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Autore: Terre_del_Nord    28/02/2015    6 recensioni
Sirius Black e la sua Nobile Casata; gli Sherton e la Confraternita del Nord; l’Ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte; gli Intrighi di Lestrange e Malfoy; le leggende di Potere e Sangue risalenti a Salazar Slytherin. E Hogwarts, i primi passi dei Malandrini e di chi, Amico o Nemico, condivise la loro Storia. UNA STORIA DI AMORE E DI GUERRA.
Anni 70. Il Mondo Magico, alle prese con Lord Voldemort, sempre più potente e feroce, farà da sfondo dark a storie d'amicizia per la vita, a un complicato rapporto tra un padre e i suoi figli, a vicende di fratelli divisi dalle scelte e dal sangue, a storie d'amore romantiche e avventurose. Gli eventi sono narrati in 1° persona da vari personaggi, canon e originali. "Nuovo Personaggio" indica la famiglia Sherton e altri OC.
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HABARCAT (Chap. 1/20) *** ORION (Chap. 21/24) *** HOGWARTS (Chap. 25/39) *** MIRZAM (Chap. 40/52) *** STORM IN HEAVEN (Chap. 53/62) *** CHAINS (Chap. 63/X) *** FEAR (Chap.97/) ***
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VINCITRICE 1° TURNO "Harry Potter Final Contest"
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Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Mangiamorte, Nuovo personaggio, Regulus Black, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'That Love is All There is'
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That Love is All There is
Terre_del_Nord

Slytherin's Blood

Chains - IV.029 - Endgame (1)

IV.029


Jarvis Warrington

Foresta di Dean, Gloucestershire - sab. 22 gennaio 1972

    «Hai fatto bene a mostrarmelo: è una manifestazione della Traccia, seppur molto debole… »

Fear non disse altro, continuò a massaggiarsi le tempie con i polpastrelli incartapecoriti, rimanendo in un silenzio assorto per molto più tempo di quanto avesse mai fatto, infine sollevò lo sguardo stanco dalla superficie brunita della Pietra Veggente, per puntarlo su di me: non riuscii a decifrarne l’espressione. Quando Margareth entrò con l’infuso d’erbe, il vecchio lasciò scivolare il palmo sul volto, lentamente, fino alla barba e iniziò a lisciarla, sovrappensiero. Solo dopo minuti, che mi parvero eterni, agitò la mano e con un incantesimo silenzioso chiamò a sé e srotolò un’altra delle carte di Doire, sul tavolaccio intorno al quale eravamo seduti. L’alba era ormai passata da un pezzo, m’infastidiva quella calma, una calma che rasentava l’indolenza, il sangue mi bruciava dentro, volevo agire: quel segno aveva un solo significato possibile, era la Traccia di un bambino del Nord. E c’erano solo due bambini, al momento, fuori dalle Terre, senza un motivo legittimo. La Traccia era di uno dei figli di Alshain Sherton: volevo partire al più presto per ritrovarli e riportarli a casa.
Il fumo aveva ormai smesso di sollevarsi in ipnotiche spire quando Fear colpì il ciondolo che gli avevo portato e con l’opportuno incantesimo lo fece librare per aria, ne seguii le oscillazioni sopra la carta, ammaliato: era un piccolo Triskell che ruotava impazzito su se stesso, talmente rapido e lucente da ricordare un boccino. Non era d’oro, era molto più prezioso: secondo la leggenda, durante il dominio sulle terre del Ross, i Vichinghi, per ordine della loro Völva, presero in ostaggio alcuni dei nostri figli, nel tentativo di soggiogare la Confraternita. Hifrig Sherton chiese aiuto a Salazar, il quale impose un incantesimo alla propria spada, con la sua lama incise i palmi delle Streghe del Nord e ne raccolse il sangue, ne aggiunse un po’ del proprio e mescolò il tutto all’argento, infine, con quell’intruglio, forgiò il Triskell. La Magia del Sangue rintracciò i bambini e Salazar li portò in salvo e mentre la Confraternita scatenava implacabile la propria vendetta sulla feccia, sterminandola, Hifrig uccise la Völva con la spada di Salazar. Da allora ogni Signore di Herrengton difendeva la Confraternita con la Spada di Hifrig e teneva il Triskell con sé o l’affidava al proprio custode: erano passati quattro secoli dall’ultima volta che entrambi erano stati utilizzati. Avevo ricevuto il ciondolo da Alshain Sherton la notte in cui Fear era partito con Mirzam e Sile, in esilio forzato, l’avevo consultato di continuo, giorno e notte, da quando i piccoli Sherton erano spariti, ma non avevo mai trovato conferma alla speranza che fossero ancora vivi. Fino a quella notte.
Di ritorno a Inverness, dopo una visita alla mia famiglia, nascosta nei dintorni di Calanais, nel cuore delle Terre del Nord, avevo sentito per un istante il ciondolo farsi rovente sul mio petto: sapevo quale fosse il significato, ma avevo bisogno delle Carte di Doire per identificare il luogo da cui proveniva il segno e dell’esperienza e del consiglio di Fear su come comportarmi. Mi ero Materializzato nei pressi della grotta, nella foresta di Dean, in cui si rifugiavano, avevo trovato Margareth di guardia e il vecchio impegnato a studiare le Carte: da quando si erano separati da Mirzam e Sile, si erano mossi di continuo, facendo anche tre incursioni nel Wiltshire, con le sembianze dei due fuggiaschi, nella speranza di portare il Lord a fare una mossa.
Margareth si avvolse nel mantello e si avvicinò, passando appoggiò la mano gelida sulla mia spalla e andò a sedere di fronte a me, alla sinistra del vecchio, accanto al fuoco.

    «Una volta capito dove si trovano, cosa facciamo? Avvisiamo il resto della Confraternita?»
    «Agiremo da soli, Margareth: non sappiamo se ci sono altre spie… Inoltre, anche ammesso siano tutti leali, non si deve sapere che voi due siete qui e che state impersonando Mirzam e Sile.»
    «In tre non possiamo farcela: se c’è uno Sherton, quel nascondiglio sarà ben protetto… »
    «Dovremo bastare, Margareth: se raccontassi al Consiglio tutto ciò che so, si capirebbe che ruolo svolgo per Sherton e in che rapporto sono con voi… a quel punto sarei del tutto inutile… »
    «Saresti inutile anche da morto, Warrington! Tu hai solo troppa paura di coinvolgere i tuoi!»
    «Solo un folle non avrebbe paura di mettere in mezzo la propria famiglia, Margareth! È una trappola: il Daily ha parlato degli avvistamenti nel Wiltshire, Milord si chiederà se Mirzam è davvero tornato! Ed ecco la Traccia… un’esca perfetta per spingere Sherton a fare una cazzata!»
    «Non è quanto volevamo facesse? Stai forse suggerendo di tirarci indietro, proprio adesso?»
    «Da quando “agiamo da soli” significa “tiriamoci indietro”, Margareth?»
    «Basta azzuffarvi, voi due! Milord ha fatto ciò che ci aspettavamo e ci auguravamo, ora abbiamo la certezza che almeno uno dei bambini è vivo, non esiste Magia, Oscura o meno, capace di simulare una Traccia del Nord! Noi lo riporteremo a casa, qualunque sia il prezzo da pagare. Ciò detto, Milord non è uno sciocco, sa che a tentare il salvataggio non sarà Mirzam, non da solo: sfrutterà l’occasione anche per saggiare le nostre forze, per capire chi siamo, quanti siamo, se la Confraternita è divisa. Dovremo fare in modo di fornirgli quante meno informazioni possibili!»
    «Se fosse una trappola per catturare voi, Maestro? Le vostre conoscenze, i nostri segreti… »
    «Temo non abbia più bisogno di me, per conoscerli… »

Fear scattò in piedi, si mosse veloce attorno al tavolaccio mentre noi rapidi ci tiravamo indietro, infine si protese, il naso storto a pochi centimetri dalla carta, gli occhi fissi. Era già pallido, sbiancò completamente, quando riprese a parlare, la voce era tanto debole e lontana, da non sembrare la sua.

    «Salazar, non è possibile… questo non è… non può averlo trovato… non… lui… »

Mi avvicinai e mi chinai anch’io sulla mappa, sul punto indicato dal Triskell che, librato a mezz’aria, ruotava su se stesso, lento, perpendicolarmente alla costa del Cornwall. Un brivido mi percorse la schiena quando capii che puntava su un luogo mistico e leggendario per la Confraternita: Mên-an-Tol. Fissai Fear, incapace di proferire verbo: le conseguenze del tradimento di Kenneth Emerson ora apparivano più spaventose di quanto avessimo mai temuto o compreso.

    «Non ci credo, Fear! Quel luogo non esiste! Siete persino andati a cercarlo, tu e Sherton!»
    «Che c’è ora? Cosa dovrebbe esserci di tanto sconvolgente e spaventoso a… Mên-an-Tol?»

Margareth aveva la sua classica espressione impudente e scettica, ci guardava sempre come due idioti presi da quisquilie di scarsa importanza quando Fear ed io ci infervoravamo su faccende della Confraternita. Doveva credere che fosse uno di quei momenti. Di colpo ammirai Mirzam che, in quelle settimane stressanti, era riuscito a viverle vicino senza provare a ucciderla, non doveva essere stato facile, per lui che, quando non faceva il pazzo, prendeva tutto molto più seriamente di me.

