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Autore: tisdalesvoice    27/02/2015    18 recensioni
Uno sguardo.
Era bastato un solo sguardo per far si che gli sforzi di Zayn andassero in frantumi dopo anni.
Quando gli occhi verdi di Lydia avevano incontrato i suoi, sapeva che tutto, oramai, sarebbe cambiato.
Lui non avrebbe mai voluto che tutto ciò accadesse, soprattutto con una ragazza così innocente come lei.
Zayn non sapeva nulla di Lydia, così come Lydia non sapeva nulla di Zayn -o almeno in parte-, ma gli era bastato guardarla per qualche secondo per capire come fosse lei in realtà.
Lui la paragonava alla luce, perchè la sua purezza era così immensa capace di contagiare chiunque, anche un mostro come lui. E se lei era luce, Zayn era l'oscurità. Ma il punto era che lui non faceva parte di quel mondo. Era un essere umano, certo, ma con poteri che avrebbero potuto fargli distruggere ogni cosa... anche lei.
Entrambi erano così tremendamente diversi, ma questo oramai non aveva più importanza. Il legame che adesso avevano era indissolubile, creatosi solo con un contatto visivo.
Ma se gli avvenimenti portavano al pericolo, poteva Zayn proteggerla persino da se stesso?
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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26. Breakout

E amore, mio grande amore, che mi credi?
Vinceremo contro tutti e resteremo in piedi.
E resterò al tuo fianco fino a che vorrai.
Ti difenderò da tutto, non temere mai.


Guerriero - Marco Mengoni.



La matita scorreva lenta sullo strato cartaceo, disegnando d’apprima linee del tutto astratte, ma che poi, alla fine, ritraevano ciò che oramai le sue mani erano abituate a fare.
Iniziava sempre così, Zayn. Prendeva un foglio bianco e iniziava a far scorrere la matita così, a caso, non sapendo di preciso cosa disegnare o da dove cominciare. Ma sembrava che le sue mani lo sapessero.
La sentiva anche nelle ossa delle mani, nelle dita, ormai. A fondo, sotto la sua pelle, farsi spazio nel suo corpo, respirando il suo male, rendendolo migliore, pulito.
E lui gliel’aveva detto, una volta. Che lei gli era entrata dentro, così profondamente da non riuscire piu’ a farla uscire. A sentirla sua, in un corpo che non la meritava, ma che lei prontamente si era presa, imponendosi di non uscire piu’. Voleva restare lì, a combattere il suo demone, la sua oscurità che lui aveva paura se la divorasse, che la lasciasse marcire dentro di lui, in quel corpo privo di ogni bene che solo lei, per la prima volta, era riuscita a portare. Un bene, una luce che da un enorme lampione, si era trasformata in una piccola fiamma di una candela che a momenti si sarebbe spenta. Un solo soffio e avrebbe perso la sua Lydia, dentro di sé, per sempre.
Non sapeva neanche come si fosse ritrovato con quel quadernone davanti e con quella matita tra le dita. Prima che avesse potuto rendersene conto, le sue linee avevano preso una forma. Adesso avevano un senso.
Sembrava che le dita non connettessero col cervello, con magari le sue intenzioni. Sapevano già cosa fare e lui non obiettava.
Il solito viso tondo, piccolo, poggiato questa volta su un braccio piegato, come se riposasse. Le solite labbra, carnose come sempre, forse di piu’. Labbra che lui non aveva la possibilità di baciare da almeno 7 giorni.
Un naso sempre piccolo, ma che da quella visuale non si poteva ammirare la sua graziosità. Capelli folti e mossi, che erano sparsi sul braccio, quasi coprendolo. Un braccio che le schiacciava la guancia, dove un occhio le si era ristretto per l’eccessiva pressione. E l’altro, aperto a guardare un punto fisso, immaginando e pensando chissà cosa. Degli occhi che avevano perso il loro colore, che un tempo avrebbero potuto far rinascere un campo di erbacce, rendendole forti, cariche del loro colore, vive. Occhi oramai spenti, che avrebbero potuto risucchiarti in quel loro vortice di buio e vuoto, senza però farti sentire perso. Perché lei poteva far sembrare anche quella solitudine una cosa giusta, e non te ne avrebbe fatto un peso.
E Zayn si diceva che voleva esserci in quel vuoto, cercando di riempirlo di sue urla di sfogo, rabbia… aiuto.
Una sclera non piu’ bianca, ma ricoperta di rosso, segni di chi non dorme e che non vuole farlo per paura. Come le sue occhiaie, marcate sotto i suoi piccoli occhi.
Era così che stava Lydia: stesa sul letto, a guardare il suo vuoto, senza permettere al suo ragazzo di poterci entrare. Non lo permetteva a nessuno al di fuori di se stessa.
Zayn la guardava, lo faceva tutti i giorni ormai, chiedendosi cosa avrebbe potuto fare oltre quello. Il sentirsi inutile, respinto, lo faceva sentire da schifo e il non avere la possibilità di risolvere questo stato d’animo lo abbatteva ancor di piu’.
Erano stati 7 giorni d’inferno, per lui. Non aveva fatto altro che vedere Lydia correre verso il bagno per rimettere ciò che mai era entrato dalla sua bocca. Per 7 giorni, Lydia non aveva toccato cibo, ma solo acqua. E lui riusciva quasi a vederle le guance appena incavate, e si immaginava il suo corpo ancora piu’ magro di quello che era. Lei non si faceva guardare, non glielo permetteva. Quando tornava dal bagno, si nascondeva subito a letto, coprendosi. Ma una volta era riuscito a vedere il suo polso ed era ancor piu’ sottile di quanto non lo fosse già.
S’immaginava le sue ossa venir fuori, la sua pelle liscia che si sgretolava. La sua Lydia che lentamente scompariva. E lui che glielo stava permettendo, perché troppo codardo di fare una mossa per paura di farla sbagliata.
Si stava arrendendo, con lei, ma almeno lo facevano insieme.
Si alzò e si recò in stanza, sedendosi sul letto accanto a lei. Fu sollevato nel vedere che non si voltò, ma sembrava che lei non si rendesse conto nemmeno che lui fosse lì, che attendesse una sua mossa. Che l’aspettasse, cosa che avrebbe fatto all’infinito.
«Era appena scoccata la mezzanotte quando è iniziato tutto, sai? Era il giorno del mio compleanno…» riuscì a sorridere amaramente, appena. «Diciassette anni. Stavo andando dagli altri, per festeggiare…»

