Eccovi
qui fringuelline ♥ sono tornata con un nuovo
capitolo, a quanto pare la ff sta andando bene (o
comunque meglio di quanto mi aspettassi xD) quindi vi
ringrazio m( _ _)m ma vediamo come sarà l’ingresso in
scena di Kouyou *w* buona lettura~
Sing for me
Quella
mattina Yuu si era svegliato di ottimo umore. Aveva potuto dormire beatamente
finché non era stato risvegliato dal profumo del caffè ancora fumante che aveva
trovato sul comodino, aveva preso tutto il tempo che voleva per una doccia da
sogno ed aveva raggiunto il supermercato all’angolo.
Era una magnifica giornata di sole e la sua unica preoccupazione era stata
scegliere tra un vino italiano ed uno francese, alla
fine aveva comprato una bottiglia di profumato Chianti perché quel sabato
andava celebrato nella sua ventata di buonumore.
Quando girò l’angolo riuscì a malapena a fare due passi che
il suo nome gli giunse trasportato dal vento, si voltò per incontrare la figura
di Yutaka in dolce compagnia. Gli si avvicinarono quasi subito e non poté fare
a meno di notare la scatola rettangolare che stringeva in mano il moro e in cui
sicuramente si nascondeva una delle sue prelibatezza a
cui nessuno riusciva a rinunciare. Avrebbero mangiato così
tanto da star male, lo sapeva.
«Sempre il
solito!» Yuu indicò il misterioso dolce scatenando la sua ilarità.
«Anche tu.»
Il moro mise
in bella vista il suo acquisto. «Mi ci ha mandato Akira.»
«Lui è
Kouyou.» Yutaka gli presentò il ragazzo altissimo che gli stava vicino. «E lui
è Yuu.»
«Piacere.»
la sua voce era profonda e trasparente aldilà di ogni
previsione. I capelli ramati incorniciavano il viso dagli zigomi
leggermente sporgenti, i lineamenti erano armoniosi e abbastanza comuni, ma labbra così non ne aveva mai viste: quello superiore
era sporgente soltanto al centro, quasi fosse rimasto intrappolato in un bacio,
o ne chiedesse uno a gran voce e chi era lui per rifiutarsi?
«Piacere
mio.» ma si limitò soltanto a stringere la mano che gli porgeva e fu come
trovare un senso alla sua vita. Non aveva mai visto un
uomo così bello, poteva sembrare una vuotissima frase fatta, ma non riuscì a
pensare niente di più coerente; se gli avessero chiesto di descrivere la sua
bellezza in una parola, lui avrebbe fatto scena muta perché tutta quella
perfezione non poteva essere racchiusa in uno stupido ammasso di lettere. «Andiamo,
o Akira ci verrà a prendere di peso.» ma non trovando le chiavi che credeva di aver preso, si ritrovò costretto a bussare.
Akira lasciò
sul tavolo l’ultimo bicchiere e si precipitò al citofono non appena vide la
luce all’ingresso lampeggiare insistente, sollevò la cornetta ed attese che l’immagine nel display fosse abbastanza nitida
da scorgere l’espressione più idiota che suo fratello avesse mai potuto metter
su: il suo sopracciglio si alzava ritmicamente ammiccando con il suo occhio scuro
che, in quel momento, era l’unica cosa che riusciva a vedere del suo viso. Fece
scattare la serratura trattenendo a stento una risata, eppure credeva di aver
conosciuto il fondo della sua stupidità.
Aprendo la
porta Akira vide i tre percorrere il piccolo vialetto lastricato che portava ai
quattro gradini prima dell’ingresso, Yuu faceva strada
ridendo di ciò che Yutaka gli stava dicendo a giudicare dal suo gesticolare e a
chiudere la fila c’era un ragazzo altissimo che doveva essere Kouyou; era molto
diverso da come se l’era sempre immaginato grazie alle descrizioni di Yutaka
che non gli rendevano affatto giustizia.
Non appena
furono a destinazione, suo fratello gli passò davanti lasciando la solita scia
del suo profumo, Yutaka lo salutò con un bacio sulla guancia facendogli capire
subito dopo che il suo dolce non poteva più aspettare di essere messo al fresco.
«Tu devi essere Kouyou, piacere Akira.» non era il tipo da lasciarsi
imbarazzare da stupide formalità, perciò strinse subito energicamente la mano
lattea che l’altro gli porgeva.
«Kouyou,
piacere.»