    «La grotta scomparsa, in cui gli antichi Daur trovarono la Fiamma di Habarcat, uno dei tre segni del benvolere del dio Lugh; lì fu venerata e protetta fino alla Diaspora quando fu estratta e il Venerabile delle Innse Gall, in groppa al suo Nero delle Ebridi, la nascose nelle Terre del Nord… »

Recitai a memoria, i peli ritti sulla schiena, lievi gocce di sudore freddo m’imperlavano la fronte, mentre Fear restava muto e attonito e Margareth lo guardava preoccupata, come se fosse malato.

    «Jarvis, non sprecare tempo… raccontale la parte più… interessante… »
    «Nella grotta… un Mago del Nord può guarire se malato o ferito… ma non può eseguire incantesimi offensivi potenti, neanche per difendersi… »
    «E perché mai?»
    «Perché, nei tempi antichi, le tribù in lotta tra loro provenienti da Britannia, Gallie e Irlanda, si riunivano lì per venerare Habarcat e spesso accadevano incidenti e scontri sanguinosi. Per evitare che le celebrazioni dei Sabba diventassero l’occasione per sprecare prezioso sangue magico, i saggi imposero degli incantesimi infrangibili, che proteggono ancora oggi quel luogo… »
    «Il Lord ci attirerebbe in una grotta in cui non possiamo nuocerci a vicenda? Perché?»
    «No, lui non appartiene alla Confraternita, Margareth, lui non ne subisce gli effetti… »
    «Lui non ne subisce gli effetti? Non capisco… »
    «Questa è la parte dell’informazione che il resto del Mondo Magico non conosce… uno dei nostri segreti che il Ministero sfrutterebbe volentieri contro di noi… Morvah e gli altri luoghi citati nelle Carte potenziano la Magia di Habarcat, rendendola intoccabile per chi non ha le Rune, e a subirne gli effetti… positivi e negativi… sono solo i Maghi che portano le Rune… »
    «E perché dei saggi avrebbero imposto una simile sciocchezza che di fatto vi rende inermi?»
    «Non immaginavano, Margareth, che i conquistatori babbani avrebbero dilagato in tutta Europa, che i Daur sarebbero stati costretti a scegliere tra morire, integrarsi o fuggire. Noi fuggimmo e ci salvammo, integri nel corpo e nella Magia, ma gli altri… Nessuno poteva immaginare che un giorno parte dei Maghi avrebbe rinunciato alle Rune! Dopo la Diaspora, invece, al sud e sul continente si scatenò la furia dei Babbani, la Fiamma conservata in Irlanda fu distrutta, quella dell’Est trafugata, il sacrario di Habarcat fu devastato, i nostri boschi dati alle fiamme, fu eretta una chiesa cristiana nei pressi del pozzo, nel tentativo di spezzarne la Magia e di tenerci alla larga. I Maghi furono perseguitati ovunque, subirono esecuzioni di massa, i superstiti si nascosero e la paura finì con il cambiare la loro natura. Per sopravvivere, rinunciarono alla tradizione, per essere meno riconoscibili rinnegarono le Rune, i riti del Sabba presso i cerchi di pietra, le nostre divinità pagane, iniziarono a contenere la Magia, a esercitarla solo con l’ausilio della Bacchetta, s’interessarono più che altro alle Arti pozionistiche, alla Divinazione, all’Astronomia, arti che affascinavano i Babbani, che li assoldavano per arricchirsi. Rinunciando alla Magia Antica, al rapporto con la Natura, hanno smesso di alimentare il riflesso della Fiamma che portano dentro di sé. Sono sordi a Habarcat, senza le Rune, per questo quella grotta non ha più il potere di curarli... »
    «... al tempo stesso, però, non limita più il loro potere… »
    «Basta perdere tempo, Warrington! Emerson ci ha tradito, confidando questo e chissà quali altri segreti al Signore Oscuro! La scelta di quel luogo non è stata “casuale”, sanno che lì siamo “quasi” del tutto inermi, in quella grotta può trattenere non solo i bambini, ma anche Alshain!»
    «E perché non siete andati a cercarlo lì, allora? Sembrerebbe la scelta più scontata!»
    «Per tutti noi, Margareth, quella grotta è ormai solo un luogo distrutto, perduto, come il diadema di Rowena per i Ravenclaw, una leggenda… nei secoli, tutti l’hanno cercata, ma nessuno ha mai scoperto dove fosse: Alshain ed io siamo stati a Morvah pochi mesi fa… invano… »
    «Evidentemente il Signore Oscuro ha saputo cercare meglio di tutti voi!»
    «Il Lord ha avuto solo più… fortuna… nel trovare la persona capace… di farsi corrompere!»

Fear rivolse a Margareth un’occhiata feroce, lei non distolse lo sguardo, fiera. Io fissai la carta, mi chiesi cosa potessimo fare: opporsi al Signore Oscuro era follia già in condizioni normali, stavolta poi… per avere un’opportunità, dovevamo attirarli fuori da una grotta che non sapevamo neanche dove fosse. Con un brivido, compresi che quello sarebbe stato il giorno del nostro suicidio.

    «Dobbiamo perlustrare l’area, trovare l’ingresso di quella dannata grotta e scoprire com’è difesa, useremo Incantesimi di Disillusione, non è roba offensiva. Se il problema è solo la grotta, voi due mi coprirete le spalle restando fuori ed io entrerò, posso farlo, non sono una Strega del Nord, conosco i vostri incantesimi ma non sono Pureblood e non ho le Rune, dovrei essere come loro, se ho capito bene: giusto? Inoltre non credo che Milord si aspetti che seri Maghi del Nord come voi due si presentino insieme a misera “feccia” come me… »
    «Non è il momento di scherzare, Margareth! So che ti senti in debito, ma tu non entrerai!»
    «Certo che lo farò, Jarvis! Se ben ricordi, è stato proprio il Maestro a dirti che, “pur con un quarto d’immondo sangue babbano” sono sfuggita indenne al potere di Habarcat a Herrengton!»
    «Certo, perché tu hai il sangue di Orion Black nelle vene!»

Sentii le unghie della Strega graffiare il legno, appena pronunciai quel nome, un nome che da sempre era tabù, in presenza della ragazza. Fear si limitò a schiarirsi la gola e rivolgermi un’occhiataccia. Margareth rimase immobile, l’espressione indurita, lo sguardo sprizzava odio.

    «I Black non fanno parte della Confraternita e mi risulta che si vantino di essere Pureblood!»
    «Non far finta di non sapere! Ci hai spiato quando Fear mi ha spiegato la sua teoria, tu parli dei Black rimasti nel sud, mai entrati in contatto diretto con noi; ma sai che un Mago di Zennor, Daghall il Nero, raggiunse le Terre del Nord, dopo la Diaspora, e che in realtà era un Black: la famiglia che generò visse al nord e si unì alla Confraternita, nei secoli si è estinta, certo, ma solo nel ramo maschile. Tuo padre è figlio di una MacMillan: il sangue dei Black “scozzesi” scorre ormai solo nelle vene di quella famiglia, quindi anche in te. Non puoi sapere come reagirai nella grotta!»
    «Non sarà la tua paura a fermarmi! E non mi sembra che tu abbia idee migliori della mia!»

Mi voltai verso il vecchio, in una tacita richiesta di aiuto per farla ragionare, lui era l’unico che poteva riuscirci, ma Fear era immobile e muto, immerso nella contemplazione della mappa, le mani strette dietro la schiena, gli occhi socchiusi, distante, come se non avesse ascoltato mezza parola.

    «Maestro… vi prego… convincetela… »
    «Warrington… tu andrai a Londra… informerai il Ministero… in particolare quel Moody!»
    «Cosa? Coinvolgere il Ministero? Non pensate a Crouch? Cercherà di catturarvi, Maestro!»

Fear sorrise, furbo, con un rapido movimento della mano le Carte di Doire si cancellarono e riarrotolarono, le Pietre Veggenti mutarono la propria natura e si rinchiusero nel bagaglio e il Triskell mi volò in mano. Mentre il resto dei bagagli si ricomponeva e si celava con un incantesimo di Disillusione ai piedi della quercia dinanzi a noi, Fear si erse in tutta la sua altezza dinanzi a me.

    «Gli uomini del Signore Oscuro penseranno ai Ministeriali, Jarvis, e mentre lo faranno, non penseranno a noi. Voglio tutto l’“aiuto” che riuscirai a trovare a Londra, non sacrificherò sangue della Confraternita a Morvah nel tentativo di sbarazzarci del nemico; mentre loro si combattono, troveremo ed entreremo nella grotta aiutati da qualche Aurors, basterà dire loro che pensiamo che Habarcat stia per essere consegnata al Lord, Crouch non esiterà. Voi due porterete via gli Sherton, prima che lo facciano loro. Milord sarà lì, io lo attirerò su di me mostrandomi come Mirzam… »
    «Ma potrebbe uccidervi, Maestro! »
    «Probabile, anche se… nessuno dei due conosce il vero potere dell’altro… e Milord non ha interesse a uccidere né me né Mirzam, prima di avere ciò che vuole… ci vediamo a Morvah! Vai!»