Zayn correva, veloce sulla sua moto.
Suo nonno gliel’aveva regalata cinque mesi prima, perché non aveva potuto aspettare. O forse perchè i suoi occhi non sarebbero stati aperti a lungo per vedere la faccia contenta di suo nipote nel guardarla. Era morto tre mesi dopo il suo regalo di compleanno per una stupida malattia, che gli aveva divorato il cervello, come tutto il suo corpo.
Zayn non aveva mai detto quanto ne avesse sofferto, per quanto i suoi genitori, soprattutto sua madre, lo potessero vedere. Aveva preferito sballarsi, non dandolo a vedere a suo zio, o gli avrebbe fatto un’altra ramanzina… o avrebbe ricevuto qualche altra botta.
Lo aveva fatto anche prima di uscire da quel vicolo dietro al bar, dove aveva iniziato a festeggiare da solo bevendo qualsiasi cosa il barista gli desse davanti, e divertendosi poco dopo nel bagno con una ragazza qualsiasi, che aveva le sue stesse intenzioni.
Poi il suo cellulare aveva suonato e il suo migliore amico gli aveva detto di raggiungerlo, perché era arrivato il momento di divertirsi sul serio, perché era il suo compleanno.
Adesso sfrecciava su quelle strade vuote e poco illuminate, sentendo l’adrenalina scorrergli nelle vene. La droga, che gli stava dando l’effetto desiderato e l’alcol che l’aveva reso già piu’ sciolto perché troppo timido per stare al centro dell’attenzione qualche minuto dopo.
Prima che potesse voltare l’angolo, qualcosa passò davanti alla sua moto, facendolo frenare di scatto. L’attimo dopo Zayn era a terra sull’asfalto, dolorante per la botta presa sul gomito e sul fianco.
Si guardò attorno, cercando di capire cosa fosse passato, se fosse stata una persona o una sua semplice svista. Ma non vide nessuno. Era solo, su quella strada illuminata da un solo lampione che aveva iniziato a lampeggiare.
Iniziò quasi a ridere di se stesso. Pensò che fosse stato l’alcol, o forse aveva fatto l’uso di una droga a lui ancora sconosciuta, che gli dava allucinazioni del genere.
Si alzò, dolorante, e quando alzò lo sguardo, davanti a sé vide una strana ombra nera, che fluttuava nell’aria, come se fosse fumo, ma sembrava piu’ denso.
A quel punto, pensò di aver perso completamente la testa. Forse era stata la botta, la droga, l’alcol, forse tutto insieme.
Sbattè le palpebre un paio di volte ma quell’ombra era ancora lì, davanti a lui. Non ebbe il tempo neanche di dire qualcosa, anche un imprecazione, che quell’ombra si era scagliata contro di lui.
Lui fece un passo indietro perché l’urto era stato troppo forte, per cercare di non cadere a terra, e si guardò il petto, le braccia, le mani. Quell’ombra sembrava essere scomparsa dal nulla, come se fosse morta non appena si fosse scagliata contro il suo corpo.
Pazzo. Così si sentiva. Avere le allucinazioni proprio il giorno del suo compleanno. Lo avrebbe raccontato ai suoi amici poco dopo, ridendo con loro per le prese in giro che gli avrebbero fatto.
Poi, dolore.
Un dolore atroce, che sentiva in tutto il suo corpo, che lo fece urlare e accasciare a terra, mentre si contorceva sulla strada.
Tutto gli faceva male. La testa era come se gli fosse compressa tra due grandi mani, vene che si ingrossavano sempre di piu’… che si coloravano di nero. Qualcosa che lo stava rendendo debole ma allo stesso tempo forte, come mai lo era stato prima.
Qualcuno, che gli sussurrava parole in una lingua che lui non conosceva, ma che in quel momento sembrava conoscesse.


«”Tu sei il prescelto”. Capisci, piccola? Sono un fottuto prescelto del cazzo. Colui che è stato destinato a distruggere qualsiasi cosa su questa terra creata da mani nemiche.»
Lydia, nel bel mezzo del racconto, aveva posato gli occhi su di lui, ascoltando ogni sua singola parola. Riuscì a vedere e a capire quanto fosse difficile per lui farlo e per questo apprezzò molto di piu’ quel gesto. Non immaginava che fosse così complicato per lui parlarne. Si stava confidando con lei, si stava mettendo a nudo del tutto e gli era grata per questo. Perché nonostante il suo stato mentale, lui ancora le parlava, ancora si fidava, ancora riusciva a farla sentire giusta.
«Dopo il dolore svanì e quando provai a rimettermi sulla moto, si ruppe, appena la sfiorai. In mille pazzi, sparsa su quella strada.» disse. «Non capivo nulla. Non riuscivo a credere a ciò che mi era successo, a ciò che avevo fatto alla mia moto.» sorrise appena «Per un attimo ho pensato che stessi sognando…» lasciò quella frase in sospeso, perché non sapeva continuarla, non sapeva dire altro. Forse solo perchè pensava ancora che lo stesse facendo, che stesse sognando, ma quando guardava Lydia, capiva davvero che era così. Perché lei era reale, la cosa piu’ vera che avesse potuto avere nella sua oscura vita.
«Stavo iniziando a rompere le strade anche solo camminando. Che cosa assurda. Ma comunque, tornai a casa… ricordo ancora la faccia di mio padre…»

