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Autore: Princess Of Marshmallows    26/02/2015    10 recensioni
{ • TASSATIVAMENTE VIETATA AGLI STOMACI DEBOLI | psycho!Ticci-Toby | abusi sessuali | torture fisiche e psicologiche | prigionia | bipolarismo | C.I.P.A. | allucinazioni }
“Doveva essersi assopita, perché non si era resa conto dei passi che si avvicinavano sempre di più alla sua stanza, ma quando sentì la porta aprirsi di scatto si svegliò immediatamente, e la luce l’abbagliò per qualche secondo.
Sapeva che sarebbe venuto. La figura si avvicinò a lei lentamente, mentre la ragazza voltò lo sguardo dalla parte opposta mentre si sentiva mancare il fiato dalla paura. Nella sua mente ritornarono nuovamente a galla le immagini di quella mattina. Cominciò a tremare e a battere i denti per il terrore quando sentì i suoi guanti di pelle neri poggiarsi sulla sua gamba.
«Hai paura? È così brutto stare con me?», domandò all’improvviso, facendola sussultare.”

Per il mondo Anastasia Hamilton è morta il sei ottobre duemilatredici nel genocidio di Denver.
Nessuno sa che è ancora viva e si è ritrovata costretta a subire giornalmente torture di ogni tipo.
• Storia precedentemente intitolata "Hopeless Children of the Lonely Night".
Genere: Angst, Dark, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jeff the Killer, Lyra Rogers, Nuovo personaggio, Slenderman, Ticci Toby
Note: Lemon, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
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La pupilla era dilatata, l’occhio scrutava, il naso tirava

 

Part I

Chapter II

Memorie infrante


 

“Il ricordo avrebbe dovuto riempire il tempo, ma rendeva il tempo un buco da riempire.”

Jonathan Safran Foer

 

 

La pupilla era dilatata, l’occhio scrutava, il naso tirava. La sua mente stava viaggiando: era un acquario infestato da sostanze tossiche. Le pareti potevano anche essere lucide e trasparenti, ma rimaneva pur sempre una prigione. Per gli squali come lei ancora di più. Le malignità erano peggio di un pugno allo stomaco, soprattutto quando erano vere.

Anastasia appena aprì ask.fm dal cellulare notò che era presente la notifica di una nuova domanda. Alzò gli occhi al cielo: sapeva benissimo che era la stessa persona che la stava tormentando nelle ultime due ore con delle futili domande in anonimo. O meglio, più che domande, ingiurie.

Tua madre è un’attrice, no? Perché non prendi la sua stessa strada e diventi la protagonista di un nuovo film? Ho già il titolo:la ragazza che sussurrava ai cadaveri’. Anzi, ancora meglio:la troia che sussurrava ai cadaveri’, che ti si addice di più”.

La ragazza digrignò i denti dalla rabbia, per poi cancellare la domanda senza esitazione.

Era arrivata da quindici minuti all’Old Denver’s Tales ed era già strafatta. Aveva cominciato a tirare coca qualche ora fa, poco dopo aver letto il primo di una lunga fila di spietati messaggi da parte di quell’anonimo.

Era passato un anno da quel giorno per lei delicatissimo, e a quanto pare non era l’unica a saperlo. Ciò che tormentava maggiormente la giovane era dovuto al fatto che lo aveva rivelato solo alle persone a lei più care, ed i messaggi che continuava ad inviarle quell’anonimo i quali cancellava categoricamente potevano significare solo due cose: o qualcuno era andato a spifferarlo in giro, oppure uno di loro era soltanto uno sporco traditore. Aggrottò le sopracciglia al solo pensiero.

Anastasia notò una sagoma lungo il marciapiede avvicinarsi sempre di più: non le ci volle molto per realizzare che si trattava di Diane Courtney Hannon, la sola persona la quale – probabilmente – avrebbe potuto definire sua vera amica.

«Ehi, faccia da schiaffi», la salutò questa, presumibilmente divertita dal fatto che l’altra stesse barcollando con tanto di ultimo modello di iPhone tra le mani e che avesse un’espressione da totale rincoglionita.

Anastasia non fece in tempo a ricambiare il saluto che il telefono vibrò. Un altro messaggio da Ask: “Che poi, vogliamo parlare delle tue performance con gli amanti degli incesti? Ti sei fatta padre e figlio. Ahahah, che triangolo! Sei peggio di una dinamite”.

