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Autore: SagaFrirry    26/02/2015    0 recensioni
Kosmos è il dio dell'universo occidentale, in perenne conflitto con Kuruma, dea del cielo orientale. Al termine dell'ennesimo bisticcio, il dio si ritroverà tramutato nel suo incubo peggiore: un mortale. Caduto sulla Terra, spetterà alle sue dodici costellazioni principali tentare di riportarlo al giusto posto, fra nuovi incontri e difficoltà.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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II

 

 

L’immenso palazzo sorgeva al centro dell’Universo. Sospeso nel vuoto cosmico, riluceva come una stella. Il lato ovest ed il lato est non avevano punti di incontro, se non uno stretto corridoio centrale, lucido, terminante con un terrazzino semicircolare che dava sullo spazio tempestato di infiniti punti brillanti. L’intero edificio si ergeva su due piani, provvisti sulle due facciate opposte di aree aperte affacciate sull’immensità. Una coppia di torri gemelle si innalzava agli antipodi della struttura, una ad est ed una ad ovest. Altissime, terminavano ognuna con un ripido tetto spiovente sormontato da una lunga asta. Questa, una sorta di freccia dorata, faceva da perno ad un disco movente con sopra incisi i simboli appartenenti agli abitanti di quel luogo.

Kosmos, il padrone e regnante del lato ovest, era una delle creature più belle e potenti dell’Universo, e ne era perfettamente consapevole. Seduto, con le gambe allungate sul tavolo, guardava fuori dalle finestre ad arco che circondavano la torre occidentale. Raramente vi scendeva, non ne aveva bisogno. Aveva tutto sotto controllo. I suoi occhi, scintillanti di punti d’argento, scrutavano il nero dello spazio infinito. Solo di sfuggita notò la torre orientale e vide la sua occupante, Kuruma, che si era affacciata per sospirare alle stelle. Kosmos non ci badò più di tanto. Scostò un ciuffo di lunghi capelli blu dal viso pallido. Erano mossi e ribelli, ingabbiati in un singolare sistema di spuntoni di vari colori, che sfioravano il volto e le labbra color oltremare del loro padrone. Quella sorta di armatura, le cui propaggini sottili d’argento ricoprivano parte del viso di Kosmos e una notevole area del suo corpo, lo aiutava a mantenere sempre sotto controllo il suo potere, anche se lui era fermamente convinto di non averne bisogno. Sul capo indossava una specie di corona composta da due cerchi dorati, tenuti assieme da sottili fili dello stesso colore, ed un altro ornamento, sempre d’oro, ma ricco di eleganti riccioli. Sferette d’argento contornavano le sottili sopracciglia, il mento ed il petto di quella creatura e portava due spessi anelli alle orecchie, che erano a punta ed in parte coperte dai capelli. Sbatté le palpebre, mentre vide crearsi un buco nero a migliaia di anni luce. Quegli occhi, azzurri, erano contornati di rosso, a formare un disegno simile ad una maschera o ad un fiore. Pure lui, come la torre in cui viveva, portava un’asta d’argento, con dettagli rossi e turchese, che fungeva da perno e da freccia sul disco che lo sovrastava. Simile ad una grossa aureola, era diviso in dodici spicchi regolari di colore diverso. Rappresentava i dodici segni zodiacali e ne portava i simboli, gli stessi incisi sul disco che sormontava la torre d’ovest. In quel momento, la freccia di entrambi puntava sul segno dello scorpione ma già lentamente si muoveva verso il segno successivo, il sagittario. Kosmos portava al collo un disco più piccolo, con gli stessi segni degli altri, con la freccia ormai prossima ed entrare nel quadrante dell’acquario, stando sul bordo dei pesci. Aveva un moto molto più lento. Ci metteva circa 2160 anni per passare da un simbolo all’altro mentre agli altri due congegni bastavano circa trenta giorni. Il padrone della torre si alzò, dopo aver riposto uno delle migliaia di libri contenuti in quel luogo, e si affacciò ad una delle finestre, fra una colonna ed un’altra. Guardò in alto, distrattamente, e la sua sagoma si notò chiaramente dalla torre orientale.

Kuruma, affacciata a sua volta, puntò gli occhi verso ovest. Kosmos non la degnò di uno sguardo con quei suadenti occhi azzurri. Lei si morse il labbro inferiore, infastidita da come il suo “coinquilino” riuscisse sempre ad ignorarla. Si voltò e si allontanò dalla vista esterna. Tentò di rilassarsi sfogliando distrattamente un libro. Quei volumi, come tutti quelli dell’edificio, provenivano da varie parti dell’Universo. Erano di tutti i generi, di ogni scrittura e grandezza. Particolari creature, chiamate dai loro padroni col nome di “procacciatori”, volavano per i pianeti e ne portavano sempre di nuovi agli abitanti del palazzo. Kuruma e Kosmos ne avevano uno ciascuno di questi “procacciatori” e, in quel momento, erano entrambi in cerca di nuove pagine scritte. Oltre a leggere, sulle torri si dipingeva, si cantava, si suonava ma, principalmente, si controllava ogni singolo movimento di ciascun corpo celeste, attenti a non farne andare nessuno fuori posto. E si creavano stelle, pianeti, buchi neri, galassie e comete. Kuruma quel giorno non era dell’umore adatto per fare nulla di tutto questo. Tornò a girare il capo verso l’esterno. La sagoma di Kosmos era ancora lì. A lei venne spontaneo chiedersi se il suo dannato vicino lo facesse apposta ad irritarla. Si sentì spiata e si voltò di scatto. Fu tentata di aprire la porta scorrevole che la divideva dalle scale, ma preferì sospirare e distendersi sul letto, in cerca di ispirazione.

L’architettura e l’arredamento delle due torri erano molto diversi. Quella occidentale era in pietra grigia, con i sassi in vista. Aveva finestre ad arco, sottolineate da delle colonne, e mobili in legno scuro, con tavoli e sedie alti e riccamente decorati, incisi. Kosmos sedeva sempre su una sedia a dondolo di legno massiccio, color blu scuro, realizzata con materiali provenienti da un pianeta lontano, ovviamente dello stesso colore. Una massiccia porta scricchiolante separava la sala della torre dalle scale, che conducevano ai piani inferiori. Il letto della parte occidentale aveva un alto baldacchino con un pesante tendaggio scuro, con su ricamati dettagli in argento e perle lucenti. Sparsi un po’ qua e là, i fogli scritti e scarabocchiati dal proprietario frusciavano sotto i piedi. Alle pareti vi erano dei ritratti e delle immagini realizzate da un paio dei coinquilini occidentali. Tappeti di varia fattura coprivano in parte il pavimento nero. Il soffitto era affrescato e svettante verso la punta in cima al tetto. Le tende cupe erano sorrette da grossi anelli lucenti e regolari. Un grosso specchio ovale, decorato ed eccessivamente riccioluto, stava sopra ad un piccolo armadio d’ebano contenente tutto il necessario per la maniacale cura che Kosmos riservava ai suoi capelli. C’era una stupenda vetrata, rappresentante lo zodiaco e le sue stelle, a dividere il piccolo spazio che la torre riservava alla doccia per il suo padrone, semitrasparente e piuttosto esibizionistica. In un altro armadio, arcuato e alto fino a quasi il soffitto, erano riposti i ricchi abiti ed i molti accessori di Kosmos, assieme a vari strumenti musicali e riproduttori audio di vario genere. Non c’erano lampadari ma solo qualche piccola candela, inutile perché era la pelle del padrone di casa ad illuminare l’ambiente senza sforzo. Nessuno degli abitanti di quel luogo necessitava cibi o bevande, e quindi non era presente la cucina o alcun luogo adibito agli alimenti.

