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Autore: Skylark91    28/02/2015    5 recensioni
Sevitus Post-GOF: l'estate immediatamente successiva al quarto anno di Harry porta con se nuovi problemi, sfide e... drastici cambiamenti. Un susseguirsi di vicende molto particolari indurranno il ragazzo ad avvicinarsi alla persona più improbabile nel ricoprire il ruolo di mentore e... qualcosa di più. (Non-Slash)
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Harry Potter, Severus Piton, Sirius Black, Voldemort
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Violenza | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Da V libro alternativo
Capitoli:
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XIV.
Trusting Snakes



«Aaaaah!»

Harry si sentì urlare, incapace di trattenersi dal dolore sconfinato che gli era improvvisamente esploso in testa. La sua fronte pulsava, la sua vista si annebbiava sempre più e le parole della professoressa sembravano così distanti e inaudibili che il ragazzo comprendeva ben poco di ciò che stava accadendo intorno a lui.

Travolto dal dolore, tutto ciò che poteva sentire in quel momento, chiaro e forte era una voce sibilante…

«Harry… Potter… presto… ci rivedremo…»

… la sua voce sibilante.


Il volto della professoressa McGranitt appariva e scompariva dal suo campo visivo, mentre avvertiva qualcosa di viscido e appiccicoso colare dallo squarcio che aveva in fronte. La voce della Vice Preside suonava altrettanto indefinita, finché un botto improvviso non fece trasalire il ragazzo, facendolo quasi rinsavire per una frazione di secondo.


Non più sorretto dalla mano dell’insegnante, Harry si accasciò a terra, la presa sulla propria fronte sempre più debole e i sensi ancora più disorientati. Una piccola parte della sua mente – ancora in grado di resistere al dolore immane da cui era invasa – realizzava quello che stava accadendo e il pericolo in cui si trovava. Un senso di impotenza e disperazione si impadronirono di lui, proprio quando vide l’ombra della donna tozza calare su di lui e la sua coscienza cedere il posto ad una lenta discesa verso l’oscurità.


«Un lavoretto facile facile,» furono le ultime parole che sentì pronunciare.

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Freddo. Buio.


Un flash di terrore e ansia gli apparve nella mente.


... il cimitero di Little Hangleton?


Pietra ruvida sotto la sua schiena dolorante.


No, non poteva essere il cimitero. Ma allora… dove…?


Harry si mosse appena, troppo spaventato all’idea di essere osservato da qualcuno nelle tenebre che lo circondavano e ancora frastornato per tutto ciò che era successo attimi prima di svenire in preda al dolore. Sapeva di dover agire, far qualcosa, o – per lo meno – capire dove si trovasse e perché, in modo da occupare la mente con pensieri utili e non cedere alla paura.


La prima cosa che fece fu allungare una mano verso la tasca del jeans dove era solito riporre la bacchetta. Le sue dita – ancora sporche di sangue secco – incontrarono solo tessuto e un vuoto allo stomaco si impossessò di lui.


Era la prima volta che si trovava in una situazione di pericolo senza la sua arma di difesa principale. Con cosa avrebbe potuto proteggersi da chi l’aveva rapito? Era completamente alla mercé del nemico.


Harry ricordava di aver urlato, del dolore accecante nella mente. Si toccò leggermente la cicatrice e poté sentire che il sangue colatogli durante l’attacco si era raggrumato tutto intorno; chissà cosa diavolo gli avevano dato per farlo rinvenire.


La testa gli girava ancora tremendamente, come se qualcuno gli avesse lanciato un bolide dritto in testa, e il senso di confusione e nausea non fece altro che aumentare quando provò a sollevarsi da quella scomoda posizione per mettersi in piedi. Dopo un paio di tentativi, dovette accontentarsi di mettersi seduto e di guardarsi intorno dal punto in cui si trovava; naturalmente, non riconosceva quel posto e – sebbene avesse ormai appurato di non trovarsi nel cimitero di un mese e mezzo fa – il sentore di essere nei guai era forse ancora più forte di allora, quando per diversi istanti aveva creduto di stare ancora gareggiando per la Coppa Tremaghi.


Alte e cupi pareti incombevano su di lui, rannicchiato e paralizzato dall’ansia crescente, come spaventosi colossi di pietra. L’unico barlume di luce che penetrava all’interno proveniva dalla torcia nel corridoio che dava su quella che ormai aveva capito essere la sua cella.


Alla fine ci era riuscito.


Voldemort… aveva mantenuto la sua promessa.


Era solo, isolato da tutti e senza via di scampo.


Thump. Thump.


Un improvviso rumore di passi riportò Harry alla realtà, ormai in preda al terrore.


«Haaaarry…»


Era… una donna? Tra le schiere di Voldemort? Il ragazzo non sapeva a che pensare, se non che quella voce fosse una delle più terrificanti che avesse mai sentito in vita sua.


Una sagoma dai lunghi capelli ricci, che sparavano in tutte le direzioni, si parò di fronte alle sbarre della cella, coprendo completamente il cono di luce della torcia. Era chiaramente una donna, che indossava una lunga veste molto simile a quella portata dai Mangiamorte.


«Finalmente ci incontriamo.»


Harry indietreggiò, non sapendo cosa aspettarsi, e la donna ridacchiò in modo orribile, mentre apriva la porta con un gesto del polso e avanzava all’interno della cella.


