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Autore: fiammah_grace    25/02/2015    3 recensioni
[Resident Evil: code Veronica X]
"Seppur la non fisicità di Alexia, la sua presenza era rimasta come un alone costante nella vita dell’uomo che abitava oramai da solo quel vuoto castello.
Una costante fittizia, ma così viva e forte che a un certo punto lui stesso l’aveva resa reale continuando a dare un nome, un volto e un ruolo alla sua venerata e lontana sorella, muovendo uno spaventoso gioco di ruolo mentecatto in cui ella esisteva e non lo aveva mai lasciato.
Nulla avrebbe avuto importanza per lui. Avrebbe sacrificato ogni cosa al fine del benessere e del successo della sua Unica Donna, la sua Unica Regina. Persino se stesso.
Qualcuno tuttavia aveva osato disturbare la sua macabra attesa.
Claire Redfield. Il nome della donna dai capelli rossi che aveva invaso il suo cammino nel momento più prezioso. Il nome dell’infima donna che aveva sporcato l’universo perfetto di lui e Alexia, portando scompiglio nel suo territorio.
Quella formica che gli aveva dato del filo da torcere…persino troppo. Più di quanto potesse sopportare."

[Personaggi principali: Alfred Ashford, Claire Redfield]
Genere: Angst, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Alfred Ashford, Claire Redfield
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 11: la giostra delle maschere
 
 
 
 
 
“ahahahah!”
 
 
 
 
L’eco acuto e penetrante di una risata femminile vibrò fra le pareti buie della residenza; era inconfutabile il suo voler mettere in soggezione coloro che abitavano quei meandri, inducendoli a sentirsi scoperti e facilmente attaccabili di fronte la sua essenza rarefatta.
Eterea e intoccabile, lei poteva colpire da qualsiasi direzione, conscia di essere la dominatrice di quel palcoscenico.
Così quei sogghigni risuonavano provocanti e maliziosi, deliziati di poter gestire il banco del gioco, esaltati dagli sguardi smarriti di coloro che si perdevano a cercare una via di fuga.
Sorrise lievemente e la sua bocca rosea dalla forma a bocciolo si allargò sui lati, esprimendo il sollazzo della sua Regina.  
 
Altrove, lontano da quel luogo da cui la somma padrona ammirava quello spettacolo, una giovane donna camminava per il corridoio, scampata ancora una volta alla morte. Mentre avanzava in quella locazione colorata di rosso, il suo sguardo si perdeva sempre di più nei vari elementi macabri e spaventosi che decoravano orribilmente quella strana ala del castello.
Il tappeto amaranto rivestiva la superficie della pavimentazione e sembrava vecchio, trascurato, sebbene l’integrità del tessuto indicasse quanto poco fosse stata frequentata quella zona.
Infatti, più che il tappeto, era il suo colore che col tempo e la cura inadeguata era divenuto grigio e molto sbiadito, sebbene quel rosso sfavillante che un tempo troneggiava in quella corsia continuasse a rendere prestigio all’ambiente. Come in altre zone del palazzo, anche qui vi erano dei candelieri, i quali emettevano dei piccoli ma profondi bagliori che bastavano a rendere evidenti i contorni di quel luogo.
Claire girò più volte lo sguardo attorno a sé, portando una mano sul suo petto, sconcertata da ciò che quella fonte di luce illuminava; questo perché, dietro la trascuratezza e la vetustà del corridoio, vi era la freschezza del sangue che colava dalle pareti; in quel momento era rappreso, tuttavia era così inteso da rendere evidente che fosse stato cosparso in tempi non esageratamente lontani. Esso si posava anche sul tappeto, che l’aveva assorbito rendendo quel liquido organico parte del suo rosso.
Altri schizzi inoltre macchiavano varie porzioni della parete e questo non poteva che avvallare l’ipotesi che quello scenario fosse stato il teatro di una strage finita in tragedia.
Claire Redfield pesò ogni singolo passo che, seppur lento e scrupoloso, non accennò mai a fermarsi, impaurita dall’eventualità di rimanere troppo tempo intrappolata in quel luogo orrendo.
Quando era entrata nella porta con la bambola appesa sulla sua altalena, quasi non aveva badato a dove si era rifugiata di preciso.
Incoscientemente, o forse troppo impaurita, non aveva neppure valutato l’ipotesi che quello non fosse che l’ingresso per l’ennesimo antro di quel castello.
Aveva camminato a lungo, sfuggendo agli attacchi dei non-morti rimasti imprigionati come lei nel palazzo Ashford, e per fortuna l’allucinazione di vedere sempre di fronte a sé suo fratello Chris era svanita.
Tuttavia per colpa di tale malanno, non aveva badato a dove si fosse intrufolata di preciso.
L’unico indizio che aveva, era che per qualche ragione Alfred aveva contrassegnato il passaggio per quello strano posto con una bambola di porcellana. Tale riferimento si ripeteva spesso in quella villa; molte marionette erano poggiate un po’ ovunque in quel luogo. Mentre fuggiva, non ci aveva fatto caso, ma adesso era evidente come loro fossero state sistemate in svariate zone di quell’ambiente, come se il loro compito fosse osservare i visitatori.
Uno sfrigolio sotto la suola delle sue scarpe fece fermare la ragazza dai capelli rossi, la quale scrutò cosa avesse calpestato. Sollevò un piede e notò delle piccole schegge di vetro. Seguendole una a una con lo sguardo, notò che esse erano cadute da un grande specchio oramai frantumato, il quale era incastonato sulla parete del corridoio; di esso però, non c’era più niente che riflettesse. Il vetro era stato rotto talmente tanto che la base di legno sulla quale poggiava era completamente scoperta.
Pochissimi frammenti erano ancora incastonati ai lati di quello specchio e riportavano gli evidenti segni del martirio di cui era stato vittima.
La rossa lo esaminò, chiedendosi perché porre uno specchio nel bel mezzo di un corridoio, per poi farlo a pezzi. Era evidente, infatti, che quella rottura fosse stata fatta in modo intenzionale. Se esso fosse stato rotto accidentalmente, le schegge avrebbero avuto una forma diversa, o comunque lo specchio non sarebbe stato fracassato in quel modo. Osservandolo attentamente, era chiaro che chiunque lo avesse infranto, l’avesse fatto intenzionalmente.
Ad ogni modo rigò dritto, cercando di non perdersi troppo in certi dettagli, che non facevano che rallentare la sua esplorazione.
Doveva ricordare che il suo obiettivo era tornare nella zona residenziale, quella dove era stata imprigionata con le sembianze di Alexia Ashford. Solo da lì poteva entrare nella camera da letto di Alfred e sperare che lì avrebbe trovato qualche indizio per salvarsi.
Il problema in quel momento era quindi riprendere l’orientamento e cercare in qualche modo di capire dove si trovasse per muoversi più consapevolmente.
Quel senso di completo smarrimento, infatti, la agitava e la faceva sentire indifesa.
Di colpo sbandò quando una sottile risata, che sembrava vicinissima a lei, echeggiò fra quelle losche mura.
Si voltò più volte, cercando la sua fonte, rimanendo all’erta.
 
 
“Ah,ah,ah,ah!”
 
 
“C…chi c’è? Sei tu, Alfred?”
 