***

Rabastan Lestrange
Hogwarts, Highlands - sab. 22 gennaio 1972

    «Perché siamo saliti quassù? Non ti è bastata la serata di pulizie con Pringle, giovedì?»
    «Rilassati Rosier, non attenterei mai alla tua “virtù” in un posto tanto indegno delle tue “grazie”! Anche se, ora che me l’hai ricordato, dopo la disinfestazione profonda dell'altra sera… in realtà… potrei farci un pensierino! Ahahah… »

Mi voltai a osservarlo, ghignando: piega disgustata sulle labbra, occhi fissi a terra, capelli spettinati dalla corsa, Evan neanche mi ascoltava, impegnato com’era a saltellare in punta di piedi, come un idiota, nell'arduo tentativo di non pestare escrementi di gufo sul pavimento ricoperto di segatura. Eravamo nella torre della Guferia, la gelida luce del mattino invernale era già stata soffocata dall’ombra di nubi fosche, scese rapide dalle montagne, a infrangere la timida speranza di una giornata di sole; all’improvviso, il rintocco della campana, dalla torre dell’Orologio, squassò l'aria, segnando le nove e trenta, Rosier sobbalzò nella penombra, un “maporcaputt” strozzato a decretare il fallimento della missione “scarpe pulite”. Scoppiai a ridere come un folle, e gli insulti di Evan, intervallati a incantesimi “Gratta e Netta”, mi fioccarono addosso.

    «Siamo molto spiritosi, oggi, vero Lestrange?»
    «Che cosa pretendi? Non ho iniziato io, con le battute sceme in Sala Grande... o sbaglio?»

La penombra non gli permise di vedere l’occhiataccia che gli rivolsi ma non gli sfuggì il tono aspro della mia voce: la mano gli scivolò verso la bacchetta e si fermò solo quando incrociai le braccia, ostentando falsa tranquillità. Evan Rosier non era un idiota, mi conosceva, sapeva che non perdonavo neanche le sciocchezze e che ero solito attaccare quando il nemico pensava di averla fatta franca, per questo sarebbe stato in guardia. Alla fine, però, anche lui avrebbe subito l’umiliante lezione che pregustavo di dargli. Desideravo farlo, pertanto… era deciso: non aveva scampo.

    «Non ti capisco, non più tardi di due settimane fa, parlavi ridendo del cavaliere e del pazzo assassino. Godi da mesi a giocare a gatto e topo, e ora? Avrebbe smesso di essere un gioco?»
    «Già, chissà come mai… Hai dimenticato che, nel frattempo, mio padre ha tirato le cuoia?»

Aprì la bocca per scusarsi ma non trovò le parole, deglutì nervoso, a disagio per l’argomento, io sogghignai, vedendolo imbarazzato e contrito; Evan mi osservava furtivo, tentando di capire e anticipare i miei pensieri ma non poteva riuscirci, neanche lui che era il mio migliore amico, perché, al contrario di me, era solo il “frutto sano e normale di un’orgogliosa famiglia Slytherin, sana e normale”.

    «Mi dispiace, lo sai… le condoglianze che ti ho fatto, però, non erano pura formal… »
    «A me no, non dispiace… non me ne frega un cazzo di quel bastardo, anzi… sono felice che si sia tolto dai coglioni! Lo sai, sei l’unico… al quale ho detto che pezzo di merda fosse mio padre!»
    «Festeggia, allora! Da quando ti conosco, hai sempre ripetuto che l’avresti fatto con le tue mani, se solo avessi potuto! Ora sei libero, libero e ricco! Festeggia, no? Di cosa ti preoccupi?»

Colpii col palmo la tasca della giacca, la lettera di Rodolphus produsse un rumore di carta sgualcita.

    «C’è Rodolphus, ricordi? E tre lunghi, fottutissimi anni, prima di essere legalmente libero anche da lui… In questi tre anni, Merlino solo sa cosa potrebbe accadermi, lo conosci mio fratello!»
    «Non penserai che Rodolphus possa… ma dai… sei suo… »
    «… fratello? Sì… esatto! E mio padre era… guarda un po’… suo padre. Dico bene?»

Lo guardai di sotto in su, un ghigno sporco sulle labbra: Rosier mi fissava preoccupato, sapeva che non ero mai andato d’accordo con Rodolphus, ma da mesi gli parlavo del mio progetto di entrare nella cerchia del Signore Oscuro e di come mio fratello, stranamente, mi avesse promesso non solo di non ostacolarmi, ma di addestrarmi per essere all'altezza delle aspettative del Lord. Quella lettera, invece, buttava al macero le promesse e gettava su tutto il mio futuro un velo d’incertezza.
Rosier era preoccupato per me ma era anche implicato in prima persona: combattere era anche il suo desiderio ed io gli avevo proposto di affrontare quell’impresa insieme, benché a volte, quando si comportava da coglione, temessi di aver commesso un errore, confidandomi e coinvolgendolo. All’inizio ero sospettoso, un moccioso amato e vezzeggiato come lui non poteva sapere nulla della rabbia che provavo io, col tempo, però avevo scoperto che la rabbia non era l’unica molla che spingeva verso la causa di Milord, c’erano, tra gli altri motivi, anche il disgusto e l’ambizione. Entrare nelle fila del Signore Oscuro, per esempio, era un modo per sfuggire alla vita inutile, fatta solo di cene, balli, matrimoni combinati, figli nati troppo presto, ricchezze accumulate per riempire forzieri già colmi, imposta a molti di noi dai decadenti costumi delle nostre antiche e annoiate famiglie. Rosier mi parlava spesso, nauseato, dei progetti dinastici che suo padre aveva già fatto su di lui, del suo sogno di opporsi a quella vita sprecata, priva di ambizioni ed emozioni, della sua volontà di riscattarsi, nelle fila del Lord, impegnandosi per la rinascita della Magia. Quando raccontava che avrebbe lavato nel sangue le turpitudini che avevano reso i Maghi una masnada di rammolliti gli s’illuminavano gli occhi, io lo ascoltavo, all’inizio irridendolo, non era credibile, uno come lui, che parlava di sangue, morte e distruzione, poi però, anche se non l’avrei ammesso nemmeno sotto tortura, mi ero reso conto di quanto fosse convinto e avevo iniziato a stimarlo.

    «Insomma, tuo fratello non ti aiuterà più e tu finirai come me a gestire affari di famiglia!»
    «Lui mi aiuterà, fidati! DEVE presentare devoti veri, dopo la figuraccia fatta con Sherton!»
    «Salazar… pensa se la mocciosa ti sentisse adesso… ahahahah… »

Portai l’indice alle labbra, intimandogli di non parlarne più. Mi accostai alle feritoie, tornai a guardare in basso, mentre la neve, lenta, riprendeva a cadere: si poteva controllare il cortile d’ingresso della scuola senza essere visti, da lì, per questo ero corso in Guferia. Avevo già osservato Meissa Sherton deviare dal percorso verso i cortili, in cui si teneva lezione di Volo, per avvicinarsi al porticato, con un brivido lungo la schiena, avevo ammirato le chiome dorate di Narcissa Black far capolino da dietro una colonna. Poco dopo, a rovinare tutto, come al solito, era apparso mio fratello.
Avevo ricevuto quella sua dannata lettera a colazione, Rosier era passato alle mie spalle e mi aveva spiato mentre inorridivo leggendo la seconda pagina, da lì aveva cominciato a sfottermi in Sala Grande, dicendo a tutti che Rodolphus aveva deciso che dovessi contribuire allo sviluppo dinastico della famiglia Lestrange quanto prima, il che significava che si sarebbe “preoccupato di trovarmi LA fidanzata”. Avevo accartocciato la lettera e mi ero scagliato contro Rosier, legnandolo per bene lungo i corridoi e in Sala Comune, per sfogarmi e, soprattutto, per perdere tempo: Rodolphus voleva vedermi quella mattina, al termine della colazione, davanti all’ingresso, sarebbe venuto a scuola per chiedere a Dumbledore di farmi partecipare al funerale di nostro padre, l’indomani, in Francia.

    Come se vibrassi dal desiderio di lasciare i miei amici per partire con te e quella stronza di tua moglie, incontrare insulsi parenti cerimoniosi e stucchevoli quasi quanto quei damerini dei Malfoy e produrmi con tutti voi in un piagnisteo falso, dinanzi alla bara vuota di un bastardo!

Fuggire in Guferia non era risolutivo ma la prospettiva di mandargli a puttane i piani della giornata e farlo incazzare come una iena mi allettava, avrebbe capito che non mi sarei sottomesso docilmente e che parlare con lui, prendere accordi con lui, andare in Francia con lui non era esattamente il primo dei miei desideri. Io non volevo proprio avere nulla a che fare con lui!

    Credi di aver ereditato, con il titolo di Lord Lestrange, il diritto di mettermi un guinzaglio al collo? Beh, ti sbagli di grosso, stupido buffone! Vieni, fratello, vieni… te la farò vedere io! Subito!

Evan si grattò la corta peluria rossiccia che si lasciava crescere sul mento da qualche tempo, si avvicinò alle feritoie, pensieroso, affacciandosi a poca distanza da me, l’inconfondibile odore di sapone misto ai residui di tabacco rubato a suo padre mi riempì le narici, ma riuscii comunque a percepire anche il profumo sottile della sua pelle accaldata. Studiai il suo profilo, di sottecchi, gli occhi chiari che brillavano sotto le ciglia folte, la curva ironica delle labbra e la linea irregolare del naso. Risalii con le dita fino alla base del suo collo, tenendomi a mezz’aria, sarebbe sobbalzato come un gatto, se l’avessi toccato. Ghignai, Evan non se ne accorse, preso dalla scena sotto di noi.

    «Guarda! Malfoy ha un piano da proporre a tuo fratello o sta facendo una delle sue spiate?»

