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Autore: PapySanzo89    25/02/2015    13 recensioni
John Watson è tornato dall'Afghanistan e un suo vecchio collega gli consiglia di andare ad uno speed date per tirarsi su di morale. Controvoglia accetta il consiglio ma non sa che l'uomo che incontrerà lì gli cambierà con tutta probabilità la vita.
#Parentlock
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John, Watson, Sherlock, Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buonasera! <3
Chiedo scusa per non aver risposto alle recensioni ma sto di nuovo male (febbraio non è proprio il mio mese quest’anno, è evidente. . .) ma ne approfitto per ringraziarvi qui (e ringraziare tutti quelli che hanno messo la storia in qualsiasi Lista di EFP, siete tanti e non me lo aspettavo) e vi risponderò il prima possibile <3
Detto questo vi lascio col capitolo che vi spiegherà un po’ il tutto (manca poco alla fine XD) quindi buona lettura e a presto. *va a morire in camera*
 
 
 
 
 
3.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Arrivano a casa che Sherlock si ripara gli occhi da qualsiasi fonte di luce e ogni piccolo suono lo infastidisce, ma tutto ciò è normale.
La signora Hudson non è ancora tornata dalla visita alla vicina e John aiuta Sherlock a cambiarsi, a distendersi sul letto e a coprirsi con il piumone. Cade addormentato nemmeno mezzo secondo dopo aver toccato il cuscino.
 
«Bene. E uno è andato.» dice mentre punta la sveglia sul telefono e poi sposta lo sguardo verso lo Sherlock in miniatura. «Io e te però dobbiamo proprio mangiare qualcosa, mh? È ancora presto.»
 
Hamish annuisce e guarda il suo papà disteso a letto e John dubita abbia mai assistito ad un evento simile contando quanto dorme Sherlock (e dai messaggi che molto spesso si ritrova alle cinque del mattino, suppone mai) e così lo alza in braccio e gli mostra Sherlock dormire, il petto che si alza e abbassa lieve sotto le coperte pesanti. Hamish sembra davvero sorpreso.
 
«Ma non dormite mai insieme?» chiede più rivolto a se stesso che davvero ad Hamish e va a in cucina a preparare qualcosa di commestibile da mangiare. Tra le sue tante doti e talenti la cucina non è proprio tra questi.
 
 
 
Le prime tre ore passano velocemente e la prima sveglia di Sherlock arriva in concomitanza con il sonno di Hamish, che si addormenta al fianco di John non appena quest’ultimo finisce il terzo capitolo della saga di Harry Potter.
John entra in camera di Sherlock e tenta di svegliarlo scuotendolo e chiamandolo a bassa voce ma non ricevendo alcuna risposta sta per passare alle maniere forti quando vede un occhio di Sherlock aprirsi pigramente.
 
«Sono sveglio, sono sveglio. Mi chiamo Sherlock Holmes, vivo al 221B di Baker Street, mio figlio si chiama Hamish e tu sei John.»
 
John ride sommessamente e annuisce, dandogli una piccola pacca sul fianco e dicendogli di tornare pure a dormire e Sherlock non se lo fa ripetere due volte, ripiombando nel mondo dei sogni in un battito di ciglia.
 
John esce dalla stanza lasciando la porta aperta e va a distendersi sul divano, puntando nuovamente la sveglia e mettendosi il più comodo possibile. Sarà una lunga notte.
 
 
 
La seconda volta Sherlock si sveglia praticamente subito, snocciolando fuori le informazioni ed aggiungendo qualche dettaglio per fargli capire che non ha semplicemente memorizzato la frase e John sospira, annuisce e fa per andarsene quando la mano di Sherlock si chiude attorno al suo polso. La stretta non è ferrea (dubita potrebbe esserlo con la poca forza che ha ora in corpo) ma è salda.
 
«Dimmi, ti serve qualcosa?»
 
Sherlock biascica qualcosa sul cuscino e poi si schiarisce la gola, ripetendo.
 
«La tua schiena chiederà pietà domani mattina se continui a dormire sul divano. Mettiti a letto e dormi.» e la prima cosa che si sente di fare John e negare con la testa, poi direttamente con la voce finché la presa di Sherlock non si fa via via più forte mentre il sonno lo abbandona.
 
«Non lascerò perdere, spero tu lo sappia. Hai fatto un favore a me e non starò qui a dormire beato mentre tu te ne stai disteso su quel vecchio divano logoro. Non farmelo ripetere, John: Mettiti. A. letto.» e detto questo Sherlock lo tira, facendolo sbilanciare e cadere per metà su di lui e per metà sulla parte libera del letto.
 
«Okay, okay, ho capito.» dice mentre scosta le coperte e si sposta da Sherlock per non gravargli addosso.
La camera è di nuovo silenziosa e John punta un’ulteriore sveglia godendosi la sensazione di qualcosa di morbido, caldo e confortevole sotto la schiena. Tutti gli anni trascorsi in branda gli sono bastati e avanzati, grazie tante.
 
Appoggia il telefono sul comodino e si mette comodo, pronto per dormire e tentare di non notare troppo la vicinanza con il corpo caldo disteso accanto al suo. Tutti i suoi sforzi risultano vani però quando Sherlock gli si avvicina e poggia la guancia sul suo petto, circondandogli la vita con un braccio.
Il respiro gli si mozza in gola e il cuore gli parte per la tangente.
 
«Sherlock?»
 
«Stavo scomodissimo, posso dire con assoluta certezza che mi fa quale qualsiasi cosa e mi gira tutto e il cuscino era troppo morbido ma senza mi veniva la nausea, tu invece sei perfetto.» dice sbadigliando, lagnandosi nemmeno fosse un moccioso, accoccolandosi meglio sopra John. «Mmh, perfetto, sì.» ripete prima di cadere nuovamente addormentato e lasciando John, invece, completamente sveglio a fissare il soffitto.
 
Il peso di Sherlock sopra di lui non è leggero ma non è nemmeno lontanamente fastidioso. L’odore di ospedale che non è riuscito a togliergli di dosso si è mescolato col suo normale profumo in una strana miscela che a John piace perché gli fa pensare che, in qualche strano modo, l’odore di Sherlock e quello di ospedale (l’odore di John, quindi) si adattino perfettamente l’uno all’altro.
 
John si ritrova ad alzare un braccio senza pensarci e a passarlo su tutta la schiena di Sherlock, accarezzando la sottile stoffa della t-shirt che sotto le sue dita pare bollente.
 
Una lunga, lunghissima notte.
 
Sherlock non si scosta da lui nemmeno per un attimo e John sente il tempo passare ma non riesce più a prender sonno, continuando piuttosto a guardare da vicino l’uomo che tiene tra le braccia.
 
C’è una cosa di cui John è quasi certamente sicuro: lui piace a Sherlock. E non parla del piacere che si può avere dallo stare con un amico o con una persona cara, ma di più. Eppure c’è qualcosa che lo frena e decisamente quella cosa non può essere John, perché John crede sia evidente quanto sarebbe pronto per iniziare un qualsiasi rapporto di tipo amoroso con lui; crede sia evidente l’affetto che prova nei confronti di Hamish, crede sia evidente che tra loro c’è qualcosa e che lui non avrebbe alcun problema a riguardo.
Ma allora cos’è?
John non se la sente di chiederlo per paura di sbagliare. Paura di aver interpretato male qualche gesto, timore che magari Sherlock si trovi semplicemente bene con lui e che si comporti così con qualsiasi persona a lui cara.
E, dulcis in fundo, se Sherlock non fosse interessato al genere? Cristo, del resto ha un figlio e sicuramente quel figlio non sarà saltato fuori da sotto un cavolo. La madre probabilmente è lì fuori da qualche parte o morta o solo Dio sa cosa, ma comunque donna.
 
John si passa una mano su tutta la faccia e trattiene un grugnito, abbassando gli occhi sulla zazzera nera di Sherlock che gli solletica le narici.
 
No, per quanto un uomo possa essere espansivo (e Sherlock comunque non lo è) questo supera ogni confine, ogni spazio personale e ci dev’essere qualcosa che non va ma adesso è davvero troppo stanco per pensarci e l’unica cosa che può fare è tentare di dormire e intavolare una discussione con Sherlock una volta che gli sarà passato il mal di testa.
 
John si tranquillizza in qualche maniera e cerca di prendere sonno, tenendo stretto Sherlock a sé con un braccio perché potrebbe essere la sua prima e unica volta, svuotando la mente da pensieri molesti.
 
Quando finalmente Morfeo lo abbraccia e John sente la pesantezza della giornata scivolargli lungo il corpo, la sveglia suona e lui vorrebbe semplicemente sapere perché Dio ce l’ha così tanto con lui.
 