Disse consapevole che, nonostante quella voce da donna, la fonte potesse essere il biondo padrone di casa.
Non sarebbe stata la prima volta che accadeva.
Come prevedibile però, nessuno rispose alla sua domanda.
Claire deglutì. Decise di ignorare quell’episodio, abituata all’idea che il ragazzo si divertisse a spaventarla.
Riprese il suo cammino e finalmente il suo avanzare giunse al termine.
Una gigantesca bambola, quasi a grandezza umana, era posta sulla fine del corridoio e dietro di essa era ben visibile una porta.
La Redfield sorrise lievemente, allietata di non essere di fronte l’ennesimo vicolo cieco. Tuttavia quella grossa bambola che intralciava il passaggio rendeva il raggiungimento della sua ‘libertà’ piuttosto angustiante. Sollevarla era impossibile. Sembrava pesante, inoltre era così ben ancorata al pavimento che l’idea non la sfiorò neppure; ad ogni modo, c’era sufficiente spazio per passare oltre. Claire poteva benissimo schiacciarsi contro la parete e sfiorare così quel fantoccio.
Mettere in atto tale azione sembrava facile e la rossa sapeva di non avere poi molte alternative, eppure più l’osservava più sentiva le sue gambe paralizzarsi.
Il manichino aveva le sembianze delle tipiche bambole di porcellana, tuttavia versione adulta. Essa era alta circa un metro e sessanta, una decina di centimetri più bassa di Claire su per giù.
I capelli scuri a boccoli, ricoperti sul capo da una cuffietta merlettata, scendevano sul suo petto accarezzando il grazioso vestitino di velluto color smeraldo, che sembrava un po’ da ragazzina per una bambola con fattezze così adulte. Essa, infatti, oltre all’altezza non certo da bambina, aveva anche un accenno di seno abbastanza evidente, che sembrava voler sottolineare la sua maturità, ponendola volutamente in contrasto con le sue vesti.
La sua gonna vaporosa lasciava intravedere le culottes bianche tipiche di quel tipo di abbigliamento, che si congiungevano con le calze del medesimo colore, creando un effetto grazioso, sebbene un tantino provocante dato che a indossarlo fosse un manichino di donna.
Infine le scarpette da bambina rendevano completo il suo look da bambola di porcellana.
La rossa si chiese se chi avesse vestito quel fantoccio avesse intenzionalmente esasperato quello stile infantile che in una donna adulta non trasmetteva certo la stessa dolcezza di una ragazzina.
Al contrario, era espressione di un disturbo psichico, come di chi non vuole crescere e vive una sorta di sindrome di Peter Pan, rinchiusa in un limbo in cui si rifiuta di accettare i cambiamenti della vita.
Stette diversi secondi a contemplarla, osservandola insistentemente. Claire ebbe l’istinto di piegarsi sulle ginocchia e osservare il suo viso, come se volesse ricercare delle risposte nel rifiuto della crescita da parte di quel pupazzo inanimato.  
Mai avrebbe potuto aspettarsi invece, che quella bambola la ricambiò.
La rossa cadde a terra quando i suoi occhi s’incrociarono con quelli vitrei e inespressivi della bambola.
I suoi bulbi roteavano come impazziti; erano come un radar che puntava su Claire, sebbene qualche meccanismo al suo interno dovesse essere andato in panne visto che tremavano fuori controllo.
Quegli occhi sbarrati, spenti, ma le cui iridi si muovevano insistenti verso di lei, la fecero spaventare così tanto che lì per lì voleva scappare via, lontano da lei.
La rossa sperimentò se per davvero il suo sguardo la seguisse, così provò a spostarsi sia verso destra sia verso sinistra. A quei movimenti, seguirono tempestivi gli occhi della marionetta, la quale, seppur immobile, non perdeva mai di vista la ragazza dai capelli rossi.
Claire deglutì, capacitandosi che fosse inanimata, ma che doveva avere dentro un qualche meccanismo che la portasse a seguire con lo sguardo chi aveva di fronte.
Fatto sta che quando decise finalmente di proseguire e oltrepassarla per entrare nella porta dietro di essa, rimase in guardia pronta a mettersi a una distanza di sicurezza alla prima avvisaglia.
Più accorciava le distanze, più sentiva la paura appesantire il suo corpo, tuttavia cercò di non farsi sopraffare. Premette la schiena contro la parete e continuò ad avanzare, strisciando contro i fianchi della bambola, urtandole il vestito vaporoso. Intanto, i suoi occhi maligni cercavano di raggiungerla imperterrita, come indemoniati, ma per fortuna non fece altro. Si limitava a dannare la sua mente con quegli occhi pazzi e spaventosi.
La rossa abbassò il suo sguardo, cercando di non incrociare più quelle iridi, spostandosi invece con maggior vigore proprio per allontanarsi al più presto.
Quando l’ultimo boccolo dei capelli del manichino si scostò dai suoi, finalmente la ragazza riprese a respirare, lieta di avere la bambola alle sue spalle.
Quando si voltò, dandole un’ultima sbirciata prima di aprire la porta che essa nascondeva, notò che sulla sua vita era legato un sottile filo di nylon, appeso al quale vi era una chiave. Istintivamente la prese fra le mani, rompendo quel cordoncino.
La chiave ora in suo possesso sembrava molto vecchia, si chiese che porta avrebbe mai aperto. Ad ogni modo la ripose in tasca, confidando che in circostanze simili fosse adeguato nutrire sempre speranza verso qualsiasi via d’uscita.
In seguito posò la mano sul pomello della porta e la aprì.
 
 
***
 
 
Palazzo Ashford
La stanza dei bambini
 
 
Attraversato l’ennesimo uscio, fu inquietante quando ritrovò dinanzi a sé una stanza da letto.
Non tanto per la camera di per sé, piuttosto poiché il suo ingresso era bloccato da una bambola demoniaca di tali dimensioni, quasi a sottolineare quanto quel luogo non dovesse essere disturbato.
Quella camera in particolar modo sembrava essere quella di una bambina.
Vi erano giocattoli sparsi un po’ ovunque, per lo più femminili, ed erano tutti sporchi e malandati. Alcuni erano persino rotti. Claire raccolse da terra il peluche squartato di una sorta di orsacchiotto, dal cui ventre fuoriusciva l’ovatta. Provò pena per lui, dispiacendosi che fosse stato rovinato in quel modo. Lo aggiustò appena ma non aveva né il tempo né l’occorrente per ricucirlo. Così si limitò a poggiarlo su una mensola, anch’essa invasa da giocattoli impolverati. Si guardò attorno, analizzando bene quel posto.
Quella cameretta era eccessivamente colorata. Il tappeto variopinto che alternava i colori più svariati ed eccentrici, abbuiati tuttavia dal cupo della stanza; e poi i cavallini a dondolo, bambole di pezza, vestitini, disegni puerili e tanto, tanto disordine.
Era un caos opprimente. Claire si chiese se chiunque avesse gestito le pulizie di quel palazzo, un tempo, sapesse come muoversi in quel caos. La rossa si sentiva spaesata e quasi non sapeva dove mettere i piedi.
Avanzò a tentoni, cercando di scorgere eventuali indizi che potessero esserle utili e le sue attenzioni furono catturate da un disegno dipinto sul muro.
Questo rappresentava una bambina sorridente con i capelli dorati disegnata con linee essenziali, ai piedi della quale vi era un ragazzino inginocchiato al suo cospetto che le porgeva una scatola di gioielli scintillanti. Osservando quello scrigno, Claire aveva come la sensazione che qualcosa sporgesse da esso, come fosse stranamente…reale.
Posò una mano su di essa ed infatti uno di quei gioielli era a rilievo; era una grossa pietra blu, tagliata di netto.
Forzò così il gioiello, tirandolo verso di sé finché non riuscì a toglierlo dal suo incastro.
Si trattava di una piccola pietra dalla forma arrotondata, meno che su un lato, che sembrava come se fosse stato spezzato e quindi ne mancasse una parte. La girò fra le mani, trovando inspiegabilmente familiare quell’oggetto, era come se lo avesse avuto già fra le mani. Era una sensazione inspiegabile, eppure era così.
L’analizzò attentamente e fu allora che si accorse di una piccola e appena percettibile incisione impressa nella parte piatta di quella pietra:
 
“Ubi iacet dimidium iacet pectus meum”
 
Ubi iacet dimidium iacet pectus meum…cosa voleva dire?
Per fortuna sotto di essa vi era anche la relativa traduzione, visto che la Redfield non era esattamente portata per le traduzioni latine:
 
Dove giace la mia metà, giace il mio cuore.”
 
Lì per lì Claire si chiese cosa significasse.
Comprese comunque che quella pietra, essendo spezzata su un lato, aveva una sua “metà” nascosta da qualche parte, e dato l’indovinello era evidente che così fosse.
Qualcosa tuttavia la inquietava, dato che l’ultima volta che aveva letto una frase in latino in quel posto, si era ritrovata in una stanza delle torture; oramai era quindi una sorta di cattivo presagio per lei.
 
Ricapitolando, aveva raccolto ben due oggetti: una chiave vecchia e la metà di una pietra preziosa blu.
Era pur sempre qualcosa.
 
Mentre prese a ragionare sul da farsi, qualcosa prese improvvisamente a muoversi, facendo vibrare le pareti della stanza.
Era successo probabilmente perché aveva tolto dalla parete quel piccolo gioiello rotto.
Un’intera porzione della parete s’inabissò, facendo sparire l’immagine del bambino biondo inginocchiato davanti alla sua principessa.
Claire rimase titubante di fronte quel passaggio apertosi davanti ai suoi occhi, tant’è che indugiò qualche istante prima di addentrarsi. Si affacciò cercando di scorgere l’ambiente, per captarne quanto prima eventuali inghippi, tuttavia qualcosa di raccapricciante si proiettò davanti ai suoi occhi.
Erano tutte marionette di legno, fatte di bastoncini tagliati in modo snodato. Esse erano appese al soffitto, in posizioni contorte e inumane. Ad alcune di loro mancavano dei pezzi, altre erano macchiate di sangue.
Claire si chiese il perché di una stanza simile, non aveva senso…
Come se le sorprese non fossero abbastanza, uno schermo s’illuminò davanti a lei. Non lo aveva visto subito, sconcertata dalle immagini di quelle marionette appese.
Lo schermo fece prima statico, poi la frequenza si stabilizzò e su di esso apparve il raffinato volto di un’aristocratica donna dalla pelle pallida e i lunghi capelli biondi. Ella indossava un abito viola scuro ed incrociava le mani sul suo grembo.
Claire riconobbe subito quell’immagine, che era il quadro di Alexia Ashford già visto a Rockfort. Un dipinto semplice e ben eseguito, che ritraeva la ragazza seduta su una poltrona, al fianco di un vaso antico.
Fu sconcertante per lei vedere catapultato davanti ai suoi occhi la figura raffinata e assorta del tanto osannato “genio della famiglia”.
Non era facile per lei sostenere quella visione, scossa per gli eventi che l’avevano coinvolta nelle ultime ore. Guardare quello schermo quindi fu qualcosa che la lasciò tutt’altro che indifferente; le comunicò invece un senso di oppressione, che fece quasi fermare il suo respiro costringendola a irrigidirsi per il nervosismo. Alexia possedeva qualcosa di particolare.
Anche solo attraverso un semplice quadro era come se potesse percepirne nitidamente la maestosità e l’imperscrutabilità. Una Regina nella sua potenza e magnificenza.
Era strano…eppure sentiva quelle emozioni batterle nel petto.
 
Chi era Alexia? Come faceva a possedere un carisma simile?
 
Quella rappresentazione stette fissa per diversi secondi, dando il tempo alla giovane di contemplarla. L’immagine traballava, era come se fosse stata ripresa con una telecamera.
Poi d’improvviso svanì e al suo posto due occhi cristallini quasi la abbagliarono, trafiggendola con il loro sguardo minaccioso e letale.
Quella visione durò pochissimi istanti, ma bastò per imprimere nella sua mente quel viso e riconoscerlo come la figura femminile prima ammirata nel quadro.
Dopo lo schermo si spense e divenne nero.
 