«Cosa c’è, piccolo Harry?» mormorò la donna in una voce stridula, quasi in falsetto. «Hai paura? Paura di stare tutto solo soletto in questa sporca e buia cella?»


Il Grifondoro indietreggiò fino al muro alle proprie spalle, incapace di distogliere gli occhi da quelli nero fumo della donna, che brillavano di una luce folle nell’oscurità intorno a loro. Erano terrificanti.


«Non devi averne,» sussurrò dolcemente la Mangiamorte, chinandosi verso di lui e guardandolo con una finta occhiata compassionevole, «perché tra poco, piccolo Potter, rivedrai tanti vecchi amici che muoiono dalla voglia di giocare un po’ con te.»


Harry rabbrividì e si appiattì contro la parete, disgustato dalla vicinanza con quella donna. Ora che poteva vederla meglio in viso, sapeva chi era, avendone letto il nome e visto la foto sul numero della Gazzetta del Profeta che parlava dell’evasione dei Mangiamorte da Azkaban, e ne era ancora più terrorizzato: Bellatrix Lestrange, la torturatrice dei coniugi Alice e Frank Paciock, nonché cugina di Sirius.


«Allora, Potterino… pronto per una passeggiata al chiaro di luna?»

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Un silenzio tombale aleggiava sul tetro cortile interno della fortezza, come la nebbia che avvolgeva i mantelli degli uomini in piedi e immobili, radunati in cerchio di fronte al loro padrone. L’unico suono che accompagnava il movimento della fredda foschia era il fruscio delle spire di Nagini sul terreno umido.


Lord Voldemort ne accarezzò la testa squamata e il grande serpente sibilò ai suoi piedi. «Questa,» esordì solennemente, «è una notte molto importante.»


Le pesanti porte del maniero si aprirono in quel momento, rivelando Bellatrix in procinto di unirsi al gruppo, mentre spingeva e strattonava, al tempo stesso, una figura più bassa e incappucciata. I due entrarono nel cerchio di maghi dal volto altrettanto coperto, e solo allora Lord Voldemort si alzò dal suo scranno, prima di riprendere la parola.


«Sono certo,» esordì, procedendo verso il gruppo, i piedi nudi che calcavano il suolo polveroso con estrema lentezza, «che molti di voi si staranno chiedendo chi abbia deciso di unirsi a noi a così tarda ora per una piacevole rimpatriata tra amici. Naturalmente, alcuni lo conoscono solo di fama, impediti dalle sbarre di Azkaban fino a due giorni fa; non disperate: questa sera, anche voi avrete il piacere di fare la sua conoscenza… dal vivo.»


Avanzò fino a trovarsi nel mezzo della cerchia, accanto al prigioniero, che – ansimante e in ginocchio – continuava a muovere la testa da una parte all’altra, come se cercasse di spiare, attraverso il tessuto del suo cappuccio, ciò che lo circondava, in attesa di quello che stava per accadergli.


L’Oscuro Signore estrasse la propria bacchetta dalla lunga veste e la puntò verso il volto della figura tremante vicino al quale sostava. In quell’istante, il cappuccio svanì sotto gli occhi dei presenti.


«Salutate tutti il nostro ospite d’onore… Harry Potter!»

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La risata di Lord Voldemort riempì l’aria della notte, ma Severus non la udì. I suoi occhi erano fissi sulla pietosa figura di Potter, il volto tumefatto e il corpo tremante; la sua mente, invece, era occupata a tenere lontano ogni pensiero che potesse costare la propria copertura e la vita al ragazzo.

No... non può essere vero. Non può succedere... non doveva succedere, Silente!

Quando era arrivato a Tantallon’s Castle, qualche ora prima, si era concesso il lusso di accantonare parte dei presentimenti negativi che aveva provato a Hogwarts, mentre attendeva di essere chiamato tramite il Marchio. Nella nuova base segreta di Voldemort, nulla lasciava presagire a ciò che si stava verificando in quel momento davanti ai suoi occhi.


Come sempre, aveva fatto rapporto all’Oscuro Signore, aveva scambiato poche parole di circostanza con Mulciber e, infine, aveva raggiunto il laboratorio per dedicarsi alla pozione prevista dal Rituale dell’Annullamento fino a tarda serata. Aveva così avuto modo di calcolare l’esatta data in cui l’infuso sarebbe stato pronto – addirittura prima del previsto – e aveva deciso che un piccolo sabotaggio sarebbe stato utile a ritardare i tempi di ancora qualche giorno…  Ma proprio mentre si apprestava a mettere in atto il suo stratagemma, era stato richiamato in superficie per una riunione straordinaria nel cortile interno del maniero.


In nessun modo avrebbe potuto prevedere quello che stava accadendo. Non sapeva quanti dei Mangiamorte più vicini a Voldemort fossero a conoscenza del piano per catturare Potter, ma la cosa più eclatante era che lui non fosse tra essi. L’Oscuro Signore non aveva ritenuto opportuno informarlo di tale mossa, così come aveva fatto con il nome del suo “infiltrato speciale”, che ora non era più segreto.


Severus lanciò un’impercettibile occhiata a Lucius, lodato a grandi titoli da Voldemort – poco prima dell’entrata in scena di Potter – per come era riuscito a servirsi di Dolores Umbridge in tutti i suoi lavori sporchi al Ministero, e ora anche per questo compito, così importante e delicato. Era stata lei – sotto il controllo dell’Imperius di Malfoy – a rubare la formula della pozione e a far prendere il controllo di Azkaban con la liberazione di Dissennatori e Mangiamorte.