«Zayn, cosa succede?» chiese Yaser, assonnato. Zayn li aveva svegliati urlando, perché non poteva aprire la porta, o l’avrebbe rotta.
«I-io… io n-non lo so…» riuscì a dire Zayn, preso dal panico, con gli occhi lucidi. Non riusciva a fare un pensiero sensato o logico. Stava accadendo tutto troppo in fretta.
Non sapeva di preciso perché fosse andato a casa sua, perché avesse svegliato i suoi genitori. Gli era sembrato il pensiero piu’ sensato che avesse potuto fare.
Suo padre lo guardò, confuso, e solo quando guardò sotto ai suoi piedi, vedendo le crepe sulla strada, capì.
Neanche lui riusciva a crederci.
«Zayn…» gli disse, provando ad avvicinarsi.
«No, non mi toccare!» quasi urlò lui, allontanandosi, col respiro pesante.
«Zayn, calmati, va tutto bene. Non devi andare in panico, devi solo calmarti.»
«Come faccio a calmarmi?! Ho distrutto la mia moto solo toccandola! Quando cammino… sembra che distrugga la strada! Appena tocco qualcosa si rompe!» sbottò. Un secondo dopo, le lacrime gli stavano rigando le guance. «Che cosa mi sta succedendo…» sussurrò dopo un po’.
Gli sembrava così assurdo urlare quelle cose, soprattutto contro suo padre, che lo avrebbe preso per pazzo. Lui si sentì così. Erano così troppo anormali, troppo sovrannaturali. Era impossibile. Ma per un attimo pensò che suo padre potesse aiutarlo, per quanto tutto quello potesse essere completamente surreale.
«Zayn.»
«Non sono pazzo, papà. Credimi-»
«Lo so che non lo sei… queste cose sono successe anche a me.»
Il moro lo guardò confuso, con gli occhi colmi ancora di lacrime. «Cosa?»
Lo guardò prendersi la testa tra le mani, sentendo singhiozzi soffocati e trattenuti. Occhi che quando si posarono su di lui, erano lucidi, come i suoi e pieni di scuse che ancora non riusciva a capire per cosa.
«Mi dispiace così tanto, Zayn…»
«Che succede papà?» chiese, piu’ confuso e in panico di prima.
Sentì anche il pianto di sua madre dietro la porta, che riuscì a spezzargli per la prima volta il cuore. Non era la prima volta che la sentiva piangere, ma in quel modo mai. Riuscì a sentirla distrutta, ma non capiva ancora per cosa.
Suo padre lo stesso. Non piangeva, ma vedeva la disperazione sul suo volto e il dispiacere nei suoi occhi.
Poco dopo, avrebbe capito perché.