Cosa significava? Chi…chi era quella donna…? Alexia…? Possibile fosse davvero lei?
 
Alle sue spalle, Claire sentì un curioso motivetto, simile a quello di una giostra. Doveva appena essersi messo in moto, prima non aveva sentito alcun rumore.
Incuriosita, avanzò oltre la stanza delle marionette e, puntando lo sguardo dinanzi, si accorse che un passaggio era stato lasciato aperto. Si trattava di un piccolo cunicolo, oltre il quale c’era una porta semi aperta, ivi raffigurato un grazioso disegno. Era un cavallino a dondolo, cavalcato da una graziosa fatina vestita d’azzurro. Il disegno sembrava essere stato realizzato con dei gessetti.
Claire posò la mano sull’uscio, il quale si aprì permettendole di entrare così in una stanza molto ampia e buia, il cui spazio però era completamente occupato da un’enorme giostra.
 
 
***
 
 
Palazzo Ashford
La stanza della giostra
 
La rossa stette guardando per diverso tempo prima di avanzare.
Il simpatico motivetto tipico dei caroselli risuonava gioiosamente, accompagnando il dondolare dei cavallini che ruotavano attorno alla giostra.
Essi erano colorati con tinte opache, mentre la giostra spiccava invece per il contrasto di rosso e oro che la rendeva molto pittoresca. Era come se volesse invitarla a salire, con il suo incalzare lento e quella musichetta allegra, tuttavia Claire non pensò neanche lontanamente di farlo.
Qualcosa la inquietava ed era probabilmente proprio l’atmosfera ostile che permeava l’intera residenza Ashford.
Era impossibile sentirsi a proprio agio e lasciarsi andare ad un breve momento di spensieratezza infantile; era assurdo anche solo pensare una cosa simile.
L’anormalità che vigeva nell’aria rendeva persino quelle graziose creature di legno un qualcosa di ostico e di spaventoso.
Gli occhi dolci e molto ‘fumettosi’ di quei cavallini che si muovevano su e giù, era come se invece volessero ingannare coloro che li osservava; essi erano impregnati in realtà di crudeltà e miravano ad attirare verso di sé le loro prede con il loro aspetto vivace e innocente.
Per questo Claire stette alla larga da loro, sentendosi inquieta nell’osservare le loro movenze e, paradossalmente, quel loro aspetto fatato.   
Continuò per la sua strada, investigando invece quel poco che componeva quella strana stanza, che tuttavia era vuota a parte quel marchingegno.
Eppure si aspettava che avrebbe visto Alfred in quella stanza; era da diversi minuti che sentiva echeggiare quei sogghigni fastidiosi che lo caratterizzavano quando imitava la voce di sua sorella, inoltre quando aveva visto Alexia sullo schermo nella stanza precedente, aveva sentito il carosello attivarsi. Quindi era stato logico per lei dedurre che lo avrebbe incontrato.
In quel momento si voltò alle sue spalle e distrattamente i suoi occhi andarono a posarsi sulla porta varcata in precedenza.
Fu inquietante quando notò che, se dall’altra parte della porta, dal punto di vista di chi entrava in quella stanza, c’era disegnata una fantina a cavallo di un unicorno bianco…. sull’altro versante, dal punto di vista di chi era dentro la stanza, invece erano raffigurate delle mani insanguinate che avevano macchiato la superficie legnosa conferendole un aspetto macabro e spaventoso.
La Redfield indietreggiò pur essendo abbastanza lontana da quella porta. Il cuore prese a batterle forte, angustiata da quella visione.
Cosa poteva significare?
Quando si “doveva entrare” la porta sembrava invitante con quel suo disegno gioioso, mentre quando si “era dentro”, era come se fosse un luogo avverso e pericoloso, dal quale fuggire. Era questo, infatti, che suggerivano quelle mani.
Come il melanocetus, conosciuto come ‘pesce lanterna’ o ‘diavolo nero’, la cui luce splendida e rassicurante in realtà cela gli orrori dell’abisso profondo.
Istintivamente, Claire decise di tornare di nuovo vicino a quella porta, per dare conferma a quello che purtroppo supponeva: avvicinò la mano alla maniglia, facendosi coraggio e ignorando quelle tracce rosse di sangue o vernice…e quando fece per abbassarla questa non si mosse.
Come temeva, era finita in una trappola.
 
“Ahahahah!”
 
Di nuovo quei sogghigni femminili rimbombarono nell’ambiente.
 
“Dove sei? Fatti vedere!”
 
Disse Claire con voce decisa e per un po’ nessuno rispose.
Dopo qualche istante, poi, la giostra prese a girare vorticosamente, facendo sentire travolta la giovane essendo vicina ad essa.
Mentre l’osservava irrequieta, improvvisamente una figura femminile apparve seduta sopra uno dei cavalli fatati. I suoi lunghi capelli biondi si sollevarono assecondando il movimento veloce della giostra, aprendosi a sipario e mostrando il suo viso pallido e soave. La donna a quel punto rivolse alla rossa i suoi occhi di ghiaccio fino a trafiggerle l’anima, dopodiché…sparì.
Claire sobbalzò, sentendosi quegli occhi soprannaturali così vicini da aver avuto come la sensazione di averli avuti di fronte a sé, a pochissimi centimetri di distanza. Si sentì quasi mancare il respiro, ma dovette realizzare che, qualunque visione avesse avuto, essa era solo una diapositiva.
Che fosse un fantasma era escluso a priori, sebbene in quelle circostanze avesse visto cose ben più spaventose. Fatto stava che quell’illusione era stata così credibile che, in quel momento, l’aveva pensato sul serio.
Aveva visto il fantasma di Alexia Ashford, lei aveva fluttuato verso di lei e l’aveva stregata con i suoi maligni e invitanti occhi demoniaci.
Non aveva senso, eppure era successo.
Il suo cuore batteva a mille, quella donna la inquietava veramente molto.
Anche il carosello tornò a muoversi in modo più lento, come se una volta sparita la sua padrona, adesso potesse tornare alla sua normale attività.
La giovane dai capelli rossi purtroppo non aveva al momento molti elementi su cui investigare, ragion per cui dovette lasciarsi alle spalle quell’ambigua immagine e andare avanti per la sua strada.
Tornare indietro era impossibile, la porta era stata chiusa dall’esterno. D’altro canto, però, anche se avesse potuto tornare sui suoi passi, sarebbe stato abbastanza inutile. Non aveva motivo per farlo.
Così avanzò e proseguì oltre quella stanza.
Una seconda porta era, infatti, ubicata in modo simmetrico a quella di ingresso, così la aprì.
Non poteva immaginare che qualche mente malata e perversa avesse collegato quella stanza ad una identica alla precedente…soltanto che quest’ultima era macchiata di rosso.
 
 
***
 
 
Palazzo Ashford
La stanza della giostra – speculare
 
 
 
Un tenue ma estenuante odore organico permeava l’ambiente. Quel sangue era vecchio e incrostato, eppure aveva lasciato una traccia di sé molto evidente.
La sala vuota ed enorme, arredata unicamente da quella giostra ingombrante che occupava quasi interamente il suo spazio; la musica vivace; i magici cavallini da fiaba che roteavano attorno alla giostra…
Tutto adesso era sporco e maleodorante, come se quel luogo fosse stato martoriato e smembrato.
Il sangue rappreso aveva rigato la superficie bianca dei cavalli, macchiandoli di colori che andavano dal rosso al giallo. Il vetro dei loro occhi era frantumato, in alcuni di loro mancava del tutto, così come alcune parti che li componevano come zampe, sella, e in un paio persino la testa.
Era scheggiati e imbruttiti. La giostra girava scricchiolando ed emettendo degli spaventosi cigolii rugginosi. Persino la melodia sembrava essere stata manomessa: come una musicassetta il cui audio è disturbato dal nastro oramai sciupato. Quel suono risultava poco accordato, decisamente fastidioso e angustiante da ascoltare.
Dopo aver contemplato quel quadro inquietante, un suono sinistro si distinse in quel sottofondo. Più che un suono, erano come dei versi…dei versi…umani?
Solo allora si accorse che, legati e imbavagliati, costretti a giacere sotto alcuni dei cavalli, c’erano i non-morti che abitavano quelle mura.
La loro pelle spaccata e sofferente, le loro mani e i piedi legati dietro la schiena… essi si contorcevano in quella posizione di dolore non potendo liberarsi in nessun modo; questo sia perché incatenati strettamente, sia perché la demenza impediva loro di comprendere come farlo.
Essi quindi gemevano….gemevano tristemente, non potendo dare sollievo a quella pena.
Fu uno spettacolo truce e violento che torturò la sua mente che mai avrebbe potuto concepire tanta crudeltà.
Eppure Claire continuò ad osservare spaesata quell’immagine raccapricciante, in cui i ricordi di infanzia erano macchiati dalla crudeltà e perversione umana. Quel disastro e quel sangue che rappresentava la scelleratezza dell’uomo e della pazzia.
Chi poteva aver fatto una cosa simile? Soprattutto…per quale motivo?
Cosa significava quella stanza?
Mentre la melodia del carosello risuonava fastidiosa e assordante, la Redfield ebbe il necessario bisogno di uscire da lì e al più presto.
Era semplicemente terribile.
Avanzò quindi verso quella che sperava fosse la porta d’uscita, ma a quel punto una voce alle sue spalle la fermò.
 
“Claire Redfield, te ne vai così presto?”
 
La giovane si girò lentamente, puntando il suo sguardo oltre la spalla. Scrutò la giostra che girava ininterrottamente, come aveva sempre fatto fino a quel momento anche nell’altra stanza speculare, finché poi non vide spuntare da dietro la colonna, seduta su uno dei cavalli deturpati……Lei.
 