E il fatto che lui – Severus – non fosse stato messo al corrente di tutto ciò, non aveva fatto altro che far perdere terreno all’Ordine su ogni loro azione.


Ma ora non era il momento per complimentarsi con gli avversari per i loro successi. Severus tornò a posare lo sguardo su Potter, che si guardava intorno – tremante e indifeso – come un animale ferito circondato dai propri carnefici. Non importava più il modo in cui il Signore Oscuro era riuscito a mettere le mani sul ragazzo; l’unica cosa che contava veramente in quell’istante, era trovare la soluzione per tirar Potter fuori da lì.


«Che ne dici di un po’ di divertimento, eh, Harry?» Voldemort girava intorno al giovane Grifondoro come uno squalo con la propria preda. «Sai, non ho particolarmente apprezzato il modo in cui ci siamo salutati l’ultima volta… per questo, faremo sì che ciò non accada più. Niente più passaporte… niente più bacchette, né fantasmi… A proposito, hai più visto mamma e papà, Harry?»


Tutti risero di gusto, mentre Potter riusciva a raccogliere le forze per alzare la testa e lanciare uno sguardo oltraggiato alla propria nemesi, quasi a volerlo sfidare ad aggiungere una parola di più.


«Non hai una bella cera, Potter,» continuò Voldemort per nulla colpito, senza smettere di sorridere, «a quanto pare la nostra Bellatrix ha già avuto modo di giocare un po’ con te… perché non estendere i festeggiamenti del nostro nuovo incontro anche agli altri, mh? Crucio


Potter si contorse al suolo e Severus lo vide distintamente trattenere i gemiti strozzati che gli salivano in gola per il dolore.


Crucio! Crucio! Crucio!


Altri Mangiamorte si aggiunsero al coro, a turno, solo dopo che Voldemort si fu ritenuto abbastanza soddisfatto della propria performance.


Potter cadde nuovamente nella polvere, sollevando una nuvola grigiastra nella cerchia. Severus lo vide attraverso la propria maschera, rotolare sulla schiena e lanciare uno sguardo terrorizzato attorno a se, come se stesse cercando qualcosa… qualcuno. I loro occhi si incontrarono in quell’istante, e – per una frazione di secondo – Severus ebbe l’impressione che Potter l’avesse riconosciuto, nonostante il volto coperto, e che un barlume di speranza gli avesse illuminato le iridi verdi.


«Chiudi la mente al dolore, Potter,» tentò di comunicargli, approfittando del loro contatto visivo.


Un lampo di consapevolezza nello sguardo del ragazzo gli fece capire che il Grifondoro aveva recepito il messaggio.


«Implora pietà, Potter, e ti risparmieremo ulteriori sofferenze… per questa sera.»


«… m-mai…» biascicò il giovane, il respiro mozzato dal dolore.


L’ennesima maledizione colpì il ragazzo, che – nonostante avesse cercato di rialzarsi, ancora e ancora – si accasciò nuovamente su se stesso, con un verso soffocato; difficilmente il suo fisico avrebbe resistito per molto.


Severus si concentrò sulle proprie barriere mentali; gli era sempre più difficile ignorare i grandi, sofferenti occhi verdi che avevano cercato i suoi poco prima, come alla ricerca di una luce in fondo al tunnel. Ed era sempre più difficile ignorare la presenza di Lily nel ragazzo, fino a quasi annullare ogni rassomiglianza fisica con James Potter.


Se avesse potuto, avrebbe fermato ogni tortura in quel preciso istante. Avrebbe allontanato ogni traccia di sofferenza, paura, disperazione… da quegli occhi che amava tanto. Ma non gli era possibile sottrarre Potter-- il figlio di Lily, al Signore Oscuro senza il vantaggio della propria copertura. La pozione non sarebbe stata pronta prima di quattro giorni, durante i quali il Grifondoro sarebbe stato torturato... ma non ucciso. Avrebbe escogitato qualcosa, avrebbe trovato un modo per fare uscire il giovane dal castello in una corsa contro il tempo che li avrebbe condotti oltre le barriere lanciate sull’intero circondario della zona…


«Severus


La voce sibilante di Voldemort lo riportò alla realtà.


«Vieni avanti.»


Infine, era arrivato il suo turno.


Doveva essere pronto a fare anche ciò che mai avrebbe voluto.


L’Esperto di Pozioni obbedì, il volto impassibile nascosto dietro alla maschera. I suoi passi lo portarono di fronte all’uomo serpentesco e a un metro da Potter, di cui evitò lo sguardo. Se il ragazzo avesse tradito un qualsiasi tipo di emozione, entrambi avrebbero potuto considerarsi spacciati.


Voldemort sorrise e lanciò un’occhiata ai propri piedi, dove il Grifondoro si contorceva. «Harry, Harry,» mormorò dolcemente, scuotendo piano la testa, in segno di disapprovazione, «dove hai lasciato le buone maniere?» Mosse la bacchetta affinché il giovane fosse costretto a sollevare il capo da terra, i nervi e i muscoli costretti a scattare insieme. «Perché non saluti il professor Piton?»


Severus notò che, nonostante tutto il dolore che doveva attraversare ogni centimetro del corpo di Potter, il ragazzo sembrava ancora intenzionato a trattenere i propri gemiti, come se non volesse dar soddisfazione a Voldemort.


