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Autore: fabyoletta    27/02/2015    0 recensioni
La Dottoressa Bell, psicologa di rinomata fama a New York, pensava di aver visto e sentito di tutto durante la sua lunga carriera professionale. Di certo, non immaginava che un giorno avrebbe avuto in cura qualcuno come Elizabeth Reed: un vampiro. Tra sedute, confessioni e storie di vita vissuta, la Dottoressa verrà condotta alla scoperta del mondo parallelo dei "non morti" e dell'importante ruolo giocato al suo interno dalla giovane vampira.
Tratto dal capitolo 4
“Pregai Dio di aiutarmi. Mio padre era cattolico e ci aveva sempre costretto ad andare in chiesa. E pur non essendo mai stata una vera praticante, credevo in Nostro Signore” sospirai, chiudendo gli occhi. Rividi il volto sorridente di Micah. Percepii il sapore metallico del sangue riempirmi la bocca. Gli occhi terrorizzati del signor Carroll.
“Ma Dio, aveva altri progetti per me”.
Genere: Fantasy, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
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CAPITOLO 9 

“Cos’è stato?” urlai, alzandomi di scatto dal sudicio giaciglio sul quale ero raggomitolata.
“Credo che qualcuno sia venuto a fare visita a quelli del piano di sopra” rise Lucian oltre la cella. Non sentivo la sua voce da quelli che credevo essere giorni.
“Erano degli spari” dissi, avvicinandomi piano alle sbarre per cercare di vedere qualcosa oltre lo stretto corridoio illuminato che portava agli scaffali dei vini.
Sentii Lucian muoversi. “Si stanno avvicinando”.
“Chi? Chi si sta avvicinando?” domandai, stringendomi le braccia al petto.
“I guardiani. Sento la loro presenza ovunque”.
Guardiani. Ancora quella strana parola. Era così che Edana aveva chiamato Matt.
“Vuoi spiegarmi chi sono questi guardiani?” sbottai.
“In una sola parola, piccola vampira, esorcisti”.
I muri della cella iniziarono a tremare, scossi come durante un terremoto. “E questo dovrebbe rispondere alla mia domanda?” chiesi, prima che una serie di urla giungessero dai piani superiori del palazzo nel quale eravamo rinchiusi.
Lui rise, per niente spaventato. “Dimentico sempre quanto poco tu sappia. Gli esorcisti sono esseri umani dal sangue misto che riescono a percepire l’etere o, per meglio dire, il male che permea il mondo dei vivi. Questo ha permesso loro di essere eretti a paladini dell’equilibrio tra male e bene sulla terra”.
Prima che riuscissi a proferire parola, un boato squarciò il silenzio della cantina seguito dal suono delle bottiglie di vetro che cadevano a terra una dopo l’altra.
“Non c’è più tempo. Devi aiutarmi a farti uscire da qui” mi urlò contro Lucian, improvvisamente spazientito.
“No! Se quello che dici è vero, Matt è uno di loro ed è venuto qui per salvarmi” urlai a mia volta, cercando di sormontare il suono del vetro in pezzi.
“Tu non capisci” ringhiò lui. “Per loro sei morta ormai.  Non sono qui per salvarti ma per distruggerti”.
Scossi la testa, indietreggiando in un angolo della cella con le braccia strette al petto. “Mi salveranno …” balbettai. “Io non ho fatto del male a nessuno”.
La risata di Lou mi raggiunse come uno schiaffo. “Povero piccola ingenua. Per loro il male è insito nella tua natura. Devi fare un patto con me e permettermi di aiutarti. Solo così potrai sopravvivere”.
“No!” urlai ancora più forte, mentre una delle due grossi botti di legno che separavano la cantina dalle nostre celle veniva spazzata via in mille pezzi. Due figure maschili vestite di scuro e incappucciate fecero quindi il loro ingresso nel corridoio, reggendo tra le mani delle pistole talmente lucide da brillare al buio.
“Elizabeth” chiamò uno dei due. Conoscevo quella voce, il suono con il quale aveva pronunciato quello che sapevo essere stato il mio nome.
“Ethan” riuscii solo a dire, allungando una mano tremante verso le sbarre della cella. La mia voce era così flebile da sembrare un bisbiglio più che un grido disperato.
Quando uno dei due uomini si levò il cappuccio, mostrando alla luce del neon il volto pallido e sudato di mio marito, ciò che era rimasto del mio istinto umano innescò in me il desiderio di scoppiare in lacrime.
Ethan si avvicinò alla cella, facendo segno all’altro uomo dietro di sé di stare indietro. “Me ne occupo io, controlla il resto” disse poi, con un tono a cui non ero abituata. L’altro fece cenno di si con la testa senza proferire parola, scomparendo oltre il fioco raggio di luce del neon appeso al soffitto.
“Ethan, devi andare via da qui … sono dei mostri” balbettai, muovendomi incerta verso le sbarre. Lui chiuse gli occhi poggiando una mano sul grosso lucchetto che mi rendeva prigioniera, pronunciando parole in una lingua sconosciuta. Un attimo dopo, una piccola luce sferzò il buio della cella e il lucchetto si sgretolò come fosse semplice terriccio sotto le sue mani.
“Come … cos’hai fatto?” domandai allibita, mentre lui si muoveva lento verso di me. Aveva le mani graffiate e macchiate di sangue che speravo non fosse suo. Uno dei due zigomi era livido, come se avesse ricevuto un pugno, mentre un rivolo di sangue gli attraversava la fronte fino a scomparire dietro  la palpebra di un occhio. La sua espressione era quasi glaciale, un uomo diverso da quello che avevo conosciuto. Non c’era il minimo segno di stupore o di gioia nei suoi occhi che brillavano al buio come piccole stelle.
“Ethan, cosa sta succedendo?” lo pregai, allungando una  mano verso il suo braccio. Lui non si scompose, limitandosi a fissare le mie dita afferrare la ruvida stoffa nera della giacca.
“Cosa ti hanno fatto” disse continuando a non alzare la testa, per poi poggiare la sua mano libera dalla pistola sulla mia.
“E’ stato orribile … io …”. La mia voce era un misto di terrore e disgusto, mentre la parola “vampiro” mi moriva in bocca. La sua mano risalì il mio braccio, soffermandosi per qualche istante nell’incavo spalla e collo, per poi afferrare delicatamente una ciocca di capelli dietro la nuca. Il calore della sua pelle a contatto con la mia mi procurò un senso di piace, tanto da permettermi di rilassare i muscoli delle braccia e della gambe fino al punto di scivolare a terra senza peso. Lui accompagnò il mio movimento, accovacciandosi difronte a me, con una mano a sorreggermi il capo e l’altro braccio disteso lungo il corpo.
“Ti prego” gli sussurrai all’orecchio, quando il suo volto era ormai affianco al mio.
“Salverò la tua anima. E’ l’unica cosa che posso ancora fare per te” disse infine, prima di premere la canna della sua pistola contro il mio petto.
Elizabeth, non è questo quello che vuoi” .
Era la voce di Lucian e proveniva dalla mia testa.
Stringi un patto con me Elizabeth, cedimi la tua anima e ti servirò finchè la tua vendetta non avrà avuto fine”.
“Ethan, perché?” domandai, cercando di guardarlo negli occhi. Lui però, teneva la testa piegata sul mio petto.
“Sono sempre io, sono tua moglie …”. Le mie labbra fremettero. La sua mano mi afferrò i capelli, questa volta con stretta decisa.
“Tu … non sei più niente per me”.
Adesso Elizabeth, invoca il mio nome”.
Sgranai gli occhi, afferrando di colpo il freddo acciaio della pistola che teneva premuta su di me. Non poteva essere vero. Io lo amavo ancora, e ancora lo avrei amato. Come facevo ad essere diventata “niente” per lui?.
“Io sono tua moglie” dissi piano, affondando le mie unghie tra i suoi morbidi riccioli scuri.
“Mia moglie è morta. Ciò che resta di lei è questo guscio vuoto ed è la sua anima che riposerà in pace”.
 A quel punto, qualcosa dentro di me scattò. 
Lucian”.
Sono qui, mia signora”.
“Ethan va via di lì!” urlò una voce alle nostre spalle, affinché Ethan potesse accorgersi dell’enorme ombra scura che aveva invaso la cella. Sentii le sue braccia irrigidirsi prima di lasciarmi crollare a terra e disegnare in aria uno scudo di luce azzurra. Nuovamente in possesso dei miei sensi, sgattaiolai contro il muro alle mie spalle osservando rapita la lotta che Ethan stava ingaggiando con quella forza fatta di tenebre e paura. La  pistola che stringeva fino a pochi minuti prima aveva preso il posto di una lunga lancia argentea che brandiva sopra di sé, nel tentativo di trafiggere il buio che gli si parava davanti.
“Non ti permetterò di portarla via” ringhiò Ethan, un attimo prima che degli strani simboli di luce ingabbiassero l’ombra scura facendola indietreggiare.
E’ già mia e io sono suo” replicò la voce di Lucian, mentre le mura intorno a me si sgretolavano e il buio mi stringeva tra le sue braccia. L’ultima cosa che udii, furono le parole della filastrocca di mia madre cantate dalla voce calma e suadente del demone che stava divorando la mia anima.
La notte è amica mia, il buio mi nasconde e mi avvolge col suo manto.
 