 
 
Il mal di testa di Sherlock il giorno dopo è peggiorato e qualsiasi fonte luminosa lo fa innervosire, così John lo obbliga a rimanere a letto e a non alzarsi, tranne per veri casi di necessità.
Sherlock inizialmente obbedisce, rimanendo a poltrire a letto e chiamandolo per ogni cosa di cui ha bisogno, ma infine decide di alzarsi dal e raggiungere John e Hamish nel soggiorno.
 
Hamish, quando lo vede uscire dal corridoio, fa un sorriso radioso e si alza da terra correndogli incontro e abbracciandogli le gambe, strusciando la faccia sul tessuto morbido dei pantaloni del pigiama.
Sherlock sorride e si abbassa sui talloni per abbracciare in maniera decente suo figlio e poi nota le luci spegnersi e le persiane venir abbassate; John lo guarda dalla finestra scuotendo la testa.
 
«Ma cosa devo fare io con te?» chiede con fare retorico e si avvicina a Sherlock, controllandogli nuovamente la botta in testa e facendolo distendere sul divano. «Un giorno disteso a letto, nemmeno quello riesci a fare.» dice sorridendo e spostandogli i capelli dagli occhi.
Sherlock si allunga a quel tocco e John sposta la mano a coprirgli la guancia, accarezzandogli con il pollice lo zigomo prominente.
 
«Posso stare disteso qui con voi piuttosto che solo, di là.» dice con voce volutamente strascicata e seppellendo il viso nel cuscino mentre Hamish gli si mette di lato e gli fa un due coccoline sul fianco. Sherlock a quel gesto sorride, si alza di poco e prende in braccio suo figlio, facendoselo distendere addosso e facendolo ridere silenziosamente, ne bacia la fronte con reverenza e torna a sdraiarsi per bene, Hamish sempre ben saldo contro di lui e protetto dal suo braccio.
 
John all’inizio non dice nulla ma poi gli sembra un’occasione sprecata.
 
«Oh, ti sentivi tutto solo, di là?» dice con voce fintamente preoccupata, cercando di sedersi in un piccolo spazio lasciato libero sul divano dalla schiena di Sherlock. «Povero piccolo Sherlock.»
 
E Sherlock gli lancia un’occhiataccia in risposta e sposta tutto il corpo in modo tale da spingere l’altro giù, facendo così scivolare John che si regge su un bracciolo invece di cadere a terra.
 
«Sei un idiota.» ride John mentre passa una mano tra i capelli di Sherlock e li scompiglia facendoli assomigliare più a quelli indomabili di Hamish. A quello Sherlock non risponde.
 
«Non credo ci sia nulla di male se preferisco stare con voi.» e per un attimo il cuore di John si ferma, un solo lunghissimo istante. Perché è un voi. Perché Sherlock voleva stare anche con lui e non solo con Hamish e cosa può fare John Watson a queste parole se non abbassarsi e lasciargli un piccolo, innocente ed insignificante bacio tra i capelli?
 
Sherlock si immobilizza sotto il suo tocco ma John finge di non notarlo, dandone uno anche ad Hamish che lo sta guardando speranzoso. «Bravo il mio piccolo Hamish.» dice poi senza una vera ragione e va in cucina a mettere su un po’ di tè.
 
Quando ritorna con due tazze bollenti e una merendina per Hamish, Sherlock è già pronto per fargli spazio sul divano e John ringrazia per l’immenso onore (e Sherlock per poco non lo butta davvero a terra) e si siede, passandogli la tazza dopo averlo fatto alzare a sedere e passato la merendina ad Hamish.
 
Sherlock non è altro che un lamento quel giorno e passa diverso tempo a lagnarsi, dai mal di testa agghiaccianti al fatto di avere sempre sonno e non riuscire a pensare lucidamente e John ad un certo punto si chiede se non stia affatto scherzando e sia il caso di portarlo in ospedale. Però non appena Sherlock nota che John si sta davvero preoccupando la smette immediatamente, dicendogli che gli basterà mandare giù due compresse di paracetamolo e tutto andrà per il meglio. John gli dà dell’idiota e lo fa appoggiare sulla sua spalla, accarezzandogli i capelli dietro l’orecchio e facendo beatamente sospirare Sherlock, che sembra l’uomo più felice e rilassato sulla faccia della Terra.
 
Le braccia di Sherlock vanno a circondargli il busto e d’improvviso sono un groviglio inestricabile di arti e John non si rende conto di come questo sia possibile, ma non se ne lamenta e anzi intensifica il contatto.
 
La signora Hudson sale a conversare qualche momento dopo e Sherlock non scioglie nemmeno un attimo la presa dai suoi fianchi, seppellendo la faccia nell’incavo del suo collo e annusando forte l’odore di John. La padrona di casa sembra non accorgersi di nulla di particolare ma John la pelle d’oca la sente su tutto il corpo.
 
 
 
E va così per tutti i giorni successivi. John non torna a casa se non per prendere biancheria, vestiti puliti e un pigiama (non può continuare a dormire con la roba di Sherlock, al mattino si ritrova sempre mezzo svestito) e passa le ore al lavoro aspettando di andarsene, bramando la compagnia dell’altro e i loro spazi personali ormai completamente dimenticati. Dormono abbracciati sul divano le loro gambe sono indissolubilmente intrecciate e Sherlock si appoggia a lui costantemente, testa contro spalla, busto contro busto e, se non sono insieme sul divano, Sherlock prende come buona ogni occasione per toccarlo. Lo sfiora quando uno sta camminando nella direzione opposta all’altro (uno verso il bagno, l’altro verso il soggiorno), gli si avvicina quando cucina e gli si appoggia contro, il mento contro la sua spalla e le guance talmente vicine che se solo John si spostasse riuscirebbe ad accarezzarlo ed altre piccolezze simili a cui John non farebbe nemmeno così tanto caso se l’altra persona non fosse dannatamente Sherlock. Sherlock, che lo sfiora e lo tocca ma non si sbilancia in nessun altro modo e che, quando è John a provare a toccarlo, si allontana con una scusa banale. E John lo odia un po’ per questo.
 
 
 
Sherlock si è ripreso completamente e nonostante la botta non si sia del tutto riassorbita ritorna sulle scene del crimine con grande entusiasmo e voglia di annunciare al mondo quanto siano tutti degli incapaci.
 
John riprende le sue cose e fa ritorno al proprio monolocale, ritrovandolo ancora più piccolo di quanto ricordasse dopo essersi abituato agli standard di Baker Street. Sherlock non è sembrato propenso all’idea che John se ne andasse ma entrambi sapevano perfettamente che senza una scusa più che valida John non poteva continuare a dormire a letto con Sherlock come se nulla fosse, nonostante la cosa non infastidisse nessuno dei due, tutt’altro.
 
Così ritorna quella routine senza senso di John che entra ed esce dal 221B e dei turni lavorativi e delle chiamante in notturna da parte di Sherlock perché vieni è urgente per poi ritrovarsi semplicemente a passargli una penna e cadere addormentato sul divano.
 
E poi la sua domanda giunge come un fulmine a ciel sereno perfino per se stesso. Sherlock sta esaminando qualcosa al microscopio dinnanzi a lui e Hamish se ne sta seduto a terra in soggiorno a costruire fortezze con i lego, meravigliandosi da solo di come tutto stia in piedi senza cadere.
E non sa nemmeno lui perché la porge, soprattutto non a Sherlock che è tutto tranne che amichevole quando si parla di fatti personali. Sa soltanto che guardando Hamish ha visto molto di Sherlock in quel viso: lo stesso colore d’occhi, gli zigomi alti sotto le guance paffute, gli stessi capelli, ma ha visto anche molto di un’altra persona e questa persona non è lì a fare il suo dovere.
 
«La madre di Hamish che fine ha fatto?»
 
La mano di Sherlock si ferma mentre sta cambiando un vetrino e gli occhi si alzano per incontrare quelli di John che, vigliaccamente, non restituisce lo sguardo, ma fissa le proprie mani mentre sfoglia uno dei libri di Sherlock senza leggere una singola pagina.
 
Sherlock resta in silenzio per molto tempo e finisce di cambiare il vetrino senza aprire bocca, cosa che fa presagire a John che non avrà una risposta. Finché non dà un’ultima occhiata a Hamish e John intuisce che sta cercando di capire se il bambino possa o meno sentire la loro conversazione da dove si trovano. E Sherlock deve dedurre che no, possono parlare liberamente.
 