«Era così dispiaciuto… per tutta la notte non aveva fatto altro che chiedermi scusa. Mi disse che lo era stato anche lui, che si era salvato solo per l’amore di mia madre. Assurdo.» commentò. «Mia madre aveva pianto per tutta la notte, chiedendomi scusa insieme a mio padre, perché avrebbero preferito non mettermi al mondo se ero destinato a soffrire così tanto. Non me la prendo, lo hanno detto perché mi volevano bene. Volevano il meglio per me… ed io non li ho mai apprezzati come avrei dovuto. E l’ho capito troppo tardi.»
Lydia sentì la sua voce rompersi in quell’ultima frase, ma non lo vide scomporsi neanche un po’. Lo sguardo fisso sul pavimento, rigido, a mascherare le sue emozioni che lo rendevano fragili in un aspetto e in un corpo forte.
«Morirono quello stesso giorno, nel pomeriggio, in uno schifoso incidente d’auto. Erano usciti per me, perché mio padre diceva di conoscere qualcuno che mi avrebbe aiutato. E’ colpa mia se adesso non ci sono piu’.»
Erano anni che lui non parlava dei suoi genitori con qualcuno. Le aveva si accennato qualcosa, ma non era mai andato così affondo come in quel momento. E per una parte gli era stato d’aiuto, perché adesso si sentiva piu’ libero, con un peso piu’ leggero di quanto in realtà non fosse. Ma comunque, parlarne, gli faceva male, rendendosi ancora piu’ colpevole di quanto non si sentisse già.
Un tocco sulla sua mano lo fece voltare verso di lei, sorpreso.
Lydia gli stava toccato il mignolo col suo indice, stringendosi a lui, come a collegarli, legarli.
La sua mano era fredda, ma la sua pelle era ancora liscia e lui sentì la stessa sensazione di quando la tocco per la prima volta. Era come se stesse rivivendo tutto e quel momento sembrò perfetto comunque, nonostante quella drastica realtà.
Il contatto visivo non ci fu. Gli occhi di Lydia erano fissi sulla sua mano, sulle loro dita intrecciate per suo volere. E lui si sentì finalmente in pace, giusto. Erano giorni che non la toccava, che non entrava in contatto con qualsiasi parte del suo corpo, e solo in quel momento riuscì a capire quanto ne avesse bisogno, di quanto anche un suo semplice tocco riuscisse a farlo sentire bene. Era come se avesse ripreso a respirare di nuovo, a vivere, a non sentirsi piu’ vuoto.
Istintivamente provò a stringere la sua mano nella sua, ma appena ci provò, Lydia ritirò la mano verso di sé. Fu sollevato dal non sentire il suo cuore battere forte.
«No, no, no.» disse subito. «Va bene, non ti toccherò, tranquilla. Scusami.» ma sembrò non tranquillizzarla comunque.
Sospirò e si accovacciò al letto, davanti a lei. «Tu sai che non ti farei mai, e poi mai del male, vero?»
Lei non rispose, ma Zayn le fu grato di mantenere il contatto visivo con lui, riuscendo a vedere in quelle iridi, seppur spente, che lo credeva.
«Mi dispiace di non essere stato in grado di proteggerti.» sussurrò dopo un po’.
Avrebbe voluto accarezzarle la guancia, passare il pollice su quel graffio piu’ chiaro, ma che sembrava non volesse andare via del tutto. Toccare la sua pelle, adesso sicuro che fosse ancora liscia, ma col rischio di riuscire a sentire sotto i suoi palmi le sue ossa fragili. Gli piaceva immaginare che sarebbe riuscito a confortarla sotto quel gesto, ma era un pensiero di cui non avrebbe avuto una reale risposta.
«Ti prego, Lydia. Mangia.» le pregò. «Ti prego.» ripetè, questa volta con gli occhi appena lucidi. «Posso sopportare di non sentire la tua voce, di non toccarti, ma non che tu non mangi. Non lasciar morire il tuo corpo. Non farti questo… lo fai anche a me.» sussurrò in fine.
Lydia continuò a tenere il contatto visivo con lui, sentendosi quasi incolpa sotto quelle sue piccole suppliche. Incolpa perché in quei giorni non le era passato per la testa che quel suo comportamento, quel suo star male, potesse colpirlo in qualche modo. Per tutto il tempo, non aveva fatto altro che evitarlo, di non farsi guardare, di restare girata dall’altra parte solo per non guardarlo. Provava a tenere a freno i suoi pensieri, quelli che le facevano desiderare di toccarlo, almeno un po’, ma che il corpo le aveva impedito di fare.
Non era riuscita ad avere neanche la forza di sorridere, di parlare, di fare un minimo gesto verso di lui o Cher, se non quella di riuscire a vomitare. Adesso non lo faceva nemmeno piu’. Anche il suo stomaco si era svuotato, come tutto, dentro di sé.
Voleva dirgli che ci provava, ma il suo stomaco sembrava non voler accettare nulla e che lei non ne sentiva il bisogno, oltre al bere solo acqua. Voleva anche dirgli che le dispiaceva per averlo ferito in qualche modo, che non era sua intenzione farlo, perché gli credeva quando diceva che lo feriva. Lo vedeva lì, nei suoi occhi, quanto fosse vero, e non poteva piu’ permetterlo.
Abbassò lo sguardo, incapace di guardarlo ancora, per quei nuovi sensi di colpa, per vergogna. Lo sentì poi sospirare, alzandosi. Lei si strinse alla coperta, coprendosi un po’ di piu’ per scaldarsi. Sentiva molto piu’ freddo.