Alexia Ashford comparve davanti ai suoi occhi.
Stavolta non era un’illusione, non era un fantasma. Era proprio lei, in carne e ossa.
 
Ella aveva una gamba accavallata sull’altra in una posizione che lasciava scoperte leggermente le caviglie. I suoi piedi erano rivestiti dalle decolté con un piccolo tacco. Il suo vestito era di un bellissimo punto di viola, né scuro, né chiaro. Esso scendeva leggero sul suo corpo e sulle sue gambe, accarezzandolo con delle balze per nulla voluminose. Erano invece sottili, decorate con dei piccoli punti di luce alle estremità.
Dei lunghi guanti bianchi ricoprivano le sue braccia quasi fino alle spalle. Sul suo collo era legato un collarino nero su cui era incastonata una gemma rossa.
Infine, ella brandiva un fucile da caccia fra le sue dita e il suo sguardo magnetico e crudele puntava proprio su di lei…Claire Redfield.
La donna scese lentamente dalla giostra, soave ed elegante come la regina di quel castello macchiato di sangue.
Ella fece ondeggiare i suoi sottili capelli platinati, i quali si posarono sulla sua schiena; solo pochi rimasero sulle sue spalle ampie e scoperte.
La bionda deformò le labbra rosse in un ghigno, dopodiché platealmente allargò un braccio alzandolo verso l’alto, mentre con l’altro sorreggeva la sua micidiale arma da fuoco.
Piena di sé e consapevole del suo potere, la donna parlò con lo sguardo di chi vuole affermare la sua forza e il suo dominio.
 
“Benvenuta nel mio parco dei divertimenti. Un luogo magico e incantevole che sono certa renderà il tuo soggiorno un piacevole tormento, ahahah!”
 
Sogghignò di nuovo, deridendola esplicitamente. Claire intanto si mise in guardia, pronta a reagire in qualsiasi istante.
Intanto il genio della famiglia Ashford continuò la sua prosopopea.
 
“Ero ansiosa di incontrarti, ho tanto aspettato questo momento. Quello in cui avrei finalmente vendicato le offese che hai arrecato alla mia famiglia. Preparati Redfield, ho proprio voglia di vederti cadere sotto le orribili pene dell’inferno.”
 
Claire ricambiò il suo sguardo omicida con la stessa intensità, chiedendosi nella sua mente se quella donna fosse davvero lei, oppure…
 
“Alfred, smettila con questi sporchi giochetti! So bene che sei tu!”
 
Pronunciò decisa, pronta a farlo uscire allo scoperto.
Sebbene le fattezze esili e sottili, la rossa aveva già familiarizzato in passato con la versione ‘femminile’ di Alfred Ashford quando si travestiva da donna.
Il suo viso androgino e delicato poteva ingannare all’inizio, ma una volta allenato l’occhio alle differenze dei due gemelli, diventava veramente facile distinguerli.
Sebbene Claire non avesse mai visto Alexia, conosceva comunque Alfred e poteva giurare che dietro quello sguardo, quegli occhi, quell’espressione truce e arrabbiata……c’era lui!
La lunga parrucca bionda, il viso truccato, le sue fattezze esili e il suo corpo affusolato, rendevano credibile quel travestimento in modo impressionante.
Vederlo adesso, con coscienza di causa, le fece venire un brivido lungo la schiena. Questo perché era inconcepibile per lei una tale somiglianza non solo fra due individui, ma anche maschio e femmina.
Claire aveva conosciuto pochi gemelli nella sua vita e già di suo era un legame che poco conosceva e che la sviava, questo poiché si sarebbe sentita a disagio nell’assomigliare così tanto a qualcuno.
Quindi vedere addirittura uno dei due fingersi l’altro, fino a camuffare non solo se stesso, ma persino il suo sesso e farlo anche in modo credibile….fu qualcosa che la lasciò sgomentata.
Ella non fece che scorrere gli occhi sulla sua figura, cercando i suoi tratti mascolini celati in quel mascheramento; ma più che la considerevole altezza per essere una donna e la larghezza delle spalle, non riuscì a trovare grossi segni che tradissero quell’uomo che era invece la perfetta rappresentazione di sua sorella.
Fine, fiera, maestosa, imponente…Alfred riusciva ad imitare tutto questo, conferendole al tempo stesso anche femminilità ed eleganza.
In più, il suo volto appena truccato, addolcito da quella folta chioma bionda, lo rendeva praticamente identico al quadro che aveva visto di Alexia.
Fu paradossalmente quel trovare impeccabile la sua ‘maschera’ che la stava facendo rabbrividire sempre di più.
 
Cosa era diventato Alfred Ashford?
Cosa pensava?
Cosa viveva mentre impersonava la sua bionda e impeccabile sorella?
Possibile che avesse davvero quella doppia personalità che ipotizzò assieme a Steve a Rockfort Island?
 
Alexia intanto scostò di nuovo i capelli dal collo, con un atteggiamento decisamente infastidito e seccato.
 
“ ‘Possibile, possibile che non riusciate a figurarvi qualcosa di più consolante e giusto di questo?’ *  
 
Recitò con un sentimento doloroso, citando il Raskòl'nikov di Dostoevskij, personaggio del romanzo ‘Delitto e castigo’.
La bionda portò due dita sulla fronte, capacitandosi dell’ottusità della sua interlocutrice. Trovava angustiante dover udire quelle parole da parte di Claire, la quale era lontana anni luce dalla comprensione di quella realtà.
La rossa insisteva ancora sulla follia di cui era impregnata la sua esistenza, rifiutando di contemplare la sua missione; fissandosi sul punto probabilmente più insignificante, alla ricerca di una verità che ella non avrebbe mai potuto capire a quanto pareva.
Non meritava più alcun tempo per la comprensione, comunque; la sua mente non era aperta a quel salto spirituale.
Era giunta alla conclusione che soltanto il castigo avrebbe potuto ottemperare quell’ingrato compito di redimerla quel suo peccato, questo tramite la sofferenza; sia fatta così la sua volontà.
Chi rifiuta di vedere e non ammette le sue colpe, va punito.
Dunque, dopo aver mostrato platealmente il suo disdegno, imbracciò il fucile all’altezza del viso e fece partire un colpo. Claire lo schivò abilmente appena in tempo e corse via, cercando di passare oltre la giostra e raggiungere la porta.
Questo mentre Alexia sfruttava il meccanismo di quest’ultima per muoversi velocemente e prendere la ragazza alle spalle.
 
“Non mi sfuggirai Redfield! Voglio vederti cadere nel più lugubre dolore finché tu stessa non dovrai supplicarmi di mettere fine alle tue angosce! Ahahahah!”
 
Mentre Claire scappava, l’ombra di Alexia si proiettava verso di lei, inglobandola nel suo universo nero e corrotto. La rossa riuscì a raggiungere la porta, ma il rintoccare del tacco della sua inseguitrice le fece capire che lei era alle sue calcagna; non avrebbe fatto perdere le sue tracce tanto facilmente.
Intanto la bionda rideva…rideva di gusto, deliziata da quel momento.
 
 
***
 
 
Quando Claire aprì la porta, si ritrovò dentro un salottino ben arredato. Era buio e per una volta questo era a suo favore. Si inoltrò così nella stanza, cercando di nascondersi dietro il mobilio man mano che avanzava.
Intanto la porta d’ingresso dalla quale era appena entrata lentamente emise un cigolio angustiante, che fece penetrare una luminosa scia di luce. Alexia era appena entrata anche lei nella stanza.
I suoi passi rintoccavano pesanti sulla pavimentazione, la cui superficie lucida rifletteva appena la sua immagine. Claire, accucciata dietro il tavolo rotondo posto al centro della stanza, osservò i suoi movimenti attendendo il momento per avanzare.
La bionda sembrava non averla ancora vista, così decise di ‘giocare a nascondino’ e sperare di riuscire a scappare da quella stanza senza farsi vedere.
Con la coda dell’occhio, puntò quindi gli occhi oltre le gambe del tavolo, sbirciando il riflesso del pavimento che ritraeva Alexia Ashford che la cercava nel buio.
Ella, spaventosa e crudele come una cacciatrice, aveva un perverso sorriso stampato sulle labbra, come di chi ha appena catturato la sua preda e si sente padrone della sua vita e della sua morte.
La donna emise il comunissimo verso che si usa per avvicinare gli animali, facendo schioccare la lingua sui denti. La stava chiamando come fosse una bestiola?!
Fu enormemente fastidioso da ascoltare.
 
“Qui, qui, qui, qui. Claaaaire…? Dove sei?”
 
Disse con voce rassicurante e docile, consapevolmente provocatoria nei riguardi della sua prigioniera. Girò gli occhi cercando di comprendere se fosse ancora in quella stanza, poi si accorse del tavolo e fu logico per lei intuire che nella fretta la rossa avrebbe potuto nascondersi lì. Fece un ghigno e avanzò così verso di esso.
 