Mi ridestai dagli strani pensieri su Evan e sghignazzai: Lucius Malfoy era un buon argomento per tornare presenti a se stessi. Aveva raggiunto Narcissa e gli altri sotto il porticato, ma non era per la sua fidanzata che si era presentato lì: quando le due Streghe erano corse a lezione, non si era congedato educatamente da mio fratello, anzi, da diversi minuti erano presi in un colloquio fitto fitto, che, conoscendo entrambi, doveva essere incentrato su qualcosa di piuttosto losco.

    «Dev’essere più coglione di quanto sembri, se pensa di fare affari con tuo fratello!»
    «Malfoy è un coglione, Evan, ma non va sottovalutato: mio padre diceva che il doppiogiochismo è connaturato nei Malfoy come i ridicoli capelli da Veela che hanno in testa e che Abraxas addestra il suo cucciolo a cogliere in ogni occasione un vantaggio per se stesso... Lucius in questa scuola è “occhi e orecchi” di suo padre… e suo padre è molto vicino al Signore Oscuro… lo terremo d’occhio… Hanno finito, Malfoy se ne va, guarda che sorrisetto viscido! No, non mi piace! Alla fine, però, vedrai, Lucius non sarà tanto allegro quando scoprirà che lo tengo per le palle!»
    «Hai deciso di usare la famosa carta segreta pescata la sera del fidanzamento, Lestrange?»

Scoppiai a ridere e gli circondai le spalle con un braccio, in un impeto d’improvvisa ilarità.

    «Ho capito! Hai ideato IL piano, quello capace di fargli venire i capelli ricci! Ahahahah… »
    «Ho sempre un piano, Rosier, ma quello che mi si sta formando in testa adesso… sarà molto… molto divertente… A te va di farti due sane risate alle spalle di quel pallone gonfiato?»
    «E me lo chiedi, Lestrange? Guardalo! Sembra uno dei suoi dannati pavoni albini!»
    «Bene, allora ho trovato l’unico elemento che mi mancava… il “degno compare”… »

***

Jarvis Warrington
Ministero della Magia, Londra - sab. 22 gennaio 1972

Erano quasi le dieci di sabato mattina e il Ministero non era ancora in pieno fermento. Uscii da uno dei camini dell’Atrium con l’aspetto e la bacchetta di Gwryon Williams, un Mezzosangue gallese sulla ventina che avevo incontrato nel bosco di Twyn-gwyn Wood, alla mia terza Smaterializzazione dalla Foresta di Dean. Era talmente sbronzo e derelitto, dopo una notte di bagordi in un pub babbano, da non riuscire a tornare a casa, nei pressi di Pembroke, dove, per un incredibile colpo di fortuna, viveva da solo. Mi ero offerto di accompagnarlo e, una volta sul posto, il suo delirio alcolico mi aveva permesso di sottrargli senza Magia capelli, bacchetta, e una firma su un modulo per richiedere una “squadra disinfestazione” al dipartimento Creature magiche: dopo avermi conosciuto, infatti, Williams era convinto di avere la soffitta infestata da Doxy. Ghignai.
Passata la pesa della bacchetta, m’infilai in uno degli ascensori: stando alla recita, mi sarei dovuto fermare al quarto livello per cercare lo “Sportello per le Consulenza Flagelli”, ma a me interessava il secondo, dove c’era il Quartier Generale degli Aurors. Mentre l’ascensore si apriva e la luce piena di una falsa finestra mi colpiva a tradimento, strinsi un pezzo di carta che avevo in tasca come se fosse il foglio di scarcerazione da Azkaban, svoltai l’angolo e aprii un portone a doppio battente. Mi trovai in un enorme open space pieno di cubicoli ancora semi vuoti, al punto che con un po’ di accortezza, nonostante l’indecisione, riuscii a muovermi fino a quello più grande sulla cui porta c’era scritto “Quartier Generale Aurors” senza essere notato e fermato da nessuno. Spinsi la porta semi aperta ed entrai, c’erano altri cubicoli più piccoli, per lo più vuoti, camminai facendomi indirizzare dalla voce aspra della persona che stavo cercando: oltre una porta socchiusa, Alastor Moody stava dettando un rapporto alla sua penna prendi appunti, camminando in cerchio attorno alla sua scrivania, lo sguardo fisso a terra e il passo pesante, leggermente claudicante, sulla fronte un vistoso livido e sulla guancia un cerotto che non stava a indicare un innocuo scontro col rasoio. Bussai piano, osservai le pareti tappezzate di manifesti di ricercati, un Mirzam vestito con i colori del Puddlemere, già visto in almeno una dozzina di altri cubicoli, mi salutò nervoso.

    «Che cosa ci fa lei qui? Quest’ufficio non è aperto al pubblico!»

Moody si avventò sulla porta, ero sicuro che me l’avrebbe tirata in faccia, non sapevo se prima o dopo avermi affatturato in maniera dolorosa. L’avevo visto una sola volta, il giorno del processo a Williamson, io ero sugli spalti degli ospiti, lui su quello del Wizengamot, il timore che riuscì a incutermi in quel momento era dieci volte quello provato nell’Aula10. Deglutii con difficoltà, estrassi dalla tasca e gli porsi il foglio, l’Auror non lo toccò, si limitò a guardarlo a distanza: riconobbe al volo la calligrafia, non era la prima volta che vedeva e leggeva qualcosa scritto da me, non da quando avevo convinto Dumbledore ad aiutarmi a tenere nascosta l’identità dell’erede.

    «Non so chi sia lei né perché pensa che questo pezzo di carta dovrebbe interessarmi… »

Moody mi strappò il foglio di mano, lo appallottolò e gli diede fuoco, mi piantò addosso quei suoi occhi allucinati, ed io sentii il mio respiro farsi lento e profondo, come quello di una bestia braccata.

    «Lei sa chi sono… non mi ha mai visto finora, ma sa che… Dumbledore… »

Mi tirò dentro all’istante in malo modo, quasi caddi riverso sulla sedia davanti alla scrivania, mentre quella specie di pazzo chiudeva la porta e cominciava a lanciare Muffliato in tutte le direzioni.

    «Dumbledore sa che non intendo parlare di cose esterne al lavoro qui al Ministero!»
    «Io devo parlarle, qui e ora, non c’è tempo da sprecare in stupide… procedure… c’è una… »
    «Non m’interessa cosa c’è! Sa cosa sta facendo, lei? Sta mandando tutto a puttane!»
    «Senta… »
    «“Senta” lo dico io! Le sue informazioni mi fanno comodo ma non m’importa nulla di lei, se è così idiota da andare in giro con quei pezzi di carta in tasca e presentarsi qui con la sua faccia… »
    «Questa non è la mia faccia, Moody! Mi ascolti, c’è in ballo la vita di un bambino… lei sa di chi parlo… lei sa che abbiamo indizi seri… quelle persone non sono morte… sa che li stavo cercando e ora ho colto un segno che lo dimostra… la prego, mi aiuti… ho bisogno di uomini… »

Moody si era rimesso seduto, mentre io mi agitavo camminando avanti e indietro, fermandomi ogni tanto, sporgendomi sulla sedia per attirare la sua attenzione. Avrei potuto evitare tutte quelle scene, perché l’Auror non mi staccava gli occhi di dosso, l’espressione impenetrabile, le mani impegnate a girare e rigirare una penna babbana che, ci avrei scommesso, tutto faceva tranne che scrivere. All’improvviso prese un foglio di carta, sempre senza staccarmi gli occhi di dosso, buttò giù due o tre parole e subito il promemoria, dopo essersi librato in aria e aver ruotato su se stesso come a cercare qualcosa o qualcuno, era schizzato via a tutta velocità, sopra i divisori, simile a un razzo.

    «Non manderò i miei uomini da nessuna parte senza saperne di più… »
    «Lei sa già, vi ho fatto sapere dove andava aumentata la sorveglianza, vi ho sempre detto che, se uno o entrambi i bambini fossero stati vivi, probabilmente il Lord avrebbe dato un segno per proporre uno scambio, ho trovato il segno… lo scambio si può fare solo lontano dalle Terre!»
    «Sempre ammesso che il nostro ricercato numero uno sia innocente come crede lei… »

Alastor Moody ruotò appena la sedia come se volesse ammirare meglio l’immagine di Mirzam stampata sul manifesto sopra di lui, alla sua destra, ma i suoi occhi non si staccarono da me.

    «Le prove le ha trovate lei, Moody, non io… ma se non crede neanche lei in ciò che fa… »
    «Si può essere innocenti per alcuni reati… e non per altri… »
    «Alastor, mi hai chiamato?»

Sobbalzai, quando la porta si aprì e un Mago sulla cinquantina, con brizzolati capelli sparati sulla testa e gli occhiali tondi, si presentò sulla porta: guardai ostile Moody, quello appena entrato era l’Auror Potter, che tanti problemi aveva dato a Mirzam testimoniando di averlo visto uccidere un collega. Mi alzai, pronto a guadagnare la porta, ma Potter, notando la mia espressione spaventata, per reazione, si piantò meglio davanti all’uscio, per impedirmi di passare.

    «Tra quelli oggi in servizio, Potter, quanti possono essere impiegati in un sopralluogo?»

Potter mi soppesò, immaginai il suo cervello alla ricerca di una relazione tra la richiesta di un sopralluogo e il mio disagio, guardò Moody, interrogativo, ne colse l’espressione un po’ esasperata e impaziente, valutò che non dovessi essere un problema e fece un rapido calcolo a mente.