La torre orientale era più chiara, con un’elegante carta da parati color pastello. Una porta scorrevole, leggera e circondata di listelli in legno crema e carta velina, la divideva dal resto dell’edificio. Sul soffitto erano appese piccole lanterne rosse. I mobili erano tutti bassi, dai colori tenui. I vari libri erano riposti su mensole sospese, coperte in parte da tende leggere. Numerosi vasi dipinti decoravano la sala, assieme a disegni, miniature e puzzle, che Kuruma stessa aveva realizzato, o altri abitanti del lato orientale. Il letto era basso, semplice, con un elegante tendaggio colorato appeso al soffitto. Il pavimento era in legno lucido ed un bello specchio tondo stava accanto ad una delle finestre rettangolari, sopra un mobiletto pieno di creme, oli profumati e tutto l’occorrente per la cura della persona. Accanto al letto stava un piccolo telaio su cui la signora realizzava vari lavori, che poi donava ai suoi colleghi orientali o indossava lei stessa. Alle pareti, oltre alle pitture, si potevano notare delle affascinanti spade dalla lama sottile, regalo dell’abitante orientale che le realizzava. In piedi sulle alte scarpe in legno, Kuruma si guardò allo specchio. Aveva piccole labbra, dipinte di nero, la pelle quasi bianca e grandi occhi rosso fuoco con puntine dorate, fin troppo spesso accigliati. I capelli neri, dritti e lunghi, li portava semiraccolti in una crocchia. Due grandi orecchini, simili a dei soli, le pendevano dalle orecchie, avvolte dai capelli corvini. Un velo scuro e rilucente le ricadeva fino a metà della schiena.  Attorno al suo sguardo e sul viso aveva decisi disegni blu e anche lei, come Kosmos, conteneva il suo potere con una specie di armatura, perlopiù fatta d’anelli d’oro. Fra le mani stringeva un ventaglio color argento, di metallo, con un lungo nastro sul manico e piccoli anelli lungo l’arco d’apertura. Ne aveva cinque: uno verde, uno rosso, uno marrone, uno blu e, appunto, uno argento. Legno, fuoco, terra, acqua e metallo, ovvero i cinque elementi legati all’astrologia che governava. Sul capo portava anche lei una piccola corona terminante con un diadema centrale luminosissimo e l’armatura andava a formarle due strane corna dietro la nuca, protese verso il cielo. Pure lei, come l’abitante del lato occidentale, aveva una lunga freccia ed un disco movente che la sovrastava. Sopra di esso erano incisi dodici simboli e, al momento, era fermo sull’ideogramma “Tù”, la lepre. A differenza di Kosmos, lei non portava lo stesso disco anche al collo. Kuruma sospirò. Il suo disco ci metteva circa 348 giorni per passare da un simbolo ad un altro e, in quella circostanza, a lei parve così noioso ed inutile starlo ad osservare. Vide che il suo collega occidentale si stava ancora affacciando. Forse poteva provare a parlargli… annoiarsi, avendo avanti a sé l’infinito e l’eternità, è altamente sconsigliabile.

“Kosmos!” lo chiamò, con voce decisa, sporgendosi leggermente dalla finestra.

“Kuruma…” rispose lui, facendo solo un lieve cenno con la testa.

“Posso parlarti?” riprese lei, decisa come non mai a riempirsi la giornata.

“Non lo stai già facendo?” borbottò Kosmos, come infastidito.

“No…io intendevo lungo il corridoio, o sul terrazzino…”.

“Che cosa vuoi?”.

“Niente di particolare…solo passare un po’ il tempo…”.

Kosmos sospirò, come se spostarsi dalla torre gli costasse un’enorme fatica, ed annuì. “Veramente io il tempo lo passo benissimo, anche senza il tuo aiuto” mormorò a bassa voce, storcendo la bocca, e si avviò verso la porta che dava sulle scale.

Il corridoio centrale in comune fra est e ovest era collegato direttamente alle torri tramite una ripida scalinata in pietra. Altri due accessi erano raggiungibili, sempre tramite una scala, dai saloni del piano terra e del primo piano. Kosmos scese i gradini con indicibile lentezza, e piedi scalzi, con i capelli spettinati e gli abiti stropicciati di chi avrebbe voluto fare di tutto, tranne che alzarsi dal letto. Fra le mani stringeva un lungo bastone d’argento, da cui non si separava mai, terminante con una curiosa forma attorcigliata. Trascinando dietro di sé un lungo mantello nero, aprì la pesante porta e si affacciò sul corridoio lucido, sormontato da una cupola trasparente. Ad attenderlo, con aria lievemente spazientita, stava Kuruma. Era vestita di rosso con decori luminosi, in un abito di seta piuttosto aderente, con il colletto ed un generoso spacco. Un manto d’oro copriva parte dell’armatura. Elegantissima, chiuse il ventaglio e fece cenno al collega di seguirla sul terrazzino. Kosmos non aprì bocca e la seguì, lentamente.

“Allora, Kosmos, come stai?” iniziò lei, appoggiandosi al balcone.

“Come sempre. Come altro dovrei stare?” rispose lui, con tono neutro.

“Io sono un po’…stanca, ultimamente” continuò Kuruma, guardando le stelle.

“Ed io invece sto benissimo” ghignò Kosmos, lasciando intendere che della sua collega poco gli importava.

“Sono stanca e sai perché? Perché mi sento poco importante. Intendo dire…fra poco inizierà la famosa Era dell’Acquario, ma non avrà niente a che fare con me e con i miei dodici segni”.

“E allora? Che vuoi farci…è la vita!”.

“Allora mi chiedevo: dato che per miliardi e miliardi di anni il potere delle Ere è stato in mano tua, perché, per una volta, non lasci che sia io a controllarlo questo potere? Dopotutto, si tratta di soli 2160 anni…cosa vuoi che sia?!”.

“Scherzi, Kuruma?” scoppiò a ridere Kosmos “Lo sai che la cosa non è possibile e, anche se lo fosse, non darei mai quel potere a te!”.

“Perché non è possibile? Nessuno te lo vieta! E perché non lo faresti? Perché non mi daresti quel potere?”.

“Perché è evidente che non saresti all’altezza, piccolina. Non saresti in grado di gestirlo. Io sono molto più potente di te”.

“Ed arrogante!”.

“Dico solo quello che penso…”.

“Beh, fammi provare! Solo qualche anno! Se fallisco, ti ridarò subito il comando”.

“Non se ne parla!”.

“E dai!! Mancano meno di due anni e non mostri nemmeno un pizzico di emozione o di ansia, non te ne frega niente!”.

“Capirai! Sai quanti cambi di Ere ho vissuto fin ora? Quanti cambi di Ere ho vissuto?”.

“Gli stessi che ho vissuto io, genio. Ti rammento che siamo apparsi nello stesso istante…”.

“Appunto. È sempre la stessa menata. Sempre la stessa routine”.

“Cambiamola! Fai provare me!”.

“Senti, bella, occupati degli anni e delle tue bestioline, che io penso alle Ere e ai mesi, intesi?”.

La voce di Kosmos era divertita, ironica, strafottente.

“Io non credo che tu sia più forte di me…” mormorò lei.

“Smettila di farti strane idee e torna in te. Rilassati…ad ognuno il suo destino!”.

“E se io ti dimostrassi che sono più forte di te? Se ci riuscissi, mi lasceresti al comando di un’Era? Una soltanto! Se io…”.