«Vieni, accomodati.»
Lo vide
togliersi le scarpe ed avanzare guardandosi intorno
con aria curiosa, lo precedette per raggiungere la cucina dove Yutaka si stava
occupando della torta.
«Che hai fatto
stavolta?» il moro chiuse il frigo e si voltò sorpreso di aver udito la sua
voce, ma non accennò nulla a riguardo, ormai lo conosceva così bene da riuscire
a decifrare ogni suo comportamento. Doveva avere a che fare con Kouyou.
«Non te lo
dico.»
«Dai!»
Yuu scosse il capo sorridendo a quella scena e si allontanò per raggiungere il
tavolo dopo aver stappato una bottiglia del vino che aveva appena
comprato. «Porto i piatti in tavola!» Akira recuperò i piatti stracolmi che
aspettavano fermi sul ripiano della cucina che fingeva di essere marmo, non gli
era mai piaciuto ed ogni volta che lo vedeva gli
faceva crescere dentro una punta di irritazione che, però, svaniva subito dopo.
Lui odiava le finzioni, probabilmente perché lui stesso aveva basato la sua
vita su una menzogna che diventava sempre più grande, temeva che un giorno gli sarebbe sfuggita di mano.
«Ti aiuto?»
Kouyou si propose gentilmente, per fortuna si era voltato in tempo per vedere
ciò che aveva da dirgli.
«Puoi
prendere quel piatto, grazie.» chissà se Yutaka gli aveva detto del suo udito.
Gli sorrise mentre raggiungevano il
salotto dove una tavola imbandita creava un’atmosfera di casa, Yuu aveva già
pensato al resto dei piatti perciò i due ultimi arrivati non dovettero fare
altro che sedersi. «Avete notato che oggi stranamente caldo?» Yuu intavolò il
discorso per frantumare la brina che si era posata su di loro e che, altrimenti,
si sarebbe trasformata in ghiaccio.
«Sì, credevo
che il freddo sarebbe arrivato senza pietà, invece ritarda!» del resto era
normale in quel paese parlare del tempo prima di ogni altra cosa. «Almeno mette
di buonumore.» Yutaka sorrise illuminando l’intera stanza.
«Non fare
complimenti, prendi tutto quello che vuoi.» Yuu
cominciò a servirsi passando agli altri il piatto di portata pieno di invitanti verdure fritte.
Kouyou si
guardò intorno con l’espressione di un bambino in un negozio di caramelle:
indeciso, ma con la chiara intenzione di fare la scelta giusta; puntò i
gamberetti accanto ad Akira e lontano dalla sua portata. «Potrest-»
ma si fermò quando si rese conto che l’altro era concentrato altrove e non
avrebbe potuto vedere ciò che aveva da dirgli. Come se avesse sentito il suo sguardo
su di sé, Akira si voltò nella sua direzione. «Potresti passarmi i gamberi?» aveva
parlato molto lentamente, insicuro sulla giusta velocità che gli avrebbe
permesso di capire. Aveva fatto bene o era sembrato solo un idiota? Magari era
stato scortese, ma si sentiva un po’ a disagio all’idea che dall’altra parte ci
fosse qualcuno che viveva in un mondo ovattato che lui poteva solo sperare di
raggiungere dall’esterno.
Akira gli
passò subito ciò che gli aveva chiesto con un sorriso. «Puoi parlare
normalmente, so leggere benissimo le labbra.» Yutaka
gliene aveva parlato eccome e non poteva certo biasimarlo, era lui a volerlo
nascondere al resto del mondo, era lui non accettarlo per primo; per gli altri era
una cosa normale e faceva parte della sua natura, come se avesse avuto i capelli
neri invece che castani. Akira era alto, aveva gli occhi castani, era magro e
sordo. Niente di straordinario, ognuno è ciò che è.
«Scusa.» aveva
cominciato col piede sbagliato. Non che fosse una novità, probabilmente nella
sua vita non esisteva ancora qualcosa che aveva fatto nel modo giusto.
«Non
preoccuparti, di solito urlano convinti che sia una
questione di volume.» non c’era posto per una dose di tagliente ironia nella
sua voce, in realtà non avrebbe saputo coglierne la sfumatura per imitarla,
tutto ciò che poteva catturare sull’emozioni umane risiedeva solo nell’espressione
del viso.