    «Non più di una dozzina, sai che c’è quella faccenda dai Black… »
    «Già… dobbiamo fare da balia al Ministro… proprio oggi… che bizzarra coincidenza, no? Crouch non può proprio distaccare nessuno da lì? Vorrei fare visita a quei posti della lista… »

Potter dovette capire al volo di quale lista stesse parlando, perché l’occhiata che tornò a rivolgermi era molto più sospettosa, mi scrutava attentamente per fissarsi bene in mente la mia faccia e cercare di fare opportuni collegamenti. Ringraziai Merlino, di nuovo, per aver incrociato sulla mia strada un idiota che si stordiva di brodaglia babbana e aver avuto l’occasione di prenderne le sembianze.

    «Anche Crouch è invitato. Che cosa sta succedendo? Perché ti servono uomini da mandare in quei posti desolati? Bartemious ha detto di avvisarlo, sai che gli interessa questa storia… »

Sbuffai, impaziente e sarcastico: certo che Crouch voleva essere avvertito, godeva all’idea di un nuovo guaio in cui poter tirar dentro noi della Confraternita, si diceva che volesse candidarsi come Ministro, immaginavo quale vantaggio sarebbe stato per la sua immagine, portarci alla distruzione. Dumbledore non poteva ammetterlo, ma secondo me aveva i nostri stessi timori, per questo mi aveva consigliato di contattare l’Auror che aveva scagionato Mirzam, me ne aveva parlato come di un uomo onesto e obiettivo. Stavolta, però, non potevo andare tanto per il sottile. Moody mi fissò, la decisione di coinvolgere Crouch dipendeva solo da me, io non avevo alcuna intenzione di vedere quell’individuo, ma Fear aveva detto “portami quanto più aiuto possibile”.

    «Signor Potter, ho informazioni sulla scomparsa di Alshain Sherton e dei suoi familiari… »

***

Rabastan Lestrange

Hogwarts, Highlands - sab. 22 gennaio 1972

Appena vidi Rodolphus, di profilo, appoggiato a una colonna, l’aria truce di uno Schiopodo Sparacoda, dovetti fermarmi a respirare a fondo, per non scoppiare a ridere e rivelare la mia presenza, lì a pochi metri da lui. Dovetti anche piegarmi, sghignazzando dentro il bavero, per non tradirmi, non potevo farci nulla, immaginavo la solennità della sua faccia, la sua pomposità di fratello maggiore, peggiorata dal “titolo” di Lord Lestrange, la voce sibilante che mi minacciava.

    Salazar… anche se volessi, non riuscirei mai a restare serio con lui…

Mi strofinai gli occhi, colmi di lacrime, sentii le guance in fiamme: chiunque avrebbe pensato fosse colpa del freddo, non mio fratello che sapeva quanto amassi deriderlo, era sempre stato il mio principale “divertimento” sfotterlo, nei tetri giorni della mia infanzia. Rodolphus si allontanò dalla colonna, impaziente, riprese a camminare dandomi le spalle, misurava il porticato con passo marziale, il mantello che svolazzava per la corrente che saliva dal Lago Nero; con indolenza estrasse la bacchetta e iniziò a incendiare le foglie secche infilate nei pertugi più nascosti: conoscendolo, probabilmente vedeva la mia faccia stampata su ognuno di quei riccioli rinsecchiti. L’idea era così realistica, poetica e sentimentale che non riuscii più a trattenermi e riversai nel cortile deserto l’ululato selvaggio della mia risata sguaiata.

    «Fratello! Che fai? Vuoi appiccare un incendio “anche” alla scuola adesso? Ahahahah… »

L’idiota ruotò sui tacchi e mi fissò di sotto in su, la piega storta della bocca di chi osserva merda di cane; gli occhi gli balenarono d’ira, forse per la mia insinuazione, forse solo per il mio ritardo, ma restò immobile: non avrebbe fatto un passo per raggiungermi, se fosse stato tranquillo, figurarsi lì, in quel momento, incazzato com’era per la mia mancanza di rispetto. Soffocai un’altra risata in un colpo di tosse e lo raggiunsi, esibendomi pure in una sorta d’inchino cerimoniale, quanto irridente.

    «Milord… »
    «Hai finito di fare il coglione, Rabastan?»
    «Ho sbagliato? Credevo si dovesse fare così, no? Bisogna rispettare l’etichetta… »

Vidi il respiro interrotto, la piega dura tra le sopracciglia cespugliose, le mani contratte, tutto in Rodolphus esprimeva un’esasperazione sul punto di sfociare in rabbia furiosa. Ghignai: a quanto pareva, nonostante il suo impegno, il “titolo” di lord non era sufficiente a raffreddargli il sangue.

    «Ti avevo scritto di presentarti qui subito, appena fatta colazione… dove cazzo sei stato?»
    «Mi sono dovuto trattenere in Sala Comune… »
    «Bugiardo! Sei andato non si sa dove con quel… quel Rosier… »
    «E allora? Cos’è tutto quest’altezzoso disprezzo? Non è mezza Rosier, tua moglie?»
    «Finiscila, idiota! Fa’ quello che ti pare con chi cazzo ti pare, ma fatti sbattere fuori da qui ed io ti rovino! E quando ti do un ordine, tu scatti, hai capito? Ho di meglio che star dietro a te!»
    «Non ti ho chiesto io di venire a Hogwarts, vivi la tua vita senza farti i cazzi miei, grazie!»
    «Fino alla tua maggiore età, sono il tuo tutore, pezzo di un imbecille! Senza la mia firma non puoi venire in Francia con me, domani… o fare qualsiasi altra cosa richieda la mia firma!»
    «E chi ha detto che voglio venire in Francia con te, domani?»
    «Era nostro padre, Merlino santissimo! Abbi un minimo di rispetto almeno adesso!»
    «Parli del tipo di rispetto che gli hai dimostrato tu, fratello, l’ultima volta che vi siete visti?»

Gli risi in faccia, fu più forte di me, la mano di Rodolphus si contrasse violentemente nella tasca, mi stava puntando la bacchetta addosso, lo sapevo, ed io lo fissai ancora più irridente.

    «Non farmi perdere la pazienza, Rabastan… »
    «Altrimenti? Che fai? Cerchi di bruciare anche me… come… »

I suoi occhi divennero lava ma il volto era pallido ed io ghignai: non avevo prove ma ero certo che fosse stato lui a uccidere nostro padre e che l’avesse fatto col fuoco; trovavo strano, infatti, che il bastardo fosse sparito proprio quando Sherton era stato attaccato a Londra e, nella sua casa, era stato trovato un corpo carbonizzato che nessuno aveva rivendicato. E ora, bastava il misto di paura ed esaltazione negli occhi di Rodolphus per capire che quella non era solo una mia fantasia.

    «… come quelle foglie laggiù? Ahahahah… »
    «Rabastan… te lo ripeto… non mi provocare… »

Mi avvicinai un po’ di più, ero alto per la mia età ma ancora gli arrivavo solo alla spalla, mi protesi e gli sussurrai all’orecchio, la mia migliore voce in falsetto.

    «Dai fallo, fallo davanti a Dumbledore… fallo… poi mi racconti com’è, finire ad Azkaban!»
    «A luglio, Rabastan, devi tornare a casa… posso rendertela peggio di Azkaban… pensaci!»
    «E tu pensa che hai un fratello idiota che potrebbe lasciarsi scappare la parola sbagliata, con la persona sbagliata… »
    «Pensi di poter minacciare… me? Sei andato con quel Rosier, di nuovo, a fumare roba?»
    «Lascia perdere Rosier, fratello… ti sto solo dicendo in faccia ciò che penso di te, consapevole della totale impunità che questo luogo mi garantisce!»

Rodolphus mi scansò dandomi una spallata e portandosi a distanza di sicurezza, le sue dita si contrassero, si stava impegnando molto per non prendermi a ceffoni, come amava fare, quand’ero molto piccolo. Gli unici momenti di felicità, prima di entrare a Hogwarts, erano stati quando mio padre se ne accorgeva, lo prendeva per la collottola e lo portava con sé, nei sotterranei. A Rodolphus poi ci volevano giorni, molti giorni, prima di ritrovare la voglia di picchiarmi. Ghignai.

    «Hai ragione, cazzi tuoi, la vita è la tua… Rendila merda come preferisci! Avevo un compito per te, credevo fossi serio quando mi parlavi dei tuoi interessi futuri… stupido io che ti ho creduto! Non perderò altro tempo con te, perciò d’ora in poi non aspettarti più favori da parte mia!»

Erano parole diverse, ma la tattica era la stessa, suscitare timore e piegarmi, come identico era il mio desiderio di mandarlo al diavolo, ma ero pure curioso di vedere cos’altro si sarebbe inventato.

    «A proposito dei miei interessi futuri, Rodolphus… non sono io che ho rotto i patti… »
    «Patti? Quando avrei rotto i patti, Rabastan? Sei solo un bambino, credi sia tutto un gioco. Questo non è un gioco, non si parla a vanvera, si deve essere coerenti, perché non si torna indietro!»
    «Sei un lurido ipocrita… Tu hai altri progetti per me, progetti che io non condivido!»
    «Fammi capire… Tutta questa piazzata, tutto questo tempo perso, per… ? Solo perché ti ho parlato del contratto di matrimonio? È così? Non ci posso credere! Ed io non dovrei considerarti un moccioso senza cervello? Dovrei fidarmi di te? Dovrei presentarti a…?»
    «Non cambiare le carte in tavola, Rodolphus! E torno a ripeterlo, impicciati dei cazzi tuoi!»
    «Un giorno potrai avere tutte le cagne che vorrai, fratello, se è questo che ti rode… ma tua moglie e i tuoi figli avranno nome e sangue all’altezza della nostra famiglia… Io ho a cuore il nome dei Lestrange e, con le buone o le cattive, imparerai ad averlo anche tu… Quando mi si è presentata l’occasione, ho fatto quello che reputo sia il bene della famiglia, perché io non sono un coglione come nostro padre, che ha fatto un casino, permettendo a Malfoy di prendersi Narcissa Black!»