“Non potrai mai dimostrarmi di essere più forte di me perché non lo sei, rassegnati! Torna dai tuoi animaletti a giocare e lascia fare i lavori importanti a chi li sa fare!”.

“Ti odio” sibilò Kuruma, incrociando le braccia e lanciando un’occhiataccia da far rabbrividire.

“Lo so che non è vero!” le sorrise Kosmos, lasciando la terrazza e tornando alla sua torre.

 

Rukbat si svegliò di colpo. Un altro incubo. Nonostante tutti i suoi libri e gli studi da lui compiuti, ancora non riusciva a capirne il significato. Sicuramente erano il presagio di qualcosa di terribile, di negativo, nel futuro. O forse no? Scosse la testa. Non poteva farsi influenzare da simili scemenze! Non riuscendo a prendere di nuovo sonno, decise di alzarsi. Sbatté i luminosissimi occhi d’argento in cerca di qualcosa di interessante da leggere. Fu quasi tentato di andar a raggiungere il suo capo, Kosmos, chiedendogli qualche volume nuovo, ma lasciò perdere. Appassionato di storia e mitologia, aprì un grosso volume cremisi e si stese sul letto. La specie di criniera nera che portava in testa era solo leggermente spettinata. Sentì bussare alla porta.

“Rukbat, sei sveglio?” parlò una voce maschile.

“Sì, entra pure” rispose, con tono profondo.

Entrò Al Risha, rappresentante della costellazione dei Pesci.

“Ciao, Sagittario” salutò, stiracchiandosi leggermente e sorridendo “Ti scoccia se ti chiedo di passare un po’ di tempo con me?”.

“No, per niente. Qualcosa non va?”.

“Tutto ok. Sentito il capo, prima?”.

“Dormivo. Che è successo?”.

“Ha litigato di nuovo con Kuruma, mi pare. Lei era furiosa”.

“Ed io me lo sono perso, peccato…”.

“Avrai altre occasioni!”.

I due si sorrisero. Al Risha aveva grandi occhi azzurri e lunghi capelli blu elettrico, dritti e lucenti. Il suo vestito era dello stesso colore, quasi accecante.

“Le ragazze sopra che fanno?” domandò Rukbat, rizzando le orecchie a punta.

“E io che ne so?! Potremmo andare su a scoprirlo…”.

“No, grazie. L’ultima volta che sono salito le ho sentite da Hamal e Adhafera…ma soprattutto da Astrea!”.

“Astrea protesta tanto, ma alla fine è contenta di vederti, fidati!”.

“Quella è la donna più complicata che io abbia mai conosciuto in tutta la mia vita!”.

“Capirai….qui a palazzo ce ne sono sei!”.

“Intendevo prima di divenire ciò che sono ora…”.

“I tempi cambiano, amico mio…”.

Sagittario si sporse dalla finestra e guardò verso l’alto. La stanza di Astrea stava proprio sopra la sua e, a volte, riusciva a scorgerla quando si affacciava.

“Chi è sveglio?” domandò, dopo un po’, Rukbat.

“Credo Antares…”.

La reazione a quel nome fu una smorfia da parte del Sagittario. Non correva buon sangue fra lui e lo Scorpione Antares.

“Gli altri credo stiano ancora dormendo…” continuò Al Risha “…le ragazze non so. Io non le spio!”.

“Allora vado fuori ad esercitarmi un po’” tagliò corto Rukbat, uscendo dalla finestra.

Pesci scosse il capo divertito, quando vide il suo collega allontanarsi con l’arco e le frecce, da lanciare fra le stelle, fluttuando a mezz’aria.

 

“Esibizionista…” commentò Astrea, notando Rukbat nei suoi esercizi.

Sadalmelik, la coinquilina rappresentante dell’Acquario a cui stava pettinando i capelli, le sorrise.

“Guardo che lo so che ti piace…” ghignò, facendo arrossire Astrea.

“Ma che dici?!” si sentì rispondere “Quello è solo un pomposo egoista troppo concentrato su se stesso per notare qualcos’altro…”.

“Però, se notasse te…”.

“Io sono la Vergine…anche se fosse, ho un ruolo da rispettare. Non posso fare certe cose”.

“Sono certa che il capo chiuderebbe un occhio…”.

“Cambiamo argomento?”.

“D’accordo…” sospirò Sadalmelik, guardandosi allo specchio.

Le due donne si erano appena alzate e si stavano pettinando a vicenda i capelli. Astrea li aveva lunghi e scuri, raccolti in una treccia che le si appoggiava sulla veste grigio chiaro che trascinava dietro di sé. Sadalmelik li aveva leggermente più corti e di colore verde scuro, mossi e molto gonfi, in continuo movimento. Le sfioravano i piedi scalzi, che spuntavano da sotto la semplice veste zaffiro. Aveva occhi viola e labbra in tinta con il vestito. Astrea, invece, aveva scintillanti occhi dorati e labbra nere, che spiccavano sulla pelle solo leggermente abbronzata della Vergine. Quando furono pronte, uscirono dalla camera per dirigersi verso il salone assieme alle altre quattro donne occupanti il primo piano del lato ovest del palazzo.

Fra loro e gli occupanti della parte orientale non vi erano quasi mai contatti. Nessuna finestra dava sul lato opposto, se non sulle due torri, dove a loro era limitato l’accesso. A volte si incontravano lungo il corridoio centrale o sul terrazzino in comune, ma piuttosto raramente. Anche perché fra est ed ovest preferivano evitarsi, o ignorarsi.

Nel grande salone del primo piano, quattro donne erano impegnate in varie attività. Salutarono Astrea e Sadalmelik, appena entrate, e poi riportarono l’attenzione sugli affari propri. C’era Hamal, l’Ariete, vestita con abiti larghi arancioni, con due lunghe trecce castano chiaro arrotolate attorno alle orecchie ed accigliati occhi nocciola. Teneva la sedia inclinata e i piedi sul tavolo circolare. Borbottava sommessamente, affilando il piccolo pugnale da cui non si separava mai. Al suo fianco sedeva Acubens, il Cancro. Aveva un viso giovane, l’aria distratta, sognante, ed indossava una tunica corta bianca come il latte. La sua pettinatura era decisamente singolare: sei trecce di colore rosso, non molto lunghe, rassomiglianti a piccole zampette, le circondavano il capo. Portava il rossetto dello stesso colore e grandi occhi verde chiaro, con riflessi azzurri, distratti e sfuggenti. Stava raccontando i sogni che aveva appena fatto a Zubeneschamali, la Bilancia. Lei, con lunghi capelli bianchi e lisci ed occhi neri, la ascoltava attentamente e tentava di interpretarli. Il suo abito rosa era aderente e con ampie spalline. Sadalmelik ed Astrea si erano messe a leggere in silenzio. Adhafera, la rappresentante del Leone, era all’esterno, spada alla mano, per esercitarsi a combattere. Non aveva tempo, diceva, di pettinarsi e di conseguenza i suoi capelli biondi se ne stavano disordinati e gonfi attorno alla sua testa, come una criniera. Nel buio si vedevano chiaramente i suoi occhi, verde scuro, brillanti e con pupille sottili e verticali come quelle dei gatti. Ed il suo abito giallo, aderente e corto.

“Rukbat!” chiamò Adhafera “Ti va di fare un po’ di movimento con me?”.

“La tua frase  è piuttosto equivoca ma, dopotutto, non mi dispiace per niente. Accetto volentieri!” rispose lui, portando solo dei pantaloni granato con un’ampia cintura viola scuro, per favorire i movimenti.

“Mi bastava un sì…” mormorò Leone, prima di caricare il suo avversario per allenarsi.

Astrea guardò entrambi di sfuggita e poi tornò a concentrarsi sul volume che aveva fra le mani.

