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Autore: xwilliamseyes    26/02/2015    3 recensioni
"Io credo negli inizi che non trovano una fine.
Credo negli sguardi destinati ad incrociarsi e mai più a lasciarsi.
Credo nella pelle che si confonde e sente di non averne mai più abbastanza.
Credo nelle affinità di cuore e di mente, nelle affinità di ricordi e di futuri.
Credo nei sorrisi, nelle lacrime, nelle urla, nei silenzi condivisi perché in due tutto è diverso, tutto è più colorato.
E c'è il verde, il rosso, l'arancione.
E l'azzurro dei tuoi occhi.
Dei tuoi e di nessun altro, Louis.
Che risplendano da sempre nei miei e da sempre si rispecchieranno nei miei.
Siamo noi quell'inizio che non trova fine.
Siamo noi quell'amore perpetuo che dà forma ai nostri sorrisi.
Ai tuoi e ai miei.
Unici, inseparabili, infiniti."
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Even if the skies get rough
 
Tornai a casa, come lui mi aveva chiesto di fare. Con un'eccessiva calma per la situazione che si era appena creata, ma la calma era del corpo e non della mente che cercava in tutti i modi di trovare una soluzione. Pensavo, pensavo e non facevo altro che pensare a cosa, a chi rivolgermi, dove andare, cosa dire. Mi fermai al centro esatto della mia stanza osservando il cielo blu, particolarmente blu quella mattina. Un cielo incurante di ciò che stava accadendo intorno a se, che riusciva a bastarsi da solo e a risplendere in tutta la sua forza. Volevo essere come lui ma sapevo che non potevo. Troppi erano i legami che mi tenevano stretta alla mia realtà. Richiusi le braccia attorno al petto e avanzai verso l'enorme finestra. Stavolta mi guardai intorno, prima a destra e poi a sinistra. Non vidi altro che persone intente a correre verso le proprie mete, concentrate esclusivamente sul proprio da farsi. Mi resi conto che non potevo continuare a stare ferma, immobile mentre lui chissà in quale situazione poteva trovarsi. Temevo potessero fargli del male fisico ma soprattutto psicologico. Speravo nella sua innocenza e temevo che fosse stato incastrato in qualche imbroglio. Iniziai a muovermi cancellando dalla mia mente immediatamente le parole di Louis e il suo viso compassionevole che le esprimeva. E come una specie di illuminazione decisi di andare dalla madre. Da Johannah.

Non sapevo se ci fosse qualcuno in quella casa ma volevo comunque provarci. Bussai convinta il citofono aspettando alcuni interminabili minuti. Riprovai una seconda volta, anche stavolta non ricevendo alcuna risposta. Mi girai verso il cortile che avevo alle spalle, sperando che qualcuno all'improvviso sbucasse dal nulla. Le mani iniziarono a tremarmi seguite dalle pupille che sentivo piano piano bruciare. Tutta quell'ansia che avevo mantenuto e provato a contenere ora si stava liberando rendendomi inverosimilmente debole. Mi presi il viso fra le mani ormai prossima ad un pianto infinito. Le gambe si portarono verso il pavimento dove continuai quella mia orribile tortura. Gli occhi di Louis si fissarono nel buio dei miei pensieri e per me non ci fu mai immagine più dolorosa. Volevo, ma avvertivo di non poter fare nulla perché troppo debole nei confronti di ciò a cui sarei andata incontro. 
Sola no, era impossibile.
Con l'aiuto di qualcuno forse si.
E una scintilla mi risvegliò quando presi il cellulare in mano e digitai il numero di Alexandra. Con la gola che inaridiva e i polmoni stanchi di quell'affanno mi preparai per la richiesta d'aiuto.
"Pronto?"
"Alexandra, ho bis - ogno del tuo aiu – to"
"Cosa succede, Gabrielle?"
"Louis"
Pronunciai il suo nome come una tortura talmente dolorosa. Il suono del mia voce fu flebile e incerto.
"Dove sei? Arrivo subito"
Non mi diede il tempo di pronunciare nessun'altra spiegazione o parola. Aveva percepito dalla mia sola voce la circostanza orribile in cui potevo trovarmi. O forse lo aveva capito dal suo nome, ed era bastato quello a mandarla in allerta.

Erano passati circa dieci minuti dalla mia chiamata quando il rombo della macchina di Alexandra mi pervase le orecchie in quel quartiere che sembrava abbandonato. Mi feci forza e mi tirai in piedi, facendo segno con la mano sinistra che agitavo in alto. Dal finestrino leggermente oscurato notai il suo sguardo preoccupato e non impiegò molto a scendere e a correre nella mia direzione. Appoggiò veloce una mano sulle mie spalle e mi raccolse sotto la sua attenzione.
"Gabrielle, ma che cazzo è successo? Hai una faccia orribile"
La guardai in volto e notai così tante sfumature di paura, di inquietudine, di ansia che il mio cuore si sentì subito più leggero avendo trovato una persona così buona capace di aiutarmi. Eppure non ebbi la forza di pronunciare una parola; mi limitai ad abbassare gli occhi verso le sue scarpe che brillavano di un nero corvino ai raggi intensi del sole.
"Se non parli non posso aiutarti"
Ora la sua voce assunse un tono più calmo e più sereno possibile, provando in qualche modo a placare anche me. Ci riuscì.
"Louis. E' finito in carcere ed io non so per quale motivo."
"Cazzo"
Disse, con tutta la convinzione e la spontaneità di questo mondo. Sembrava si fosse liberata di un peso fin troppo opprimente. Guardò anche lei il basso, pensando forse ad una risoluzione.
"Andiamo al carcere allora, ci dovranno dire per forza almeno qualcosa"
Convinta di ciò che aveva appena detto, drizzò la sua schiena costringendomi a fare altrettanto. Sostenendo il mio braccio portò entrambe verso la sua auto.