Quello fu un colpo basso ed io lo odiai: mio fratello sapeva che Narcissa era il mio unico, vero, punto debole, sapeva che la sera del suo fidanzamento mi ero sbronzato e avevo dato di matto… era stato lui a beccarmi e a rimettermi in sesto, prima che mi scoprisse nostro padre. Rodolphus vide il mio turbamento e affondò. Il mio cervello non seppe più dove aggrapparsi, come salvarsi.

    «Sai perché ti volevo aiutare, piccolo idiota? Perché pensavo che l’idea della vendetta ti avrebbe fatto crescere… so che certe cose fanno male, quando si è “innamorati”… evidentemente sei più stupido di quanto immaginassi e non ti disturba vederla tra le braccia di Malfoy… pensa come se la godrà, per tutta la vita, alla faccia tua! Forse lo vedi già… magari li spii e ti fai le seghe quando se la scopa nel Bagno dei Prefetti o nella stanza del settimo piano!»
    «Finiscila!»
    «Fai bene, fratellino… abbassa la testa, guarda, sopporta… che cos’altro potresti fare? Dumbledore ti ha pure detto che alla prossima che combinerai nel castello, ti caccerà, no? A quel punto cos’altro ti resterebbe? Tornare a casa? A farti umiliare da me? Io non aspetto altro, lo sai… »

Teneva la bacchetta in mano, ci giocava e la fissava, il volto ora era compiaciuto, sembrava un gatto felice di aver dato la zampata finale alla preda, ma io non sarei rimasto all’angolo; gliel’avrei fatto vedere io, a lui, a Malfoy, a Narcissa che mi preferiva quel pallone gonfiato, a Dumbledore e a mio padre, ovunque fosse, giù, scaraventato all’inferno.

    «Mentre ti aspettavo, ho visto proprio Lucius Malfoy… penso che alla fine l’incarico andrà a lui, visto che qualcuno, qui dentro, dovrà pur farlo… »
    «Che cosa deve fare, Malfoy?»
    «E dovrei dirlo a te? Dopo che mi hai pure minacciato di parlare? Non sono un coglione! Il Signore Oscuro ha bisogno di qualcuno che faccia un lavoro nella scuola… visto che io ho solo un fratello inaffidabile, l’unica alternativa è che Abraxas… faccia un altro regalo al suo Lucius… »

Si fissava le unghie, soddisfatto, sapeva che nella mia mente, fomentata d’odio dall’immagine di Lucius che affondava nel caldo corpo di Narcissa nel Bagno dei Prefetti, era stato azzerato qualsiasi altro ragionamento: tutta la rabbia che provavo per mio fratello, si era spostata, centuplicata, su Malfoy. Non potevo permettere che, dopo Narcissa, Lucius si prendesse pure il posto che Rodolphus mi aveva promesso, nella cerchia del Signore Oscuro! Erano già settimane che, su suo consiglio, avevo raccolto informazioni all’interno della scuola, non avrei lasciato che Malfoy approfittasse anche del frutto del mio lavoro! Inoltre… era ossessionato dall’idea di compiacere suo padre, perciò, se Abraxas voleva che conquistasse a scuola la benevolenza di Milord… io mi sarei messo in mezzo. Solo umiliandolo davanti al padre, infatti, avrei avuto parte della mia vendetta.
    E chissà, se diventassi grande agli occhi di Milord… le donne di solito cambiano idea, davanti al potere!

Rodolphus godeva del mio turbamento, mi stava manipolando e non lo sopportavo, ma in gioco c’era tutto ciò che io desideravo, non potevo negarlo e oppormi, solo per fare dispetto a lui.

    «Sai che ero sincero, quando ti ho parlato dei miei progetti, e che ti detesto, ma non rinuncerò a ciò che desidero, solo per far dispetto a uno stronzo come te! Dimmi cosa devo fare!»
    «Ubbidireo
, invece del mio guinzaglio attorno al collo, avrai il bastone del Lord tra le chiappe
    «Smettila con le stronzate!»

Rodolphus ghignò, mise la mano in tasca ed estrasse una boccetta, soppesò la mia sorpresa, non era esattamente quello che immaginavo, lo guardai, aveva assunto un’espressione seria, professionale.

    «Devi versarne cinque gocce nel bicchiere di Rigel Sherton domattina, prima del mio arrivo: mi raccomando solo cinque e solo domani… voglio che tu sia lontano, quando farà effetto… »
    «Che cosa gli farà?»
    «Lucius Malfoy non farebbe domande simili a suo padre… Se hai remore, non sei adatto… d’altra parte, è il tuo primo compito, quindi… No, non ti sto chiedendo di uccidere un tuo amico, ma sappi che gli farà male… Ti crea problemi sapere che avrà i sensi alterati e potrebbe fare stupidaggini? Soprattutto se tu sarai bravo e gliela farai assumere prima dell’arrivo del Daily?»
    «Perché? Che cosa ci sarà sul giornale di domani?»
    «Non sono affari tuoi, fratello… Allora? Ti crea problemi?»
    «No… Ho già fatto scherzi simili ai miei amici… E Meissa? Non devo darla anche a lei?»

Rodolphus mi guardò e rise, una delle poche risate sincere che gli avevo sentito in tutta la mia vita.

    «Meissa? Oh no, lei no… Potrai avvelenare o fare qualsiasi altro genere di nefandezza alla mocciosa solo dopo che lei avrà dato ai Lestrange un bel maschietto purosangue. Ci siamo capiti?»

Tremai: una volta, intorno a Natale, l’avevo sentito dire con nostro padre di “prendere Meissa per costringere Mirzam alla resa”, io pensavo a un vero rapimento, non avrei mai immaginato a…

    «Hai perso la lingua, fratello? Non ti fa più ribrezzo l’idea che tuo fratello si preoccupi per te, vero? La mocciosa ti piace, lo so, ti ho visto andare tutti i giorni a Inverness, dopo l’incidente.»
    «Che cazzo d’intenzioni hai? Ti avverto… io non ho… le abitudini… di nostro padre, chiaro?»
    «Meglio così, perché puoi spaventarla come so che hai già fatto, ma guai a te se le metti le mani addosso, se le torci un solo capello e se ti fai espellere da questa scuola! Puoi averla solo se lei vuole, è quello il segreto con gli Sherton… Tu farai in modo che sia lei a volere te, chiaro? Se mandi a monte i miei piani con una stronzata, com’è vero Merlino, io ti rovino!»
    «Perché? Tutto questo… così… non ha senso… »
    «Perché se ti fiderai di me e seguirai i miei consigli, fratello… otterremo entrambi questa e tante altre soddisfazioni… vedrai… i nostri nemici… cadere… uno… dopo… l’altro… »

Mi aveva preso la mano e aperto il palmo poi, uno dopo l’altro, vi aveva lasciato cadere i tre anelli di nostro padre, quelli che avevano lasciato tanti segni sul mio corpo di bambino. Lo guardai, ardevo: anni prima, quando era morta nostra madre, Rodolphus aveva promesso di portarmeli.


***

Orion Black
Zennor, Cornwall - sab. 22 gennaio 1972

    «Non ti avevo consigliato di non essere patetico, Black, almeno per oggi? Ahahahah… »

Sconvolto e sovrappensiero com’ero, non mi ero accorto che Malfoy, un sigaro in mano e lo sguardo sornione di un gatto ben pasciuto, era scivolato silenzioso alle mie spalle, mentre fissavo assente il giardino divorato dall’oscurità. Ormai da qualche minuto avevo salutato gli ultimi ospiti, sconcertati quanto me dall’apparizione del Patronus ministeriale e carichi di domande su quanto stesse accadendo a Morvah: appena ricevuta la notizia, due Aurors avevano accompagnato il Ministro a Londra, due erano rimasti a Zennor, nell’improbabile caso che gli uomini di Milord lo cercassero a Black Manor, il resto della scorta si era smaterializzato, con Crouch, per combattere.

    «Vorreste seguirci? Non siate sciocco, Black! Solo un pazzo porterebbe con sé un civile in una situazione di pericolo! Restate a occuparvi dei vostri ospiti e lasciateci fare il nostro lavoro!»

Strinsi i pugni. Avevo cercato d’impormi e obiettare ma era una causa persa e non era mio interesse rallentare i Ministeriali con una disputa verbale, se in ballo c’era la vita di Alshain, inoltre… Tremavo ancora, non sapevo se per il terrore o per la vergogna della mia codardia: quando Crouch aveva posto l’accento sulla presenza dei Mannari, un brivido mi aveva scosso nel profondo, rizzando i peli della mia schiena, ed io avevo perso la mia fermezza. In quell’unico istante d’indecisione, Crouch si era smaterializzato con i suoi e Pollux aveva preso le redini della situazione, organizzando con mio padre la partenza via camino di un gruppo di ospiti, mentre Cygnus, Alphard, i due Aurors ed io scortavamo gli altri all’esterno, nel punto più sicuro da cui era possibile smaterializzarsi velocemente. Avevo vissuto quei minuti concitati come in una bolla sospesa, non mi rendevo conto di che cosa mi accadesse intorno, la mia voce pronunciava saluti a persone che neanche vedevo, il pensiero, l’attenzione erano fissi sull’idea e sulla speranza celati in quella traccia di Magia del Nord ricomparsa a Morvah. Al tempo stesso maledicevo me stesso per la mia inettitudine: mi ero sempre vantato con Alshain delle mie conoscenze di storia e archeologia, nei primi anni del nostro matrimonio, con Walburga, avevo intrapreso un lungo viaggio in Medio Oriente sulle tracce dei grandi Maghi del passato… ciò nonostante, non avevo dato il giusto peso alle leggende legate a quell’antica località del Cornwell.