«Potter non mostrava rispetto quando era nel pieno di sè, mio Signore, la sua persistente arroganza è tutto all’infuori che imprevedibile,» commentò Severus, nel tono più disgustato e schernitore possibile.


Voldemort sorrise, compiaciuto. «Andiamo, Harry, puoi fare di meglio…» continuò, con un altro secco gesto della bacchetta, che costrinse il giovane ad alzare il braccio e a sventolare una mano di fronte a Severus, «credevo che tu e il professor Piton andaste d’amore e d’accordo oramai…» La sua breve risata scatenò l’ilarità contenuta di alcuni Mangiamorte.


Potter sembrò sul punto di cedere e gridare per il movimento obbligato, ma si morse le labbra come per costringersi a non farlo. Severus si chiese come poteva un giovane di soli quindici anni sopportare tanto dolore senza lamentarsi più del dovuto. Com’era possibile? Quel  ragazzo – lo stesso ragazzo in cui aveva sempre e solo voluto vedere inettitudine e indisciplinatezza – stava dimostrando una forza di volontà e un autocontrollo mentale fuori dalla norma.


Una vera riserva di potenziale nascosto.


Poi, uno schiocco – come di un ramo spezzato – risuonò nella notte, e l’urlo di dolore di Potter si levò nell’aria.

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Quando Harry aveva visto il cerchio di persone-- no, mostri, che lo stavano aspettando fuori al maniero, con Voldemort ad attendere nient’altri che lui, la sua prima reazione era stata quella di andare nel panico più totale. Il cortile avvolto dalla nebbia, in cui erano radunati gli stessi Mangiamorte di un mese e mezzo prima più altri di cui non ricordava nemmeno i nomi, non era altro che la copia sputata del cimitero di Little Hangleton.


Le stesse sensazioni orribili lo assalirono di colpo. Improvvisamente, si sentì di soffocare, incapace di emettere un respiro di più di quell’aria opprimente e terrificante.


Ma non poté fare altro che avanzare, sospinto e maltrattato da Bellatrix, fino a raggiungere la cerchia e ritrovarsi di nuovo lì, in balia degli eventi, come la notte della Terza Prova.


Come l’avrebbe affrontata questa volta, sapendo quanto poco bastasse prima che un lampo di luce verde mettesse a finire tutto?


Questa volta, Voldemort sembrava aver preso le dovute precauzioni. Non gli aveva restituito alcuna bacchetta, non aveva proposto nessun duello senza senso. La tortura era iniziata, strappando Harry da quello stato surreale, impedendogli di pensare a nient’altro che al dolore, lento e straziante.


Il volto di Cedric Diggory gli apparve mentalmente, i suoi occhi vacui che fissavano il nulla, gli arti rilassati… Sarebbe bastato un attimo, pochi secondi e tutto sarebbe cessato, proprio come per il giovane Tassorosso… proprio come per suo padre e sua madre…


No. Non può finire così.


Come se una parte della sua coscienza stesse ancora cercando di aggrapparsi ad una soluzione – ad una via di uscita, nonostante la sofferenza – un flash e delle parole risalenti a solo poche ore prima gli vennero in mente.


«Il professor Piton aveva molta fretta quando mi ha riferito le sue istruzioni per te, credo che faresti meglio a parlarne con lui al suo ritorno.»


E se Piton fosse lì?


Se fosse in mezzo al gruppo di Mangiamorte che ora lo osservavano contorcersi e si preparavano a contribuire alla sua tortura?


Forse non era ancora del tutto spacciato… forse c’era ancora una speranza…


Harry cercò con lo sguardo tra gli uomini ammantati, alla ricerca di segni particolari che gli potessero far riconoscere Piton. Si trattava di una vera impresa, a causa della vista che si faceva sempre più annebbiata e del desiderio crescente di cedere alla stanchezza, ma soprattutto perché quelle maledette maschere sembravano tutte dannatamente uguali.


E poi li vide. Mentre passava in rassegna i Mangiamorte – nel momento in cui questi si diedero il cambio per torturarlo – Harry vide due occhi neri ricambiare il suo sguardo, come a voler instaurare un contatto.


«Chiudi la mente al dolore, Potter,» sentì chiara e forte la voce di Piton nella propria testa.


Avere la certezza assoluta che l’insegnante di Pozioni fosse dalla sua parte fu come ricevere una scarica di energia che risvegliò in lui l’intenzione di non lasciarsi andare. Avrebbe dimostrato a Piton che era in grado di resistere al dolore e, se ce ne fosse stata la necessità, persino a Voldemort.


Harry si concentrò nell’alzare le proprie barriere, come si era esercitato a fare da quando aveva iniziato a leggere il libro prestatogli da Piton. Immaginò che nella propria mente ci fosse Voldemort e che lui dovesse respingere la sua presenza, quando – in realtà – tutto ciò che stava cercando di fare era confinare almeno parte del dolore e dell’angoscia in un piccolo spazio circoscritto, lontano dalla speranza e dalla determinazione che ancora ardevano in lui. Non poteva permettere che il terrore prendesse il sopravvento su di lui… non poteva…


Voldemort smise di torturarlo per qualche istante e Harry cercò di riprendere fiato. Quando udì pronunciare il nome di Piton, si sentì raggelare; e se avesse testato la sua fedeltà? Se lo avesse costretto a esporsi…?