“Ucci Ucci…sento odor di cristianucci…”
 
Pronunciò canterellando la frase della fiaba di Pollicino, assumendo un timbro dolce, spaventoso e omicida. Questo mentre avanzava verso un lato del tavolo, pronta a catturare la sua vittima.
La Redfield sentiva il cuore in gola, ma cercò comunque di captare da quale lato Alexia sarebbe sbucata fuori. Intuì che sarebbe venuta da destra, così procedette passo passo nell’altra direzione, attenta a non emettere alcun rumore. Vedeva l’ombra della donna dai capelli pallidi avvicinarsi sempre di più, ma riuscì a mantenere le dovute distanze grazie alla circolarità della tavola, che le permise di circumnavigarla fino a spostarsi verso un comò abbastanza grande da nasconderla.
Piegata sulle ginocchia, dunque, strisciò verso quel mobile e subito si accucciò immediatamente.
Da quella posizione poteva vedere Alexia raggiungere il luogo dove prima era nascosta, ringraziò così il suo intuito e la sua forza d’animo per aver preso quella decisione.
Vide la bionda girarsi più volte in modo tranquillo ma scrupoloso.
Spaventata dall’idea che quel comodino non la coprisse abbastanza, Claire si affrettò ad avanzare verso l’uscita della stanza, approfittando del fatto che Alexia fosse di spalle in quel momento.
Tuttavia, all’erta come un lupo di notte, la gemella di Alfred si girò di scatto e, al primo rintocco dei suoi passi sul pavimento, fece partire un colpo di fucile che ferì di striscio Claire su un braccio.
Ella cadde a terra, traballando per via dell’urto di quel colpo violento che aveva smembrato parte della sua pelle. Una scia di sangue andò a rigare il suo arto.
Scrutò la ferità, che nonostante le avesse provocato quella perdita, non era profonda per fortuna.
Una risata acuta tuttavia fu subito dietro di lei, così si strascicò sulle mani avanzando verso l’uscita fino a rimettersi poi velocemente in piedi.
Alexia intanto osservò concitata la paura che animava la ragazza.
Prima di darsi al suo inseguimento, osservò il sangue che era gocciolato dalla carne della sua nemica.
Si piegò sulle ginocchia e v’intinse l’indice della sua mano, imbrattando così il vellutato e candido guanto con quel rosso caldo e vivo.
Deliziata, portò quel dito alla bocca; dopodiché lecco le sue labbra, eccitata.
 
“Il sapore di sangue e di donna, il calore intenso della vita che pulsa nelle vene. Oh, Claire…”
 
 
***
 
 
Dopo essere uscita dal salotto, la giovane Redfield ebbe come l’impressione di cadere nel vuoto.
Questo perché dall’altra parte dell’uscio non vi era nulla se non il pavimento crollato.
Ella traballò per qualche istante prima di riprendere l’equilibrio. Intanto Alexia sopraggiunse alle sue spalle.
 
“Cosa c’è, Redfield? Paura forse di cadere nel vuoto? Eppure non dovrebbe essere così terrificante per te, credo, che hai assaggiato i magnifici supplizi del mio palazzo, ihihih…! Cosa ne dici di un altro bel tuffo nel terrore? Negli abissi di quella che tu chiami follia. Ti farò vedere cosa può costruire realmente qualcuno che vuole mettere in piedi uno spettacolo meraviglioso e folgorante. Benvenuta sul mio palco!”
 
Detto ciò, la bionda le diede un forte ed inaspettato spintone che la fece cadere dalla balconata.
Claire vide così allontanarsi sempre di più la figura di Alexia Ashford, che si fece piccola fino a sparire nel nero.
La rossa sbatté violentemente a terra.
Fortunatamente qualcosa di morbido aveva attutito la sua caduta, inoltre il volo non era stato poi alto come aveva pensato. Si voltò cercando di capire dove fosse finita.
Essendo nel buio più completo, cercò nella sua tasca l’accendino che sperava di avere ancora con sé. Quello che raccolse in quello studio quando si era da poco riappropriata dei suoi ricordi ed era sfuggita dalle grinfie di Alfred.
Una volta trovato, lo accese e si accorse di essere in un grande atrio. Quanto diavolo era grande quella villa?
Esso era scuro e molto vecchio.
Uno specchio rotto ed impolverato, che oramai non rifletteva più alcuna immagine, era posto sopra un mobile arredato da delle antiche porcellane. Delle finestre contornavano quell’ingresso, oltre le quali vi era l’oscurità di una catacomba; non suggerivano alcun senso di libertà, al contrario era come se sottolineassero il suo cadere sempre più in basso in quell’oblio senza fine.
Con lo sguardo puntato verso l’alto, scrutò prima l’elevato soffitto, poi discese lentamente verso il basso, passando dalle lunghe e numerose scalinate tuttavia crollate e impossibili da raggiungere, fino al piano inferiore dove era sdraiata. Quest’ultimo era rivestito da una moquette color amaranto e comunicava quel senso di macabro che trapelava in ogni meandro di quella residenza.
Si accorse di essere precipitata precisamente sopra un divano sfondato, o qualcosa del genere. Ringraziò il fato per quella fortunata coincidenza. Quando fece per alzarsi tuttavia, si accorse che esso non era un divano…ma un grandissimo animale impagliato, o forse un peluche di grandi dimensioni. Sembrava un puma o comunque un animale selvatico.
Era rovinato in modo irreparabile. Uno dei suoi occhi mancava e la sua forma era come se fosse stata schiacciata da qualcosa di pesante. Si chiese se fosse stata lei a provocare tale disastro, eppure aveva come l’impressione che chiunque avesse costruito quella bestiola, l’avesse fatta così di proposito. Fu una consapevolezza strana, eppure…sentiva fosse così.
Volle comunque puntare le sue attenzioni su qualcosa di più serio, così cercò una strada da intraprendere. Avanzò verso il centro di quell’atrio e, dove avrebbe dovuto trovarsi normalmente il portone d’ingresso, ritrovò invece un altro tipo di entrata.
Era sempre un portone, ma su di esso vi era una particolare incisione, scritta a lettere cubitali in modo molto evidente. Era una scritta colorata di un rosa sbiadito dal tempo. La targa una volta era marmorea, adesso era grigia e riluttante.
Essa faceva:
‘THE DOLLHOUSE’
 
“La casa delle bambole?”
 
Lesse Claire frastornata, dopodiché commentò:
 
“E’ da te una cosa simile, Afred… accidenti, cosa diavolo vuoi ancora?”
 
La giovane donna dai capelli fulvi abbassò il viso, rievocando nella sua mente un po’ tutto il percorso affrontato con quell’uomo lunatico e ambiguo, ossessionato dall’antica gloria che sosteneva avere la sua famiglia e dalla sua preziosa sorella.
Riepilogò brevemente i momenti vissuti in quella deprimente prigione in cui era stata sempre circondata dalla sua contagiosa follia che aveva finito per inglobare tutto sotto il suo manto oscuro.
I suoi occhi vitrei, guidati da un bagliore malsano e immorale che lo dominavano inducendolo ad essere crudele e bellicoso. Egli amava la violenza, quel macabro e raccapricciante mondo marcato dall’indelebile segno della pazzia. Eppure, allo stesso tempo, lui soffriva.
Era vittima delle pene di quell’inferno, che lo torturavano e facevano crollare la sua mente fino a massacrarlo.
Provava tanto, immenso dolore…e Claire se n’era accorta.
Lo aveva capito da subito, quando lui cercava Alexia nei suoi occhi, quando le parlava... quando l’aveva stretta al suo corpo…
Quando più volte i loro respiri si erano fusi nelle circostanze in cui lui aveva avvicinato il suo viso al suo, alla ricerca di quel contatto affettivo che gli mancava fino a renderlo pazzo.
Il suo cuore si irrigidì, provando un’infinita angoscia nel ricordare a freddo le tante parole dette; quei mille sguardi truci e feriti che caratterizzavano lo spirito oramai infranto di Alfred Ashford.
Quel senso di vuoto la costrinse a porsi delle domande e mettersi in dubbio circa quelle ambigue e contorte circostanze in cui aveva rischiato la vita più volte per colpa sua e dei suoi tormenti.
 
Lei………..era nel giusto vero?
 
Alfred era una mente malata, dalla quale fuggire alla svelta. Era questa la dura realtà, no?
Dentro di sé in realtà vedeva nitidamente cosa aveva portato il biondo castellano a creare quella personalità alternativa, che soppiantava in qualche modo la sua evidente solitudine e il suo atroce sentimento di abbandono. Rivide davanti ai suoi occhi il suo viso etereo e ambiguo, bellissimo e terrificante.
Alfred era un’ombra della quale si percepivano i contorni, la cui corporeità era da ricercare nei suoi efferati incubi.
Egli era il riflesso di un destino che era stato crudelmente frantumato, i cui cocci anche rimessi insieme non potevano più costituire alcunché, condannandolo a vivere in quel mondo di ricordi.
Era questo che lui cercava e che lo animava a tal punto da rendere la sua vita un teatrino folle e indecifrabile, in cui persino lui si era perso negli stessi angoli bui del suo immenso universo sgretolato. 
Ripensando al suo perfetto mascheramento da Alexia, aveva avuto modo di vedere l’apice della sua morbosa ossessione, della sua decadenza mentale inarrestabile.
Perfetto in tutti i suoi aspetti, la donna che venerava era il quadro completo del suo sentirsi minacciato dal mondo che lo circondava.
Si chiedeva morbosamente a cosa l’avrebbe aiutato travestirsi da sua sorella gemella. Non aveva senso…
Eppure……..i suoi occhi tetri diventavono…….felici, quando diveniva lei.
Era strano, ma era proprio così.
 
Claire era quindi davvero nel giusto a considerare la sua realtà fuori da ogni logica?
 
