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Autore: elsa5    27/02/2015    0 recensioni
“Guardami negli occhi... Devi resistere, devi farlo per me. Ti prego amore”
“Aiutami ti prego... mi fa male...”
Era tutto buio, non riuscivo a vedere niente. Quelle voci, quelle voci mi stavano facendo diventare matta. Dovevo aiutarli, ma dove erano?
“Vedrai che ti passerà... resisti”
Continuai a guardarmi intorno, non vedendo niente. Poi sentii un urlo di rabbia, una voce maschile piena di dolore.
Mi alzai di scatto dal letto, con le lacrime agli occhi, e cercai il più velocemente possibile di accendere la luce sopra il comodino. Poi misi a fuoco il luogo in cui mi trovavo e mi presi la testa tra le mani. Non potevo crederci, erano tornati. Pensavo che quella città mi avesse fatto bene, ma era durato solo due notti. Quegli incubi erano tornati ancora una volta.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 1

Il viaggio finalmente stava giungendo al termine. Vedevo sopra la mia testa la spia rossa delle cinture di sicurezza accesa che ci stava ricordando di allacciarle per l'atterraggio. Nello stesso momento, infatti, una voce proveniente dalle casse dell'aereo ci proclamava il nostro arrivo. Io mi ero svegliata da una decina di minuti e stavo spegnendo l'ipod che era rimasto acceso anche mentre dormivo beatamente. Mi ero addormentata all'incirca a metà del viaggio e mi ero svegliata poco prima dell'atterraggio.

Mi allacciai velocemente le cinture e iniziai a cercare nella mia borsa uno specchietto, per vedere quanto potessi risultare sempre assonnata agli occhi altrui. Davanti a me vedevo il riflesso di una ragazza con i capelli scompigliati, con pochissimo trucco, che si guardava con i suoi occhi marroni. Mi sistemai i capelli e guardai fuori dal finestrino, rimettendo tutto in borsa. San Francisco era sotto di noi. Finalmente. Non potei fare a meno di sorridere guardando la città che scorreva sotto di noi. Mi sentivo bene, mi sentivo felice.

Quel viaggio doveva essere un viaggio alla ricerca di tranquillità e serenità, cose che in quel periodo non ero riuscita proprio a trovare. Anche l'università stava andando male ed io non volevo questo. Così un giorno mi ero decisa ed avevo accettato l'invito della mia amica Eveline. Ci conoscevamo da tempo, era stata un paio di anni nella mia città e aveva frequentato il mio stesso liceo, per poi trasferirsi a San Francisco a causa del lavoro del padre. Adesso viveva da sola e mi aveva ospitata per tutta l'estate (nonostante lei sperasse che io rimanessi lì per più tempo). A convincermi erano stati due fattori: primo, il fatto che lei mi aveva trovato anche un lavoro, nello stesso bar dove lavorava lei. Non avrei sopportato di stare cinque mesi in una città a vagare senza meta e mantenuta dai miei genitori da casa mia. Volevo fare una vacanza, ma allo stesso tempo lavorare. Secondo, il mio ragazzo, come accadeva spesso, sarebbe stato per quasi tre mesi in un'altra città per lavoro e magari passare del tempo con Eveline mi avrebbe anche distratta dalla sua mancanza. Insomma, in poche parole, speravo che quel viaggio mi prospettasse una bella estate.

Sussultai appena sentendo le ruote dell'aereo toccare a terra e risvegliarmi dai miei pensieri. Davanti a me vedevo la scritta che dava il benvenuto all'aeroporto di San Francisco. Sorrisi appena, felice di essere finalmente arrivata. Dentro di me scorreva una strana adrenalina, sapevo che mi sarei divertita e che sarei stata bene, o almeno così speravo. Questa era anche la speranza di mia madre, che, vedendomi sempre più afflitta e triste a casa, si era mostrata veramente felice di quel viaggio.

<< Ti farà sicuramente bene, Caroline... e vedrai che tornerai molto più rilassata >> mi disse il giorno stesso della mia partenza. Io le credevo e volevo davvero che fosse così. Non riuscivo ancora a capire come avessi fatto a perdere la mia allegria e la mia solarità. Non riuscivo a studiare, a concentrarmi, a divertirmi. La notte venivo tormentata da strani sogni e il giorno ero assente e disinteressata a tutto. Secondo la psicologa non ero soddisfatta di qualcosa. Ma quel qualcosa stava a me trovarlo e correggerlo. E così anche lei approvò questo mio viaggio quando glielo riferii.

Scesi dall'aereo ed entrai nell'aeroporto, seguendo una lunga fila di persone che si dirigevano a prendere la loro valigia. Era una bellissima giornata, cielo limpido e sole splendente. Aspettai con pazienza la mia valigia, che si rivelò essere una delle ultime. Trascinandola a fatica dietro di me, visto che mi ero portata abbastanza cose per stare lì almeno i primi due mesi, uscii finalmente dall'area riservata agli sbarchi e, superata la porta che conduceva all'entrata dell'aeroporto, sentii subito la voce di Eveline, che fino a quel momento avevo sentito esclusivamente attraverso un telefono oppure tramite un computer.