Harry attese, senza curarsi delle parole di Voldemort, o delle risate degli altri Mangiamorte. Era troppo sfinito per sentirli, troppo concentrato sulle proprie barriere… e su Piton. Sapeva che non doveva dar peso a qualunque cosa l’uomo avesse detto sotto quelle circostanze; sapeva che quello non era altro che il suo copione da recitare e che l’uomo non avrebbe mai rischiato di far saltare la propria copertura in quel momento, così cruciale. Ma – nonostante questi pensieri che continuava a ripetersi come un mantra – non riuscì a smettere di sperare di poter incontrare nuovamente il suo sguardo, per trarne anche solo un briciolo di conforto.


E quando Voldemort iniziò a farlo muovere come se fosse una marionetta, Harry continuò imperterrito a tenere gli occhi fissi su Piton, sull’uomo che aveva scoperto essere stato amico di sua madre; l’Ex-Mangiamorte che aveva dimostrato più di una volta, in passato, di essere in grado di badare alla sua sicurezza; colui che, nonostante tutto, aveva fatto sì che apprendesse i rudimenti di un’arte quanto mai utile nello scontro contro Voldemort e che aveva vinto la sua ammirazione da quando Harry aveva scoperto il coraggio e l’abilità con cui svolgeva il proprio lavoro…


… crack.


Un dolore atroce e improvviso esplose tra l’avambraccio e la mano del ragazzo, la stessa che Voldemort aveva costretto a sollevare e sventolare poco prima. Il giovane urlò, incapace di trattenersi un secondo di più, mentre le instabili barriere che tanto aveva faticato per costruirsi crollavano di colpo come un castello di carte.


Harry si portò la mano sinistra al polso spezzato della destra, mentre si lasciava cadere a terra nella polvere, accartocciato su se stesso. Strizzò gli occhi per ricacciare indietro le lacrime, stringendo a se l’articolazione piegata in modo così innaturale dal volere di Voldemort.


Quest’ultimo sorrise. «Infine,» esordì, trionfo, girando intorno al giovane, «ci delizi della tua voce, Harry… e io che credevo volessi privarci di un suono tanto leggiadro.» Altri sogghigni si unirono ai suoi. «Forse, dopo questo piccolo riscaldamento, sarai pronto a far divertire anche il professor Piton,» continuò, prima di rivolgersi nuovamente all’Esperto di Pozioni. «Severus, credo che una lezione sia in ordine per il signor Potter…»


«Mio Signore?»


«So che Potter è ormai abituato alla tua presenza nella sua mente,» disse Voldemort, casualmente, «voglio che gli dimostri per chi hai davvero lavorato per tutto questo tempo… voglio sentirlo urlare, mentre gli strappi ogni singolo pensiero, fino all’ultima briciola di sanità mentale che questo moccioso insolente possiede.» Si avvicinò a Piton, il volto serpentesco a pochi centimetri dal suo orecchio. «Fai del tuo peggio con lui, altrimenti… lo saprò.»


Tremante e sfinito, Harry trovò la forza di volgere il capo verso la figura incombente di Piton, i cui occhi erano già sui suoi.


«Certamente, mio Signore.»


E Harry si preparò al peggio.

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Potter era alla sua mercé.


E lui sarebbe stato costretto a fare quello che mai avrebbe voluto.


Torturare il ragazzo che aveva giurato di proteggere.


Severus vide Potter alzare lo sguardo su di lui e la paura baluginare attraverso i suoi occhi chiari, prima di mischiarsi alla rassegnazione di chi ha ormai accettato il proprio destino. L’Esperto di Pozioni si era quasi ritrovato a sperare che Potter opponesse una qualche sorta di resistenza, che provasse a riposizionare le barriere o che distogliesse la vista da lui… ma tutto ciò non avvenne. Quasi come se il ragazzo volesse rendergli il compito più semplice.


Potter si era dimostrato abile, pur con la sua preparazione imperfetta e affrettata, Severus doveva ammettere che pretendere ulteriori sforzi da un fisico e una mente già tanto provati sarebbe stato chiedere l’impossibile.


Facendo appello alla propria padronanza dell’Occlumanzia, Severus nascose tutto il proprio disgusto per l’atto che stava per compiere dietro a un’impenetrabile muraglia di freddezza. Avrebbe fatto quello che doveva e svolto il proprio lavoro ancora una volta, costringendosi ad ignorare la lenta e atroce tortura psicologica alla quale lui stesso stava andando incontro.


Perché nel momento in cui Severus forzò la mente di Potter ad aprirsi a lui, iniziando a strappargli ogni singola goccia di agonia – sotto il vigile controllo di Voldemort – e le sue orecchie si riempirono delle urla del ragazzo, solo allora il Pozionista capì che non doveva più solo fare i conti con gli occhi di Lily… ma anche con quelli di Potter.


Potter, che aveva cercato di metterlo in guardia e fermarlo per impedirgli di incorrere nell’ira di Voldemort.


Potter, che lo aveva difeso dalle accuse lanciate dal suo padrino, senza curarsi dell’opinione di quest’ultimo, né di quella dei suoi amici.


E ancora Potter, che – nonostante le prese in giro e le punizioni subite da parte sua in quattro anni ad Hogwarts – aveva dimostrato di saperlo guardare con ammirazione e  fiducia.  