«Se n’è andata che Hamish non aveva nemmeno un anno.» e John non ne resta sorpreso quanto in realtà probabilmente dovrebbe e aspetta che l’altro continui ma Sherlock non sembra intenzionato a dire altro.
 
John chiude il libro, sospira, e finalmente alza gli occhi su Sherlock che lo sta guardando di rimando. Non sa se chiedere altro o meno (e forse da chiedere non c’è proprio nulla) così si limita a rimanere in silenzio, occhi negli occhi con lui, e vedere se magari Sherlock se la sente di parlare ancora.
Sherlock non lo fa.
 
«E quando c’era lei Hamish vocalizzava?» e questo vuole saperlo. Magari è egoistico da parte sua ma vuole sapere perché Hamish sembra incapace di pronunciare anche le parole più semplici quando lui sa che è in grado di farlo. Sherlock non gliel’ha detto apertamente –figuriamoci!- ma lui non è poi così stupido.
 
Sherlock sospira e chiude gli occhi, voltandosi nuovamente verso Hamish e fissandolo per diverso tempo. Hamish, preso com’è a costruire una torre per gli Elfi, non si accorge di niente e ride con se stesso quando butta giù un orco da una specie di porticato.
 
«Sì.» dice allora Sherlock non staccando gli occhi dal figlio, accarezzando tutta la piccola figura paffuta con sguardo caloroso. «A quel che so vocalizzava le prime sillabe.» e detto ciò cade il silenzio, non fosse per i rumori dal soggiorno di pezzi di Lego che cadono a terra.
John alza le sopracciglia con aria scettica e finalmente Sherlock gli rivolge lo sguardo con un’espressione talmente glaciale che John sente la pelle d’oca sulle braccia. «Ma non te lo saprei dire con certezza, non c’ero nel suo primo anno di vita e nemmeno dopo se è per questo.»
 
John rimane ammutolito e per diversi istanti non sa che dire.
 
«Cosa intendi?» si risolve a chiedere non sapendo che altro dire.
 
Sherlock sospira, scuote la testa e si guarda intorno nemmeno fosse un animale braccato che cerca una via d’uscita. E John capisce semplicemente che non è pronto.
 
«Va bene Sherlock, fa nulla, sono io che non dovevo chiedere.» dice allora e allunga una mano per posarla su quella di Sherlock, il pollice che ne carezza il dorso. Sherlock rimane a guardare le loro mani unite, la differenza d’ossatura, l’abbronzatura di John contro la sua pelle sempre dannatamente pallida, le dita più callose e tozze dell’altro sulle sue da pianista rovinate dagli acidi degli esperimenti. E semplicemente Sherlock sa che quella conversazione non poteva poi essere tenuta nascosta per sempre, che è anche giusto nei confronti di John che lui sappia con chi ha davvero a che fare, con chi si è trovato a condividere così tanti giorni della propria vita.
Solo che lui non vuole perdere John. E probabilmente non lo perderà per una cosa simile ma l’idea che ha di lui –l’idea del geniale e brillante consulente investigativo- cadrà per un’idea più reale, più simile a un normale essere umano con più debolezze che altro e che è in grado di commettere errori.
 
Sherlock volta la mano col palmo all’insù e sfiora con dita adoranti quella di John. Le mani del suo dottore, del suo soldato e dell’uomo che adora. Sente di non meritarsi una persona simile al suo fianco ma voleva seppellire questo suo pensiero il più profondamente possibile nel suo palazzo mentale per riuscire ad andare avanti come stanno facendo ora, spensieratamente. Si riscopre ad essere molto più idiota di quanto credeva.
 
«Nel periodo in cui ho conosciuto sua madre non ero una persona molto facile.» inizia a dire, sentendo la mano di John stringersi comprensiva sulla sua.
 
«Meno male che invece ora sei un pezzo di pane.» gli ritorce John contro, facendo un piccolo sorriso d’incoraggiamento che Sherlock apprezza e lo dimostra con il suo solito ghigno.
 
«Fidati, ero molto meno malleabile di adesso.»
 
«Dio ce ne scampi.»
 
«Lestrade ti darebbe sicuramente ragione. Comunque sia, sua madre non era propriamente la ragazza della porta accanto, ma piuttosto una sottospecie di spia con un tenore di vita invidiabile grazie a dei file con cui poteva ricattare quasi mezzo mondo.»
 
John sbatte le palpebre un paio di volte e rimane a fissare Sherlock, che continua invece a guardare le loro dita intrecciate sembrando incapace di fare altro.
 
«Non potevo aspettarmi niente di meno da te.» John forza un sorriso e cerca di usare un tono di voce neutro ma non riesce a non pensare, in una piccola parte del suo cervello, che sia normale che Sherlock non sia affatto interessato a lui, non dopo questo: una spia con in mano mezzo mondo contro un reduce di guerra? La scelta non sembra poi così difficile.
 
Sherlock gli stringe la mano e finalmente alza gli occhi a guardarlo, e quegli occhi indagatori sul suo viso gli stanno raccontando che lo sta deducendo.
 
«Fammi finire.» dice allora Sherlock, inclinandosi un po’ più avanti sul tavolo dopo aver dato un’altra occhiata a Hamish. «L’ho incontrata su un caso, non sapevo ancora che lei fosse la mia indiziata e io all’epoca non ero molto in me, se capisci cosa intendo.»
 
Lo sguardo di Sherlock si assottiglia e John capisce che sta parlando della droga, così annuisce.
 
«Fatto sta che sono riuscito a metterla alle strette e, alla fine, quella specie di gioco l’ho vinto io. Avevo catturato la più grande truffatrice di tutti i tempi. Gioia e tripudio.» la voce di Sherlock non è minimamente divertita ma piuttosto sembra compatire se stesso. «Quando ho scoperto i suoi piani e fatto in modo che non potesse più nuocere a nessuno l’ho lasciata andare ma, oh, che sbaglio avevo commesso. Non ne hai idea John ma quella donna aveva la mente più geniale che io avessi mai conosciuto e come potevo farla andare via, come potevo far sì che morisse sotto mano nemica solo perché era stata meno furba di me? L’ho pensato allora e lo penso ancora adesso, sarebbe stata una morte assolutamente futile e il mondo avrebbe perso una grande donna. O, più che altro, io avrei perso con chi confrontarmi.»
 
John rimane ad ascoltare ma man mano che Sherlock prosegue sente un moto di fastidio dentro lo stomaco. Chi è esattamente l’uomo che ha davanti e che si divertiva a giocare con la vita delle persone in questa maniera? Sherlock è sempre stato freddo e calcolatore sui casi, mai lo ha visto perdere la calma davanti a una morte che poteva essere prevenuta ma glielo ha spiegato più volte: farsi prendere dal panico non aiuta e lui deve pensare con lucidità. Ma quello che sta facendo ora Sherlock è tutto un altro tipo discorso.
 
Sherlock alza gli occhi a guardarlo e i dubbi di John spariscono: ha ancora davanti lo stesso uomo, che in qualche modo sta tentando di chiedere silenziosamente scusa con lo sguardo per quello che sta dicendo.
 
«Siamo finiti a letto un paio di volte e devo ammettere che non ne ricordo nessuna. Non ero sessualmente attratto da lei ma credo che la noia, l’interesse intellettuale e la droga compissero il miracolo.» il sorriso che sbuca volitivo sulle sue labbra è talmente amaro che John vorrebbe farglielo scomparire all’istante, rimpiazzandolo con uno dei suoi soliti mezzi sorrisi che sono i più belli al mondo.
John si alza dalla sedia e Sherlock lo guarda sorpreso mentre lo vede aggirare la tavola e sederglisi di fianco -talmente vicini da quasi sfiorarsi- riprendendo la mano che teneva stretta nella sua e piazzandosela in grembo, continuando ad accarezzarla col pollice.
 
Sherlock sente qualcosa nel petto che rasenta la commozione ma rimane in silenzio per un altro po’, cercando di far uscire la voce neutra come prima e non come sull’orlo di una strana crisi di nervi.
 
John è sempre lì quando ha bisogno di lui. Risponde se lo chiama, lo insulta quando lo fa arrivare di corsa per niente ma, nonostante tutto, è sempre lì.
Sherlock sente il calore della mano di John sulla sua e continua a guardare quell’intreccio ancora per qualche istante, infine tenta un contatto fugace anche lui accarezzandogli la pelle del dorso con il pollice. John gli sorride sghembo e poggia anche l’altra mano sulla sua.
Sa che a John quel discorso non sta piacendo per niente, ma è giusto che parli anche di Irene per poter parlare del resto.
 