Zayn tornò poco dopo con una grande coperta. «Credo che tra un po’ iniz-» si bloccò sentendo un tuono, che sembrò scuotere tutta la casa.
Lydia sobbalzò e istintivamente si nascose il viso sotto la coperta.
Il moro non potè fare a meno di sorridere, il suo primo sorriso spontaneo in quei sette lunghi giorni. «Hai paura dei tuoni e non di me. Questo ancora non me lo spiego.»
Di solito Lydia lo rimproverava con lo sguardo, o con un piccolo schiaffetto sul braccio, e si aspettava che adesso lei scoprisse il suo volto e lo guardasse, facendogli credere che davvero non era un mostro come in realtà si sentiva, ma non accadde. Si scoprì solo dopo un po’, ma i suoi occhi non si puntarono su di lui.
Lydia restò immobile mentre lui stendeva l’altra coperta. Non la toccò neanche per un secondo. Avrebbe potuto farlo quando voleva, anche quando dormiva, ma non l’aveva mai fatto e lei gli era grata per questo.
Il cuore di Zayn battè forte ad un ennesimo tuono e gli uscì un altro sorriso, dolce, intenerito da quella scena che gli si era prestata davanti.
«Prova a dormire, okay? Così non ci pensi.» le mormorò.
Ma lei non voleva dormire, per quanto stanca fosse, non aveva intenzione di farlo. Non voleva rivedere quei volti e sentire di nuovo le mani di Kole che provavano a toccarla, o che lo facevano. O rivedere ancora sua madre che moriva sull’asfalto. Ma l’attimo dopo lo stava già facendo, con quei pensieri che le ronzavano ancora in testa.
Zayn le restò accanto ancora per un po’, prima che si alzasse e prendesse il cellulare, facendo le sue solite chiamate.
Per mezz’ora, il suo cuore era stato calmo, segno che Lydia non stesse facendo qualche incubo. Mentre era al telefono, camminava per la casa, andando a controllarla di tanto in tanto.
Bussarono alla porta e lui andò ad aprire, facendo entrare Cher, che era mezza fradicia per via della pioggia.
La salutò con un cenno di capo mentre ancora era al telefono.
La ragazza fece da sé; si tolse il giubbino, posandolo sull’attaccapanni e andò in bagno, scoprendo per un attimo lo specchio per aggiustarsi i capelli per poi coprirlo di nuovo.
«A che ora te ne andrai?» gli domandò Cher.
«Tra poco.» rispose lui vagamente, mentre maneggiava il suo telefono.
Lei prese a sistemare la nuova spesa nei mobili, che si riempivano ogni giorno di cibo che non veniva toccato da nessuno dei due.
Il rumore forte del tamburo nel suo petto lo riprese dai suoi pensieri, facendolo voltare subito verso la sua camera.
Lydia si lamentava silenziosamente, girandosi e rigirandosi tra le coperte.
Si affrettò nell’avvicinarsi, accovacciandosi vicino al letto. «Shh… Lydia, va tutto bene…» le sussurrò.
Ma quei dolci sussurri non la calmarono, tanto che si svegliò di soprassalto, respirando profondamente. Istintivamente, strinse la mano di Zayn che era sul letto, forte. La guardò per un po’, cercando di rendersi conto che aveva avuto solo un incubo, che le mani di Kole non erano reali quanto quella di Zayn.
«Va tutto bene, piccola, tranquilla…» le sussurrò ancora il moro, ricambiando quella piacevole stretta. Lei non si retrasse come era successo qualche ora fa, anzi, sembrasse volere proprio questo.
Lydia iniziò a respirare con calma, facendosi confortare da quei mormori che Zayn le diceva e strinse quella sua mano anche nell’altra, facendole piu’ vicine a sé.
Il calore della mano di Zayn sembrò calmarla del tutto e lui prese ad accarezzare il loro dorso con il pollice, dicendole ancora una volta che andava tutto bene, che c’era lui.
Cher rimase appoggiata allo stipite della porta, guardando quella scena intenerita, liberandosi quasi di un peso che era convinta di non avere non appena aveva posato gli occhi sulle loro mani intrecciate.
Zayn si voltò verso di lei. «Credo che resterò un altro po’…»
Le venne da sorridere appena. Gli diede un ultimo sguardo per poi voltarsi e ritornare in cucina a sistemare i prodotti.
Il moro prese coraggio e iniziò a sedersi sul letto, senza lasciare le sue mani, anche perché Lydia non glielo permetteva. Lei gli fece spazio e lui fu libero di stendersi, accanto a lei, senza toccarla come avrebbe in realtà voluto. Non sapeva se lei l’avesse fatto perché voleva che fosse così, o per evitare che la toccasse, ma non ci pensò molto. Provò a fregarsene.
Per quanto i loro visi fossero vicini, i loro occhi non entrarono in contatto neanche un attimo. Lydia evitava che accadesse. I suoi occhi restarono fermi a guardare il loro timido e forte intreccio.
«Dormi, adesso. Io sono qui.» sussurrò Zayn.
Lei gli diede ascolto, perché se lui fosse stato davvero lì sarebbe stata davvero piu’ tranquilla. Perché quel semplice tocco era riuscita a tranquillizzarla per davvero, a sentirsi meno sporca e vuota come invece si era sentita per quella intera settimana.
Questa volta, lui mantenne la sua promessa, perché restò lì, steso accanto a lei, a guardarla dormire con la sua mano tra le sue.