Ora – si rendeva conto Severus, mentre Potter gridava ancora e ancora, come mai aveva fatto per tutta la notte – assistere alla miriade di emozioni disperate che passavano attraverso gli occhi e la mente del ragazzo, era mille volte peggio che sopportare l’invasione mentale sperimentata due settimane prima da parte di Voldemort.


E la gelida morsa nel petto di Severus non si allentò nemmeno quando la voce del Grifondoro divenne tanto rauca da quasi scomparire; né quando Potter svenne, infine, sotto lo sguardo soddisfatto del Signore Oscuro e lui poté interrompere quella tortura straziante.


Sapeva che – da quella notte – non avrebbe mai dimenticato come fosse dovuto arrivare a trasformarsi nel carnefice di Potter, per realizzare, finalmente, ciò che avrebbe dovuto capire molto tempo addietro.

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Harry sentì qualcuno muoversi al suo fianco.


Non provò a spostarsi, né ad aprire gli occhi per vedere di chi si trattasse.


Non se ne curava minimamente. La testa gli scoppiava dieci volte peggio di quando era stato catturato ed emettere anche un solo pensiero di senso compiuto sembrava un’impresa titanica. Persino un movimento infinitesimo come quello di sollevare le palpebre era fuori discussione.


Anche i sensi erano confusi. Gli era parso di udire grida e risate solo un attimo prima (o forse si era trattato di diverse ore addietro?), mentre adesso tutto taceva, tranne che per quei leggeri movimenti così vicini a lui. L’unica cosa che riusciva a distinguere, per il momento, era la superficie contro la quale era rannicchiato – fredda e ruvida pietra –, ben diversa dal terreno polveroso nel quale si era dimenato chissà quanto tempo prima.


Uno dei Mangiamorte doveva averlo riportato nella sua cella, forse Bellatrix, se ben ricordava…


I movimenti cessarono per qualche secondo. Poi, Harry avvertì due braccia tirarlo leggermente su e mantenerlo con cautela in una posizione semi-seduta; chiunque lo stesse tenendo, sembrava avere come intento quello di somministrargli qualcosa, a giudicare dal breve rumore di boccetta stappata che seguì quegli spostamenti. Il primo impulso del ragazzo, fu quello di ribellarsi alla presa, per quanto garbata fosse. I suoi arti, tuttavia, sembravano pesare tonnellate e i suoi riflessi apparivano rallentati al pari di quelli di un bradipo; incapace di trasmettere comandi coerenti al proprio corpo, Harry si ritrovò a scivolare impotente contro la veste dall’aroma variamente speziato della persona sconosciuta.


Il panico iniziò a impossessarsi di lui. Le immagini confuse di quanto avvenuto nel cortile del maniero tornarono dolorosamente alla mente e un verso strozzato gli uscì dalla bocca; persino la voce lo aveva quasi del tutto abbandonato, mentre il suo udito non riusciva a distinguere le parole pronunciate dall’individuo ancora ignoto.


Poi, le stesse mani che lo avevano sorretto, si spostarono e Harry percepì una di esse posarsi con delicatezza sulla sua fronte, proprio sulla cicatrice. Immediatamente, capì di chi si trattasse e – sopraffatto da un senso di tranquillità e, allo stesso tempo, di frustrazione e imbarazzo per la propria condizione – non fu in grado di trattenere lacrime silenziose, mentre i suoi muscoli si rilassavano contro il petto di Severus Piton.


«Ho bisogno che tu prenda questa, Potter,» disse l’uomo dopo qualche istante, senza ritrarsi dal contatto, «ti aiuterà a recuperare le forze più rapidamente.»


Harry annuì in modo impercettibile, troppo dolorante per qualunque movimento. Sentì la mano libera di Piton portargli una fiala alla bocca, mentre l’altra rimaneva per tutto il tempo sulla sua fronte, nonostante la polvere e il sangue secco che copriva la pelle del ragazzo. Quest’ultimo si lasciò aiutare ad ingerire il liquido, che lo riscaldò non appena fu sceso lungo la sua gola inaridita.


«Mostrami il tuo polso,» continuò Piton, sollevandogli leggermente l’arto dolorante per definire l’entità dei danni. Harry gemette debolmente per le fitte che sembravano trapassargli l’intera zona spezzata; sentì l’insegnante di Pozioni mormorare qualcosa e, dopo pochi secondi, il dolore scomparve, lasciando spazio solo ad un vago intorpidimento. «Le ossa sono state sistemate al loro posto, ma ci vorrà un po’ di tempo prima che possano risanarsi completamente; è importante che tu non sforzi l’arto durante questo periodo--»


Un verso amaro sfuggì dalle labbra di Harry, che iniziava a sentire gli effetti ristoratori della fiala di poco prima. «N-non credo ci vorrà… m-molto prima che V-Voldemort mi spezzi… t-tutte le ossa del corpo…»


«No, Potter,» giunse l’immediata risposta dell’uomo, e Harry si sentì in dovere di credergli per la sicurezza con cui l’uomo aveva pronunciato quelle parole, «non ci saranno altre torture. Il Signore Oscuro vuole preservarti per il rituale magico che performerà in poco più di tre giorni.» Piton avvertì Potter rabbrividire contro di lui a quelle parole. «Per allora – se tutto sarà andato secondo i miei piani – avremo già percorso diversa strada da qui ad Hogwarts.»