«Detto ciò lei se ne andò. Non so dove, se semplicemente fuori Londra o direttamente dalla Gran Bretagna, ma se ne andò senza dire una parola. Non me ne feci un grande cruccio se devo dire la verità, avevo ben altro a cui pensare e mi scordai della sua assenza qualche giorno dopo. Mai di lei, perché lei era in qualche modo impossibile da dimenticare, ma non ne sentì mai la mancanza.» questa volta è Sherlock ad avvicinarsi e le loro ginocchia ora si sfiorano. John non fa nulla per allontanarsi e non parla, non gli dice di continuare o di fermarsi, semplicemente resta lì, come una roccia in mezzo al mare alla quale ci si può aggrappare se si sta annegando. «Mi ricomparve alla porta quasi due anni dopo, un frugoletto addormentato in braccio e l’aria di chi la sa lunga e sai cosa mi disse?»
 
Sherlock si volta a guardare Hamish ma lo sguardo sembra lontano, sembra guardare oltre.
 
«Sinteticamente mi disse “Tieni, questo è tuo. Io non sono in grado di fare la madre e questo non è lo stile di vita che voglio fare” e me lo depositò in braccio.» Sherlock scoppia a ridere e a John si spezza un po’ il cuore nel sentire tanta disperazione in una risata e l’unica cosa che può fare è rimanere in silenzio e aspettare che Sherlock finisca. «E io l’unica cosa che riuscì a chiedere, strafatto com’ero all’epoca, era ‘E questo coso cos’è?’» Sherlock sposta lo sguardo verso John. «Questo coso. A Hamish.» e lo dice con un rimpianto tale che questa volta John si alza e lo stringe a sé, circondandogli le spalle e premendoselo contro il petto, poggiandogli il mento sul capo e accarezzandogli i capelli.
 
Sherlock alza le braccia e circonda il busto di John stringendolo forte, strofinando il viso sul suo maglione e continuando a raccontare come meglio può ciò che è successo.
 
«Lei comunque non si voltò mai indietro, mi lasciò semplicemente una lettera con il certificato di nascita, gli alimenti a cui era allergico e i vaccini a cui era stato sottoposto, null’altro. E io feci l’unica cosa che mi sentì di fare in qual momento: chiamai Mycroft.»
 
C’è un attimo di pausa in cui Sherlock raccoglie le idee e poi sospira piano. «Non lo volevo con me, John. Cosa mai avrei potuto farmene di un bambino? Io? Non ho mai voluto fare il genitore e ben che meno lo volevo all’epoca. Così dissi a Mycroft di farne quello che voleva ma di non farmelo vedere mai più. Gli dissi di darlo in adozione o di tenerselo, bastava che non me lo ritrovassi più sotto il naso. E così Mycroft fece, lo tenne. Non con sé, per carità, lo diede ai nostri genitori che comunque non vedevo mai, quindi era un po’ come darlo in adozione ad una famiglia qualsiasi. Non gli chiesi il perché, non mi interessava, e mi liberai di Hamish in meno di ventiquattr’ore. In quel breve lasso di tempo si era svegliato e si era guardato intorno, spaesato, e io non avevo fatto altro che guardarlo orripilato di rimando e chiesto a Mycroft di fare il tutto il prima possibile.» Sherlock si spinge contro di John con più forza e non vuole alzare lo sguardo, possibilmente mai più, perché non vuole incontrare gli occhi blu di John che tanto ama colpevolizzarlo, anche se lo merita.
 
«Hamish probabilmente era il più spaventato, da solo con me, senza una faccia conosciuta e borbottò qualcosa che nemmeno ricordo. Tanto cosa poteva interessarmi quello che aveva da dire un moccioso petulante, no? Quindi non gli diedi nemmeno un briciolo d’attenzione e ora non ricordo quali fossero le sue prime parole, non ricordo nemmeno la sua voce.»
 
John si muove ma non scioglie la presa sulle spalle di Sherlock e Sherlock si sente in qualche modo rassicurato da questo.
 
«Passai così un anno e mezzo, dimenticandomi completamente della sua esistenza, finché la mia dipendenza prese il sopravvento e finì ricoverato d’urgenza in ospedale. Sai che noia.» Sherlock cerca di sbuffare fuori una risata per alleggerire la tensione ma John non sembra dell’umore di ridere o di fare battute, quindi lascia perdere. «Lestrade ovviamente se ne accorse e mi disse che non ci sarebbe stato nessun altro caso per me se non fossi, testuali parole, uscito fuori da quella merda. Gli diedi dell’esagerato e mi sentì esasperato ma era irremovibile su quel punto e, per quanto all’epoca non me ne accorgessi, Lestrade lo faceva davvero per me. Così mi vidi costretto a pensarci seriamente su. Cos’era più importante: la droga o i casi? La risposta non era poi così facile come pensavo.»
 
John fa per scostarsi da lui ma Sherlock stringe forte tra le dita la stoffa del suo maglione e vuole fermarlo, non vuole farlo andar via, ma John posa delicatamente le mani sulle sue e Sherlock si vede costretto a sciogliere quell’intreccio di arti, si vede costretto a sollevarsi dal calore del corpo di John e una parte di lui si sente come se stesse morendo pian piano.
 
John si sposta di poco e prende la sedia dove stava fino a pochi istanti prima e la porta più vicina a quella di Sherlock, affinché finalmente si possano toccare senza nessun impedimento e Sherlock capisce che semplicemente John stava iniziando ad avere mal di schiena. Infatti John apre le braccia e Sherlock si può nuovamente appoggiare a lui e inspirare il suo odore e rimanere in quel calore finché vorrà.
 
«E poi un giorno i miei genitori comparvero alla porta, gli sguardi rassegnati e preoccupati e un bambino di poco più di tre anni al loro fianco che si guardava intorno spaesato, nascondendosi dietro le loro gambe. E John, te lo giuro, era uguale a me. Ero io ed era inconfutabile. Aveva il mio colore d’occhi, i miei zigomi, i miei capelli ribelli, era la mia copia di quando avevo la sua età ed era… bellissimo.» Sherlock sposta di nuovo lo sguardo e questa volta Hamish sta disegnando qualcosa su un foglio di carta, probabilmente un progetto per il castello per aiutare Elfi e Nani nella battaglia contro gli Orchi. «Era una parte di me. Una vera ed effettiva parte di me. Come avevo potuto abbandonarlo? Se aveva anche solo un quarto della mia intelligenza sarebbe stato solo come lo sono stato io fin da piccolo e come potevo lasciarlo a un destino simile? Rimasi a guardarlo finché i miei genitori non se ne andarono e lui mi restituì uno sguardo intelligente e curioso e mi fissò finché la porta non si chiuse alle sue spalle e io rimasi a fissare il vuoto che quel bambino aveva lasciato dietro di sé.»
 
John gli passa una mano dietro la schiena e Sherlock si sente a casa.
 
«Sono andato in una clinica per circa sei mesi, volevo essere certo di non avere altri problemi di questo tipo. Ma mentirei se dicessi che l’ho fatto solo per Hamish: i casi erano una costante nella mia vita e rivolevo indietro anche loro. Come sono uscito sono andato a riprendermi mio figlio e per un po’ ho lasciato perdere Lestrade e le sue richieste; dovevo trovare una sottospecie di armonia tra tenere un figlio da solo, perché comunque la signora Hudson non è una costante, e uscire ad orari discontinui. Devo ammettere che Mycroft anche in quel caso è stato piuttosto utile, anche se non glielo dirò mai.» Sherlock a quello sorride e ripensa a Mycroft e a tutto l’aiuto che gli ha dato con Hamish. Non aiuto fisico, Dio non voglia farlo alzare dalla sua comoda poltrona, ma aiuto monetario e qualche babysitter quando gliene serviva una.
 
«E Hamish non ha più emesso alcun suono. Non l’ho mai sentito nemmeno ridere o piangere, semplicemente il silenzio assoluto, e credo che questa sia la punizione che più mi merito per quello che ho fatto. E poi sei arrivato tu. Sei arrivato quand’ero più in difficoltà e avevo più bisogno. Sei arrivato quando stavamo ancora cercando un equilibrio e avevo Hamish con me da nemmeno un anno. Hai aiutato senza chiedere nulla in cambio, mai, nemmeno una volta, e hai iniziato ad amare Hamish quanto lo amo io e che cosa dovrei mai dire di questo, John? Non merito Hamish e non merito nemmeno te.»
 
«Hamish!» il grido di John fa alzare di scatto Sherlock dal suo petto e fa alzare la testa del bambino dal disegno che sta cercando di portare a termine. «Hamish, vieni qui!»
 