 

“Sempre il solito…” commentò Antares, vedendo Rukbat e Adhafera affrontarsi ridendo.

Anche lui, Scorpione, era un guerriero ma non si allenava mai con gli altri. Un po’ perché era una cosa che non gradiva e un po’ perché soffriva di improvvisi attacchi di rabbia incontrollata che potevano risultare piuttosto pericolosi per la salute altrui.

“La tua è solo invidia” gli disse Mek, il volto di sinistra del rappresentante dei Gemelli.

“Taci!” sibilò Antares, incrociando le braccia.

“Sei sempre girato di balle…” rispose Buda, il volto di destra.

Aldebaran, il Toro, sorrise. Lui era il più calmo del gruppo ed il più grosso. Con corti capelli ricci, castani e con due piccoli ciuffi simili a corna, aveva folte basette e profondi occhi neri. Vestiva sempre di verde, in varie tonalità, e raramente alzava la sua profonda voce. Anche Mekbuda aveva i capelli corti, per metà mori e per metà biondi, ed il volto diviso in due. Sulla sinistra, il lato biondo, stava Mek, di certo il più irritabile, e sulla destra vi era Buda, quello un pochino più diplomatico. I due visi avevano caratteri diametralmente opposti. Mek prevaleva quando Gemelli era arrabbiato, triste, infastidito. Al contrario, Buda aveva la meglio quando provava sentimenti di gioia, calma, pazienza. In quel momento era Mek il più attivo, non si sapeva bene per quale motivo, ed i suoi occhi azzurri erano spalancati ed accigliati. Lo sguardo castano di Buda, invece, era come assente, socchiuso e silente. Portava un abito grigio scuro piuttosto semplice, che in parte celava la sua doppia natura, avendo il cappuccio.

“Fatti gli affari tuoi!” sbottò Antares, con furiosi occhi rossi.

Vestiva dello stesso colore, in una sorta di tunica con ampie maniche ricamate. Aveva splendidi capelli neri che teneva raccolti in una treccia terminante con una specie di bulbo, simile alla coda del segno che rappresentava: lo Scorpione.

“Non iniziate a litigare, per favore…” parlò Aldebaran, senza alzare gli occhi dal foglio che stava dipingendo, iniziando ad essere un po’ stanco delle continue risse insensate di Antares.

“Lascia che litighino. Prima o poi si stufano…”.

A parlare era stato Deneb Algiedi, detto Dabha, il Capricorno. Sembrava il più anziano della compagnia, con lunghissimi capelli grigi che lasciava un po’ sciolti lungo la schiena ed un po’ raccolti in due trecce arrotolate simili a corna. Era leggermente inquietante, vestito interamente di nero, con un alto colletto, e gli occhi bianchi. Giocava a carte per conto suo, ignorando gli altri cinque colleghi. Al Risha, distratto e sognante come sempre, guardava il cielo dove Rukbat e Adhafera si stavano affrontando. Trovava la cosa divertente e ridacchiava, reggendosi la testa con le mani, con i gomiti appoggiati alla finestra senza vetri.

Kosmos arrivò fra loro con uno strano sorriso.

“Di buon umore oggi, Signore?” domandò Antares, ghignando soddisfatto.

“Discreto direi. Non mi posso lamentare. E voi? Tutto bene?”.

“Come sempre, nei secoli dei secoli…” si lamentò Mek.

“Amen” ridacchiò Dabha, sottovoce.

“È il mio ed il vostro scopo. La cosa non cambierà…” gli rispose Kosmos, con un tono neutro che non lasciava intendere se fosse ciò che desiderava oppure no.

Nessuno disse altro. Tornarono a concentrarsi sulle stelle che controllavano. Pur morendo di curiosità, i rappresentanti delle costellazioni presenti non ebbero il coraggio di domandare al loro capo che cosa fosse successo esattamente fra lui e la Signora del lato Orientale. Dal sorrisetto di Kosmos dedussero che non era nulla di irreparabile.

 

In realtà Kuruma era furiosa, molto più di quanto Kosmos fosse in grado di immaginare. Lei per millenni aveva avuto pazienza ed aveva represso la rabbia e la frustrazione, optando per il quieto vivere, ma ora la calma l’aveva abbandonata ed era pronta ad esplodere.

“Come si premette?! Come ha osato?!” sbraitava, continuando a camminare incessantemente per la torre d’oriente “Sono miliardi di anni che me ne sto buona, in silenzio, senza protestare, abbassando la testa… Ma ora ha passato il segno! Non può trattarmi così e prendermi in giro! Cosa crede che io abbia meno di lui?! Chi si crede di essere?! Gli farò vedere io!!! Io…io…”.

“Cosa succede, mia Signora?” parlò una vocina.

Kuruma si guardò attorno e vide che a parlare era stata Shu, una piccola topolina grigio chiaro con vispi ed enormi occhi rossi.

“Oh, Shu, sei tu!”.

Lei sedette e la prese delicatamente fra le mani. La accarezzò e le riassunse tutta la conversazione con Kosmos, sforzandosi di non mostrare quanto le dispiacesse.

“Io credo, mia Signora…” iniziò Topo “…che dovremmo dargli una prova tangibile delle nostre capacità”.

“Hai qualcosa in mente?”.

“Sì. Datemi solo il tempo di elaborare per bene il piano”.

“Non avevo dubbi! Il tuo magnifico cervello è una fonte inesauribile di idee! Anticipami qual cosina…”.

“Meglio di no. Preferirei prima parlarne con qualche mio collega…”.

“Prendetevi pure tutto il tempo che vi serve”.

“Ne verrà fuori un bello scherzo, Madama!”.

“Che è proprio quello che ci vuole, per quel cretino esaltato, sensibile come un pachiderma egocentrico!”.

Shu la guardò, inclinando la testa con aria interrogativa, e poi se ne andò, dopo un inchino. Uscì dalla torre ed attraversò il corridoio, raggiunse il salone al piano terra, dove sapeva che stava l’aiuto di cui aveva bisogno. L’aiuto si chiamava Hòu, la Scimmia, abilissima con le mani e con il cervello. Assieme, non ebbero difficoltà ad elaborare un piano nei dettagli. Kuruma aveva dato loro carta bianca: era esattamente il momento che stavano aspettando!

Agirono non appena notarono che la luce sulla torre ovest non si vedeva, segno che il suo proprietario non era in quel luogo oppure dormiva profondamente, spegnendo la luminescenza della propria pelle. Hòu attraversò agilmente la cupola trasparente che sovrastava il corridoio centrale dell’edificio e si diresse in fretta verso la sua meta: la torre occidentale. Vi si arrampicò velocemente, fino a raggiungere una delle finestre sulla cima. Entrò, con Shu saldamente aggrappata ai peli della sua schiena marrone scuro.

“Fai piano, amica mia” sussurrò Topo.

“Sarò silenziosissima!” lo rassicurò Scimmia.

Entrarono da una finestra e si guardarono attorno, nel buio. Il loro scopo era sottrarre a Kosmos qualcosa di prezioso, di cui di certo avrebbe sentito la mancanza, e fargli notare quanto facilmente il furto fosse avvenuto. Il tutto per smorzare il suo ego smisurato. Non avevano un’idea chiara su quale oggetto portar via ma poi lo videro… Il lungo bastone d’argento! Con la sua strana punta leggermente attorcigliata, se ne stava là, contro la parete, emanando solamente un leggero bagliore. Quello ero il furto perfetto! Sapevano bene che Kosmos non si separava mai da quell’affare. Scimmia e Topo si fissarono, costatando con soddisfazione di aver avuto la stessa idea, e si sorrisero. Con un cenno del capo, Hòu lo afferrò fra le mani. Doveva stare attenta. Se quel coso era lì, voleva dire che il suo padrone non era lontano. Lo strinse e lo mosse, leggermente. Questi, inaspettatamente, tintinnò. La punta ricurva aveva piccoli anellini dorati su di essa che risuonarono quando furono spostati. La stanza si inondò di luce azzurra, segno che il Signore Occidentale si era svegliato. Hòu e Shu si consigliarono mentalmente di nascondersi dietro la pesante tenda che copriva la finestra da cui erano entrati.

