte montato a  schiuma con un solo pensiero in mente: non doveva trovarsi lì, non in quella stanza in cui si sentiva fuori posto. Avvertiva delle strane vibrazioni all’altezza del petto, sicuramente dovevano avere il volume livelli inauditi. Non comprese le parole che si scambiarono sorridendo, ma vide l’attenzione di tutti finire intrappolata nelle immagini che si agitavano su uno schermo non troppo distante. Neanche fosse una ragnatela psichedelica intessuta con cura da un ragno velenoso. Osò guardare lo schermo solo per pentirsene nello stesso istante: Ruki era proprio lì, seduto con noncuranza mentre rincorreva un pensiero. Non indossava più quel vergognoso cappello del giorno prima, rivelando dei capelli biondi tenuti in alto in una strana coda sbilenca mostrando addirittura qualche centimetro di ricrescita. Le sue orecchie erano ricolme di anelli e c’era persino in dilatatore al lobo destro che scintillò colpito dalla luce del neon, ai suoi occhi non sfuggiva mai nulla: nemmeno la sfumatura di nocciola delle iridi che lo fissavano incredulo. Akira poté quasi vederli i puntini che la sua mente stava collegando, aveva riconosciuto l’esatto momento in cui l’altro aveva capito chi si ritrovava davanti.

«Fate ripartire il video, guardiamolo ancora una volta.» e le luci si abbassarono lasciando scendere un velo di terrore davanti ai suoi occhi spalancati, odiava il buio perché nell’oscurità poteva nascondersi di tutto e non avrebbe potuto sentire il pericolo arrivare alle sue spalle; di notte dormiva sempre con una piccola luce accesa sul suo comodino, non avrebbe potuto ugualmente sentire se qualcuno irrompeva in casa o se Yuu gli urlava di aver bisogno di aiuto, ma tra un sogno e l’altro poteva rassicurarsi che tutto andasse bene guardando suo fratello dormire beato al suo fianco. Nel frattempo lo schermo aveva cominciato a lampeggiare immagini di Ruki che, ora, appariva come il più innocente degli angeli e l’attimo dopo sembrava fissarti dritto negli occhi ordinandoti di saltargli addosso e scoparlo come fosse l’ultimo dei tuoi giorni, ma Akira continuava a fissarlo senza vederlo, si domandava solo come fosse finito in quella situazione che aveva del ridicolo. Avvertiva solo delle vibrazioni propagarsi attraverso il legno della scrivania su cui poggiava le mani inermi: il basso e la batteria, questo lo ricordava, e forse anche la sua voce. Poteva una voce umana creare le vibrazioni che sentiva arrivargli impercettibilmente al petto? Tante volte aveva posato le dita sulla gola di Yuu sentendo il formicolio sui polpastrelli mentre parlava, forse cantare duplicava l’effetto, forse avrebbe sentito uno strano tremore posando le dita su quella gola nascosta da una soffice sciarpa vaporosa. O forse sarebbe dovuto semplicemente scappare il più lontano possibile da quel luogo di tortura simile all’inferno, ma l’illuminazione tornò prima che potesse concretizzare quel pensiero, ora vedeva di nuovo tutti gli occhi puntati su di lui come fosse la star ed invece era soltanto un cameriere con indosso il suo grembiule macchiato di caffè. Non doveva essere lì, ma a casa, nel suo letto, nel suo sogno.

«Prego.» senza dire altro, lasciò i cappuccini sulla scrivania ed uscì a corto di fiato. Aveva un nodo stretto intorno alla gola, una sensazione che non provava da quando aveva otto anni e un bambino l’aveva preso in giro davanti a tutta la classe per il modo in cui parlava. Per lui era difficile articolare i suoni che non riusciva a sentire e si era sentito così impotente perché non riusciva neanche a capire cosa facesse ridere, così tanto, quello stupido idiota. Da allora era stato escluso e soprannominato dokuzetsu ma questo non l’aveva mai raccontato a Yuu. Da quel momento aveva faticato tanto per capire al meglio cosa il mondo diceva intorno a lui e, se non ci riusciva, lo immaginava; così come aveva immaginato la sua voce o quella di suo fratello. Ma non riusciva ad immaginare quella di Ruki. Cosa poteva mai esserci di tanto meraviglioso da mandare in estasi tutti presenti in quella stanza? Le aveva viste le loro facce e li aveva invidiati. Non sapevano neanche che grande fortuna avessero e sicuramente la davano per scontata.

Aveva soltanto bisogno di una pausa e di una sigaretta, perciò raggiunge di corsa il tuo armadietto e rovistò nel fondo perché sapeva di avervi nascosto una sigaretta per i casi di emergenza; non appena raggiunse la terrazza aspirò la dose di nicotina come fosse un salvagente lanciato ad un uomo che sta per annegare, in vita sua non gli era mai capitato di desiderare così tanto di sentire o sapere come potesse suonare una voce. Perché doveva capitare in quel momento? E perché la voce che aveva violentato la curiosità che aveva ucciso durante tutti quegli anni, doveva essere proprio quella di Ruki? Tutto quello non aveva senso, non un fottutissimo briciolo di senso. Lo aveva visto di sfuggita, lo aveva quasi investito e ora non riusciva a sopportare l’idea di non sapere che voce avesse; l’aveva visto muoversi con una tale lussuria che aveva immaginato fosse uno di quelli che riescono a farti venire nelle mutande con una sola parola, figuriamoci cantando. Doveva solo andarsene da lì, non era il lavoro giusto per lui, ne avrebbe trovato un altro più adatto in cui non sarebbe stato circondato da persone che gli ricordavano ogni giorno che cosa era costretto a rinunciare.

Schiacciando ciò che restava della sigaretta sotto la suola, tornò indietro per recuperare i suoi averi e tornare al suo nido sicuro.

 

Dokuzetsu: wicked tongue, quindi malalingua direi òwo un modo ‘carino’ per dirgli che parlava male, insomma u_u eeeh, a volte i bambini sanno essere davvero malefici è_é povero piccolo pulcino indifeso twt *parla lei che gli ha inflitto queste sofferenze* xD ma veniamo al dunque: Kou e Yuu si sono conosciuti, Kou ha fatto parecchie esperienza in giro per il mondo, ma nessun posto era come casa…se no come avrebbe fatto a conoscere Yuu? >w> purtroppo non posso darvi anticipazioni, ma posso solo dirvi STATE ATTENTE A_A non abbassate la guardia mhauhuahuhauah~ Akira, invece, è sempre più ossessionato da Ruki…come si dice: la lingua batte sempre dove il dente duole u.u *sadica* ha faticato così tanto per abituarsi alla sua situazione e il primo pinco pallino che arriva rovina tutto D: inconsapevolmente tra l’altro…ma chissà, chissà cosa accadrà *carezza Aki* ç_ç beh, lascerò crescere le vostre aspettative e vi lascerò fantasticare, così farete vostra la storia *w* ♥

Grazie a tutte, un abbraccione enorme~

Al prossimo capitolo ♥

 

 

   
 
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