Un’ondata di speranza si abbatté sul ragazzo: Piton l’avrebbe fatto uscire da lì. Non sapeva in che modo, esattamente, né se la missione avrebbe avuto successo, ma solo il fatto che l’uomo avesse un piano era abbastanza per farlo sentire meglio. Un dubbio, tuttavia, gli salì alla mente.


«E l’Ordine…? S-Silente sa già del…?»


«No, la locazione di questa fortezza è sconosciuta all’Ordine e io non posso allontanarmi da qui senza che Voldemort si insospettisca,» rispose Piton, con una certa fretta. «Inoltre,» aggiunse, prima di spostare cautamente il peso del ragazzo da se al muro di pietra alle loro spalle – affinché fosse in grado di sostenersi contro di esso –, «se me ne andassi non potrei rimetterti in sesto per la fuga che ci attende.»


Harry provò ad aprire gli occhi e fu sollevato nel rendersi conto che ora era in grado di farlo senza le difficoltà di poco prima. Avrebbe voluto chiedere al Pozionista qualche dettaglio in più sul modo in cui sarebbero scappati da lì, ma – mentre metteva a fuoco attorno a se – fu colpito dall’improvvisa realizzazione che non poteva vedere Piton da nessuna parte nella cella.


«Incantesimo di Disillusione,» rispose il Serpeverde da un punto vicino a lui, anticipando la sua domanda nel vedere l’espressione confusa sul viso del giovane, «pensavi che il Signore Oscuro mi avrebbe concesso di farti da babysitter come se niente fosse?» Harry poté captare la nota sarcastica con cui Piton era solito accompagnare quel genere di uscite, e – nonostante non potesse vederlo – immaginò una delle sue sopracciglia inarcarsi nell’usuale cipiglio; non sapeva perché, ma trovava quell’atteggiamento, a cui ormai era tanto familiare, stranamente rassicurante nella situazione in cui si trovava. «Non ho più molto tempo, Potter,» riprese a parlare Piton, «tornerò questa sera a prenderti; nel frattempo, ho bisogno che tu finga di avere ancora il polso rotto e di star soffrendo con chiunque si avvicini alla cella. Sono stato chiaro?»


«Non sarà troppo difficile,» annuì Harry, trattenendo una smorfia di dolore mentre tentava di sistemarsi meglio contro la parete.


Udì il fruscio di un mantello e dei passi; capì che Piton si era rialzato e si accingeva ad andarsene. Un attimo dopo, la porta della cella si aprì senza un cigolio e Harry seppe di essere solo.


Devo trovarmi in uno stato veramente miserabile se persino Piton riesce a provare pietà per me.

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«Harry è…? Cosa?»


Albus guardò il volto scioccato di Sirius. Conosceva quella luce negli occhi: presto l’incredulità avrebbe ceduto spazio all’orrore e alla rabbia, prima di essere sostituita ad un senso di impotenza nel rendersi conto che non avrebbe potuto fare nulla per aiutare per il proprio figlioccio.


«Non è possibile, Albus, non… posso credere che…»


Anche il vecchio mago si era chiesto com’era potuto accadere qualcosa di tanto terribile.


Harry era svanito nel nulla.


Tra le mura di Hogwarts, per giunta; nell’unico luogo in cui avrebbe dovuto sentirsi al sicuro. E – quel che era peggio – l’unica persona probabilmente presente al momento del rapimento, non era in nessuna condizione per raccontare ciò che era davvero accaduto.


Voldemort – perché non poteva trattarsi di altri che di lui – non aveva fatto altro che approfittare del momento più opportuno per colpire, quando nessuno avrebbe potuto aiutare Harry. Il ragazzo gli era letteralmente stato servito su un piatto d’argento. E Albus non poteva fare altro che rimproverare se stesso per questo.


Si era allontanato da Hogwarts per privare Lucius Malfoy dei poteri conferiti dalla sua posizione al Ministero, per eliminarlo dalla scena pubblica e far sì che Voldemort perdesse la sua pedina più importante all’interno dell’amministrazione magica. Mai avrebbe potuto immaginare che sarebbe stato anticipato in modo tanto repentino ed efficace.


«Sirius, sono profondamente desolato per quello che è successo in mia assenza, ma--»


«Dobbiamo fare qualcosa, Albus!» ruggì Sirius, infervorato. «Dobbiamo scoprire dove quei bastardi hanno portato Harry e--»


«Sirius ho bisogno che tu ti calmi. Al momento, tutto ciò che possiamo fare è attendere che Kingsley Shacklebolt e Tonks ci contattino per scoprire l’attuale posizione di Malfoy.»


«Calmarmi? Albus, ti rendi conto di quello che mi chiedi? Non posso stare qui, seduto ad aspettare mentre Harry è in mano al mostro che lo vuole morto!» gridò Sirius, lanciando le mani al soffitto in un gesto frustrato.


«Silente ha ragione, Sirius,» intervenne Remus, «sappiamo che se Harry si trova già nel forte di Voldemort per noi sarà impossibile rintracciarlo, Piton ha detto che--»


«Piton!» ululò Sirius, voltandosi di scatto verso Remus e poi di nuovo verso Silente. «Chi ci dice che non sia stato lui l’artefice di tutto ciò?»


«Severus è stato richiamato da Voldemort ieri sera, prima ancora che io potessi allontanarmi dal castello,» disse fermamente Albus.