    Non è colpa tua… lo stesso Alshain, dopo esserci stato, ha detto che sono solo sciocche storielle prive di fondamento… quanto a tuo padre… perché perdere le staffe così? Che cosa ne sa?

    «… Evidentemente non si può andare contro la propria natura, vero Orion?»
    «Cosa cazzo vuoi ancora da me, Abraxas? Perché non te ne sei andato con tutti gli altri?»

I sussurrati blateramenti di Malfoy, in quel punto appartato del salone, mi avevano riportato al presente, mi voltai, disgustato: mi aveva preso per il culo fin dall’inizio ed io, idiota, gli avevo creduto.

    «Non so a che gioco stai giocando, ma sono al limite dell’umana sopportazione!»
    «E cosa vorresti fare? Attaccarmi? Qui? Davanti a parenti e ministeriali? Rilassati, Black: è quasi finita! Lo so, pensi che mi sia preso gioco di te ma ho solo calcolato male i tempi, ci vorrà ancora un po’, forse un’ora, poi, come promesso, il nostro comune amico tornerà tra noi.»
    «Non era così che me l’avevi presentata!»
    «Capisco, ti sei offeso, ti avevo promesso la parte dell’eroe… mi spiace ma niente gloria per te, oggi, scelta dell’ultimo momento: la presenza di un uomo da anni chiamato “Cuore di Coniglio Black” sarebbe stata controproducente e… sospetta… una volta deciso di coinvolgere Greyback!»
    «Grey… Che cosa? Stai parlando di… Fenrir… Greyback? Oh Salazar santissimo… »
    «Esattamente lui… deduco dal tuo pallore e dalla tua agitazione che ne conosci la fama… ma mi pareva che il Patronus l’avesse detto, no? Ti dev’essere sfuggito… »
    «Salazar… ti prego… »
    «Siamo già al “ti prego”, Black? Mmmm, Milord lo troverebbe… interessante! Non temere, Fenrir serve solo a ravvivare la serata: se partecipassi a certe riunioni, Orion, sapresti quanto è divertente guardare gli Aurors darsela a gambe, dinanzi al Signore Oscuro! Immaginali sulle scogliere di Morvah, le conosci, no? Di giorno mettono i brividi, al buio poi… ripararsi dagli assalti del Lord, tra le pietre viscide, evitare di cadere infilzati sugli speroni di roccia sottostanti, illuminati dal quarto di luna… molti pagherebbero per esserci, per guardare o combattere… di certo, ammesso ne esca vivo lui stesso, Crouch dovrà cercare rimpiazzi per oltre la metà dei suoi uomini, domani!»

Avevo sempre pensato che le scelte di Malfoy fossero dettate solo da convenienza e profitto, non avevo mai notato il bagliore esaltato nei suoi occhi morti, mentre parlava di omicidio. Tremai.

    «Basta! Sono stanco di te, delle tue ciance, non capivo perché volessi Crouch in casa mia, cosa diavolo intendessi ottenere, ma dovevo sapere che era solo un’altra delle tue pagliacciate!»
    «Pagliacciata? Oh no, no… Crouch DOVEVA vedere con i suoi occhi i tuoi ospiti, qui, stasera, ed era necessario che restassero gli Aurors anche dopo la sua partenza, era fondamentale!»
    «Mi hai ammorbato con le tue fandonie solo per avere un alibi? Lo sapevo! Volevi pararti il culo! Gli uomini di Milord combattono mentre tu sei qui, un vigliacco imboscato tra i miei ospiti!»
    «Mi fai sembrare così volgare e meschino, Black! Guardati intorno: sono l’unico a essermi “imboscato tra i tuoi ospiti”? Lord Lestrange fa ancora il galante con la vecchia Irma, tua nipote Bellatrix… non l’ho mai vista tanto carina e gentile come questa sera… E hai notato quanti baldi giovani, figli dei nostri illustri amici, hanno accompagnato i genitori a questa festa? Hai parlato con Lodge, sai che Crouch sospetta di molti rispettabili esponenti della nostra società, su molti di quei giovani si è posato il suo sguardo temibile solo perché compagni di scuola di Mirzam Sherton! Ti rendi conto? È stato per il buon nome di un’intera generazione di giovani Slytherins che Crouch DOVEVA essere qui, alla festa di tuo figlio, mentre Milord stava dando prova della sua potenza!»
    «Immagino che tu ti compiaccia della tua voce, mentre dici queste stronzate, vero Malfoy? Non sono altro! Perché Crouch non è tanto stupido da pensare che Milord abbia sempre con sé tutti i suoi Mangiamorte… che utilizzi sempre e solo gli stessi, che siate solo uno sparuto manipolo… »
    «Sparuto manipolo? Oh, no… non oggi, non per Alshain Sherton, non per un luogo carico di storia come Morvah, non per Bartemiuos Crouch, non per gli uomini della Confraternita! Cogli la magnificente carica simbolica che Milord mette in tutto questo, Black? La Magia del Nord usata contro i suoi stessi uomini, la grotta di Habarcat resa prigione di un impostore che si erge a custode e unico detentore della tradizione! Non trovi che sia… poetico? No, dai, non fare quella faccia, Orion! Respira! Devi avere più a cuore… la tua salute! Pensa… Crouch ha visto molti dei suoi “sospettati” a questa festa, sarà confuso o forse, facendo due conti, penserà di essere in vantaggio, di avere di fronte solo pochi uomini… E sbaglierà. Avrà davanti un’armata più numerosa di quanto abbiano dedotto i suoi Aurors, non può immaginare le tante, nuove, inaspettate acquisizioni, frutto del proselitismo praticato anche all’estero! Milord oggi annienterà le convinzioni dei Ministeriali, insieme alle loro inutili vite... »

Rabbrividii, non per le sorti degli Aurors, non poteva importarmene di meno, ma perché era evidente, ormai, quanto fosse vano sperare di riportare a casa Alshain.

    «Tutto lo schieramento di Milord, contro Confraternita e Ministero… Complimenti, Malfoy, mi hai proprio ingannato, stavolta… come farebbe a mettersi in salvo Sherton? Milord sarebbe sputtanato pubblicamente se Alshain riuscisse a scappare nonostante tante forze in campo!»
    «Chi può dirlo? Un ottimo metodo per vincere la guerra, Black, è indurre il nemico a credere di essere in vantaggio… Pertanto… potresti aver ragione o essere il solito ingenuo… Ti lascio ai tuoi pensieri, ma invito te e Walburga a cena, mercoledì, per festeggiare il nostro comune amico… sai… di recente ho… acquisito… delle casse di Malvasia… annata superba, davvero superba… »

Si diresse lezioso al divano sul quale i miei cognati parlavano con mio padre, uscii in giardino, passandomi un dito nel colletto, rabbrividivo e sentivo la pelle bruciare, tutto mi sembrava confuso e sfuocato. Nella mente riecheggiò la risata divertita di Alshain ad Amesbury, l’inverno precedente, mentre mi mostrava, eccitato, delle casse di vino babbano ed io mi ostinavo a ripetere che non avrei mai bevuto brodaglia creata dalla feccia; Alshain aveva preso una bottiglia, aveva versato il liquido rosso rubino, me l’aveva offerto, brindando ai nostri figli. Avevo assaggiato solo per non offenderlo, dubbioso, alla fine però quell’aroma mi aveva travolto. E Sherton era scoppiato a ridere.

    «Che cos’è? Questo vino è delizioso… dove l’hai scovato? »
    «Sono felice che ti piaccia, musone di uno Slytherin… si chiama Malvasia, è italiano… »
    «Sei la solita canaglia, Sherton! Te l’ho mai detto?»

    Sei la solita canaglia Sherton… riuscirò a dirtelo ancora?

*

Avevo perso la cognizione del tempo, lasciato la mente correre dietro ai ricordi, ne ero stato travolto, una cascata incontrollabile. Avevo passato quella giornata in trepidante attesa di un miracolo, ora, l’ultima, allucinante discussione con Malfoy, più gongolante che mai, mi aveva gettato nello sgomento più profondo. Quante possibilità c’erano che, dopo tutti quei giorni in mano al Signore Oscuro, dopo la distruzione che i Mangiamorte avevano portato a Londra e ad Amesbury, Alshain fosse ancora vivo? L’anello di Rigel invitava a sperare, ma dopo aver ascoltato le farneticazioni di Abraxas, temevo che il Lord avesse preservato i miei amici solo per riservare loro un’esecuzione pubblica e spettacolare. Ed io stavo lì, bloccato, seduto sui gradini del mio giardino, a scrutare la notte in attesa di un segno, mentre in casa i parenti rimasti parlavano di cazzate e due Aurors erano pronti a difenderci, casomai fossero arrivati i Mangiamorte.

    In che mani siamo? La casa ne è piena e gli Aurors invece di arrestarli li proteggono!