<< Caroline!! >> Neanche il tempo di guardarmi intorno che sbucò davanti a me, abbracciandomi. Scoppiai a ridere e ricambiai quell'abbraccio, lasciando la valigia dietro di me.

<< Hai visto che alla fine sono venuta! >> Esclamai sorridendole e guardandola. Era cambiata rispetto a quattro anni prima. Era rimasta la solita biondina dagli occhi verdi con il sorriso sempre stampato sulle labbra, ma i suoi lineamenti erano cambiati, si era fatta più donna.

<< Ci ho creduto solo quando ti ho vista uscire da quella porta... Ho pensato fino alla fine che mi avresti dato buca! >> Mi rispose aiutandomi a portare quella grande valigia. Era stata quasi un anno a chiedermi di andare a lei e ora le sembrava davvero strano che io potessi essere veramente a San Francisco, evidentemente.

<< Oh ma quante cose ti sei portata! Lo sai che una delle prime cose che faremo sarà shopping sfrenato! >> Esclamò. Scoppiai a ridere e scossi appena la testa. Da quando le avevo detto che avevo preso i biglietti per il volo, aveva iniziato a chiamarmi ogni giorno per dirmi tutto quello che avremmo fatto in quei mesi. In poche parole mi aveva già organizzato la vita per i cinque mesi futuri. Non che questo mi dispiacesse, anzi. Mi faceva piacere dedicare un po' di tempo a me stessa ed al mio divertimento.

Caricammo la valigia nella sua macchina e lei si mise alla guida.

<< Sai già che abito a North Beach, ma non sai ancora che ti ho già fatto una copia delle chiavi >> Frugò nella sua tasca destra e mi lanciò la chiave di casa sua. La presi rigirandomela tra le mani.

<< Eveline lo sai che... >>

<< No, mettiamo subito in chiaro le regole. Primo: per questi mesi quella sarà anche casa tua. Potrai fare quello che vuoi, quando vuoi. Secondo: potrai chiedermi qualsiasi cosa e ti presterò la macchina quando vorrai. Terzo: se cambi idea e vuoi trasferirti da me per il resto della tua vita sei ben accetta! >> Mi misi a ridere insieme a lei per quelle tre regole che aveva appena dettato ed annuii subito.

<< Va bene, non contesto niente! >> Guardai fuori dal finestrino. Non ero mai stata a San Francisco e quella città, da questo momento, sarebbe stata un po' come la mia piccola casa per quel lasso di tempo. Avrei dovuto imparare strade, zone e posti da frequentare.

<< Sarai stanca del viaggio, avevo pensato per stasera di rimanere a casa. Ti fai una bella doccia, svuoti la valigia e ti sistemi... Però da domani inizia la tua fantastica vacanza! >>

Sembrava veramente più esaltata di me per quel viaggio. Era fatta così lei, aveva una vitalità in corpo veramente incredibile.

<< Eccoci arrivati >> Disse parcheggiando nel vialetto di quella che doveva essere casa sua. Era una casa in stile vittoriano, con delle scale che portavano alla porta d'ingresso. Mi aiutò con la valigia ed entrammo. Mi ritrovai in una sala abbastanza ampia, con una grande libreria, un divano di fronte ad una televisione e un tappeto che ricopriva gran parte del pavimento. Sembrava davvero accogliente e si vedeva che era abitata da una ragazza. Lasciai la valigia da una parte e la seguii mentre mi mostrava tutta la casa.

<< Allora qui c'è la cucina e dall'altra parte della sala un piccolo bagno. Laggiù la porta che dà su un piccolo giardino sul retro >> Mi spiegava mentre mi mostrava la cucina, non molto grande, con un isolotto nel mezzo e degli sgabelli, il bagno e infine la porta che dava sul retro. Salimmo al piano di sopra dove aveva un altro bagno e due camere. Camera sua era abbastanza grande, con un letto ad una piazza e mezzo, una scrivania di fronte con un computer e una finestra che dava sulla strada. Ai fianchi del letto aveva un comodino ed un armadio. Il muro dietro al suo letto era pieno di fotografie di lei con i suoi amici. Mi avvicinai a guardarle e sorrisi.

<< Sono loro i ragazzi del tuo gruppo giusto? >> Lei annuì avvicinandosi.

<< Sì, domani te li farò conoscere, non vedono l'ora di incontrarti... soprattutto i ragazzi... >> Disse ridendo e prendendomi un po' in giro, mentre uscivamo dalla sua camera. Sapeva benissimo che ero fidanzata da quasi un anno e a lei questa cosa non andava molto a genio. O meglio, non gli andava a genio Alex. Avevo fatto una videochiamata per farglielo conoscere e la sera stessa mi aveva confessato che non gli stava molto simpatico, almeno come prima impressione.