Il nuovo
ospite parve tranquillizzarti cominciando a mangiare. «È davvero buono!» e non
lo diceva solo per essere gentile, non era il tipo di persona che si lanciava
in complimenti fini a se stessi.
«Grazie, ma sono
sicuro che non saranno mai buoni quanto i tuoi dolci.»
Akira aveva passato l’intero pomeriggio sui fornelli, mentre quello sfaticato
di suo fratello aveva pensato solo a fare da assaggiatore ufficiale, perché
qualcuno doveva pur fare da cavia per la scienza.
«Non so se
non siano poi così buoni.»
«Come no? Yutaka non fa che vantarti,
devo ammettere che mi ha riempito di curiosità.» intervenne
Yuu.
«Sei davvero
bravo, altrimenti non saresti nella mia pasticceria.» sentendosi chiamato in causa lo chef ci tenne a fare la sua precisazione.
«Allora devi
farci assaggiare qualcosa!»
«Volete
sentirvi male?!» una risata era sempre la miglior cosa
per condire un pomeriggio pieno di novità.
«Ops, non ho portato l’acqua!» Yuu si accorse della sua
mancanza guardando speranzoso suo fratello che,
lanciandogli uno sguardo annoiato, si allontanò per raggiungere la cucina
trascinando quasi piedi. Gliel’avrebbe fatta pagare,
quanto avrebbe goduto nel guardarlo lavare quella montagna di piatti che
avrebbe incrementato con ogni mezzo, a costo di usarli per appoggiarci l’aria.
«Spero non se
la sia presa per prima.» Kouyou era terrorizzato all’idea di aver, in qualche
modo, offeso Akira.
«No, tranquillo. È abituato a cose
peggiori.» Yuu riuscì chiaramente a vedere quanto
fosse limpido e cristallino il ragazzo che gli sedeva di fronte, sembrava fosse
un vetro trasparente oltre al quale leggere le sue emozioni; e poi se davvero
avesse fatto, o detto, qualcosa che avesse dato
fastidio al suo piccolo Akira, lo avrebbe sbattuto fuori casa senza esitazioni.
Neanche davanti a quel bellissimo viso. Akira ritornò con due bottiglie d’acqua
e la conversazione poté continuare. «E così, ti sei trasferito da poco?»
«Si, da Osaka.»
«Per forza
sei bravo in cucina allora!» non per niente quella città era conosciuta come la
capitale della buona tavola.
«Credo siano
più bravi in America, anche se gli ingredienti hanno sapore completamente
diverso lì.»
«Ci sei
stato?!» Yuu sbarrò gli occhi dalla sorpresa. Gli
sarebbe piaciuto lanciarsi in un viaggio di quella portata, raggiungere una
destinazione diametralmente opposta, così lontano da tutto e tutti per poter ricominciare senza che qualcuno si aspettasse
qualcosa da lui. «Ti piaceva vivere lì? Come mai sei
venuto a Tokyo?» Yuu aveva sempre avuto grandi sogni e grandi progetti per il
suo futuro, ma gli aveva sempre messi da parte perché,
come diceva lui: i sogni non pagano le bollette. Per lui lasciare il paese
delle mille opportunità doveva essere più o meno come
strappare una banconota da mille yen perché, in fondo, era solo carta. Una
pazzia. Akira si chiese, inevitabilmente, se i suoi sogni li avesse
messi da parte solo per stare con lui.
«New York è
davvero troppo caotica e io non abitavo neanche in una
zona movimentata, può sembrare un sogno, ma viverci giorno dopo giorno ti fa
pentire di averci anche solo pensato e poi il Giappone resta sempre la mia
casa. Bisogna cercare il proprio posto nel mondo, quello in cui ti senti a casa
e non era lì; almeno posso dire di averci provato.»
«Beh, dico
solo che lì sarebbe stato più facile diventare qualcuno, realizzare i propri
sogni perché se vali sanno aiutarti.»
«Potrei avere qui le stesse
opportunità e non saranno un lavoro o un conto in banca a rendermi qualcuno. Io
so già chi sono e cosa voglio.»
Akira
riconobbe all’istante la scintilla nello sguardo di suo fratello, ad innescarla era l’attimo in cui qualcuno lo contraddiceva
o se ne usciva con una frase che stuzzicava il suo interesse. «E chi sei?» in
quel momento gli sembrò davvero un gatto dispettoso che aveva appena puntato la
preda a cui avrebbe dato la caccia, non si sarebbe
fermato finché non l’avrebbe avuta tra le unghie, magari poi l’avrebbe lasciata
andare, ma niente sarebbe stato appagante quanto sapere di aver vinto.