Scosse la testa, costringendo la sua mente a tacere ancora una volta.
Doveva purtroppo guardare alla sua vita, sebbene la sua natura compassionevole lottava contro il suo forte istinto di sopravvivenza che la voleva lontana da tali ragionamenti.
Si chiese fino a quando sarebbe riuscita a soppiantare la sua voglia di interrogarsi e capire cosa si celava davvero dietro quella follia; ma al momento la razionalità aveva ancora la meglio, ragion per cui ella si mosse verso la Casa delle Bambole, pronta ad affrontare la seconda personalità di Alfred: Alexia Ashford.
Dalla finestra intanto, un uomo con una scarlatta uniforme militare inglese la osservava taciturno…
 
 
***
 
 
 
The dollhouse - La Casa delle Bambole
Palazzo Ashford
 
 
 
Era curioso entrare in una casa dall’interno di un’altra casa.
“La Casa delle Bambole” era un edificio grande, con tanto di finestre che affacciavano sull’ingresso che lei stava appena varcando. Si chiese che senso avesse collocare una costruzione simile in quel luogo.
Non le sembrava per nulla un’opera architettonica corretta.
In quel momento comprese perché Alfred l’aveva chiamata “dollhouse”. Questo perché era una vera e propria casetta per le bambole, versione gigante, inserita dentro una residenza più grande. Come un giocattolo versione naturale, diciamo così.
Infatti, da fuori all’ingresso era visibile persino il tetto dalla forma triangolare, ambiguo da vedere all’interno di un palazzo.
Claire comunque non stette a interrogarsi su altro, avendo visto cose ben più assurde di quello.
Osservò l’immane portone di legno chiaro, rifinito sui lati con degli intagli dolci e circolari, dopodiché cercò di forzarlo, ma era chiuso.
Dall’alto cascò un bigliettino svolazzante, che cadde in direzione della fanciulla la quale lo prese al volo mentre discendeva delicato in balia dell’aria.
Lo aprì e scrutò il disegno infantile che rappresentava una bambina dai capelli rossicci che bussava il campanello. Ella aveva le guanciotte rosse e un sorriso stampato sulle labbra.
Era evidente si trattasse proprio di lei. Era Alfred che aveva fatto quel disegno?
Alzò il viso cercando di scorgere il biondo, certa che lui glielo avesse lanciato, tuttavia non vide nessuno e così si limitò a comprendere il senso di quel messaggio: doveva suonare il campanello.
Così fece e un suono melodioso tuonò per tutto l’atrio. Era dolce, eppure in quel silenzio fu del tutto sgradevole.
A quel punto, comunque, il rumore di un meccanismo scattò proprio dove era collocata la serratura della porta, la quale si aprì da sola permettendo alla giovane donna di entrare.
Appena dentro, il portone si chiuse alle sue spalle, cosa molto prevedibile e che non spaventò Claire più di tanto.
Si concentrò invece sull’ambiente circostante.
L’atrio era molto ampio e sebbene fosse al buio, poteva scorgerne i colori vivaci che un tempo rendevano quel luogo allegro ed accogliente.
L’accendino emetteva un’illuminazione precaria, non abbastanza forte da fare luce sul suo cammino, tuttavia bastava a riconoscere le tinte rosee delle pareti, proprio come la maggior parte delle vere case delle bambole.
Guardandosi attorno, distinse i vari arredi che sembravano essere usciti fuori da un manuale.
Un comodino posto all’ingresso con il vaso di fiori finti, il tappeto circolare posto al centro della stanza, il lampadario sfarzoso, la rampa di scale che conduceva ai piani superiori.
Tutti elementi tipici, ove mancava forse solo la bambolina da far muovere lì dentro….o forse c’era…ed era proprio lei?
Con tutte le probabilità le intenzioni di Alfred erano proprio quelle, così cercò di tenere presente quella consapevolezza durante la perlustrazione, perché avrebbe fatto di tutto per non essere la sua marionetta di nuovo.
Così avanzò e nel piano inferiore non trovò altro che una cucina vuota, il bagno, una piccola stanza di accoglienza e una sala da pranzo. Nulla di speciale.
Decise così di salire.
Le scale scricchiolavano a ogni suo passo, non perché fossero sul punto di rompersi, piuttosto esse erano visibilmente trascurate e intrise di umidità.
La ragazza fece scivolare la mano sulla ringhiera e quando arrivo sul pianerottolo superiore, per un attimo guardò indietro.
Aveva uno strano presentimento…era tutto troppo calmo, troppo silenzioso.
Cercò qualsiasi elemento potesse confermare il suo ovvio stato di allerta, ma purtroppo nessun elemento di quella strana abitazione comunicava lei qualcosa.
Mentre camminava per il corridoio, una stanza lasciata semi aperta la incuriosì. Si avvicinò ad essa e fu sorpresa quando dall’altra parte vide, seduta su una poltroncina, qualcuno dai lunghi capelli castani e arruffati.
Subito entrò, chiedendosi se avesse trovato un altro sopravvissuto, dovette tuttavia ricredersi velocemente in quanto, mossi appena pochi passi verso di lei, la donna seduta sulla poltrona si rivelò essere solo una bambola.
Ella aveva delle dimensioni umane, esattamente come quella vista precedentemente davanti “la stanza dei bambini”. Anche l’abbigliamento stile ottocentesco era simile.
Quest’ultima però non aveva quello sguardo indemoniato, esso stavolta era normale. I suoi occhi di vetro contornati dalle lunghissime ciglia nere erano fissi di fronte a sé e non guardavano da nessuna parte.
Era un po’ inquietante da vedere, in verità.
Un particolare oltre lo sguardo attirò la sua attenzione. Ella aveva qualcosa fra le mani.
Un attimo…non era un oggetto… la mano stessa sembrava essere un meccanismo.
Quando fece per guardare meglio, sfiorando appena quelle dita di porcellana, una lampada alle sue spalle si accese, illuminando la superficie vicino cui era posta, in prossimità della finestra.
Claire sobbalzò quando, girandosi per identificare quell’improvvisa fonte di luce, distinse nitidamente la figura di Alfred Ashford.
 
“AH!”
 
Urlò appena, non aspettandosi minimamente che anche lui fosse lì dentro. Com’era potuto rimanere silenzioso nel buio per tutto quel tempo?
La ragazza comunque si riprese in fretta da quello spavento e si ricompose; frattanto però quell’uomo rimase immobile, con il volto girato verso la finestra.
Claire trovò strano quell’atteggiamento e fu così che in quel momento notò qualcosa di strano.
Il suo corpo marmoreo era troppo pallido e lucido. C’era qualcosa che non quadrava.
Inoltre sembrava rigido, come se non fosse costituito di pelle. Esso non faceva alcun minimo movimento, nemmeno quello della respirazione. Fu a quel punto che si rese conto che quell’Alfred non era altro che un manichino vestito da lui.
Il suo viso ancora più bianco di come già non era, era freddo e imperscrutabile.
Sebbene avesse la tipica fisionomia di un comunissimo manichino, di quelli che si vedono quotidianamente nelle vetrine dei negozi, non c’era effettivamente moltissima differenza con il vero e giovane Ashford.
I suoi occhi irraggiungibili e vuoti, a volte freddi e malinconici, erano gli stessi anche di quel viso finto intagliato nel legno. Duri, lontani, invalicabili….
Lo osservò attentamente, come rapita da quel fantoccio così inumano e privo di vita, eppure tanto rassomigliante alla figura da cui era stato ispirato.
Osservò la parrucca tirata indietro che indossava, il suo abito elegante con le decorazioni militari, infine la statura un po’ più alta della sua. Istintivamente pose una mano sulla sua giacca, sfregando le dita sul risvolto del colletto.
Fu un gesto che neppure lei si accorse di aver compiuto, era come se una parte irrazionale di lei ricercasse un contatto con quell’essere umano così ambiguo e devastato. Qualcosa di orrendo lo aveva reso una persona folle, oppure persino lui era dopotutto solo un ragazzo impazzito a furia di abitare in quel castello perverso e disumano? 
Come se gli occhi artefatti di quel pupazzo potessero risponderle, si perse nel suo sguardo vuoto alla ricerca di qualcosa che sentiva di non poter comprendere.
A quel punto una voce squillante interruppe quel suo beato momento di riflessione.
La rossa si sentì enormemente a disagio. Stavolta il vero Alfred stava annunciando la sua venuta con i suoi sottili ed irritanti sogghigni.
Tolse immediatamente la mano dalla giacca del manichino, come nascondendo quel circostanziale momento sentimentale, in seguito si voltò più volte cercando di individuarlo.
Egli però sembrava non essere nella stanza.
Fu in quel momento che, dall’alto, scese un enorme schermo, che mostrò l’immagine del cupo e temibile gemello.
 
“Alfred…”
 
Digrignò i denti, infastidita dal suo modo di agire.
Il volto del biondo ritratto nello schermo era illuminato dal monitor di un computer, era evidente per via dei colori pallidi e leggermente bluastri.
Egli, con il suo sguardo molesto e sgradevole in contrasto con la delicatezza e la soavità dei suoi tratti facciali, sorrideva beffardamente tenendo la guancia premuta contro la sua mano.
Sul suo capo, in quel momento, troneggiava vittoriosa un’appariscente e voluminosa corona, che voleva evidentemente sottolineare il suo essere Re di quel luogo maledetto.
Era vistosa e dalla forma molto classica. Conferiva sia un senso di estrema eleganza, che un’impronta ridicola e grottesca.
Che diavolo gli era venuto in mente di indossare? Tra poco avrebbe cacciato anche scettro e mantello?
Aveva le gambe accavallate e sedeva in modo del tutto rilassato su un’imponente poltrona, come un tirannico padrone di casa sicuro di sé; sembrava inoltre disgustosamente divertito dall’essere apparso così di soppiatto, spaventando la giovane Claire.
La ragazza lo guardò con sfida, ponendo l’accento sul suo ridicolo modo di presentarsi.
 
“Cos’è quella? Ti hanno anche incoronato adesso?”
 
“Oh, questa dici?” rise lui. “Non è stupenda? Un decoro così bello, prezioso, di classe direi…mi sta d’incanto! Ritengo che i gioielli regali mi si addicano veramente molto.”
 