“Speriamo non ci trovi…” trasmise a Scimmia il Topo.

“Stiamo immobili…” rispose, sempre mentalmente, Scimmia.

“Chi c’è? Chi è là?” sbottò Kosmos, mettendosi a sedere sull’alto letto e scostando il tendaggio del baldacchino.

La sua inconfondibile luce azzurra pulsava, infastidita. Il padrone della torre si alzò lentamente, andando verso il bastone. Sembrava tutto in ordine. Lo prese fra le mani, osservandolo da vicino, e poi lo ripose. Si guardo attorno, circospetto.

“Chi c’è?” domandò di nuovo e poi sorrise “Chi vuoi che ci sia, coglione?” si rimproverò “Hai solo tu accesso a questa torre!”.

Tornò a letto, borbottando un “Me lo sarò immaginato” prima di distendersi. Non era stanco, non aveva bisogno di dormire, ma gli piaceva sognare. Chiuse gli occhi e, lentamente, la sua luce iniziò ad affievolirsi fino a spegnersi del tutto.

Topo e Scimmia attesero il ritorno del buio totale per muoversi. Uscirono, furtive, dal loro nascondiglio. C’era mancato davvero poco! Fortunatamente a Kosmos non era passato nemmeno per la testa di scostare la tenda accanto al bastone! Rabbrividirono solo all’idea di che cosa sarebbe successo se le avesse scoperte!

“Facciamo in fretta!” squittì Shu.

“In un baleno!” rispose Hòu, afferrando il bastone per i cerchietti, impedendogli di suonare.

Dopodiché balzò giù dalla finestra, raccomandando Topo di tenersi forte, atterrò sulla cupola e tornò alla torre della sua padrona, senza che nessuno la notasse.

Kuruma fu entusiasta della loro impresa. Strinse il bastone fra le mani e sorrise, soddisfatta.

“Ottimo lavoro!” disse, orgogliosa.

“Non è ancora finita, mia Signora!” si affrettò a spiegare Shu “Quel bastone è quello che permette al suo proprietario di ricaricare il meccanismo di rotazione della sua porzione di cielo ed è simbolo del suo potere. Ma c’è un altro simbolo che loro possiedono…”.

“Lo Scettro delle Ere! Quello che ora ha in custodia il controllore dei Pesci!” spalancò gli occhi Kuruma.

“Precisamente. E ora andremo a prendere pure quello. Senza quei simboli, Madama, dovranno per forza riconoscerle la degna importanza ed il giusto rispetto”.

La Signora Orientale continuò a rigirarsi il bastone fra le mani, mentre Topo e Scimmia si avviavano verso le stanze di Al Risha. Non aveva alcuna intenzione di nasconderlo. Non vedeva l’ora di avere entrambi gli oggetti fra le mani e chiamare Kosmos, per sfotterlo un po’. Quell’esaltato avrebbe dovuto riconoscere le sue capacità, o sarebbe stato peggio per lui!

“La casa dei Pesci è al pianterreno, la prima dopo la torre” spiegò Shu, mentre Hòu tornava ad attraversare la cupola trasparente, attenta che non vi fosse nessuno.

Rimpianse il fatto di non aver abbastanza forza nelle mani, o avrebbero potuto sottrarre entrambi gli oggetti in una volta! Controllarono che Acquario, che aveva la residenza sopra a quella di Pesci, non fosse presente e ridiscesero, sfruttando il suo balcone. Udirono la risata di Al Risha ma non proveniva dalla sua stanza bensì da quella accanto, quella di Capricorno. Entrarono senza problemi e sottrassero lo scettro, lasciato incustodito, e tornarono in fretta alla loro torre.

Kuruma, con entrambi gli oggetti fra le mani, scoppiò a ridere.

“Splendido lavoro, saprò come ricompensarvi” disse, rivolta a Shu e Hòu.

Sempre ridendo, si affacciò alla finestra. Il suo collega ancora dormiva. Avrebbe atteso un po’ prima di svelargli l’accaduto!

 

“Se è uno scherzo, è di pessimo gusto!” tuonò Kosmos, piombando nel salone dove i maschi della casa stavano seduti.

I sei si fissarono con aria interrogativa. Antares smise di esercitarsi con la lunga spada, Deneb Algiedi ed Aldebaran ignorarono i rispettivi lavori di pittura che stavano realizzando, Rukbat depose il libro che stava leggendo, Mekbuda smise di insultarsi da solo e Al Risha scese dalle nuvole, smettendo di guardare fuori dalla finestra in cerca di chissà che cosa.

“Chi di voi sei piccoli stronzi cerca di farmi fesso?” ringhiò di nuovo Kosmos, con un’inquietante luce rossastra negli occhi.

“Piccoli stronzi?!” sibilò Antares, non nascondendo di essersi irritato nel sentirsi definire così.

“Cosa è successo?” parlò Aldebaran, tentando di riportare la calma.

“La Chiave!” urlò Kosmos “Dov’è la chiave della porta del cielo?!”.

“Vi riferite a quella specie di cavatappi gigante che vi portate sempre dietro?” domandò Rukbat.

“Proprio quello. Dove sta?”.

“Perché dovremmo averlo noi? Che ce ne facciamo?” sbottò Antares.

“In effetti…” mormorò Al Risha.

“Qui non c’è, Signore. Avete provato fra le ragazze?” propose Buda “Loro sono più infime di quanto possiate pensare!” concluse Mek.

“Prima voglio essere certo che non sia stato uno di voi a prenderlo. Pretendo ed esigo vedere le vostre stanze, immediatamente!” ordinò il padrone del lato ovest.

“Non è che semplicemente lo avete perso?” azzardò Antares.

“Come faccio ad averlo perso, inutile parassita del mio sistema nervoso?” fu la risposta .

“Non lo so e non me ne frega un cazzo! Quello che so è che nessuno può accusarmi di essere un ladro!”. Scorpione ormai aveva perso del tutto la pazienza ed il suo sguardo rosso ne era un chiaro segnale.

“Uno di voi dodici dev’essere stato!” riprese Kosmos “Lui, il mio bastone, non se ne va di certo in giro da solo! Perciò…”.

“Ma noi alla torre non abbiamo accesso!” interruppe Rukbat.

“Sarete entrati dalla finestra, che ne so! So che non c’è più!”.

“Avete guardato bene nella torre, Signore?” sorrise Al Risha, con lo sguardo ancora perso nel vuoto delle sue fantasticherie ad occhi aperti.

Kosmos, decisamente fuori di sé, lo afferrò per i capelli, lo sollevò e lo guardò in viso.

“Ok…” gemette Pesci, consapevole della forza che poteva richiamare il suo padrone “…evidentemente avete guardato benissimo!”.

“Dov’è lo Scettro delle Ere, Al Risha? Non dovresti lasciarlo mai…” sibilò Kosmos, rimettendo lentamente a terra il suo sottoposto.

“Vado subito a prenderlo, capo…”.

Pesci se ne andò per qualche minuto per poi ricomparire, leggermente pallido.