Il bambino si alza da terra e zompetta nella loro direzione, cercando di capire se c’è qualcosa che non va. Appena raggiunge John si sente prendere da sotto le ascelle e si ritrova a sedersi in grembo al padre. Hamish alza il viso per guardare Sherlock e gli sorride, raggiante, contento di vederlo e alzando le manine verso il suo viso per fargli qualche coccola, lasciando cadere a terra il pennarello che teneva ancora in mano.
 
Sherlock rimane bloccato qualche istante quando sente le dita di Hamish sfiorargli leggermente gli zigomi per poi impattare più violentemente contro le guance in carezze rudi come solo i bambini sanno fare, ma alla fine si riprende, allungando la sua mano affusolata su quella del bambino e ricoprendola con la propria, baciandone poi il dorso.
 
«Hamish ti ama.» Sherlock sente dire a John e alza gli occhi a guardarlo. «E nonostante tutto quello che è successo tu ora sei qui e sei con lui e gli vuoi bene. Lo hai ripreso con te e cosa credi che serva a un bambino se non questo?» Sherlock fa per aprire bocca ma John non lo lascia nemmeno iniziare. «Tu gli dai tutto ciò di cui può avere bisogno. E non parlo solo di beni materiali, cosa credi, che non si accorga che fai tutto ciò che è nelle tue possibilità per lui? Hai iniziato col piede sbagliato, se così si può dire, e va bene, può capitare a tutti di sbagliare ma, come hai ammesso tu stesso, non eri nelle condizioni migliori per tenere un bambino, né lo volevi. Credi che se lo avessi tenuto in quelle condizioni le cose sarebbero migliorate? Che Hamish sarebbe stato più felice? Dimmi quello che vuoi ma no, io non lo credo.»
 
Sherlock piega le labbra in una linea sottile e guarda John negli occhi, sentendo una strana sensazione alla bocca dello stomaco. John sembra arrabbiato, cosa più che normale, ma è un’arrabbiatura diversa da quella che si aspettava. Ha la mascella contratta, le sopracciglia corrugate e lo guarda con una strana luce negli occhi che non riesce bene ad indentificare, il petto che si alza e si abbassa in maniera furiosa per le parole dette tentando di non urlare.
 
«Magari sarebbe stato più contento con una famiglia più normale, se Mycroft lo avesse dato in adozione…»
 
«E magari sarebbe stato più felice nascendo dittatore della Cina, questo non lo si può sapere. Ma quello che vedo io è un bambino essenzialmente timido ma ben felice di stare col padre. Insomma, guardalo!»
 
Sherlock non sa se sia un invito o un semplice rafforzativo, ma abbassa comunque lo sguardo per portarlo a Hamish che però ha ben altro da fare (come tentare di strappare i bottoni della camicia di Sherlock in qualsiasi modo) e non gli dà attenzioni. Imbroncia semplicemente la boccuccia quando i bottoni della camicia sembrano non voler saltare e si appoggia addosso al padre, alzando lo sguardo su di lui e sorridendogli quando vede che Sherlock lo sta guardando, allungando nuovamente una manina per sfiorargli il mento con le dita
 
Sherlock ricorda i primi giorni. Ricorda i musi lunghi e gli occhi spauriti di quando Hamish ha messo per la prima volta piede al 221B. Ricorda le notti insonni perché Hamish aveva paura di rimanere in cameretta da solo e ricorda gli occhioni pieni di lacrime quando Sherlock faceva per andarsene in un’altra stanza (anche solo per prendere il cellulare) e lui rimaneva solo.
Non gli ha mai dato delle regole perché lui stesso di regole non ne ha mai avute. Non lo ha mai obbligato a mangiare o forzato in qualsiasi cosa per il senso di colpa che lo attanagliava, e quante volta ha voluto riportarlo dai suoi genitori convinto che stesse meglio con loro che con lui? Però pian piano ha visto Hamish iniziare ad abituarsi alla sua presenza e rimanere sempre più tranquillo anche quando stava per andarsene, lasciandolo con la signora Hudson. Ricorda il tempo speso per cercare di fargli capire che non se ne sarebbe andato per sempre, non di nuovo e non come la madre; ricorda gli occhi di Hamish che pian piano, giorno dopo giorno, si facevano un po’ più fiduciosi e ricorda la prima volta in cui ha potuto prenderlo in braccio e abbracciarlo sul serio sentendo una piccola stretta di rimando. Ricorda di essersi sentito veramente padre per la prima volta proprio in quel momento, con Hamish che lo riconosceva come tale, e poi si è trasformato nel bambino che è ora, tutto sorrisi, coccole, qualche capriccio ma bisognoso di affetto.
Un altro bambino rispetto agli inizi, rispetto a mesi prima.
E Sherlock ora non riesce ad immaginare una vita senza di lui.
 
«Hamish, mostra al papà che gli vuoi bene, siccome è un emerito...» non finisce la frase ma Sherlock può vedere dal sorriso che gli increspa le labbra ciò con cui vorrebbe concludere, non potendo a causa di orecchie di minore pronte ad ascoltare.
A Hamish si illuminano gli occhi e cerca di sollevarsi il meno goffamente possibile sulle cosce di Sherlock (che infine lo sorregge per la schiena per non farlo cadere) e poi circonda il collo del padre e gli inonda la guancia di bacini appiccicosi, facendo ridere John ed intenerire profondamente Sherlock.
Come sarebbe stato lui –Sherlock Holmes- in quell’esatto momento della sua vita se non avesse avuto Hamish ed incontrato John, non lo sa nemmeno lui.
 
«Siccome per ora non può parlare abbiamo imparato a dimostrare l’affetto tramite le figure sui libri, vero Hamish?» il bambino non si degna nemmeno di rispondere, scambiando i bacini con pernacchie e ricevendo in cambio il solletico da parte di Sherlock, che vuole a tutti i costi evitare di far notare quanto sia in realtà commosso. «E quindi tutto andrà bene, Sherlock.»
 
Sherlock alza gli occhi lucidi su John e fa un mezzo sorriso sghembo. «Non dirmelo, si risolverà tutto grazie alla smielata forza dell’amore?»
 
John ride ma scuote la testa. «Si risolverà tutto grazie ai calci in culo che ti darò se sbaglierai qualcosa.»
 
E Sherlock ride, ride di gusto e si sente liberato di un peso enorme. Ride e abbraccia stretto Hamish a sé baciandogli la tempia, i capelli e la fronte aggrottata e continua a ridere quando il bambino si dimena e lo guarda come se fosse impazzito.
 
«Va bene, va bene la smetto.» fa Sherlock per poi volgere lo sguardo verso John. «Però noi vogliamo bene anche a John, non è vero Hamish?» il tono è profondo e sincero e John sente il cuore accelerargli quando fissa i propri occhi in quelli dell’altro. Hamish si volta a guardare John e annuisce convinto, come se fosse la cosa più ovvia e palese del mondo e poi torna ad affrontare l’arduo compito di aprire la camicia di Sherlock senza apparente motivo.
 
John guarda Sherlock e Sherlock gli restituisce lo sguardo, cala un silenzio pesante e carico di sottintesi tra i due ma entrambi sanno di cosa vogliono parlare.
John soprattutto vuole mettere fine a quello stupido muro sottile come un foglio di carta velina che li separa e vuole raggiungere finalmente Sherlock, toccarlo a palmo aperto e urlargli in faccia che è un emerito imbecille per averlo fatto aspettare così tanto per una cosa simile.
 
«Bene, ora che abbiamo risolto questo, potremmo per cortesia risolvere la nostra…?» le parole gli muoiono in gola non appena il suo stesso cicalino inizia a vibrare. È reperibile quest’oggi e mai il fato gli è sembrato più scontroso e stronzo con lui. Un’imprecazione gli si blocca tra i denti e risponde alla chiamata zittendo finalmente quel fastidioso rumore. Deve andare e di corsa, l’ambulatorio e da tutt’altra parte rispetto a casa di Sherlock.
 
John alza nuovamente gli occhi e nota che Sherlock sta continuando a guardarlo, l’espressione però è calma e rilassata e John vorrebbe semplicemente alzarsi e baciarlo e farla finita lì ma non vuole dover correre subito via per andare al lavoro; vuole godersi l’attimo, vuole vedere gli occhi di Sherlock illuminarsi e continuare a baciarlo su quelle labbra morbide e atteggiate a sorriso fino a sera, senza interruzioni o lavoro o persone di mezzo.
 
Quindi non fa nulla. Si alza, prende il giubbotto il più velocemente possibile e saluta di fretta, accarezzando sia i capelli di Hamish che quelli di Sherlock, soffermandosi per qualche istante di troppo.
 