Il tragitto fu silenzioso, forse fin troppo.
Non aiutava la mia ansia che non faceva altro che crescere ad ogni nostro metro ed ero sicura che non facesse bene neanche alla sua. La osservavo di tanto in tanto con la punta degli occhi: lo sguardo rigidamente in avanti e le mani immobili e dure sul manubrio, sembrava avesse paura che potesse scapparle via. Dopo un quarto d'ora di curve e strade a senso unico arrivammo alla nostra destinazione. Alexandra afferrò con una manovra la borsa sui posti posteriori e con un veloce "vieni" mi invitò a scendere.
La sua sicurezza mi impressionò, tuttavia non fece altro che aumentare la mia fiducia nei suoi confronti. Con passo spedito attraversammo corridoi fino al trovarci davanti ad un uomo che non perse tempo a chiederci: "Buongiorno, cosa cercate?". Lei gli strinse la mano e senza alcun tentennamento rispose: "Il suo fidanzato, Louis Tomlinson, è stato arresto stamattina e vorremmo saperne il motivo dato che non riusciamo neanche a rintracciare la sua famiglia". L'uomo si soffermò finalmente sui nostri visi che scrutò minuziosamente prima di aprir bocca.
"Capisco. Seguitemi."
Non ce lo facemmo ripetere due volte e seguimmo le spalle robuste dell'agente. Ci ritrovammo in una specie di stanza disordinata e spaventosamente maleodorante di fumo. Una scrivania la occupava esattamente al centro e dietro di essa vi era un altro uomo intento a scrivere chissà cosa su dei fogli gialli. L'agente ci fece cenno di entrare e noi rispondemmo con un altro di approvazione.
Alexandra si sedette senza aspettare alcun invito e incrociò le gambe, serrandosi in una postura di pura intenzione.
"Buongiorno, ci scusi, abbiamo bisogno del vostro aiuto"
Questo secondo uomo si alzò dalle sue carte e la guardò dritta in volto. Assunse un'espressione stranita e disorientata e parlò.
"Ditemi tutto"
I due sembrarono a questo punto aver creato un muro, di cui io non facevo minimamente parte. Mi sedetti al suo fianco, cosciente della mia non importanza in quel contesto.
"Vogliamo sapere perché Louis Tomlinson è stato arrestato improvvisamente questa mattina"
"E voi sareste?"
L'uomo incrociò a sua volta le braccia, allontanandosi dalla sua posizione curva e allungando la schiena lungo lo schienale della sua sedia girevole.
"Lei è la fidanzata"
Ribadì nuovamente.
Fu obbligato così a guardare anche me che purtroppo non riuscivo a sostenere il suo sguardo e lo voltai verso le mie mani che ormai grondavano di sudore.
"Ah. Un attimo solo"
Si alzò e si diresse verso uno scaffale alla sua sinistra. Ne estrapolò un enorme schedario che gettò rumorosamente sulla scrivania. Iniziò a sfogliarlo prima di prenderne uno più piccolo. Sfogliò anche questo, con molta più attenzione.
"Rapina"
"Rapina?!?"
Urlai. 
Fu così spontaneo quel mio gesto che immediatamente mi portai le mani alla bocca. Alexandra posò una mano sulla mia gamba, cercando di calmare quell'attimo di emozione.
"Rapina di cosa esattamente?"
"Rapina domestica. Nella casa di un certo John Mick"
Ricordavo perfettamente quel cognome, sapevo perfettamente chi era quell'uomo.
Il padre di Vanessa.
Il mio sguardo iniziò a perdersi in quella stanza che da eccessivamente piccola stava iniziando a diventare eccessivamente grande. Dei formicolii iniziarono a prendere il sopravvento sulla mia ragione e a rendermi incapace di formulare una qualsiasi sentenza. Rimbombava esclusivamente nel mio cervello la domanda: "Perché lo ha fatto?" 
Una domanda per la quale mi sembrava impossibile aver risposta, ma che in verità portavo ancora nella tasca.


-SPAZIO AUTRICE
Salve gente! scusate questo ritardo, ma la sua scuola non mi ha lasciato un momento libero in questi giorni. Appena ho avuto un paio di ore, però, ho preso subito il pc tra le mani. Mhm...questo è un capitolo di passaggio purtroppo, speravo di parlare un pò di più della situazione "Louis in carcere" ma ho preferito soffermarvi su altro e lasciarvi il dubbio. Un dubbio che vi ho lasciato risolto nell'ultimo rigo. Qualcuno di voi ha capito a cosa si riferisce Gabrielle? Spero di si, altrimenti scoprirete tutto nel prossimo capitolo. Oggi, inoltre, volevo rinnovare i ringraziamenti per i miei amati lettori! GRAZIE. Un bacio.
-Manu 

p.s. il titolo è una frase della canzone di 
Jason Mraz - I Won't Give Up
il trailer per chiunque volesse dargli un'occhiata

 
ALEXANDRA



(vi presento la nostra amica, Eva Green!)
  
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