«Non sono io
a doverlo dire.»
«Dovrei
scoprirlo da solo?» e Yuu ne sembrò divertito.
«Perché no?»
Akira alzò
lo sguardo su Yutaka aspettando che anche lui lo guardasse per comunicare con
lui e sussurrargli la sua richiesta d’aiuto. Si è trasformato in un appuntamento al buio! Mi si stanno staccando gli
occhi! Andava bene tutto, ma non guardare suo fratello flirtare
in quel modo indecente, non che gli desse così tanto fastidio, ma sentiva il
bisogno di allontanarsi per un attimo: per lui Yuu era dolce ed asessuato come
i putti dai riccioli castani che si scambiavano un bacio attraverso lo sguardo
innocente.
Yutaka gli sorrise mostrandogli le fossette in cui gli era sempre piaciuto
infilarci la punta dell’indice. Andiamo
a prendere gli altri piatti?
Akira annuì
e si alzò seguito dall’altro, nonostante fosse sicuro di aver fatto rumore
spostando la sedia quei due non gli prestarono la minima attenzione.
Gli venne quasi da ridere, e anche da piangere perché quando a Yuu piaceva qualcuno era la fine per tutti.
*
Se non
fosse stato per il messaggio ricevuto poco prima di mettersi a dormire, a quell’ora
Akira sarebbe stato nel suo letto a ronfare beatamente. Invece, da bravo amico
qual era, si ritrovava a montare il latte da aggiungere ai due cappuccini che
aspettavano solo di essere bevuti; non avrebbe dovuto essere lì quella domenica
mattina, a servire quei pochissimi pazzi che, presi dalle smanie di potenza, si
presentavano a lavoro anche quando non dovevano. Il suo amichetto Kenji avrebbe fatto meglio a procurarsi tutto l’occorrente
per costruirgli una bella statua tutta d’oro, magari grande come quella del Buddha
a Kamakoura. Spolverò un po’ di cacao nelle tazze
davanti a lui e sorrise agli strani ragazzi che le aspettavano, proprio come se
gli piacesse da matti servirli e fosse la sua massima aspirazione di vita; odiava
stare al banco, ma per fortuna quando dava le spalle ai clienti
c’era un enorme specchio dove riposavano le bottiglie che gli permetteva di
tenere tutto sotto controllo, poteva gestire la situazione con relativa calma
impedendo alla sua testa di gridare vendetta qualche ora più tardi. Con la coda
dell’occhio vide il suo capo rispondere al telefono, per fortuna non gli aveva
mai chiesto di farlo, o avrebbe dovuto inventare una scusa che non avrebbe mai
retto. Quando riagganciò gli andò incontro con un
biglietto in mano, qualcuno aveva fatto un ordine dai piani alti.
«Cercano
te.»
«Eh?» Akira
non fu sicuro di aver capito bene, Yuu gli aveva detto che di tanto in tanto lo
facevano anche quelli che avevano sentito bene, ma che si prendevano un po’ di
tempo per pensare alla giusta risposta.
«Gli è piaciuto così tanto quello che gli hai preparato ieri, che ha chiesto
espressamente di te. Vai, qui ci penso io.» il ragazzo
prese tra le dita il foglietto dell’ordine: cappuccino con cacao, panna a
parte. Ruki. Terzo piano. Quello stronzo aveva voglia di scherzare, doveva
averlo riconosciuto la sera precedente ed ora aveva
voglia di urlare contro di lui come una checca isterica, ma si sbagliava di
grosso se pensava di aver ragione. Si mise subito a lavoro, stavolta ci avrebbe
sputato nel cappuccino, o magari avrebbe sputato
direttamente sulla sua faccia da schiaffi. Mise tutto sul vassoio e si
precipitò verso l’ascensore, dopo cinque minuti si ritrovò a percorrere il
lungo corridoio isolato, quando arrivò a destinazione
trovò la porta già spalancata, ma prima di entrare bussò ugualmente. All’interno
scoprì che Ruki non era solo, era in compagnia di altre persone che non aveva
mai visto prima, uno di loro gli fece segno di avvicinarsi e di posare ciò che
aveva in mano sulla grande scrivania al centro della stanza. A quanto sembrava
erano intenti ad ascoltare qualcosa che li stava entusiasmando parecchio, lo
poteva facilmente dedurre dai movimenti delle loro dita che battevano il tempo
in sincronia con la testa del più anziano che annuiva contento.