«John!» lo ferma la voce di Sherlock quando sta per varcare la soglia e John si volta. «Passa da quel ristorante Thai in fondo alla strada prima di tornare a casa.»
 
E John sente il cuore scaldarsi. Si lamenta per qualche istante di non essere il tuttofare di casa Holmes ma poi annuisce, sempre fingendosi seccato, e scende le scale con un sorriso da una parte all’altra della faccia al pensiero che ormai sappia esattamente quale sia casa.
 
 
 
John torna a casa parecchie ore dopo, distrutto dal turno a dir poco massacrante ma con il sacchetto del thailandese in mano. Sherlock non si spreca nemmeno ad apparecchiare e John gli lancia i cartoni bollenti del cibo, ridendosela delle proteste che Sherlock gli fa quando sente i polpastrelli bruciargli.
 
Mangiano chiacchierando del più e del meno e Hamish riesce a sporcarsi perfino i pantaloni del pigiama, e John alza gli occhi al cielo della svogliatezza di Sherlock di mettergli un bavaglino perché tanto andrebbe comunque lavato quindi che differenza c’è?
 
Quando John getta i cartoni nell’immondizia Sherlock ha perlomeno la decenza di lavare i bicchieri e le bacchette e John gli sta accanto, asciugando il tutto con uno straccio, e se ne restano gomito a gomito come fosse la cosa più naturale del mondo, a lanciarsi occhiate di sottecchi e sorridersi come due idioti.
Non hanno modo di parlare perché Hamish è stranamente attivo e pretende le attenzioni di entrambi, esigendo di giocare con tutti e due e non mostrando segni di stanchezza nemmeno intorno alle undici.
E a quel punto è John che si impone di farlo andare a dormire perché è tempo che impari dei ritmi e Sherlock –dopo aver drammaticamente roteato gli occhi- gli dice di portarlo in camera sua perché gli ha promesso che avrebbero dormito insieme e intanto si mette a finire l’esperimento che non è riuscito a concludere nel pomeriggio.
 
Tutto sembra tornato alla normalità e John sente il cuore più leggero a quella consapevolezza e porta Hamish in camera di Sherlock, facendolo distendere a letto e sedendoglisi vicino.
 
«Allora, Hamish,  vediamo di dormire.»
 
 
 
È quasi l’una ormai quando Sherlock guarda l’orologio e fissa l’esperimento che non riesce a portare a termine per i troppi pensieri che gli frullano per la testa, e il fatto che John sia uno di questi pensieri (il maggiore a dirla tutta) non aiuta particolarmente.
 
E parlando di lui non è mai riemerso dalla sua stanza e la cosa gli fa immaginare che fine abbia fatto: disteso sul suo letto profondamente addormentato accanto a Hamish. Ed è proprio questo ciò che trova quando entra in camera dopo essere passato prima per il bagno, decidendo di portare a termine l’esperimento il giorno successivo.
 
Hamish dorme con la boccuccia aperta dal lato dove non dorme Sherlock, con il viso sprofondato nel cuscino e la coperta fin sopra le spalle, la personificazione della serenità.
John d’altro canto si è addormentato in una posizione che sembra tutt’altro che comoda, un qualcosa tra il mezzo seduto e il mezzo disteso, appoggiato alla testiera del letto con una mano a coprirgli gli occhi e l’altra accanto a Hamish, come se volesse captarne i movimenti.
 
Sherlock sorride e si avvicina, sfiorando con lo sguardo entrambe le figure distese a letto. Sa perfettamente che la cosa più giusta da fare sarebbe svegliare John e mandarlo a casa, o perlomeno svegliarlo e dirgli di mettersi qualcosa di più comodo della camicia e dei jeans per dormire, ma lui non vuole che John se ne vada e sa perfettamente che se lo svegliasse John non rimarrebbe a dormire lì, a letto con lui, quindi l’unica cosa che gli sembra giusta fare è quella di prendere John delicatamente e farlo distendere per bene – così la sua schiena non urlerà pietà il giorno dopo – e coprirlo come meglio può.
 
John non si sveglia nemmeno una volta mentre Sherlock lo sposta e, anzi, si sistema più comodamente con un verso assonnato e ruba il cuscino di Sherlock, abbracciandolo nel sonno.
Sherlock alza gli occhi al cielo, poi si spoglia e si mette il pigiama, infilandosi nel letto che grazie a John è piuttosto caldo e copre entrambi. Mentre Hamish si è appropriato di metà del letto John si è appropriato dell’altra metà, quindi Sherlock si ritrova incredibilmente vicino a John, talmente vicino che ne può sentire l’odore, può toccare con il braccio la stoffa della camicia di John e sentire il suo calore riscaldarlo. Ed è una sensazione travolgente.
 
John si muove ancora e si sposta per scontrarsi con la schiena contro il petto di Sherlock e si accoccola lì, senza chiedere il permesso al cuore di Sherlock che sta per esplodergli fuori dal petto.
Sherlock alza un braccio e lo porta oltre il fianco di John, stringendolo contro di sé e immergendo il naso in quei capelli biondo-grigi che sanno di shampoo e di tè e di casa e rimane così, minuti o forse ore intere, a sentire con la mano il petto di John alzarsi e abbassarsi, il suo leggero russare, il suo odore e il suo calore e piano piano si addormenta, stringendo di più a sé John e sussurrandogli qualcosa che non ha ancora osato dire a voce alta.
 
 
 
John si sveglia durante la notte. Sta scomodo, qualcosa gli preme contro il fianco e si chiede come mai indossi ancora i jeans e la camicia, ovvero gli indumenti più scomodi al mondo per dormire. Poi i suoi occhi si aprono con calma e la piccola figura di Hamish gli si para davanti, sagomata dalle poche luci e dalle molte ombre nella stanza. Infine si accorge del braccio attorno alla sua vita.
 
Sherlock lo sta abbracciando e gli sta letteralmente dormendo addosso e John si sveglia completamente, spalancando gli occhi e sentendo per bene il peso di Sherlock sopra di sé e il suo fiato caldo sulla sua nuca, la mano appoggiata sul suo ventre e una gamba tra le sue. John si irrigidisce un attimo e pensa a che diavolo dovrebbe fare, salvo poi capire di non poter fare proprio niente. È a letto con Sherlock e Hamish, non può spostarsi o rischierebbe di svegliare uno dei due. E poi è notte fonda e lui sta dannatamente comodo e Sherlock lo sta dannatamente abbracciando, perché diavolo dovrebbe spostarsi?
 
E poi ricorda perfettamente di aver portato a letto Hamish e di non aver visto più Sherlock, quindi vuol dire che Sherlock non lo ha svegliato e che gli va benissimo stia lì. Insomma, lo sta abbracciando.
 
John manda a quel paese ogni scrupolo e torna a chiudere gli occhi, sistemando meglio il cuscino con una mano e muovendosi per premersi il più possibile contro Sherlock, prendendogli la mano che ha sul ventre nella sua ed intrecciandone le dita, portandosela al petto.
 
È in quel momento che sente un leggero sfioramento sulla nuca ed intuisce che Sherlock si è svegliato, lasciandogli un bacio delicato sui capelli.
 
«Sherlock…?» mormora, il cuore che gli martella nelle orecchie, ma l’altro non gli risponde e John ne sente il respiro nuovamente profondo e disteso e capisce che si è addormentato un’altra volta.
John sorride nel buio e si riaddormenta con lui.
 
 
 
John si sveglia che l’orologio digitale sul comodino dalla parte di Hamish non segna nemmeno le sette e si ritrova a pensare di potersi prendere ancora cinque minuti, non fosse per una voce che lo sveglia del tutto.
 
«Buongiorno.»
 
La voce di Sherlock è bassa, dolce e calda e John si ritrova a pensare che è il suono più bello che abbia mai sentito in tutta la sua vita. Si volta nell’abbraccio, la mano di Sherlock che lo lascia fare per poi riadagiarsi sopra di lui quando finisce di girarsi, e si appoggia per bene con la schiena al materasso, vedendo Sherlock sovrastarlo grazie al fatto di essersi appoggiato su un gomito.
 
Si guardano per diversi istanti senza dire niente, semplicemente osservandosi e rimanendo ognuno nei propri pensieri per qualche momento.
 
«Buongiorno.» si ritrova finalmente a rispondere John, la voce un po’ più roca di quella di Sherlock che sicuramente è sveglio da più tempo di lui e sorride perché non riesce ad evitarsi di farlo. Sherlock gli risponde con il sorriso più caloroso che gli abbia mai visto fare.
 
John si sgranchisce la schiena, si stropiccia gli occhi e si massaggia il collo un po’ indolenzito e poi passa una mano lungo il braccio di Sherlock (che lo sta stringendo a sé possessivamente) in una carezza che in un modo o nell’altro ora sa che può permettersi.
 