—— ————


Zayn camminò sotto quella pioggia fine ripensando a come era stato costretto a lasciare Lydia.
Aveva sfilato lentamente la sua mano dalle sue cercando di non svegliarla, e il secondo dopo in cui ci era riuscito, Lydia aveva iniziato a agitarsi di nuovo nel sonno.
Non aveva potuto fare niente se non chiedere a Cher di stare al suo fianco al suo risveglio, cosa che sarebbe successa subito, secondo lui.
Ripensava ancora a quel tocco bisognoso che quelle mani fredde avevano cercato, da lui, e a come avesse avuto una conferma di ciò che era sicuro di sapere.
Era riuscito a sentire le sue ossa, a vederle. La sua pelle sembrava assottigliarsi sempre di piu’. Con un po’ di coraggio, aveva scoperto il suo polso e l’osso sembrava volesse uscirle del tutto fuori.
Era per questo che l’aveva lasciata, perché non era riuscito piu’ a sopportare di guardare quelle sue condizioni. Era stato costretto a farlo alla vista di quel corpo che piano stava scomparendo.
Lydia aveva seriamente bisogno di mangiare, di mettere forze, e lui aveva seriamente bisogno di non abbattersi come oramai stava facendo.
Arrivò al posto dell’appuntamento, trovando già il suo migliore amico.
«Cazzo, amico, dovresti farti la barba. Sembri un barbone, uno di quelli sotto ai ponti.» gli disse Louis.
Lui lo ignorò e si appoggiò al muro, accanto a lui, mettendosi il cappuccio della felpa e iniziando ad accendersi una sigaretta.
«Lydia ancora non ti parla?»
Zayn scosse il capo, aspirando.
L’amico sospirò. «Vuoi parlarne? Non so.»
«Cosa dovrei dire? Che la mia ragazza non mangia da sette fottuti giorni ed io non so che cazzo fare?»
Louis preferì restare in silenzio, aspettando che il suo amico trovasse il coraggio di parlare. Neanche lui, in quella settimana, aveva parlato, o almeno non aveva detto molto se non il necessario. Lo aveva visto anche poco. Zayn faceva il suo dovere e poi tornava a casa, senza pensarci due volte, e lui non lo biasimava perché avrebbe fatto lo stesso. E anche lui si sentiva impotente, perché non sapeva consolare il suo amico, non sapeva dirgli parole di conforto o addirittura promettergli che Lydia si sarebbe ripresa presto, perché non poteva saperlo. Tutto ciò che poteva fare era stargli accanto, ascoltare anche il suo silenzio, composto da sguardi di dolore.
«Oggi mi ha toccato.»
«Davvero?! Visto? Aveva bisogno solo di un po’ di tempo.»
«Lo ha fatto solo per poco… e avrei preferito che non lo facesse.» ammise.
«Perché?» domandò Louis, confuso.
«Sono riuscito a sentire la sue ossa… a vederle.» sussurrò, per poi fare un tiro dalla sigaretta. «Sta dimagrendo troppo, Louis, e se non provo a convincerla a mangiare, le cose peggioreranno.»
«Non puoi costringerla a mangiare, peggiorerai il suo stato mentale.»
«Preferisco che mi odi per costringerla a farlo che vederla piano morire.»
Riusciva a sentire il dolore nella sua voce, quello che cercava di mascherare da giorni, ormai. Ma Louis lo conosceva bene, fin troppo, e non lo aveva mai visto così giù dopo la morte dei suoi genitori.
Sapeva, vedeva, che per quella ragazza avrebbe fatto qualsiasi cosa, anche farsi odiare a morte per sempre, pur di vederla viva e felice, anche senza di lui. Non avrebbe permesso che lei non si curasse, che si lasciasse morire nel suo letto, tra le sue lenzuola che oramai profumavano di lei e che quell’odore non sarebbe mai svanito.
Louis gli strinse una spalla. «Hey, Lydia si riprenderà presto. E’ una ragazza forte, ha piu’ palle di te.»
Per la prima volta, davanti a lui, Zayn ebbe la forza di sorridere appena. «Già…» mormorò, aspirando per poi cacciare il fumo dopo un po’.
Il suono di un clacson li riprese, facendoli scattare verso la macchina.
«Bella barba.» disse Hale, quando il moro si sedette sul posto del passeggero.
Zayn non lo degnò nemmeno di uno sguardo. Continuò a fumare la sua sigaretta.
«Qualcuno è su di giri in questi giorni.» commentò ancora il ragazzo, iniziando a guidare per le strade.
«Facciamo questa cosa e basta, Hale.» disse il moro.
«Agli ordini, Malik.»
«Chi c’è nella macchina dietro?» domandò Louis.
«Oh, i soliti, con una new entry.» rispose Hale.
«E chi sarebbe?»
«Non ne ho idea e onestamente non me ne frega un cazzo saperlo.»
Arrivarono all’inizio della strada e Zayn e Louis iniziarono a mettersi i passamontagna. Louis passò la mitraglietta all’amico ed entrambi si prepararono con le armi fuori ai finestrini. Quando arrivarono fuori al bar, iniziarono a sparare, senza sosta, a tutti quegli uomini che se ne stavano seduti a tavolino. Qualcuno riuscì a ricambiare il fuoco, ma la macchina dietro sterminò gli ultimi sopravvissuti a quella strage.
Arrivarono alla fine del vicolo vittoriosi, iniziando a togliersi i passamontagna, esultando insieme, tranne uno.
«Cazzo, Zayn! Stai bene?» gli chiese Hale.
«Si, perché non dovrei?»
«Pensavo che quel figlio di puttana ti avesse colpito al gomito.»
«Sto bene.» disse, iniziando a togliersi la giacca sotto lo sguardo confuso del suo compagno. «Ho caldo.» si giustificò.
«L’adrenalina.» commentò quest’ultimo.
Ma no. Zayn non aveva caldo. Si stava togliendo la giacca per evitare che gli occhi curiosi di Hale vedessero il buco che aveva sul gomito.
I due in macchina presero a parlare e lui ne approfitto per chiamare Cher, per sapere se fosse cambiato qualcosa, se Lydia fosse riuscita a fare un minimo sforzo nel mangiare.
«No, non l’ha ancora fatto.» disse Cher dall’altra parte del telefono, amareggiata. «Non ha cercato neanche un contatto, come ha fatto con te.»
Il moro si passò una mano sul viso, respirando profondamente. Era così arrabbiato e frustrato che si sarebbe graffiato la faccia per il nervoso.
«Conosci una certa Allison?» gli domandò la ragazza.
«No, perché?»
«La sta chiamando in continuazione sul cellulare.»
«Oh, si… è la sua migliore amica. Non vuole rispondere neanche a lei?»
«No.»
«Okay… continua a provare a farla mangiare.»
«Si, va bene.» e chiuse la chiamata.
Zayn stava iniziando a perdere completamente le speranze. Per quanto il suo tocco potesse significare un piccolo miglioramento, non credeva succedesse per davvero. Se non voleva sentire neanche la sua migliore amica, che probabilmente la conosceva piu’ di tutte ed era la persona con cui si sentiva piu’ a suo agio, come pretendeva che si riprendesse con lui al suo fianco?
Anche se il pensiero gli era passato per la mente un paio di volte, non voleva lasciarla. Non in questo momento, quando aveva piu’ bisogno di qualcuno al suo fianco. E lui voleva essere quel qualcuno, ma si sentiva inutile, e non riusciva neanche a negare che il non sentire neanche la sua voce lo stava facendo uscire letteralmente pazzo.
Quando arrivarono alla base, Hunter non perse tempo a chiamarlo da parte. Lui non potè fare a meno di sbuffare. Quella era la nuova ramanzina della settimana, e sentiva che gli avrebbe risposto male, per quanto esaurito e preoccupato era.
Suo zio poggiò bruscamente un giornale sulla scrivania. «Un animale.» disse.
Il moro si sporse, leggendo la prima pagina: “Il malavitoso e il suo complice uccisi da un animale”. Giorni fa avrebbe riso, ma adesso non ne aveva voglia.
«Quel pezzo di merda si è beccato anche la prima pagina… pazzesco.» commentò Hunter, con un pizzico di ironia. «A me dovranno farci un giornale, scriverci libri su come ho messo in ginocchio una merdosa città.»
«Già…» disse il moro.
«Ho voluto credere che l’avessi fatto per me, perché era uno dei miei problemi, ma poi ho fatto le mie ricerche. O almeno loro le hanno fatte per me.»
Zayn lo guardò, aspettando che continuasse.
«Lydia viveva con lui, non è vero?»
«Oh, non ci provare. Non tu.» sussurrò Zayn, stringendo le mani a pugno.
«Non è partito nulla da me.» si giustificò Hunter.
«Ti avevo chiesto di tenerla lontana da questa merda!» sbottò Zayn. «Cazzo! E’ l’unica cosa che ti ho chiesto!»
«Devo solo-»
«No! Tu non farai un cazzo! Lei non c’entra nulla!»
«Zayn.» tentò lo zio.
Ma lui non voleva sentire le sue ragioni, non voleva sentire piu’ nessuno.
Prese la sedia e la sbattè contro il muro, rompendola in mille pezzi. Non riuscì a vedere neanche la faccia che fece suo zio perché uscì subito dalla stanza. Non gli fregava neanche scusarsi in qualche modo.
Non si fece fermare neanche da Louis, che confuso gli si era avvicinato chiedendogli cosa fosse successo.
Camminò verso l’uscita e prima che potesse chiudere la porta, mandò tutti a fanculo.