«Tu non hai sentito niente
qui dentro, ragazzo!» un uomo robusto sulla quarantina gli si rivolse
continuando a sorridere.
«Assolutamente
niente.» ad Akira venne quasi da ridere, non sapevano quanto ciò che dicevamo
avesse del vero. Con la voglia di tornarsene dietro al suo adorato bancone,
avanzò reggendo in bilico il vassoio pieno di bicchieri di polistirolo su cui
campeggiavano i suoi kanji eleganti e sbilenchi, così
lui non avrebbe dovuto parlare più del dovuto e tutti avrebbero saputo quale
bicchiere prendere.
«Ah, ragazzo! Come ti chiami?» Akira vide un uomo che lo stava fissando quindi dedusse
che doveva avergli rivolto la parola.
«Akira.»
era difficile dedurre dalle espressioni ciò che avrebbe dovuto capire dal tono
di voce, dalla sfumatura di indecisione di una domanda
imbarazzante, dal tremore dell’insicurezza di una dichiarazione d’amore, per
lui le voci erano tutte uguali e avevano tutte il colore del silenzio. Ma riusciva a capire quando era solo il suo nome che gli
chiedevano.
«Akira, perfetto! Ci
prepareresti altri due cappuccini?»
«Certo.» si
mise subito all’opera ringraziando di aver portato con sé latte e caffè extra.
Versò con cura la bevanda scura e, successivamente, il
latte montato a schiuma con un solo
pensiero in mente: non doveva trovarsi lì, non in quella stanza in cui si
sentiva fuori posto. Avvertiva delle strane vibrazioni all’altezza del petto,
sicuramente dovevano avere il volume livelli inauditi. Non comprese le parole
che si scambiarono sorridendo, ma vide l’attenzione di tutti finire
intrappolata nelle immagini che si agitavano su uno schermo non troppo
distante. Neanche fosse una ragnatela psichedelica intessuta con cura da un
ragno velenoso. Osò guardare lo schermo solo per pentirsene nello stesso
istante: Ruki era proprio lì, seduto con noncuranza mentre rincorreva un
pensiero. Non indossava più quel vergognoso cappello del giorno prima, rivelando
dei capelli biondi tenuti in alto in una strana coda sbilenca mostrando addirittura
qualche centimetro di ricrescita. Le sue orecchie erano ricolme di anelli e c’era
persino in dilatatore al lobo destro che scintillò colpito dalla luce del neon,
ai suoi occhi non sfuggiva mai nulla: nemmeno la sfumatura di nocciola delle
iridi che lo fissavano incredulo. Akira poté quasi vederli i puntini che la sua
mente stava collegando, aveva riconosciuto l’esatto momento in cui l’altro
aveva capito chi si ritrovava davanti.
«Fate ripartire il video, guardiamolo ancora una volta.» e le luci
si abbassarono lasciando scendere un velo di terrore davanti ai suoi occhi
spalancati, odiava il buio perché nell’oscurità poteva nascondersi di tutto e
non avrebbe potuto sentire il pericolo arrivare alle sue spalle; di notte
dormiva sempre con una piccola luce accesa sul suo comodino, non avrebbe potuto
ugualmente sentire se qualcuno irrompeva in casa o se Yuu gli urlava di aver
bisogno di aiuto, ma tra un sogno e l’altro poteva rassicurarsi che tutto
andasse bene guardando suo fratello dormire beato al suo fianco. Nel frattempo lo schermo aveva cominciato a lampeggiare immagini
di Ruki che, ora, appariva come il più innocente degli angeli e l’attimo dopo
sembrava fissarti dritto negli occhi ordinandoti di saltargli addosso e
scoparlo come fosse l’ultimo dei tuoi giorni, ma Akira
continuava a fissarlo senza vederlo, si domandava solo come fosse finito in
quella situazione che aveva del ridicolo. Avvertiva solo delle vibrazioni
propagarsi attraverso il legno della scrivania su cui poggiava le mani inermi:
il basso e la batteria, questo lo ricordava, e forse anche la sua voce. Poteva
una voce umana creare le vibrazioni che sentiva
arrivargli impercettibilmente al petto? Tante volte aveva posato le dita sulla
gola di Yuu sentendo il formicolio sui polpastrelli mentre parlava, forse
cantare duplicava l’effetto, forse avrebbe sentito uno strano tremore posando
le dita su quella gola nascosta da una soffice sciarpa vaporosa. O forse
sarebbe dovuto semplicemente scappare il più lontano possibile da quel luogo di
tortura simile all’inferno, ma l’illuminazione tornò prima che potesse concretizzare quel pensiero, ora vedeva di nuovo tutti gli
occhi puntati su di lui come fosse la star ed invece era soltanto un cameriere
con indosso il suo grembiule macchiato di caffè. Non doveva essere lì, ma a
casa, nel suo letto, nel suo sogno.