Uscimmo e dal lato opposto del corridoio c'era quella che sarebbe stata la mia stanza. Era semplice ed aveva l'essenziale. Un letto anch'esso da una piazza e mezzo e sulla destra una piccola scrivania, con davanti un grande armadio.

<< Lo so, è un po' spoglia, ma potrai farne quello che vuoi! >> Mi disse lei aprendo la finestra. Sorrisi sedendomi sul letto.

<< Non ti preoccupare è davvero perfetta Eveline... anzi, grazie ancora per questa opportunità >> Le dissi guardandola, mentre lei si avviava verso la porta.

<< Nessun ringraziamento, aspetta la fine dell'estate... io vado ad ordinare due pizze, tu sistemati... ah, va bene margherita? >> Annuii sorridendole e lei uscì dalla camera. La sentii scendere le scale e mi lasciai cadere sul letto, sdraiata a guardare il soffitto. Mi sentivo bene, sentivo una sensazione di benessere pervadermi tutto il corpo. Forse avrei davvero ritrovato la serenità in quel posto, sarebbe andato tutto bene. Rimasi per qualche minuto sdraiata, a godermi quegli istanti di felicità. Poi decisi di darmi da fare ed andai a prendere la valigia e a sistemare tutti i vestiti nell'armadio e le mie cose nell'armadietto in bagno, dove Eveline aveva fatto un po' di spazio per me. Poi andai a farmi una doccia per rilassarmi dopo il viaggio e mi vestii comoda, con un paio di jeans chiari ed una maglietta leggera. Era maggio e le temperature iniziavano ad alzarsi. Cercai nell'armadietto del bagno il phon ed iniziai ad asciugarmi i capelli senza troppa attenzione, sapendo che quella sera saremmo rimaste a casa. Uscii dal bagno e notai che ormai si era fatta sera, così scesi di sotto, trovando Eveline al telefono, in cucina. Salutò velocemente la persona con cui stava parlando e si voltò verso di me con uno strano sorrisetto.

<< Ero al telefono con James... >> disse subito guardandomi, dando per scontato che sapessi già chi fosse. In effetti mi aveva parlato migliaia di volte dei ragazzi del suo gruppo e ormai avevo imparato i suoi nomi.

<< James... l'informatico giusto? >> Provai ad indovinare, mentre lei si sedeva su uno sgabello della cucina scuotendo la testa e ridendo.

<< No! Quello è Charlie... James è il “musicista” >> Mi riprese lei, mentre ricordavo qualcosa di cio' che mi aveva detto tempo prima, descrivendomi i suoi amici.

<< Oh giusto... quello lunatico e che ci prova con tutte! >> Esclamai mentre lei abbassava per un attimo lo sguardo. Corrugai la fronte non convinta dal viso che aveva appena fatto, ma precedette la mia domanda.

<< Già lui... nonché la persona che sto diciamo... frequentando >> Mormorò abbassando la voce, quasi imbarazzata. Io spalancai gli occhi a quella notizia.

<< Cosa? E me lo dici così? >> Mi faceva piacere che uscisse con qualcuno, anche se fino a quel momento non mi aveva mai parlato benissimo di questo James. Sembrava un po' il Don Giovanni del gruppo, quello che non riusciva mai a stare con una persona per più di una notte.

<< Lo so, ma è successo da poco... una settimana... E poi ti ho raccontato com'è, non voglio farmi strane idee! >>

Automaticamente pensai ad Alex, lontano da me. Fortunatamente il ragazzo delle pizze suonò giusto in tempo, distogliendomi da quei pensieri malinconici.

Mangiammo davanti alla tv che spegnemmo dopo poco, visto che non facevamo altro che parlare; mi spiegava come era San Francisco, quali posti avremmo frequentato, che tipi di persone c'erano e cosa avrei dovuto fare a lavoro. Verso mezzanotte dovetti abbandonare Eveline; mi si chiudevano gli occhi e la mattina dopo avremmo dovuto alzarci presto per andare a lavoro. Inoltre dovevo sempre chiamare Alex. Era sempre così strano stare senza di lui e da una parte quasi invidiavo Eveline. I primi momenti con un ragazzo erano sempre i migliori. Con Alex andava tutto alla perfezione, ma a volte era così distante e non intendevo solo fisicamente. Posai il cellulare sul comodino di fianco al letto dopo la nostra chiamata che durò una decina di minuti, cercando di addormentarmi. Non ci riuscii subito. Pensavo a come sarebbe andata a lavoro, se mi sarei trovata bene con gli amici di Eveline e soprattutto se loro mi avrebbero accettata nel loro gruppo. Spesso mi facevo troppi problemi, ma non potevo mai farne a meno. Ero così, davo peso alle cose più semplici, pensavo e ripensavo a come affrontare questa o quella situazione, cercavo sempre di far tornare tutto. Mi ero ripromessa che in questa vacanza sarei stata più spensierata, un po' più superficiale riguardo ad alcune cose, ma nonostante tutto quella sera mi addormentai con l'ansia del mio primo giorno lavorativo dell'indomani.

   
 
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