Si era ripromessa di non rispondere a quegli insulti, ma quell’anonimo stava davvero esagerando. Le dita cominciarono quasi a digitare le parole automaticamente: “La dinamite te la ficco nel culo, così magari ti esplode. Non ti azzardare più a scrivere qualcosa su di me. Tu non sai niente della mia vita, non eri presente durante quegli avvenimenti e non sai com’è andata. Tranquillizzati: quando uscirà fuori chi sei, farò sparire te e la tua identità dalla circolazione. Ricordati che sono la figlia di Philippe Hamilton. Guardati le spalle, pezzo di merda!”.

Appena pubblicò la risposta, la giovane fece un lungo respiro, socchiudendo gli occhi per qualche secondo.

«Tutto bene?», domandò cauta Diane.

«A parte qualche povero sfigato che non sa che fare la sera», la rossa incrociò lo sguardo dell’altra e si bloccò per un attimo, per poi terminare la frase. «Direi normale».

«Che cazzo significa “normale”? Hai fatto i conti con il passato?».

«Con il passato ho già chiuso da un bel po’ di tempo».

«E allora qual è il problema?».

«Nessuno».

«Io non riesco proprio a capirti!», esclamò Diane, visibilmente esasperata, tirando l’amica per un braccio e lasciandola di fronte ad una delle finestre principali del pub, dove potevano intravedere i loro riflessi. «Guardati! Lavori come modella, hai delle tette da paura, i capelli fino al culo, sei una strafica. Di che cazzo ti preoccupi, mica l’ho capito, sai?», fece una pausa, per poi concludere: «Al tuo posto me ne sarei approfittata di un corpo del genere e sarei piena di miliardi».

Anastasia – anche se tentata – non cedette a quell’indefinita provocazione, mentre continuava a bloccare e sbloccare instancabilmente la schermata dell’iPhone.

«Poi non mi hai mai raccontato cosa è successo con quello lì. Me lo vuoi dire adesso? Era il tuo ragazzo, no?», insistette Diane, che sembrava non voler mollare la presa.

«Non era il mio ragazzo», quasi urlò infastidita. «Smettila di tormentarmi con questa storia, non ne voglio più sentire parlare fino alla fine dei miei giorni».

L’amica si era addentrata in un terreno minato, nella sfumatura più fragile dell’anima della ragazza, ma era troppo orgogliosa per chiederle scusa. «Bella, ma chittesencula! Sei te che stai facendo la depressa, mica io!», e si voltò dall’altra parte, fingendo di rispondere ad un messaggio inesistente.

Anastasia si accese l’ennesima sigaretta, la quarta nelle ultime due ore, e gliela porse in segno di pace. Dopo una breve esitazione Diane l’accettò, per poi scambiarsi con l’altra un vago sorrisetto complice.

All’interno del locale – non molto distante dalle due – Malcolm Wilford era seduto al tavolo di legno, circondato dal suo branco, con quel suo solito sguardo impassibile e quel ghigno di chi la sa lunga. Tra i denti stringeva una sigaretta e nella mano sinistra un Sex On The Beach.

«Ana, quanto mi fa impazzire», sussurrò Diane all’amica, la quale alzò un sopracciglio e si voltò appena verso di lui, per poi rigirarsi con un’espressione approssimativamente nauseata.

«Ma insomma, guardalo bene!», Anastasia tirò fuori la lingua, per poi portarsi un dito alla bocca e chinarsi appena, mimando un conato di vomito. «È stato in carcere minorile, è storto, pieno di tatuaggi, così strafatto che non si ricorda più come si chiama. Qua sono io quella che non capisce te».

«Ti sembrerà strano, ma io, te e quel coglione ci assomigliamo. Abbiamo l’anima nera, colma di peccati e di colpe. Siamo tre demoni dell’oscurità».

Aveva pronunciato quelle parole con un tono così serio che la rossa non poté fare a meno di scoppiarle a ridere in faccia. «Non ti sei ancora fumata niente e già cominci a dire cazzate?».

Anastasia disprezzava Malcolm, e neanche troppo segretamente. Non poteva accettare che uno così grezzo potesse avvicinarsi a lei o alla sua migliore amica, e non riusciva proprio a comprendere come quest’ultima avesse potuto starci insieme per quasi un anno.