«Vado a fare la colazione.» dice dopo diverso tempo e fa per alzarsi ma Sherlock lo blocca, la mano che stava attorno al suo fianco improvvisamente sul suo petto per spingerlo con decisione contro il materasso.
 
«Resta.» gli fa Sherlock e lo sguardo è talmente serio che John si chiede se per caso abbia detto qualcosa di male.
 
«O… okay.» è l’unica risposta che si sente di dare, ma Sherlock preme ancora di più la mano sul suo petto, allargando le dita per poter toccare più John possibile.
 
«Resta.» gli dice di nuovo e lo guarda negli occhi nella speranza che John capisca.
E John lo fa.
 
Spalanca gli occhi alla realizzazione che Sherlock gli sta chiedendo di rimanere lì, in pianta stabile, e un sorriso gli increspa naturalmente le labbra, facendolo sembrare più giovane di dieci anni.
 
«Okay.» ripete questa volta più sicuro e Sherlock sorride con lui e poi gli si china addosso e John può finalmente –finalmente- sentire quella labbra che tanto sognava toccare le sue in modo delicato. E sono morbide proprio come immaginava quando premono contro le sue, e sono calde, dolci e quello non è nemmeno un vero bacio ma un semplice sfiorarsi ma per John è un mondo intero.
 
Sherlock fa per ritrarsi ma John lo ferma per la nuca e, dopo essersi separati per un solo attimo, torna a premere le labbra contro quelle di Sherlock e questa volta è poco più di uno sfioramento, ma John crede che sia giusto così, che per ora sia semplicemente perfetto.
 
E poi sente qualcosa assalirlo di fianco e si ritrova col viso di Hamish premuto contro la sua guancia mentre lo riempie di piccoli baci e John si ritrova costretto a separarsi da Sherlock perché scoppiare a ridere in faccia a una persona mentre la si sta baciando non è sicuramente un bel gesto.
 
«Qualcuno qui vuole attenzioni, mh?» chiede mentre lascia la mano sul collo di Sherlock e ne accarezza l’attaccatura dei capelli e con l’altra porta Hamish a sé, baciandogli tutto il viso e facendolo ridere.
 
«Papà, qui c’è qualcuno che vuole attenzione.» dice voltandosi con gli occhi ridenti e una felicità talmente palese che Sherlock si sente quasi oppresso da tanto sentimento.
 
Sherlock sorride e si volta verso Hamish senza rompere il contatto con la mano di John. «Ma davvero?» fa, fingendosi indifferente e Hamish sorride, giocando con le mani e nascondendosi dietro la spalla di John come per non farsi trovare.
 
Passano la restante mezz’ora a giocare a letto con Hamish finché la signora Hudson non bussa alla loro porta e afferma di aver portato loro la colazione (ma solo questa volta!) siccome non riusciva a dormire a causa di urla e risate proveniente dal piano superiore.
L’occhiata tra lo seccato e il divertito che lancia loro fa sentire John tra le persone più fortunate sulla faccia della Terra.
 
 
 
Fanno colazione a letto per pura pigrizia e si alzano solo quando Hamish sembra troppo annoiato dal rimanersene a letto e prende la mano di Sherlock e la tira, facendogli capire che è ora di alzarsi e andare a far qualcosa di buono.
 
Sherlock va dietro a Hamish e John ne approfitta per farsi una doccia e pensare a quando andare a prendere la sua roba nel piccolo monolocale.
In realtà ha pian piano trasferito così tanta roba da quel buco a casa di Sherlock che non gli rimane poi molto da prendere. Ci sono dei libri, qualche vestito che se anche si lasciasse indietro non cambierebbe nulla, qualche vecchio ricordo dei suoi genitori e tutta la roba dell’Afghanistan che deve assolutamente prendere perché comprende la sua pistola (che non dovrebbe più avare), la sua divisa e le sue piastrine. Tutte cose importanti per lui.
 
E John pensa, mentre si strofina i capelli con un asciugamano davanti lo specchio del bagno, che non dovrebbe essere così tranquillo, che trasferirsi a casa di un’altra persona (una persona che si frequenta) non dovrebbe essere così facile, che bisognerebbe ponderarci su con mente un po’ più lucida e non alle sette del mattino, quando i neuroni (almeno i suoi) non hanno ancora iniziato a funzionare. Ma tutto ciò che John sente è una profonda calma. Del resto è come se vivesse già lì, in un certo modo.
C’è il suo rasoio proprio lì, vicino al dopobarba di Sherlock, il suo spazzolino se ne sta nel bicchiere accanto a quello dell’altro con il dentifricio che John ha comprato l’ultima volta che è andato a fare la spesa.
In realtà anche sparse per la casa ci sono cose sue. Si è portato dietro qualche libro per i momenti in cui Hamish dorme, qualche vecchio CD regalatogli da Harry che Sherlock per qualche ragione pare mal sopportare, e il suo laptop ormai si può quasi dire essere di Sherlock.
Quindi no, non è preoccupato e anzi, non vede l’ora di stracciare il contratto e andarsene finalmente di lì.
 
Esce dal bagno che Sherlock sta facendo fare le capriole a Hamish, mostrandogli come poggiarsi a terra e come darsi la spinta (e John ringrazia che ci sia poco spazio nel soggiorno o immagina che Sherlock darebbe una dimostrazione pratica) e Hamish ci prova, ma pare non riuscire ad andare dritto e sbanda sempre di lato. Tutto sommato pare divertirsi anche nello sbagliare.
 
Sherlock lo guarda entrare nella stanza e fa un piccolo sorriso di slancio, prendendo Hamish per i fianchi e cercando di fargli fare una capriola come si deve.
 
«Pare gli ci vorrà un po’ più di pratica.» fa John mentre si avvicina e si siede lì accanto. Sherlock annuisce e tenta di nuovo, istruendo meglio Hamish.
 
«Devo continuare con l’esperimento di ieri o Lestrade non verrà mai a capo dal caso che sta seguendo.» dice mentre vede Hamish tentare da solo e quasi riuscirci. John si volta a guardare il microscopio e la sostanza viscosa sulle piastre petri e non dice nulla, avvicinandosi semplicemente a Hamish e prendendo il posto di Sherlock che si alza e va al tavolo in cucina dopo aver passato una mano tra i capelli di John.
 
Tutto è normale, sembra che non sia cambiato nulla rispetto al giorno prima, ma la mano di Sherlock si ferma molto più del dovuto tra i capelli biondo cenere e il dottore inclina la testa a quel contatto, cercando di prolungarlo il più a lungo possibile. È quasi niente ma in realtà è tutto.
 
 
 
Finito il pranzo John si prepara per andare a lavorare e sbuffa seccato perché non ha davvero voglia di muoversi di casa con quel freddo e pensa con una nota di panico che manca anche relativamente poco a Natale e che dovrà fare un regalo ad entrambi gli Holmes di casa, ma per il momento è meglio relegare il pensiero fin quando non mancheranno pochi giorni e lui sarà davvero nel panico. Insomma, un panico per volta.
 
Sherlock non è ancora venuto a capo dell’esperimento che sta portando avanti ma ha assicurato che ci sta arrivando, che gli manca solo un collegamento e poi avrà la soluzione in mano. John non dice nulla e chiama la signora Hudson per tenere Hamish perché è meglio non disturbare Sherlock quando è in certi stati e la donna non ha niente da ridire quando prende Hamish per mano e lo accompagna al suo appartamento, dato che sta facendo una torta e non vorrebbe si bruciasse.
 
«Ci vediamo dopo.» dice John indossando il cappotto e salutando Sherlock con un gesto della mano, avviandosi verso l’uscita, ma un colpo di tosse lo fa fermare e voltare.
Sherlock non ha alzato gli occhi dal microscopio ma con una mano gli fa cenno di avvicinarsi e John lo fa senza pensarci.
«Sì?» chiede rimanendo ad osservare Sherlock per qualche istante siccome pare non intenzionato a dire nulla. «Sherlock non vorrei arrivare in ritardo solo perché ti sei perso nel tuo palazzo mentale, che c’è?» Sherlock a quel punto alza gli occhi a guardarlo e John pensa, per la millesima volta, a quanto quegli occhi siano belli ed espressivi.
 
Sherlock alza la stessa mano che poco prima gli stava facendo cenno di avvicinarsi e afferra John per il colletto del giaccone, tirandolo a sé e alzandosi un poco dallo sgabello per avvicinarsi a John e baciarlo.
 