“È sparito!” mormorò, aspettandosi una reazione esplosiva da parte di Kosmos.

Questi, inaspettatamente, rimase calmo.

“Noi sei siamo rimasti qui nel salone per un sacco di tempo…” iniziò Aldebaran, mostrando il complesso quadro che stava dipingendo e che ormai era quasi completo.

“Mi spiace allora constatare che sono state le ragazze” sospirò il padrone “Peccato. Speravo che i delinquenti, qui, foste solo voi. Dai, andiamo…”.

“Andiamo dove?” si incuriosì Mekbuda.

“Di sopra, genio!” sbottò Kosmos, dando le spalle ai sei ed avviandosi spedito verso la scala che conduceva al piano superiore.

“Nelle case delle donne? Possiamo?” si stupì Al Risha.

“Per stavolta sì. Non fatene un’abitudine, però. Vi avviso: vi romperò il cazzo finché il colpevole non confesserà, statene certi!”.

Il capo occidentale entrò nel salone femminile senza ritegno, sbattendo la porta. Le donne presenti sobbalzarono e lo fissarono sconcertate, specie notando i sei uomini del piano inferiore dietro di lui.

“Vi voglio tutte a rapporto qui, immediatamente!” ordinò, sbraitando, Kosmos.

“Ma…” iniziò Hamal, l’Ariete.

“Niente ma! Tutte qui, ora!”.

Dopo qualche istante di proteste e corse lungo il corridoio, le sei furono in fila, a rapporto davanti al loro capo. Sadalmelik, l’Acquario, era coperta solamente da un asciugamano, non molto grande. Stava facendo il bagno ed era decisamente infastidita da quell’interruzione. Dentro di sé sperò che fosse davvero urgente. Adhafera, Leone, rientrò in sala dalla finestra. Si stava esercitando e ringhiò infuriata dall’impossibilità di continuare.

“Spero sia una cosa di vitale importanza…” sbottò Hamal.

“Credo proprio di sì…” le sussurrò Zubeneschamali, Bilancia “…hai visto che rabbia ha Kosmos negli occhi? Fa paura…”.

“E poi si è portato dietro gli uomini…” aggiunse Acubens, Cancro.

“La Chiave del Cielo e lo Scettro delle Ere mi sono stati sottratti” parlò il capo occidentale “Chi di voi li ha rubati? Fuori il colpevole, all’istante, e vedrò di non ucciderlo…”.

“Io no. Che me ne faccio?!” si affrettò a dire Hamal.

“Io neppure. Non mi sono mossa da qui” aggiunse Acubens.

“Vero. È stata tutto il tempo accanto a me” confermò Zubeneschamali.

“Io, come vedete, ero impegnata in altre attività” sbuffò Sadalmelik, gocciolante.

“Pure io ero impegnata in altre attività” ringhiò Adhafera.

“Logicamente parlando…” iniziò Astrea, dato che tutti la fissavano “…non avrebbe senso per noi sottrarre lo Scettro delle Ere, dato che spetterà a noi donne gestirlo fra meno di due anni…” e guardò Acquario, che annuì, non potendole dare torto.

“E per quanto riguarda la Chiave?” chiese Kosmos, incrociando le braccia, per niente convinto.

“Un oggetto del genere non può essere nascosto facilmente. Lo cerchi pure. Se lo ha preso una di noi, salterà fuori di sicuro” rispose Vergine, rimanendo seria ed incredibilmente calma.

“Benissimo! Ragazzi…pensateci voi!” ordinò il capo “Uno per stanza e ricordatevi che lo noto subito se mentite. Non costringetemi a punirvi tutti…”.

I sei maschi, con evidente imbarazzo, si fecero portare ognuno ad una stanza diversa.

“Potete cercare quanto volete” parlò Astrea, rivolta all’ispettore della sua stanza, Rukbat “Non troverete da nessuna di noi quegli affari!”.

“Da qualche parte devono essere, no?” rispose Sagittario, aprendo tutti i cassetti della camera d’Astrea.

Lei ne osservò tutti i movimenti a braccia incrociate, appoggiata alla porta.

Ovviamente gli oggetti non furono trovati. Kosmos era sempre più alterato dal fatto che, uno dopo l’altro, nessuno trovò ciò che cercava. L’ultimo a dare responso fu Aldebaran, sempre piuttosto lento, dalla stanza di Hamal.

“Qui non c’è niente, Signore” parlò, chinando il capo.

“Qualcuno mente, è ovvio! Oppure siete ciechi, impediti, rincoglioniti, e non vi siete accorti della Chiave e dello Scettro in una delle stanze!” affermò, convinto, il signore del lato ovest.

“Un momento…e se fossero loro, gli uomini, a nascondere quei cosi?” domandò Hamal.

“Infatti…” annuì Astrea.

“State dando la colpa a noi?!” si arrabbiò, come sempre, Antares.

“E a chi se no? Ad un buco nero?!” rispose l’Ariete.

“Che faccia tosta…” ghignò Rukbat.

“Da che pulpito!” sbottò Vergine.

Sagittario, punto nell’orgoglio, girò le orecchie a punta all’indietro e la fissò, senza parlare, con aria minacciosa. Astrea incrociò le braccia e sostenne quello sguardo in silenzio.

“Noi siamo innocenti!” affermò Al Risha.

“E come credervi?” domandò Sadalmelik.

“Qualcuno dev’essere stato!” quasi urlò Kosmos.

“Ma taci!” lo zittì Antares “L’avrai tu in camera ma, dato che sei rintronato, non te ne sei accorto!”.

“Ma come ti permetti, inutile ammasso di stelline sopravvalutate?!”.

Nel giro di qualche istante, fu rissa. Tutti contro tutti, in un insieme di urla, insulti e percosse più o meno forti. Ci fu pure qualche morso.

 

“Caspita…basta così poco per farvi litigare…” parlò una voce, femminile, dopo qualche minuto.

“Kuruma!” sbottò Kosmos “Cosa vuoi?! Non ti è permesso entrare qui!”.

Con un gesto della mano, il padrone del lato ovest fermò i suoi dodici sottoposti, che smisero di picchiarsi, anche se qualche insulto e pernacchia ancora si sentì.

“Piantatela! State buoni!” ordinò il capo e fu silenzio.

“Non ho resistito” spiegò Kuruma “Volevo vedere la tua faccia davanti alla realtà, Kosmy!”.

“Kosmy?!” ridacchiò Antares e ricevette un’occhiataccia terribile dal suo padrone.

“Quale realtà?” domandò Kosmos, pronto a ricominciare a litigare.

La signora orientale fece un cenno con la testa ed apparve Hòu, Scimmia, porgendo la Chiave del Cielo alla sua padrona.

“L’avevi tu, stupida femmina!” sibilò il proprietario dell’oggetto.

“Attento a come parli!” lo minacciò lei, stringendo il lungo bastone fra le mani.

“Anche lo scettro lo avete voi?” domandò Al Risha.

“In questo momento, ci stanno giocando Shu e Long” fu la risposta.

“Come sarebbe a dire che ci stanno giocando?!” si allarmò Kosmos.

“Rilassati! Non lo rompono mica!”.

“Li rivoglio! Rivoglio Scettro e Chiave!” si lagnò il signore occidentale, con un atteggiamento decisamente infantile che stupì i suoi sottoposti.

“Io te li rendo solo se ammetti che il mio potere è pari al tuo”.

“Questo mai. Io non dico balle!”.

“Non è una balla! Io sono potente tanto quanto te!”.

“Non farmi ridere! Tu possiedi solo il misero Scettro degli Anni. Se permetti, si capisce che i miei oggetti sono molto più potenti ed importanti!”.