—— ————


Aprì la porta e la chiuse, sbattendola.
Gettò la sua giacca sul divano e si recò in bagno per sciacquarsi la faccia, cercando di calmarsi, in qualche modo.
Quel pomeriggio era stato troppo intenso. Stava seriamente pensando di mandare a fanculo tutto, ma sapeva che non gliel’avrebbero permesso, per quanto avesse potuto dimostrare che non gliene fregava davvero nulla di quel mondo. Non piu’, ormai.
Uscì e si avvicinò al frigo, prendendo una birra. Sapeva oramai da anni che quell’alcolico non gli dava l’effetto desiderato, ma preferiva comunque sentire il suo sapore.
Si sedette sul divano, iniziando a prendere i primi sorsi e sentì i mormorii di Cher dalla stanza.
Lei lo diceva sempre: le parlava, anche se non aveva mai avuto una sua risposta. Lo faceva ogni volta. Diceva che magari potesse aiutare, in qualche modo.
Lui non ce la faceva, non del tutto, almeno. Per quelle poche volte che lo aveva fatto, dopo si era sentito idiota e stupido. Forse quel giorno era stato fortunato perché Lydia gli aveva dato una minima risposta, un primo e vero tocco, ma sembrava non bastare. Non per lui, che ancora non riusciva a sopportare di averla così, di non sentirsi piu’ un “loro” che li aveva rappresentati per tutti quei lunghi mesi. Non la sentiva piu’, la sua Lydia, e dopo quei lunghi giorni, ancora non sapeva cosa fare o dire. Perché lei ancora non mangiava, Cher non era riuscita a farglielo fare, e neanche lui. Non aveva ancora detto una parola. Non aveva ancora pianto.
Non badò neanche a Cher che gli passò davanti per andare a mettersi il cappotto, il suo sguardo era fisso sul tavolino davanti a sé.
«Io, mh… be’, vado.» disse Cher.
Lui fece un semplice cenno di capo, iniziando a guardare la bottiglia di birra, con i gomiti poggiati sulle ginocchia e il capo chino, preso dai suoi continui pensieri che giravano attorno ad una sola persona.
«Quanto tieni a quella ragazza?»
«Troppo.» rispose, senza guardarla.
«Quanto la ami?»
Amarla? Era già arrivato a farlo? Era in grado di farlo? Ed era così che ci si sentiva? Ad essere in grado di dare qualsiasi ad una persona pur di farla felice anche solo per un attimo, di fare davvero qualsiasi cosa per lei, di darle tutte le certezze del mondo per dimostrarle che gli appartieni e che non vorresti nessun’altro se non lei. A voler cambiare, perché sai che tu non sei il meglio per lei ma vorresti diventarlo. A non voler fare un minimo sbaglio pur di non perderla. Di non farla soffrire per nessuna ragione al mondo, perché quella sofferenza è anche tua. A farti uccidere sul serio, se fosse necessario, per salvarle la vita. A diventare il suo guardiano, per difenderla da tutti i mali di questo mondo che non la merita, e forse nemmeno tu, ma sei così egoista da tenerla stretta a te perché hai bisogno di lei.
E cos’era l’amore se anche una pura sofferenza nel sentirsi impotenti a non poter regalare la felicità alla persona che ti ha salvato? Incapaci di riuscire a ricambiare quel favore, perché quel suo dolore sta uccidendo anche te, lentamente. Era anche questo? Condividere quello stesso male, sentendolo nelle vene che piano ti risucchia le forze, ma tu ancora combatti per vedere l’ultima volta il viso di chi sei convinto che possa salvarti, che possa salvare entrambi.
Non sapeva se l’amava, ma se fosse stato così, lo stava facendo nel mondo sbagliato.
Ebbe il coraggio di guardarla, poi abbassò di nuovo lo sguardo, vergognandosi di quella confessione che gli avrebbe fatto qualche secondo dopo. «Non quanto lei meriti.»
«Lo fai, invece.» rispose sicura Cher.
Lui sorrise, non guardandola, solo perché trovava quell’affermazione del tutto insensata, non vera. Fece un altro sorso di birra mentre la guardava sparire dietro la porta d’ingresso.
Alcolico e pensieri. Pensieri e alcolico. Andò avanti così per un po’, seduto su quel divano a guardare il vuoto, come faceva la sua ragazza. Per un attimo riuscì quasi a capirla. In quel vuoto non sentiva nulla, non provava nulla, sentiva che non doveva preoccuparsi di niente, ma i suoi pensieri continuavano a martellargli il cervello, tanto da fargli prendere la testa dalle mani e volerla opprimere sul serio, per farli zittire, ma non ci riusciva. Aveva bisogno di qualcosa che lo distraesse, ma una voce ancora non si faceva sentire.
Si alzò, in panico e allo stesso tempo nervoso, e prese a camminare avanti e indietro, pensando ancora e ancora. A come trovare una soluzione per quella situazione, ad un bene per Lydia, ad un rimedio per quel silenzio assordante che lo stava divorando del tutto. Non lo sopportava.
Quando guardò per l’ennesima volta nella stanza, vedendo sul comodino il piatto con dei panini intatti, non ci vide piu’.
Entrò in camera, trovandola seduta sul letto che guardava lo schermo nero del suo telefono. Alzò lo sguardo verso di lui dopo un po’.
«Per sette giorni ho provato ad andare avanti rispettando il tuo volere. Ho cercato di ignorare le tue guance quasi incavate e i tuoi polsi sottili,» lei, istintivamente, si coprì ancor di piu’, coprendo le sue mani nelle maniche della sua felpa. «ma adesso non ne posso piu’. La verità è che non sopporto di non toccarti, di non baciarti, ma per quanto voglia farlo, ti rispetto, perché è ciò che vuoi. Ma almeno, fammi sentire la tua voce. Cazzo, sto impazzendo a non sentirti. Dimmi che vuoi essere lasciata sola, dimmi che sono un pezzo di merda per non essere stato in grado di proteggerti, dimmi che sono uno stronzo perché non sono capace di prendermi cura di te, urla, lanciami anche qualcosa addosso se ti fa sentire meglio, ma fallo. Cazzo, Lydia, ti prego, fallo. Non offrirmi questo silenzio perché mi opprime, non lo sopporto. Non riesco a sopportare nemmeno questa distanza tra me e te. So che c’è, e non so che cazzo fare perché tu non mi dai un minimo segno. Ho paura di sbagliare, cazzo se ne ho. Se faccio qualcosa di sbagliato, ti perdo piu’ di quanto non stia già facendo. Mi sento impotente, non ho idea di come farti sentire meglio. Tu non mi parli, non mi dici come stai, non mangi. A malapena mi guardi, e quella volta che lo fai, i tuoi occhi mi trafiggono. Non tenerti tutto dentro, non combattere da sola, parlami del tuo dolore, lo affrontiamo insieme. Posso prendermelo anche io, pur di farti stare meglio, ma lascia che lo faccia. Lasciami provare a guarirti, lascia che ti aiuti, che cancelli o ti aiuti a dimenticare il tuo dolore.»
Lydia restò lì impalata a guardarlo, non sapendo fare altro, come sempre in quei giorni, ormai. Non si aspettava delle parole del genere, non si aspettava neanche che lui avesse bisogno di sentirla, di toccarla. Si stupì nel capirlo mentre lui parlava, perché si sentiva quello strano bisogno che aveva… di lei. Ma anche adesso, che aveva avuto un’ennesima conferma da lui, non riusciva ad andare oltre quel muro che si era creato. Eppure quella mattina ci era riuscita a toccarlo, anche per un po’, adesso, se doveva farlo del tutto, non ci riusciva. E si odiava per questo, perché per quanto lui avesse bisogno anche solo di sentire la sua voce, lei aveva bisogno del suo tocco, sulla sua pelle… ma continuava ad avere paura che lui potesse sporcarsi del suo male, che in quella settimana, ancora non era andato via.
«Sto diventando pazzo.» ammise Zayn. «Ho davvero bisogno di sentirti, Lydia… tu non ne hai la minima idea. Dimmi cosa fare perché io davvero non lo so.» le disse. «Farò qualsiasi cosa.»
Il loro contatto visivo durò poco, perché lei abbassò lo sguardo, iniziando a giocare con le maniche della felpa.
«Parlami, Lydia.» le disse di nuovo Zayn, cercando di mantenere la calma. Perché si, stava perdendo la pazienza.
Forse era stato troppo duro, ma non aveva potuto farci niente. Aveva bisogno di dirle come si sentiva, di come lo facesse sentire pazzo e impotente vederla così e non sentirla. Perché se lei stava male, anche lui lo era. Era una conseguenza che lei forse non si era posta, forse perché ancora non si era resa conto di quanto affondo gli fosse entrata nel corpo e nella vita. Il suo male era anche il suo.
Lei non lo fece, non gli parlò, e lui uscì dalla stanza con le mani strette a pugno, trattenendosi dallo spaccare qualsiasi cosa gli fosse davanti.
Voleva capire come si sentisse, che gli dicesse cosa fare per risolvere quella situazione, per trovare una soluzione. Gli aveva detto che avrebbe fatto qualsiasi cosa, si era messo a completa disposizione per fare tutto, ma il silenzio era stato, di nuovo, una risposta.
«… mh, sono io, Allison. Be’, ovvio, dovresti riconoscere la mia voce… o forse non piu’. Sto provando a chiamarti da una settimana ma tu non mi rispondi. Non hai tempo? Ho fatto qualcosa di sbagliato? Ti e’ successo qualcosa? Voglio sapere come te la stai passando senza di me. Ho un sacco di cose da raccontarti e so che anche tu ne hai. Mi manchi. Spero di sentirti presto. Be’… ciao.»
Il suono di quel messaggio vocale nella segreteria del telefono lo aveva fatto fermare al centro di quel salone, come uno stupido.
Dopo quel suono, il silenzio regnò di nuovo sovrano in quella casa. Poi, qualcosa lo ruppe.
Un pianto.
Zayn tornò di nuovo in camera, vedendola con le mani coperte dalla felpa contro il viso, mentre soffocava quell’atteso e timido pianto.
Si sedette sul letto. «Lydia…» mormorò dolcemente. «Vieni qui.»
Lei piano si avvicinò e lui la strinse a sé, facendola piangere, finalmente, contro il suo petto.