È diverso rispetto a prima, in realtà è molto diverso. Sherlock si muove sulle sue labbra e aggiusta l’angolo per poterlo baciare meglio e John si deve reggere con una mano al tavolo per non rischiare di cadere quando Sherlock si risiede comodamente, sbilanciandolo.
 
E John schiude le labbra quando sente un timido accenno di lingua provenire da parte di Sherlock e lo incoraggia avvicinandosi di più e affondando le dita in quei ricci scuri, tenendolo fermo e mugolando quando le braccia di Sherlock gli circondano la schiena e lo stringono e quando finalmente Sherlock prende coraggio e va ad esplorare la bocca di John, e quel tocco che è partito delicato si ritrova ad essere tutto lingua e morsi e John non è più così convinto che gli serva un lavoro per andare avanti e che quindi potrebbe benissimo rimanersene a casa a baciare Sherlock per il resto della vita.
 
Quando Sherlock rompe il bacio John tenta di seguirne i movimenti e continua a baciarlo delicatamente, piccoli sfregamenti e tocchi su quelle labbra gonfie e morbide, e si ritrova davvero ad avere il fiatone per un bacio come non gli capitava dalle sue prime esperienze, quando ancora non sapeva che si poteva tranquillamente respirare dal naso senza rischiare di soffocare.
 
Sherlock alza le braccia e le porta alle sue spalle, stringendo meglio John a sé e finendo fronte contro fronte. John si ritrova a ridere piano.
 
«Se questo è un tentativo di non mandarmi al lavoro sappi che sta funzionando egregiamente.»
 
Sherlock sorride e lo guarda, spostando gli occhi su tutto il suo viso e soffermandosi ogni tanto su qualcosa che pare piacergli particolarmente.
 
«Ricordami di tenere questa mossa per la prossima volta allora.» Sherlock sposta nuovamente le mani e le porta alle guance di John, premendolo contro di sé per un ulteriore bacio decisamente più casto e giocoso. «Ci vediamo dopo.» si limita a dire scimmiottando il saluto di John e John non può far altro che alzare gli occhi al cielo e tirargli una gomitata.
 
«Vedi di fare poco lo spiritoso mister non-mi-distraggo-mai-sto-lavorando.»
 
Sherlock si massaggia il fianco colpito e alza il viso con aria di superiorità, facendogli cenno con una mano di andarsene. «Infatti sono molto, molto impegnato, a dopo.»
 
John scuote la testa ma non dice nulla, afferrandogli un’ultima volta la nuca e baciandogli la fronte. «Vedi di muoverti o Lestrade si troverà un nuovo consulente investigativo.»
 
E prima ancora che Sherlock possa iniziare una tiritera sul fatto che lui è l’unico e il solo consulente investigativo, John è già fuori dalla porta con la consapevolezza di aver fatto irritare l’altro non rimanendo ad ascoltarlo.
Perfetto.
 
 
 
***
 
 
 
Essendo dicembre ed essendo venuto freddo molto improvvisamente John ha avuto a che fare tutto il pomeriggio con influenze, febbri, nasi che colano e chi più ne ha più ne metta, ma la giornata è stata piuttosto leggera e nonostante l’afflusso abbondante di pazienti ha finito una decina di minuti in anticipo.
 
John sospira e si sgranchisce la spalla malandata guardando fuori dalla finestra per osservare il buio che lo attende quando uscirà, peccato che le luci artificiali dei lampioni gli stiano anche mostrando che ha iniziato leggermente a piovere e dove ha lasciato lui l’ombrello prima di andarsene da casa? Ovviamente dove un uomo inglese non dovrebbe mai lasciarlo: nel porta ombrelli.
 
Si ritrova a sbuffare seccato e a farsi un rapido calcolo mentale decidendo che, se continua a piovigginare in quella maniera, dovrebbe riuscire ad arrivare a Baker Street quasi totalmente asciutto, dunque esce dal suo studio e saluta Sarah che non dice nulla sui cinque minuti di anticipo con cui se ne va e finalmente è fuori all’aria aperta.
E Sherlock è lì che lo aspetta.
 
La prima cosa che nota è un lungo cappotto dall’altra parte della strada, una macchia nera scura sfocata dalla pioggia e illuminata dai lampioni e poi una striscia di fumo che lascia le sue labbra quando allontana la sigaretta e ne getta il rimanente a terra, calpestando il mozzicone.
Probabilmente non si aspettava di vederlo uscire in anticipo e sperava che John non si accorgesse che stava fumando: illuso.
 
John attraversa la strada il più velocemente possibile per andare sotto l’ombrello con Sherlock e, quando lo raggiunge, gli lancia un’occhiata non del tutto amichevole e Sherlock capisce e di conseguenza alza gli occhi al cielo ma non dice nulla a riguardo.
 
«Sei venuto a prendermi?» chiede John lasciando perdere l’argomento e infilandosi le mani nelle tasche per l’aria fredda e Sherlock gli sorride quasi clemente.
 
«Acuto senso dell’osservazione. Stai migliorando.»
 
John rotea gli occhi e bisbiglia un idiota che non sa se Sherlock ha recepito o meno ma se l’ha fatto decide di non rispondere.
 
«Hai dimenticato l’ombrello e ho pensato avremmo fatto prima così che tornando a casa per poi uscire di nuovo.» fa Sherlock e detto ciò s’incammina senza dire un’altra parola e dirigendosi essenzialmente dalla parte opposta alla metropolitana. John inarca un sopracciglio e lo segue, curioso.
 
«Dovevamo uscire?» non si ricorda che Sherlock gli abbia accennato nulla del genere ma l’idea di starsene un po’ fuori di casa non gli dispiace affatto. Nota qualche istante dopo una piccola, importante assenza. «E Hamish dov’è?»
 
Sherlock si volta a guardarlo e John può quasi vedere una luce divertita in quegli occhi azzurro verde.
«È con suo zio Mycroft.» e Sherlock calca le parole zio e Mycroft come se stesse in realtà prendendo il fratello per i fondelli. «L’ho lasciato da lui prima di venire a prenderti. Stranamente Hamish sembrava contento. Come faccia ad essere contento di passare del tempo con Mycroft non ne ho idea, probabilmente perché Hamish è ancora una piccola, tenera e innocente creatura, più avanti capirà che bisogna stare attenti a lui.»
E John trova che il discorso non abbia molto senso, soprattutto perché se pensi che tuo fratello sia così pericoloso come affermi non gli lasci il tuo unico figlio, quindi si ritrova ad alzare gli occhi al cielo perché sicuramente quei due hanno un rapporto incredibilmente strano (come sembra essere impostato nel DNA degli Holmes) e il loro modo per dimostrarsi affetto deve essere esternato probabilmente sotto forma di smorfie insofferenti. Un po’ come lui e Harry.
 
«Oh. Mycroft ha chiesto di vederlo? Lo trovo quasi incredibile!» scherza non riuscendo proprio ad immaginarsi il fratello di Sherlock alle prese con un bambino, nemmeno con suo nipote.
 
Sherlock ferma un attimo il suo passo e John si ritrova momentaneamente sotto la pioggia perché non si aspettava che l’altro si fermasse. Si volta a guardarlo e torna sotto all’ombrello, Sherlock non gli leva gli occhi di dosso nemmeno un istante.
 
«Diciamo che gli ho chiesto io di tenerlo per un paio d’ore.»
 
E a questo punto Sherlock distoglie lo sguardo e sembra quasi in imbarazzo da tutta la situazione e John non sa bene come dovrebbe gestire la cosa.
 
«Oh, beh, bene.» dice, processando un attimo l’informazione che Sherlock ha chiesto del tempo per rimanere un po’ soli insieme e sorride, lasciando correre perché sennò non saprebbe bene come gestire la situazione. «E dove stiamo andando di preciso?»
 
Sherlock ricompone la sua aria impassibile e il suo sorriso strafottente si fa largo di nuovo sulle sue labbra piene. John si chiede se voglia più baciarle o tirargli un pugno ma nel dubbio evita di fare entrambe le cose.
 
«Ti devo ancora quella famosa cena, ricordi?» e detto questo ricomincia a camminare e John rimane nuovamente sotto la pioggia per la sorpresa.
 
«Muoviti John, ho prenotato da Angelo alle otto e un quarto, non abbiamo tutta la serata.»
 
John prende un profondo respiro, scuote la testa, si ritrova a sorridere come un idiota e pensa che indossa ancora gli abiti del giorno prima mentre Sherlock è semplicemente perfetto ma tutto questo non ha granché importanza, no davvero.
 
Raggiunge Sherlock in un paio di falcate e si arrischia a prendergli la mano.
Sherlock non si allontana.
 
 
   
 
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