“Solo perché tu sei in possesso di gingilli simili, non significa che tu sia migliore di me…”.

“Sei proprio una femmina testarda”.

“E tu un misogino esaltato!”.

“Patetica creatura!”.

“Pomposo pagliaccio!”.

“Irritante nanerottola!”.

“Sanguisuga nullafacente!”.

“Sei noiosa come una coda in autostrada o una zanzara nelle orecchie!”.

“E tu sei irritante come le tasse e la pubblicità messe assieme!”.

In quello scambio di insulti, i dodici abitanti delle case dell’ovest si fissarono con sempre maggiore preoccupazione.

“Cos’è un’autostrada?” mormorò Antares.

“E la pubblicità?” gli rispose Hamal.

Nessuno di loro usciva da quel palazzo da millenni e non gli erano chiari parecchi dei termini di paragone usati dai loro padroni. Non avevano mai visto i loro signori insultarsi in quel modo. Solitamente si ignoravano, oppure si limitavano a qualche parola tanto per passare il tempo.

“Perché arrivare ad un gesto così stupido, Kuruma?”

“Perché tu mi ignori, qualsiasi cosa faccia, e non mi consideri all’altezza. Almeno così posso dimostrarti che sono più forte e sei costretto a vederlo!”.

“Quindi tutto questo è solo un esagerato modo di attirare l’attenzione?!”.

“Solo un esagerato modo di farti abbassare un po’ la cresta e farti accorgere che esistiamo anche noi d’Oriente. Che, ovviamente, valiamo tanto quanto voi d’Occidente!”.

“Patetico…”.

Kosmos ora sghignazzava, probabilmente convinto che fosse tutto uno scherzo. Hòu guardava la padrona e capiva che la sua era rabbia e frustrazione autentica, nei confronti di un uomo che aveva rispetto e considerazione solamente per se stesso.

“Signora…” provò a dire, ma Kuruma la zittì, con un gesto della mano.

“Portami lo Scettro delle Ere” disse, senza guardare negli occhi l’animale, che corse via in fretta.

“Me lo rendi?” sorrise Kosmos “Bene! Vedo che, in fondo, sai anche ragionare. Del resto…cosa te ne fai tu dello Scettro delle Ere?!”.

Scimmia riapparve e porse lo scettro a Kuruma.

“Vieni fuori con me, Kosmos” parlò la signora orientale, ostentando una calma innaturale.

I due uscirono sul terrazzino, dopo aver attraversato il corridoio in comune. I dodici dell’Ovest guardarono entrambi con preoccupazione. Anche i dodici dell’Est si erano affacciati lungo il tratto comune dell’edificio, allarmati dal volto teso di Hòu. Così erano in ventiquattro, uno vicino all’altro, a circondare l’ingresso del terrazzino e ad osservare i due signori. Da un lato Ariete Hamal, Toro Aldebaran, Gemelli Mekbuda, Cancro Acubens, Leone Adhafera, Vergine Astrea, Bilancia Zubeneschamali, Scorpione Antares, Sagittario Rukbat, Capricorno Deneb Algiedi, Acquario Sadalmelik e Pesci Al Risha. Dal lato opposto Topo Shu, Bue Niu, Tigre Hu, Lepre Tù, Drago Long, Serpente Shè, Cavallo Ma, Capra Yang, Scimmia Hòu, Gallo Ji, Cane Gou e Maiale Zhu.

“Sono pronto a farmi rendere ciò che mi appartiene e ricevere le tue scuse” disse Kosmos, una volta che entrambi ebbero raggiunto la terrazza semicircolare.

Di tutta risposta, Kuruma afferrò lo Scettro delle Ere e glielo sbatté in faccia, con rabbia e forza.

“Era da miliardi di anni che sognavo di farlo!” mormorò lei, soddisfatta, mentre lui si premeva il viso fra le mani, gemendo incredulo e bestemmiando.

“Ho fra le mani i simboli del tuo potere, Kosmos! Inchinati, ammetti di non essermi superiore, e non ti farò alcun male!” parlò la signora orientale, spalancando le braccia con un oggetto magico per mano.

“Ma sei impazzita?!” biascicò l’occidentale “Vai a farti curare e stai lontana da me!!”.

“Perché ti è così difficile dire che le nostre forze si equivalgono?! Perché ti è impossibile ammettere che pure io esisto? Che pure io ho un senso?”.

“Non so che senso tu abbia, sinceramente. Per quanto riguarda il fatto che tu esista, non ho dubbi al riguardo! Mi hai appena spaccato la faccia con il MIO scettro!!”.

“E per quanto riguarda  l’equivalenza dei nostri poteri?”.

“Piantala con questa storia assurda! Ridammi ciò che mi appartiene e torna al tuo posto, insolente torturatrice della mia ormai misera pazienza!”.

“Long!” gridò Kuruma “Portami subito il ventaglio rosso!”.

“Cosa pensi di fare?!” ghignò Kosmos, mentre Drago porgeva alla sua padrona ciò che gli era stato chiesto.

“Hi!” urlò l’orientale, evocando il fuoco.

Aprì di colpo il ventaglio, lasciando temporaneamente lo scettro fra le mani incredule di Drago, e le fiamme iniziarono ad espandersi a spirale verso Kosmos.

“Non puoi fare sul serio…” mormorò lui fino all’ultimo momento, quando schivò solo in parte il colpo.

“Signore!” si allarmò Sadalmelik, avanzando d’istinto di un passo.

“State fermi dove siete, tutti quanti!” ordinò il padrone d’occidente, rivolto ai suoi dodici sottoposti.

“Kinzoku!” riprese Kuruma, evocando il metallo del ventaglio che aveva tenuto legato alla cintura.

Una fila di acuminate punte argentee si diresse rapide verso Kosmos, che le respinse spalancando gli occhi ed espandendo la sua luce. Alcune riuscirono a colpirlo di striscio e la cosa lo irritò parecchio.

“Vuoi proprio giocare, a quanto pare!” ringhiò “Ho perso del tutto la pazienza, bambina. Ora vedrai cosa è in grado di fare il signore più potente dell’universo creato!”.

“Pomposo cretino!” fu la risposta, per nulla turbata, della signora d’oriente, che ricambiò la provocazione con un attacco combinato dei due ventagli.

Lui si librò in aria, schivandoli, e si apprestò ad attaccare. Non potendo utilizzare la forza della Chiave del Cielo o i poteri dello scettro, girò gli occhi verso Antares, che trattenne il respiro sapendo bene cosa lo attendeva. Un vento gelido avvolse il rappresentante della costellazione e poi andò verso il suo padrone, che ne acquisì le capacità. Una grossa coda da scorpione spuntò da Kosmos e con lei il suo mortale veleno. Kuruma lo fissò, soddisfatta del fatto che prendesse finalmente la cosa sul serio. Di risposta, lei acquisì i poteri di Shè, Serpente.

“Veleno con veleno…divertente!” ghignò lui.

“Presto scoprirai quel’è il più mortale!” sibilò lei, con la lingua biforcuta ed un paio di denti affilati ben in evidenza, pronti ad attaccare.

Kosmos mosse rapidamente la coda ma Kuruma fu più veloce e il colpo trafisse il pavimento della terrazza, lasciandoci un bel buco.

“Io voto per rientrare in casa alla svelta…” propose Mek.

“No! Noi non ci muoviamo di qua!” lo fermò Buda, e Gemelli riprese a litigare da solo.

“Non li ho mai visti fare così. E sì che son qua da un sacco di tempo…” commentò Deneb Algiedi.