«Prego.» senza
dire altro, lasciò i cappuccini sulla scrivania ed
uscì a corto di fiato. Aveva un nodo stretto intorno alla gola, una sensazione che
non provava da quando aveva otto anni e un bambino l’aveva preso in giro
davanti a tutta la classe per il modo in cui parlava. Per lui era difficile
articolare i suoni che non riusciva a sentire e si era
sentito così impotente perché non riusciva neanche a capire cosa facesse ridere,
così tanto, quello stupido idiota. Da allora era stato escluso e soprannominato
dokuzetsu
ma questo non l’aveva mai raccontato a Yuu. Da quel momento aveva faticato
tanto per capire al meglio cosa il mondo diceva
intorno a lui e, se non ci riusciva, lo immaginava; così come aveva immaginato
la sua voce o quella di suo fratello. Ma non riusciva ad
immaginare quella di Ruki. Cosa poteva mai esserci di
tanto meraviglioso da mandare in estasi tutti presenti in quella stanza? Le
aveva viste le loro facce e li aveva invidiati. Non sapevano neanche che grande
fortuna avessero e sicuramente la davano per scontata.
Aveva
soltanto bisogno di una pausa e di una sigaretta, perciò raggiunge di corsa il
tuo armadietto e rovistò nel fondo perché sapeva di avervi nascosto una
sigaretta per i casi di emergenza; non appena raggiunse la terrazza
aspirò la dose di nicotina come fosse un salvagente lanciato ad un uomo che sta
per annegare, in vita sua non gli era mai capitato di desiderare così tanto di
sentire o sapere come potesse suonare una voce. Perché doveva capitare in quel
momento? E perché la voce che aveva violentato la curiosità che aveva ucciso
durante tutti quegli anni, doveva essere proprio
quella di Ruki? Tutto quello non aveva senso, non un fottutissimo briciolo di senso. Lo aveva visto di sfuggita, lo aveva quasi investito
e ora non riusciva a sopportare l’idea di non sapere che voce avesse; l’aveva
visto muoversi con una tale lussuria che aveva immaginato fosse uno di quelli
che riescono a farti venire nelle mutande con una sola parola, figuriamoci
cantando. Doveva solo andarsene da lì, non era il lavoro giusto per lui, ne
avrebbe trovato un altro più adatto in cui non sarebbe stato circondato da
persone che gli ricordavano ogni giorno che cosa era costretto a rinunciare.
Schiacciando
ciò che restava della sigaretta sotto la suola, tornò indietro per recuperare i
suoi averi e tornare al suo nido sicuro.
Dokuzetsu: wicked tongue,
quindi malalingua direi òwo
un modo ‘carino’ per dirgli che parlava male, insomma u_u
eeeh, a volte i bambini sanno essere davvero malefici
è_é povero piccolo pulcino indifeso twt *parla lei che gli ha inflitto queste sofferenze* xD ma veniamo al dunque: Kou e Yuu si sono conosciuti, Kou
ha fatto parecchie esperienza in giro per il mondo, ma nessun posto era come
casa…se no come avrebbe fatto a conoscere Yuu? >w> purtroppo non posso
darvi anticipazioni, ma posso solo dirvi STATE ATTENTE A_A non abbassate la
guardia mhauhuahuhauah~ Akira, invece, è sempre più
ossessionato da Ruki…come si dice: la lingua batte sempre dove il dente duole u.u *sadica* ha faticato così
tanto per abituarsi alla sua situazione e il primo pinco pallino che arriva
rovina tutto D: inconsapevolmente tra l’altro…ma chissà, chissà cosa accadrà *carezza
Aki* ç_ç beh, lascerò
crescere le vostre aspettative e vi lascerò fantasticare, così farete vostra la
storia *w* ♥
Grazie a
tutte, un abbraccione enorme~
Al prossimo
capitolo ♥