Diane le ripeteva sempre che tra loro due ormai c’era solo sesso, ma ad Anastasia non sembrava una giustificazione sufficiente. Diane non era mai stata particolarmente bella, però aveva quell’aria da indipendente alternativa e rivoluzionaria che riusciva a far cadere chiunque ai suoi piedi. Con Malcolm tuttavia era diverso, tra loro due scorreva una fratellanza di sangue la quale andava oltre il senso comune ed erompeva ogni volta che i loro giovani occhi si incrociavano.

«Didì, sei una fata!», esclamò lui avvicinandosi al duo con entrambe le mani inserite nelle tasche in modo trasandato e il capo leggermente inclinato da un lato. Senza che le due se ne fossero accorte, il ragazzo le aveva raggiunte sulla porta del pub.

«E tu un perfetto serial killer, Mal», rispose Diane soffocando una risata.

«Che fate? Vi unite al gruppo?».

«Preferisco lasciar perdere. Tu e i tuoi amici siete pericolosi», i due si scambiarono un’occhiata che Anastasia non riuscì ad intendere.

«Bello ‘sto tatuaggio», commentò lui indicando l’avambraccio di Diane. «È nuovo?».

«I’m on top of the world», lesse lei mostrando la scritta.

«Sì Didì, tu fai tanto la fica, ma chi te li ha fatti conoscere gli Imagine Dragons?», rivendicò con orgoglio il ragazzo.

Diane accennò un mezzo sorriso rimanendo in silenzio, attendendo meticolosamente che il ragazzo ricominciasse a parlare. «Ma la tua amica sta sempre zitta? Ah giusto, ha due tette che parlano al suo posto!», e rise sguaiato, mentre Anastasia si limitò a portarsi le mani ai fianchi e a roteare gli occhi seccata.

«Dài, invece di dire cazzate, tornatene dai tuoi amici», la giovane lo spinse prima che la rossa potesse rispondere alla provocazione, e questo indietreggiò di qualche passo.

«Se mi levo di torno, cosa ho in cambio?», domandò malizioso, passandosi la lingua sulle labbra.

«Vattene, prima che ti picchi», cercò di sembrare autoritaria e seria, ma non riuscì a trattenere una risata divertita.

«Il solito pompino?», urlò lui allontanandosi.

Diane alzò il dito medio.

«Ti amo, Didì!», gridò il ragazzo mentre si sedette nuovamente al medesimo tavolo dove risiedeva il suo gruppo.

Malcolm la amava veramente. A modo suo, ma la amava. E Anastasia lo aveva intuito da tempo. Entrambi sapevano che l’altro flirtava con altre persone, ma questo per loro non era un problema. Si incontravano poche volte, non si scrivevano mai. Di tanto in tanto si chiudevano in casa e si sfogavano con l’aspra tenerezza di due animali. E questo univa due anime più di mille parole.

Anastasia tirò un sospiro di sollievo, contenta che quel grezzo si fosse allontanato; si infilò le mani nelle tasche degli shorts di jeans, poggiò la nuca sul muro e guardò in alto, osservando il cielo stellato. Una lieve brezza estiva alitò su di lei, e la ragazza chiuse gli occhi, risucchiando quell’attimo di serenità e cercando di farlo durare il più a lungo possibile, di renderlo suo.

«Vai da lui», sussurrò quasi impercettibilmente. L’amica si voltò, confusa.

«Cosa?».

«Non fare finta di non capire, vai da lui. Da Malcolm», Diane fissò la rossa con un’espressione mista tra lo sconvolto e il perplesso. Anastasia sospirò amaramente, e cercò di trattenere le lacrime.

«Allora non era la solita infatuazione superficiale. Lo sapevo, l’ho sempre saputo».

«Vedi Diane, la differenza tra il tuo amore e il mio, è che tu hai una possibilità di essere felice».

 

 

Il colpo decisivo costrinse Anastasia ad aprire gli occhi e ad affrontare ancora la realtà: le immagini di Diane, di Malcolm e del suo vecchio locale preferito si sgretolarono rapidamente, lasciando spazio ad un bagno buio ed angusto. La lampadina era rotta oramai da un tempo indefinito e un timido raggio di luce lunare arrivava da una finestrella dal vetro rotto. Sul soffitto una chiazza ingiallita dall’umidità le ricordò che anche l’acqua lasciava un segno.

Era seduta sulla tazza del gabinetto con le gambe divaricate. La bestia aveva appena eiaculato dentro di lei e sentì il suo sperma invaderla. L’unico suono all’interno del bagno erano i loro ansimi, i quali echeggiavano appena in quella stanza così spartana e anonima.