***
 
“Beth, si sente bene?” domandò la Dottoressa dopo qualche minuto di silenzio. Senza accorgermene avevo smesso di parlare, fissando una piccola crepa all’angolo opposto della stanza.
“Si” risposi secca. “Stavo solo pensando a quanto potesse essere profonda la crepa che Ethan aveva lasciato nel mio cuore rivolgendosi a me come se fossi un’estranea”.
La Dottoressa scrisse qualcosa sul suo blocco degli appunti. Riuscivo a percepire le sue mani sudate e il ritmo del suo cuore accelerato.
“Una crepa tale da permettere a un demone di stringere un patto con me, in cambio di ciò che restava della mia anima umana”.
“Lucian era un demone dunque, come Edana”.
Le sorrisi. “Si, più o meno”.
“Crede davvero che sia stato il dolore provocato dall’abbandono di suo marito a farle prendere una simile scelta?” mi chiese con un certo sgomento.
“Ho avuto modo di pensare a lungo a quella notte, soprattutto nei mesi successivi. Ma nulla mi ha mai fatto dubitare del fatto che fosse stato il tradimento di Ethan a rendermi ciò che sono oggi”.
Per tutta risposta la Dottoressa scosse la testa in senso di diniego, levandosi gli occhiali e lasciando che ricadessero sul suo abbondante decolté.
“Se c’è una cosa che ho capito di lei, Beth, è che c’è molto di più oltre ciò che decide di far vedere agli altri e a se stessa. Io credo, per intenderci, che quel demone avesse capito più di lei quanto ardentemente fosse attaccata alla vita, sotto qualsiasi forma”.
  
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