Hello girls!
Come staaaaaate?
Io mi sento esaurita per la scuola.
Non vedo l'ora che finisca, che mi prenda questo diploma e fine.
(che poi ho ancora dubbi se continuare o meno ma lasciamo perdere)

Allora, vi è piaciuto?
Ammetto di non essere per niente soddisfatta di questo capitolo,
infatti è stato un parto perchè la voglia di scrivere non c'era proprio.
Quindi, spero che possa piacervi, nonostante il mio giudizio.
Adoro solo il fatto che Lydia abbia finalmente pianto nel sentire la voce della
sua migliore amica.
Zayn è cucciolino impotente ):
E avete visto? Forse la ama già?... Chi lo sa.

C'è stato un grosso calo di recensioni, perchè? ):
Devo anche ammettere che quel numero mi ha bloccata un pò.
Insomma, ho pensato subito che la ff non vi piacesse piu'.
Ma comunque, sono andata avanti. Poche o molte che siano,
devo portarla al termine, come vi ho sempre detto.
E non è colpa vostra se non recensite o meno, CHE SIA CHIARO.
Voi siete libere di farlo o no, nessuno vi dice nulla, tanto meno io.

Guardate che angioletto che è la nostra Lydia *-*





Questo è il "disegno" di Zayn.



ADORO.

Grazie per seguire la storia e scrivermi il vostro affetto per questi due.
Davvero, grazie mille.
Vi adoro davvero un sacco cwc

Facebook: Tisdalesvoice Efp
Twitter: @infinitynaples
Ask.fm: @TisdalesvoiceEfp (fatemi tanto domande, eh!)

Adesso mi dileguo.
Peppina vi ama sempre e comunque.
chiss chiss, peppina.

   
 
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