Toby era sempre eccitato prima di dover compiere un omicidio, e sentiva uno smisurato bisogno di scaricare la tensione. E quello era il sistema più efficace che conoscesse.

Una volta terminato il rito, sfilò il membro con discreta lentezza e si passò le mani tra i capelli scuri, inspirando profondamente. Guardò la sua amata: era così bella con quegli occhi stanchi, le guance rosse per la fatica e le labbra semiaperte. Vederla così passiva e sottomessa a lui lo riempì di soddisfazione; finalmente aveva smesso con tutti quei frigni, quelle lacrime, quella sua continua opposizione e quel futile desiderio di ribellarsi. Toby si sentiva appagato e compiaciuto. In una vita piena di maltrattamenti e di abusi finalmente era stato lui ad imporre il suo dominio su qualcuno.

Eppure il benessere che provava in quell’istante lasciò presto spazio ad un’altra sensazione, qualcosa simile ad una mancanza. Si strinse nelle spalle e alzò il capo, osservando il proprio riflesso sullo specchio. Si sentiva perso, confuso, non capiva: aveva tutto ciò che desiderava. Che cosa mancava nella sua vita per permettergli di raggiungere l’apice della felicità? Da cosa era angosciato? A cosa ambiva?

Lanciò un’occhiata veloce alla ragazza, ancora immobile sulla tazza del gabinetto. Forse non era riuscito a scaricare al completo la tensione. Forse quella sera l’aveva trattata con troppa leggerezza.

Cercò di convincersi delle ultime ipotesi. Ebbe un tic, ed il collo scricchiolò. «Avanti, pulisci dove hai sporcato», alzò il tono di voce, come per farsi rispettare.

Anastasia sembrò comprendere le parole di lui e si alzò dalla tazza, mentre con uno sguardo vuoto, assente e privo di luce fissava un punto indefinito della parete. Si inginocchio e aprì la bocca come un automa. Un brivido di piacere percosse di nuovo il corpo di Toby, il quale alzò la testa. Le mani viaggiavano sulla parete alla ricerca di un appiglio. Rantolò.

«Mio Dio, sei così brava. Si vede che sei un’esperta e che non sono il primo a cui lo fai. Però adesso sei mia, tutta mia», sibilò a denti stretti, e, notando la mancanza di reazione da parte di Anastasia, non poté fare a meno di ridere sguaiatamente. Il successo, la vittoria, il potere. Niente valeva come possedere la carne. Fu l’istinto del gorilla, in quel momento, a guidarlo. Le strinse la nuca tra le mani, la prese per i capelli e la tirò a sé. La ragazza lo lasciò fare, accettò la sua parte e la recitò alla perfezione.

Toby osservò nuovamente il suo riflesso e sullo specchio lurido comparve un ghigno famelico. Adesso era davvero pronto per uccidere.

 

 

 

Note dell’autrice: Già, eccomi qua con il secondo capitolo di questa Fan Fiction. So che ci ho messo tanto, troppo tempo per aggiornare, ma a livello scolastico è stato un periodo difficile perché ho dovuto recuperare in diverse materie. Sì, se ve lo state chiedendo, sono una di quelle studentesse che durante il primo quadrimestre non fa un cavolo, e poi all’inizio del secondo fa una corsa olimpionica per recuperare.

La pigrizia prima di tutto, ricordatevi ragazzi! (?)

Ovviamente sto scherzando e vi consiglio di non seguire mai il mio esempio, soprattutto se frequentate un liceo come la sottoscritta. çç

Bando alle ciance! Allora, il primo capitolo è stato diviso in due parti: la prima, la quale è un ricordo di Anastasia, e la seconda, che si svolge nel presente.

Ho voluto provare a vederla un po’ dal punto di vista di Toby nella seconda parte. Ammetto che è stato complesso entrare nella mente di uno psicopatico, ma ho fatto del mio meglio e spero che voi abbiate gradito. Tra l'altro ci tenevo a ringraziare Autieri ed il suo splendido romanzo, il quale mi ha molto aiutata nel trovare ispirazione per questo capitolo.

Da come potete vedere, Anastasia è sempre meno lucida…è un bene o un male?

Old Denver’s Tales” non è un pub o comunque un luogo realmente esistente.

C’est tout, je pense.

À la prochain chapitre~

Au revoir~

Coffee Pie.

E…sì, mi sento molto francese in questo momento.

   
 
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