“A chi lo dici!” gli rispose Hamal “Ma ci han detto di non intervenire…”.

Si susseguirono una lunga serie di attacchi da parte del signore d’occidente, che però non riuscirono ad andare a segno, per l’impressionante velocità della signora d’oriente, e lasciavano solo segni devastanti sull’architettura dell’edificio. Con un balzo, Kuruma fu addosso a Kosmos e lo strinse con le braccia e le gambe, sempre più forte.

“Non costringermi a morderti! Arrenditi!” sibilò.

“Mai!” gemette lui, tentando invano di liberarsi.

Lei non lasciò la presa. Kosmos cadde in ginocchio, avvertendo il fatto che lei stava assorbendo la sua energia e lo stava sfinendo. I dodici già si mobilitavano per intervenire, ma lui li fermò di nuovo, colpito da un’improvvisa idea. Mutò, lasciando Antares sfinito, ed acquisì Aldebaran, Toro. Questo fece sì che il suo corpo divenisse più grosso e massiccio e  Kuruma fu costretta a lasciare la presa. Pure lei cambiò acquisizione, scegliendo Niu il Bue. Divenuta altrettanto grossa e pesante, i due ripresero ad affrontarsi in una sorta di strana lotta libera. Approfittando delle maggiori dimensioni, Kosmos riuscì, dopo un po’, ad avere la meglio.

“Arrenditi!” ansimò, tenendola bloccata con il pesante corpo.

Lei, di risposta, gli ringhiò in faccia, assimilando i poteri di Hu, Tigre.

“Fottiti, stupida donna!” ringhiò a sua volta lui, divenendo in parte Adhafera, Leone.

“Prima tu, irritante mongolfiera di autocelebrazione!”.

La lotta fra i due ora era più aspra, fatta di graffi e morsi, fra un ruggito ed un altro. La furia della tigre, accentuata dalla rabbia che provava Kuruma in quel momento, fece sì che il Leone Kosmos finisse a terra, con la mano artigliata della signora d’oriente che gli premeva la gola sempre più forte, ridacchiando. Lui, ovviamente, non si diede per vinto. Lasciò che il viso di lei si avvicinasse, nel tenerlo ancorato al pavimento del terrazzino, e le diede una testata, emettendo uno strano verso simile ad un belato. Aveva ora dentro di sé il potere di Hamal, Ariete. Kuruma lo lasciò andare temporaneamente e poi rispose con lo stesso attacco, sfruttando le capacità di Yang, Capra. Il loro scontro a testate fece sorridere più di qualcuno dei presenti. Sfortunatamente per la signora orientale, era impossibile avere la testa più dura di quella di Kosmos e, dopo qualche colpo ben assestato, lei finì scaraventata lontano. Lui si alzò, tutto orgoglioso e convinto della sua vittoria, incrociando le braccia e ghignando soddisfatto. Lei non si vedeva, essendo finita oltre la balaustra della terrazza.

“Bene, bene. Possiamo tornare a farci i fatti nostri, come sempre!” parlò il signore occidentale.

“Non ancora!” si sentì dire, e lei tornò al galoppo, sottoforma di centauro, avendo in parte Ma il Cavallo dentro di sé.

Kosmos fu rapidissimo ed assimilò Rukbat, divenendo a sua volta un bellissimo centauro blu.

“A noi due, signorina!” rise, nitrendo.

“Fatti sotto, pony!” ribatté la signora d’oriente.

Iniziò una scazzottata senza esclusione di colpi con tanto di calci a zoccolate. Le loro forze, però, si equiparavano e lo scontro non giungeva ad una conclusione. Chiave e Scettro erano abbandonati in terra.

Kosmos, riuscendo temporaneamente a spingere la sua avversaria sufficientemente distante, allungò la mano verso il bastone, ma una fiammata improvvisa gli bruciò la mano. La ritrasse d’istinto e un’ombra inquietante oscurò parte delle stelle.  Il signore occidentale alzò lo sguardo e abbassò le orecchie a punta. Kuruma era diventata enorme e sputava fuoco, sfruttando il potere di Long, Drago.

Preso dal panico, il signore d’occidente non sapeva con cosa controbattere. Forse le ali di Astrea…

“Sei più fastidiosa di un’ape nelle mutande!” gridò contro la sua avversaria, ignorando il fatto che questa continuava ad aumentare di dimensioni a dismisura.

“Io ti ci infilo un intero alveare nelle mutande, microbo dai capelli blu!” ruggì lei, afferrando la Chiave del Cielo,decisa ad usarla.

La punta attorcigliata dell’oggetto si illuminò e tutti furono costretti a serrare momentaneamente gli occhi. Quando li riaprirono, Kuruma occupava tutta la visuale, con i lunghi capelli neri che si erano sciolti e si arricciavano, mossi da un vento invisibile, e la splendida veste rossa che si muoveva dolcemente. Con l’affusolata mano, teneva sospeso a mezz’aria Kosmos, minuscolo in paragone con le dimensioni attuali di lei. Nessuno ebbe il coraggio di parlare. La Chiave si era adeguata alle dimensioni della signora orientale e pulsava, come un cuore vivo.

“Sarà il Cielo a decidere qual è il tuo posto” mormorò Kuruma, dolcemente.

Con un sorriso, serrò il pugno e lui ne rimase intrappolato. I dodici d’occidente si allarmarono e corsero verso quel pugno, volando mossi dai loro poteri astrali.

“Che volete voi, moscerini?” si stizzì Kuruma.

“Lascialo andare!” le gridò Hamal, tentando di avere un’aria minacciosa.

“È quello che ho intenzione di fare, ma levatevi dalla traiettoria!” ringhiò la signora.

“Quale traiettoria?!” cadde dalle nuvole Al Risha.

“Come volete…” alzò le spalle Kuruma, spalancando la mano e racchiudendo all’interno anche i dodici segni d’occidente senza difficoltà.

Iniziò ad agitare il pugno come a lanciare un dado.

“Ultima possibilità, Kosmy. Ammetti che i nostri poteri sono pari e farò finta che nulla sia successo. Torneremo ognuno al nostro posto e via così, per millenni e millenni…”.

“Scordatelo, arrampicatrice sociale imbrogliona!” biascicò Kosmos, sballottato contro i suoi sottoposti all’interno del pugno della donna a capo del lato orientale.

Lei non capì del tutto quell’insulto, ma comprese che il suo collega non si arrendeva. Strinse più forte fra le mani la Chiave del Cielo, richiamandone l’energia.

“L’hai voluto tu!” ringhiò.

“Signore…io credo che sarebbe saggio ammettere che lei…” iniziò Aldebaran, ma il suo superiore lo zittì subito, impedendogli di tentare di farlo ragionare.

“Che cosa ha intenzione di fare?” sussurrò Tù, Lepre.

“Niente di buono, spero!” sghignazzò Ji, Gallo.

Kuruma alzò il braccio e lasciò la presa, lanciandone il contenuto lontano, fra l’universo di stelle e pianeti lontani e fra lo stupore generale. Kosmos, resosi conto della situazione, tentò di frenare la caduta ed indirizzare quella degli altri, in modo che non finissero dispersi nell’eternità. Cadevano rapidamente, allontanandosi l’uno dall’altro. Il signore occidentale, raccogliendo le ultime forze, espanse la sua luce ed avvolse l’intero gruppo. Antares, ancora stanco a causa della battaglia in cui il suo padrone aveva sfruttato l’energia dello scorpione, chiuse di nuovo gli occhi, accecato. Quando li riaprì, era a terra, da solo, nel buio di un pianeta, lontano dalla sua casa e senza più una sola briciola di forza magica.

   
 
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