Mi alzai, sovrappensiero, e cominciai ad allontanarmi, incamminandomi verso il bosco, là dove gli incantesimi che impedivano la Materializzazione non avevano più effetto, lasciandomi dietro le luci e le voci provenienti dalla casa: non avevo un’intenzione chiara, avanzavo, mentre la mia mente era stranita da pensieri opposti. Sentiva solo il vento, che faceva muovere pigramente gli alberi, e la voce della risacca, metri e metri più in basso; la notte era tersa, le stelle brillavano gelide, nel cielo solo uno spicchio di luna. All’improvviso pensai con intensità a quel luogo, non riuscivo a immaginarlo, perché non l’avevo mai visto, ma mi legai all’idea di Alshain e della potenza della Magia Antica, ma soprattutto alla volontà di rivedere i miei amici. Ruotai veloce su me stesso e mi sentii avvolto da un buio più serrato, staccato dal mondo, infilato in un tubo.
Un istante dopo c’era la luce. Tanta. Troppa. Feci appena in tempo a chinarmi, la luminosità di uno Stupeficium volò sopra la mia testa, l’incantesimo percosse un fusto d’albero a qualche metro da me, schiantandone un ramo, e si disperse nell’oscurità. Mi gettai a terra e mi nascosi dietro un masso, respirai a pieni polmoni, mi guardai intorno cercando di capire, di mettere a fuoco, dove fossi. Alla mia destra, in basso, c’era un’oscurità profonda, inchiostro denso: era il mare, tesi l’orecchio e sentii il rumore delle onde che s’infrangevano sugli scogli, sotto di me. Alla mia sinistra e alle mie spalle, c’era dello spazio vuoto prima di toccare la nuda pietra, sembrava che mi fossi materializzato in una piega del pendio, in un punto abbastanza riparato in mezzo alle rocce; a diversi metri da me, di fronte e un po’ più in alto, c’era un passaggio in leggera salita, oltre il quale si udiva una moltitudine di scoppi, mi affacciai e vidi attecchire e spegnersi piccoli incendi, che illuminavano a intervalli una scena caotica, oscura: mi ricordai con spavento la notte sulla torre di Herrengton. Frastuono e urla indicavano che la battaglia stava ancora infuriando, ma ero troppo distante per capire chi fossero, quanti fossero, chi avesse la meglio. Poi ci fu un boato, la notte rosseggiò del devastante incendio di una costruzione. Avevo sentito Alshain parlare di un convento ridotto a rudere, vicino alla scogliera, mi mossi lentamente, avvolto nell’oscurità, e vidi che il grosso della battaglia si svolgeva lì: corpi coperti dalle fiamme correvano, alcuni caddero e sparirono nel vuoto, sugli scogli, altri furono salvati dagli incantesimi dei compagni. Nella luce rossastra dell’incendio, molti volti erano coperti da maschere e i corpi erano avvolti in mantelli neri, dunque, come aveva predetto Malfoy, gli Aurors sopraggiunti non stavano più lottando solo contro i Mannari di Greyback, ma anche con i Mangiamorte del Lord. Con orrore, notai un uomo, più alto degli altri, che scagliava a ripetizione l’incantesimo a “colpo di frusta” che mi aveva lanciato contro Rodolphus Lestrange, facendosi scudo dietro quella che pareva una catasta di cadaveri. Il rudere di colpo implose su se stesso, sollevando un’onda di calore, e polvere e tizzoni ardenti che furono portati fino ai miei piedi, qualcuno si accorse di me, che ormai avevo lasciato il mio rifugio per portarmi al limitare della spianata dinanzi al convento, un paio di Schiantesimi mi furono lanciati contro, dovetti proteggermi e arretrare. Quasi inciampai sul corpo di un uomo, mi chinai a guardarlo, non era un Ministeriale, né un Mangiamorte, le labbra erano rosse di sangue e sembravano stette su pezzi di tessuto e carne. Fui percorso da un brivido: non era notte di luna piena, i seguaci di Greyback non erano trasformati in lupi, ma i loro morsi e i loro graffi, si diceva, potevano essere comunque infetti. Mi chinai, travolto dai conati, e mi allontanai, sconvolto.

    Come troverai la grotta, al buio, se non ci sono riusciti Ashain e Fear, in pieno giorno?

Il vento spazzava la costa, sentii le mie vesti avvolgersi attorno alle mie gambe, feci uno scatto troppo rapido e sentii dei sassi dietro di me, cadere nel vuoto, mi voltai di nuovo a destra, pensavo di aver raggiunto il mio “nascondiglio”, invece ero a un passo dal baratro.

    Che cosa ha detto Abraxas? Scogliere e irte lame di roccia? Bene…

Guardai giù ma il mio sguardo si perse nel buio: la grotta non poteva essere in mare, se gli altri erano tutti attorno al rudere... d’altra parte, si parlava di Habarcat come di un dono trovato in fondo a un pozzo e, nel corso dei secoli, la costa poteva essere franata. Mi mossi ma con quel buio, anche se ci fosse stato qualcosa, non avrei visto nulla. All’improvviso, invece, mentre mi sporgevo sul vuoto, a qualche metro sotto di meno, apparve e subito scomparve una lieve luce azzurrina. Aguzzai lo sguardo. Feci Lumos e puntati la bacchetta nel vuoto, là dove avevo visto qualcosa pareva ci fosse un sentiero, uno stretto percorso tra le rocce. La gola mi divenne arida, era folle l’idea di seguire, non sapevo chi, non sapevo per quanto, non sapevo dove… per quanto ne sapevo, la pietra del costolone poteva essere instabile e franare in acqua sotto il mio peso. Sentii urlare un uomo, a terra, a pochi metri da me, mi voltai, lo vidi contorcersi sotto gli effetti di una Cruciatus. Il suo aguzzino si avvicinava a grandi passi. Presto mi avrebbe visto e avrebbe colpito anche me…

    Perché sei qui, Orion, non vuoi seguire quella strada, quella che, lo sai, quasi sicuramente è l’unica giusta? Preferisci restare qui a farti Cruciare? A morire? Per che cosa? Pensaci, se Alshain era in quel rudere, ormai non c’è più speranza, per lui… ma se invece fosse qua sotto…

Guardai di nuovo giù, feci un leggero incantesimo e delle deboli sfere di luce si staccarono dalla mia bacchetta per illuminare il profilo del costolone. Sospirai a fondo, mi tolsi la giacca che poteva essermi d’impiccio, arrotolai le maniche e imposi un leggero incantesimo di adesione alle mie scarpe, scarpe da cerimonia, inadatte alle imprese come quella.

    Voi damerini del sud, pensate di poter affrontare le Terre con queste scarpette da femmine?

Ricordavo la voce irridente di Fear, la prima volta ce l’avevo incontrato, le risate di Alshain, tanto sguaiate da sembrare convulsioni, la mia faccia che aveva preso fuoco all’istante. Repressi quei ricordi e mi concentrai, cominciai a scendere, un passo dopo l’altro, la pietra viva che mi feriva i polpastrelli e sbucciava i gomiti, gli occhi che fissavano la lieve traccia che con la bacchetta avevo tracciato dinanzi a me, a delimitare il bordo oltre il quale non dovevo sporgermi…

    Avanti Orion… l’ha fatto una bambina come Meissa, con una magia più acerba della tua…
    Non fare il coniglio, Black… guarda me, ahahahahah...

Sentivo la voce di Alshain che m’incitava e facevo ancora un passo. In breve scesi di parecchi metri, mi sorpresi di me stesso. Finché dovetti rallentare: a quanto pareva, nonostante la mia nomea d’impiastro, ero più abile della persona che era scesa prima di me, perché iniziai a sentire i bisbigli delle due persone, un uomo e una donna, dinanzi a me, Aguzzai le orecchie, sentii almeno due volte, tra i sussurri e il rumore del mare, le parole grotta, apertura, Jarvis.

    Warrington? Allora ci sono i Maghi della Confraternita, davanti a me… forse addirittura… Mirzam…

Trovai ancora più coraggio, volevo raggiungerli, immaginavo già la missione di salvataggio, da svolgere insieme, quando il buio, sopra di me, fu squarciato da un urlo straziante, cui segui un sibilo e un tonfo, poi un altro: con orrore vidi un’ombra cadere veloce davanti a me, poco dopo un altro tonfo, un altro gemito, poi più nulla. Anche le voci davanti a me si azzittirono. Feci ancora un passo e per poco non scivolai di sotto: la pietra era completamente zuppa di qualcosa di caldo e pastoso, davanti a me, a interrompere il sentiero c’era il corpo di un uomo, spezzato come quello di una bambola, la maschera scostata dal volto, negli occhi aperti e vuoti si specchiavano le stelle.


*continua*



NdA:
Ciao a tutti, eccomi fin
almente con il nuovo aggiornamento. Non ho molto da dire su questo capitolo, a parte che l'inizio è connesso con Old Tales, in particolare i capitoli 4 e 8, se avete qualche dubbio su storia e nomi dei personaggi, potete trovare le informazioni lì. Il capitolo era piuttosto lungo per cui ho deciso di tagliarlo, così vi siete divertiti con i patemi dei Lestrange e la prossima volta vedrete il Lord. Per il prossimo aggiornamento spero di non metterci tanto come stavolta, ma ormai non prometto più nulla. Bon, ringrazio quanti hanno letto, commentato, aggiunto alle liste, ecc ecc. vi saluto e vi auguro buon we. Baci.
Valeria


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