Il biondo toccò la sua preziosa corona, accarezzandola compiaciuto, poi rise sonoramente, felice di deridere il suo ‘suddito’. Claire dal suo canto mostrò tutto il suo disappunto, scuotendo la testa e facendo per esprimere la sua dura opinione, ma non fece in tempo a dire qualcosa che lui la interruppe.
 
“Allora dimmi, che ne pensi di questa bellissima ala del palazzo? Ti piace, vero? C’è qualcosa che conto di aggiustare, ma credo sia venuta molto bene. Per di più c’è Alexia a prendersi cura di te, spero tu l’abbia ringraziata. Non è solita fare cose di questo genere, ha sempre tanto lavoro da sbrigare. Tuttavia ormai so come la pensi e mi rincrescere la consapevolezza che tu non apprezzerai mai un simil gesto, in verità tanto esclusivo. Se a questo aggiungo la tua maleducazione nel portare cotanto scompiglio a casa mia, credo proprio che non potrò sempre perdonarti.”
 
Alfred non le diede un attimo per parlare e questo la fece innervosire ancora di più. Possibile che fosse così egocentrico?
A quel punto però qualcuno spalancò la porta di quella stanza, facendo il suo ingresso improvviso. Seppur l’ambiente esterno fosse buio, un forte controluce si abbatté sulla figura appena entrata, che si mostrò maestosa e fiera.
Alexia era appena entrata nella stanza.
 
Aspetta un attimo…?! Alexia?
C-come era possibile?
Ma se Alfred era lì….lei come poteva…?
 
Claire si sentì nel panico non comprendendo cosa stesse accadendo.  
Vide la donna dai lunghi capelli biondi guardarla con i suoi occhi di ghiaccio penetranti, con la severità che la contraddistingueva e che si manifestava sempre nel suo portamento.
Ella prese a sghignazzare con suo fratello, ponendosi al fianco dello schermo.
I loro volti identici erano accomunati adesso anche dalla stessa espressione sadica e maligna. Entrambi puntarono i loro occhi su Claire pronti a trafiggerla con i loro sguardi funesti e giocondi.
Assieme essi divennero la raffigurazione del Re e della Regina, che con la loro gloria e crudeltà dominavano quel malato castello che dava sfogo alla loro perversione e psicopatia incontrollabile.
Vederli uniti fu qualcosa che impressionò la Redfield, la quale non fece che passare lo sguardo dall’uno all’altro alla ricerca di una spiegazione.
Aveva visto Alfred travestirsi da lei…
Lui…pur di averla accanto, aveva mascherato anche Claire! L’aveva persino drogata!
Se Alexia esisteva, invece---allora perché lo aveva fatto?! Non aveva senso!
Tutto lasciava credere che la bionda gemella di Alfred fosse morta, invece…
Claire per un attimo credé davvero che ella esistesse, tuttavia la sua razionalità richiamava la sua attenzione e le impedì di crederci per davvero. Questo perché era evidente che qualcosa di strano avvolgeva i due gemelli.
Uno era su uno schermo, che la guardava con arroganza dall’alto verso il basso. Inoltre sembrava non interagire con lei, come se non potesse vederla realmente.
L’altro era invece di fronte a lei, ed era l’unica dei due che si era mostrata in carne ed ossa.
Allora forse…
 
“Benvenuta di nuovo, Redfield. Vedo che sei rimasta illesa dal volo che hai fatto dalla balconata del piano di sopra, ma che peccato, ahahah!”
 
Rise la donna acidamente portando una mano sulla bocca.
 
“Oh, fratello mio, sono davvero felice di poter punire la nostra arrogante ospite che ha osato offendere la tua missione. Insieme noi siamo i sovrani di questo mondo e tu assaggerai le meravigliose pene che i nostri disertori hanno l’onore di provare sulla loro pelle! Ahahah!”
 
Sghignazzò, vibrando con tutto il corpo che si contorse nella sua ilarità. Ella poi puntò lo sguardo verso lo schermo e quindi verso suo fratello, i cui occhi erano invece fissi in avanti.  
La donna portò due dita sulla bocca, che utilizzò per mandare un delicato bacio a suo fratello, con un gesto che richiamava dolcezza e riconoscenza.
Agli occhi di Claire sembrò strana quell’azione; per quanto potesse esserci un profondo amore tra fratelli, era naturale desiderarsi così tanto? Provò uno strano rimescolio allo stomaco riflettendo su quell’atteggiamento così ambiguo e distorto.
Ma ciò che a quel punto aveva tradito il caro signor Ashford, era che non aveva ricambiato quel segno d’amore.
Egli era rimasto fermo sul suo trono, con quegli occhi trionfanti, come se non avesse visto la sua adorata Alexia lanciargli un delicato bacio.
Adesso era ovvio, la sua ipotesi era stata confermata: quel video era solo una registrazione, realizzata per farle credere che i due gemelli fossero due persone distinte.
In realtà, l’unica persona veramente presente in quel posto era sempre e solo lui...
Mentre Alexia fissava con incanto la meravigliosa figura di quel suo fratello che le mancava tanto e che desiderava ardentemente, Claire si fece avanti interrompendo quell’idillio.
 
“Smettila con questa farsa, Alfred, te lo dico di nuovo! Non esiste nessuna Alexia! Pensi che io possa ancora bermi questa storia? Sii serio e metti un punto a questa pagliacciata.”
 
Alexia, i cui occhi erano languidi e persi nel vuoto, lentamente si voltò verso la rossa.
Il suo sguardo era spaventoso.
 
“Come osi rivolgerti a me con tale impudenza! Quale affronto alla mia dolce e perfetta sorella! Tu che sei solo…!!”
 
“A-ah!” lo interruppe Claire sorridendo e puntando un dito contro di ‘lei’. “Visto? Com’è che adesso parli di lei in terza persona? Ti sei smascherato da solo!”
 
Alfred/Alexia digrignò i denti offeso nell’orgoglio. I suoi occhi si spalancarono non contenendo la rabbia che gli ribolliva dentro. Sollevò un braccio e con la veemenza di un re indicò la persona nemica che andava messa a tacere.
 
“Continua pure a ridere, Redfield. Guardati alle spalle, però! Perché non puoi mai sapere chi hai davanti!”
 
Tuonò e a quel punto dagli angoli della camera delle ombre cominciarono a muoversi.
Claire sentì quelle presenze anche senza averle ancora viste; i loro gemiti di dolore erano così spaventosi ed angustianti da non poter passare inosservati.
La rossa guardò attorno a sé cercando di indentificare quella minaccia quanto prima, questo mentre i ‘mostri’ si avvicinavano a lei e ad ‘Alexia’.
Passo dopo passo, furono sempre più distinguibili e finalmente si evidenziarono ai suoi occhi.
Erano delle… delle bambole! Le stesse bambole a grandezza umana che aveva visto in giro per la villa!
I loro capelli arruffati dal colore spento e ingrigito, impolverati e trascurati. Essi ricadevano disordinati sulle spalle, con quell’accenno ondulato e le deliziose acconciature con i fiocchi sgargianti che un tempo le rendevano graziose e adorabili.
I loro abitini vaporosi vertevano nelle stesse condizioni, conferendo un aspetto spaventoso alle loro movenze in quanto simili a bambole indemoniate.
Zoppicavano e si strascinavano, muovendo i piedi malridotti e sofferenti, seppur rivestiti dalle delicate calzature.
Emettevano versi tormentanti e le loro braccia presero a indicarla con desiderio di fame.
Claire inorridì quando lentamente queste sollevarono i loro volti avvicinandosi sempre di più, potendo così distinguere nitidamente la pelle ruvida e spaccata, il sangue che grondava dalla loro testa, dai loro occhi, dalle loro ferite…
Le loro fauci sanguigne e deturpate si spalancarono pregustando il pasto che avrebbe riscaldato il loro freddo palato.
Quelle bambole non erano bambole! Erano zombie!
Erano stati vestiti e acconciati in quel modo per farli apparire come delle graziose e letali macchine assassine.
La ragazza impallidì letteralmente di fronte quell’incubo spaventoso, circondata in modo sempre più inesorabile da quelle malvagie creature.
Indietreggiò spaesata, affiancandosi così involontariamente ad Alexia.
Quando la urtò con la schiena, si girò di scatto, terrorizzata, ma la donna le sorrise assumendo un’espressione spaventosamente rassicurante.
Claire fissò i suoi occhi su di lei, vedendo chiaramente il volto di Alfred Ashford celato dietro quel travestimento.
Mentre il suo istinto lottava fra la paura verso quell’uomo e quella verso i non-morti, egli posò inaspettatamente le mani sulle spalle stringendola a sé.
 
“Non ti preoccupare Claire. Al momento è un altro lo spettacolo a cui voglio assistere, non è ancora l’ora della tua disfatta.”
 
Disse lui con tono femminile ed aggraziato, dilettato dal senso di smarrimento di Claire.
La ragazza dal suo canto sentì il cuore sbatterle in petto, mentre sentiva il busto di ‘Alexia’ attaccato alla sua schiena, che le sussurrava all’orecchio a pochissimi centimetri di distanza.
Ancora sotto shock, rimase immobile e lasciò che lui le mostrasse ciò che voleva, aspettandosi di tutto da parte di quella mente fortemente deviata.
Egli intanto salì all’altezza del viso il fucile di precisione che era solito portare con sé, ponendolo di conseguenza a meno di un palmo anche da Claire. Seguendo il suo sguardo, anche lei puntò gli occhi di fronte a sé, in direzione delle b.o.w. travestite da bambole.
Si appropinquavano fameliche sempre di più e Claire a quel punto si fece prendere dal panico.
Doveva fuggire e alla svelta! Se Alfred intendeva farsi divorare, lo facesse da solo!
Quando fece tuttavia per scrollarselo di dosso, egli la bloccò ancora più saldamente.
 