«Certo, è stato richiamato dal suo padrone per festeggiare il pronto arrivo di Harry! Per quel che so, potrebbe aver stregato il ragazzo affinché si fidasse di lui e lo potesse raggiungere ovunque--»


«Sirius, ti prego, ragiona,» tentò ancora Remus, prima che la situazione degenerasse, «Piton ci ha messi in guardia riguardo al rituale e alla caduta di Azkaban, ma nemmeno lui sapeva l’identità di chi è dietro a tutto ciò!»


«Se quel pipistrello mancato è una spia, un motivo ci sarà: lui sa come raggirare le persone e giocare con la mente altrui, ma forse eri troppo occupato a spingere Harry a credere che a Piton sia mai importato qualcosa di sua madre, o sbaglio Remus?» rimarcò pungente Sirius, facendo un passo verso l’amico.


Remus inarcò un sopracciglio, prima di replicare con calma: «Da quando hai una così alta reputazione di Severus Piton? Devo dedurre che è riuscito a giocare anche con la tua, di mente?»


Sirius si preparò a rispondergli a tono, ma Silente si frappose tra i due. «Non so cosa sia successo di recente per portarvi a reagire in questo modo,» esordì, deciso e con un tono estremamente grave, «ma vorrei ricordarvi che tutto ciò non aiuterà Harry.»


Il silenzio e la pausa che seguirono gli fecero capire che il suo messaggio era stato recepito. Sirius sospirò e si lasciò andare pesantemente in una poltrona, in viso un’espressione non più dura e accanita, ma di rammarico.


«Infatti,» riprese Silente, dopo qualche attimo, «credo che al momento la miglior speranza per Harry sia da riporre proprio in Severus.»

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«Potter?» Severus sgusciò dal muro e aprì la cella con un semplice gesto della bacchetta, impedendo all’inferriata di cigolare. Il suo sguardo impiegò qualche secondo a individuare la figura del Grifondoro, rannicchiato in un angolo dell’oscura cella. «Potter?» ripeté, avvicinandosi a lui e chinandosi per girarlo su un fianco, in modo da guardarlo in faccia.


Il volto del ragazzo era una maschera di lividi, gonfia e arrossata. Le sue condizioni apparivano tanto gravi quanto lo erano state in mattinata, durante la sua precedente visita; era evidente che aveva ricevuto nuove percosse fisiche da allora – oltre alla solita dose di Maledizione Cruciatus – dai Mangiamorte che – a turno – scendevano a intrattenersi con lui. Tuttavia, non era il momento per fare diagnosi: se Potter voleva ancora uscire vivo da lì, avrebbe dovuto cogliere l’occasione immediatamente. Non avrebbero avuto altre chances.


Il ragazzo si divincolò debolmente dalla sua presa, balbettando parole sconnesse.


Piton sospirò, intensificando la sua stretta sul giovane. «Non abbiamo molto tempo--»


«N-no… m-mai fidarsi… dei serpenti…»


«Potter, sono io,» disse fermamente Piton, «di quali serpenti…?»


Si ricordò che era ancora sotto l’Incanto di Disillusione e se ne privò perché il ragazzo potesse calmarsi. Potter tentò nuovamente di allontanarsi da lui, prima di fermarsi un istante, sbattere le palpebre gonfie per qualche secondo – come per vedere meglio – ed emettere un bisbiglio sorpreso.


«… professor Piton?»


Severus annuì brevemente. «Dobbiamo fare in fretta, Potter. Ingerisci queste,» aggiunse, passandogli delle boccette familiari.

Harry era ancora stordito. Per un attimo, nonostante avesse già riconosciuto il proprio insegnante dopo aver ripreso conoscenza, aveva avvertito nuovamente l’impulso di scostarsi con violenza da Piton e di rannicchiarsi in un angolo, lontano dall’uomo che ormai incarnava sia la figura del suo carnefice che quella del suo salvatore. Facendo appello a tutta la propria forza di volontà, si costrinse a considerare solo la seconda opzione per il momento. In fondo, per quanto gli costasse caro doverlo ammetterlo, la sua sopravvivenza dipendeva esclusivamente dal suo insegnante.

Ingoiò il contenuto delle pozioni di Piton quanto più in fretta poté, cercando di ignorare il senso di nausea che non cessava di tormentarlo, ma – proprio quando si apprestava a chiedere all’insegnante in che modo sarebbero usciti da lì –, un rumore di passi lo interruppe. Spostò lo sguardo terrorizzato sul volto di Piton e vide che l’uomo si era portato un dito alle labbra.


«Fa parte del piano,» disse quest’ultimo, sbrigativo, «continua a recitare il tuo copione e tutto filerà liscio.» Riprese le fiale con se e fece per rialzarsi, ma la mano di Potter lo trattenne per la veste.


«N-no, n-non voglio che…»


«Non andrò da nessuna parte, Potter,» disse a bassa voce Severus, liberando il proprio braccio dalla sua presa e aiutandolo a riadagiarsi al suolo. Il Grifondoro sembrava terrificato all’idea di tornare in balia di qualche Mangiamorte sceso a torturarlo, e lui non poteva certamente biasimarlo. «Fidati di me,» mormorò, fissandolo con intensità un’ultima volta prima di scomparire nuovamente sotto l’Incanto.


Si accostò al lato del muro opposto a quello dove si trovava il giovane, e attese nell’ombra, appiattito contro la fredda pietra; il visitatore di Potter non tardò ad arrivare e a fare il proprio ingresso nella cella.


Severus lo riconobbe subito.


Era Mulciber.

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