“Attendi, le sorprese non sono nemmeno cominciate! Facciamo un giochino…”
 
E così imbraccio meglio il suo fucile da caccia e lo mise fra le sue braccia e quelle di Claire.
 
“Cosa stai..?”
 
Farfugliò la ragazza ma ‘Alexia’ non le diede il tempo di replicare che sparò ad uno di quei zombi, che cadde a terra agonizzante. La precisione di quel colpo gli aveva fatto perdere parte di una gamba, che era schizzata via a brandelli, macchiando gli arredi di quella stanza.
La donna dai capelli biondi rise di gusto.
 
“Ahahah! Adesso prova tu.”
 
Sorrise deliziata, portando la mano di Claire sul grilletto della sua arma. La rossa scosse la testa, inorridita e spaesata.
 
“Non…non capisc…”
 
“Forza!”
 
Insistette la bionda che, premendo sul suo indice, sparò per lei ed un secondo colpo andò a colpire lo stesso zombie che stavolta cessò di muoversi.
La temibile Alexia rise nuovamente, sempre più eccitata. Prese dunque a sparare a raffica, divertendosi non tanto ad ucciderli, quando a tranciare i lembi della loro carne, al fine di vederli soffrire e strisciare al suo cospetto.
La Redfield, incastrata fra le sue braccia, i cui palmi erano stretti dal suo nemico sul suo fucile, vedeva quella strage come se fosse compiuta per mano sua. Vedeva il sangue schizzare, pezzi di carne volare via, brandelli di cervella e di materiale organico fuori dai tessuti, urla di dolore che le trafiggevano il cranio e martoriavano i suoi sensi…
Questo mentre Alfred travestito da Alexia si godeva il suo macabro spettacolo, come se non si rendesse neanche conto di quello che stava facendo. Era solo esaltato da quella visione esangue e disumana.
 
“Ahahahah! Senti Redfield? Senti questo piacevole suono? Il suono del dolore… della sua dolce, dolcissima agonia…ma non è abbastanza! Non è abbastanza!”
 
Esclamò eccitato e a quel punto lasciò la presa su Claire per prendere in mano un telecomando che, una volta azionato, fece cadere una grossissima clava chiodata da una parete.
Questa schiacciò in modo inevitabile la testa di uno di quei non-morti, che si frantumò lasciando al suo posto un lago di sangue.
Claire portò una mano sulla bocca, cadendo a terra.
Alexia intanto schiacciò di nuovo il bottone che pian piano attivò varie trappole che sterminarono infine tutte quelle creature.
Una lancia taglio a metà uno di loro; una lama venuta fuori dal nulla ne decapitò un altro; una serie di aghi acuminati ricoprirono interamente la figura di un altro ancora, riducendolo a un cola brodo…
Velocemente quel palco si trasformò in un patibolo di esecuzione, che portò alla morte definitiva ognuno di quegli esseri che, seppur fuori controllo e a loro volta delle macchine assassine, fu crudele vederle ridotte a brandelli in quel modo.
La rossa portò le mani sul viso, incapace di accettare tale spietatezza.
Intanto Alexia, una volta soddisfatta, le poggiò una mano sulla spalla.
Del sangue era schizzato sia su di lei che su Claire, macchiando i loro vestiti e i loro visi.
Sentendo quel contatto, tuttavia, la ragazza dai capelli rossi si alzò di scatto, scacciando quella mano rivestita dai guanti insanguinati.
Fece per colpirla sferrando un pugno, ma la bionda riuscì a bloccarla.
Dalla forza con la quale piegò il suo braccio, era lampante il passato militare dell’uomo nascosto sotto quelle spoglie. Sebbene il suo essere femmineo, possedeva probabilmente più preparazione di quanto non sembrasse in apparenza.
Comprendendo che fosse abbastanza inutile lottare contro di lui, Claire si divincolò dalla sua presa e fece per allontanarsi da quella stanza, ma lui le si parò davanti.
 
“Non puoi sfuggirmi, Claire. Perché credi ti abbia mostrato tutto questo? E’ stato solo per farti vedere in quanti modi posso annientarti e farti soffrire. Un piccolo gioco psicologico, che credo ti abbia dimostrato quanto tu non sia nessuno al mio cospetto. Posso colpirti, deturparti, ucciderti, quando e come voglio…nei modi più crudeli e dolorosi. Non è la morte, tesoro, quella che ti dovrebbe spaventare oramai, ahahah!”
 
Mentre Alexia delirava e sghignazzava senza contegno, Claire d’istinto prese un piccolo specchietto da tavola poggiato su uno dei mobili, pronta a usarlo come arma, avendo trovato solo quello a portata di mano.
Tuttavia prima di colpire il suo nemico, questi ebbe il tempo di riflettersi in esso ed il terrore si disegnò nei suoi occhi.
La giovane comprese subito che qualcosa lo aveva terrorizzato, così cercò di capire invano cosa stesse succedendo.
Alexia intanto si voltò dietro di sé.
Ella aveva visto, da quello specchietto, il suo riflesso rifratto in una specchiera più grande posta sulla parete alle sue spalle.
Poté osservare così la sua figura riprodotta su quella superficie e qualcosa sembrò vacillare nella sua mente. La bionda prese a tremare, fino a contorcersi ed infine ad urlare.
Urlò in modo acuto, penetrante, agghiacciante. Uno strillo che fece fischiare le orecchie della giovane dai capelli rossi, costringendola a tapparle con le mani.
Claire dovette piegarsi su se stessa, mentre i suoi timpani sembravano spaccarsi.
Alexia Ashford intanto si dimenava, non sapeva se infastidita o terrorizzata.
 
Cosa le stava accadendo…o meglio, cosa stava accadendo ad Alfred?
 
Lo vide scuotersi e non riuscire a fermarsi, come se fosse stato trafitto da un dolore terribile. Era…era impazzito!
Infine, egli impugnò il fucile fra le mani e con il calcio di legno frantumò con veemenza quello specchio, riducendolo in mille frammenti di vetro.
Lo distrusse finché di esso non rimase nulla; era esattamente come la specchiera che Claire aveva visto prima di entrare nella ‘stanza dei bambini’, quella che precedeva la giostra con i cavalli.
Allora ci aveva visto bene…era stato lui a romperli!
Alfred dunque era affetto da eisoptrofobia (o spettrofobia)?
Aveva sentito parlare di tale fobia, consistente nella paura irrazionale e ingiustificata verso gli specchi, o il vedersi riflessi in uno specchio. Le persone che soffrono di questa fobia sentono un'ansietà indebita guardandosi allo specchio, pur rendendosi conto che le loro paure sono irrazionali. Per via di una diffusa base superstiziosa, gli eisoptrofobici possono preoccuparsi che guardarsi allo specchio li metterà in contatto con un mondo sovrannaturale/parallelo sito "al di là" dello specchio.
Era per questo che il biondo erede degli Ashford aveva sigillato, frantumato o rimosso tutti gli specchi di quella magione?
La motivazione risiedeva in questa fobia, dunque?
Anch’essa era collegata ad Alexia in qualche modo?
 
La verità dietro uno specchio, che metteva a nudo il suo universo, mostrandogli in modo spietato quello che lui doveva a tutti i costi proteggere e celare.
 
Claire approfittò di quel momento di follia, ove quell’uomo era distratto ad aggredire quello specchio, per scappare via dalla stanza, sperando di incapparsi nello spaventoso alter ego di Alfred il più tardi possibile.
Mentre chiudeva la porta dietro di sé, Alexia alzò il viso angosciato e sudato.
Inspirò profondamente facendo cadere la testa all’indietro, poi si voltò di scatto.
 
“Claaaa…ire….”
 
Canterellò in modo dolcemente stucchevole, con voce femminile ed amabile, tuttavia con gli occhi di un folle psicopatico.
 
“Dove pensi di andare…?”
 
Aggiunse quasi sotto voce, con la stessa tonalità smielata. Un sorriso perverso si dipinse sul suo volto impazzito. 
Il gioco era appena cominciato.
 
 
***
 
 
 
 
 
 
 
NdA:
 
* citazione di ‘Delitto e castigo’ - di Fedor Dostoevskij.
In questo romanzo, la "pena" è intesa in termini di castigo morale, cui seguono il riconoscimento della colpa commessa, il pentimento ed il rinnovamento spirituale.
Esso esprime i punti di vista religiosi ed esistenzialisti di Dostoevskij, con una focalizzazione predominante sul tema del conseguimento della salvezza attraverso la sofferenza.
 
Nel corrente capitolo, la citazione di Dostoevskij espressa da ‘Alexia’ è riferita all’incapacità di Claire di capire i suoi ‘peccati’, che ai suoi occhi è l’aver interferito con i suoi piani e affrontarla impudentemente.
In realtà a questo si associa anche, e soprattutto, il senso di frustrazione e di incomprensione di Alfred, come accaduto nel capitolo precedente. Quella devastazione interiore che lo ha indotto a “trasformarsi” in Alexia.
Claire si rifiuta di vedere oltre ciò che è tangibile (in questo caso il travestimento e l’ossessione per Alexia da parte di Alfred), così egli la condanna a espiare attraverso la sofferenza.
 
Ps: La figura di Alexia è ispirata a Daniella di Haunting Ground. Per chi ha giocato a questo gioco e ci ha fatto caso, informo che la somiglianza è voluta. ^^ Così come la stanza con la giostra speculare, ambientazione presente nel mededimo videogame, che ho voluto omaggiare e che si prestava per l'atmosfera che intendevo descrivere. :)
 
Ci vediamo al prossimo aggiornamento e grazie a tutti coloro che mi stanno seguendo!
 
 
 
  
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