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Autore: ninety nine    01/03/2015    8 recensioni
Luna non è un'adolescente come tutte le altre: lei ama la matematica, suonare la chitarra e viaggiare insieme a suo padre, ricercatore. Il suo stile di vita l'ha portata a sviluppare un carattere piuttosto chiuso e la ragazza fatica ad aprirsi e a fare amicizia. Un giorno, in un campeggio in Grecia, un ragazzo entra nella sua vita sulle note di ''Demons'' e sembra capire al volo il carattere di Luna e ciò che i suoi occhi color dell'ambra nascondono. Con un approccio fatto di battute e sfide e con il tempo atmosferico dalla sua parte, Niccolò entra nella vita di Luna, che per la prima volta nella vita può dire di aver trovato un amico. Un amico che ragiona come lei, aiutato dalle emozioni che solo la musica può trasmettere.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi chiamo Luna e ho due grandi passioni nella vita: la musica e la matematica.

So che queste non sono esattamente le passioni più diffuse negli adolescenti di oggi, soprattutto la seconda, ma io non posso considerarmi una quindicenne normale: innanzitutto, non ho mai avuto un fidanzato. Mai, nemmeno alla scuola materna… ma, forse, non è mai successo perché, in effetti, io non ho mai frequentato una scuola materna.

Da che ne ho ricordo, la mia vita è stata un continuo spostarsi da un luogo all'altro. Mio padre è un ricercatore ed è sempre in viaggio alla ricerca di qualcosa di nuovo da scoprire. In realtà, per ora, ha scoperto soltanto una gran quantità di zanzare intrappolate in varie resine e poco altro…

In quanto a mia madre, beh: non l'ho mai conosciuta, e questo significa aver avuto due sole scelte nella vita: seguire mio padre in giro per il mondo o finire in qualche comunità. Nessuno mi ha mai chiesto cosa volessi scegliere, se devo dirla tutta, ma devo dire che viaggiare non mi dispiace: mi basta avere la mia vecchia chitarra e qualche spartito nuovo da imparare e via, tutto a posto.

Ho fatto un patto con mio padre: in ogni luogo in cui andiamo lui mi acquista un paio di nuovi spartiti per la chitarra ed io, in cambio, lo aiuto con qualunque tipo di conto debba svolgere.

Nemmeno questo mi dispiace perché, come ho già detto, la matematica è la mia seconda grande passione. I numeri mi danno sicurezza, non sono come le parole: le parole possono avere migliaia di significati e sfumature diverse ma, per questo, ho già la musica.

I numeri invece sono sempre uguali, stabili. Puoi inserire un numero in una qualunque espressione e lui rimarrà sempre un tre o un cinque. A proposito, il cinque è il mio numero preferito. Non so quanto v’interessi, ma è così.

Ora, so che vi starete chiedendo come mai i brani non li cerchi in Internet. La risposta ci riconduce al secondo motivo per cui io non sono un'adolescente come le altre: non ho un computer. Non ho nemmeno un cellulare, a dire il vero. Questo significa zero contatti, zero amicizie, nessuna connessione con quel mondo strano e meraviglioso che è il web: siamo solo io, la mia chitarra e il cinque che ci ho dipinto dietro.

Ah, già, dimenticavo papà. Si chiama Daniele e ha gli occhi color dell'ambra, proprio come i miei. Da bambina immaginavo che avesse guardato così tanti fossili all'interno di questo materiale da far sì che i suoi occhi prendessero quel colore, e i miei di conseguenza. È una cosa stupida, lo so, ma quante persone conoscete con gli occhi color ambra? Nessuna, scommetto.

Ormai è da un paio di settimane che siamo fermi in un piccolo campeggio sperduto sulla costa greca, anche se chiamarlo campeggio è un eufemismo: gli si approprierebbe di più “insieme di camper e tende piuttosto malconce, per un totale di sette unità abitative, una ragazza (io) e una chitarra (la mia)”. Non ho mai avuto particolari problemi a stare sola, ma qui il rischio è di trovarmi circondata da cinque uomini mezzi ubriachi e, tra l'altro, greci, che di certo non amano la mia musica.

L'unico modo che ho per passare il tempo è starmene seduta sul molo, con le gambe a penzoloni e le dita che si muovono sulle corde seguendo il primo ritmo che mi viene. Sto iniziando a notare che il tempo atmosferico influisce sulle canzoni che suono. Oggi il cielo è grigio e il mare riflette il suo grigiore – scommetto che anche i miei occhi sono un po' meno color ambra del solito. Annuso l'aria e sento odore di pioggia quasi imminente. È una mia capacità, sentire attraverso l'olfatto che tempo farà a breve. Qualcuno mi ha detto che a volte succede, significa soltanto avere un olfatto più sviluppato della norma, ma mi piace considerarla una mia personale caratteristica.

Accordo di do, accordo di fa accordo di la maggiore, accordo di fa.

Quasi non mi rendo conto di passare da una canzone all'altra. Cerco, tramite la musica, di allontanare le nuvole, per rimanere qui fuori il più a lungo possibile: non voglio tornare fra quelle tende, ora che mio padre non c'è. È partito con il sesto abitante di questo campeggio, l'unico che sembra sano di mente oltre a lui e me, alla ricerca di qualche strano corallo.

Sospiro e mi metto a fissare l'orizzonte, concentrandomi sui riflessi che la poca luce che filtra dalle nubi regala al mare.

-Don't get too close, it's dark inside… it's where my demons hide, it's where my demons hid__-

La voce che giunge da dietro di me mi fa trasalire improvvisamente. Mi volto rapidamente e picchio il palmo della mano destra sulla gamba della persona che mi si è avvicinata.

-Ma che diavolo... - impreco fra i denti. Se c'è una cosa che odio più delle persone in generale sono le persone che mi si avvicinano senza che me ne accorga e che mi interrompono mentre suono sovrappensiero. Lo odio e, per proprietà transitiva, ora odio anche chi mi si è appena avvicinato, che ora si sta togliendo con tutta calma le infradito e che si sta sedendo sul molo, accanto a me.

Non provo nemmeno a fargli spazio, qui c'eravamo già io e la mia chitarra, nessuno ha chiesto la sua compagnia!

Cerco di riprendere la canzone dove ero arrivata ma, non appena suono il primo accordo, il ragazzo ritorna a cantare.

Un momento, direte voi, hai detto che non c'erano ragazzi nel campeggio, questo da dove sbuca?

Volete proprio saperlo? Non ne ho la più pallida idea.

Smetto di suonare dopo due accordi e appoggio la fronte sul bordo della chitarra, sopprimendo l'impulso di annegare il ragazzo.

-Non canti?- mi chiede, una volta che ha trovato una posizione abbastanza comoda. Picchietto con le unghie sulla cassa di risonanza della chitarra, senza rispondere.

Vattene. Non voglio compagnia.

-Di solito chi suona la chitarra canta anche. Almeno, nei film. Non che io sia capace di suonare una chitarra.-

Stringo più forte il manico dello strumento e mi volto verso il ragazzo. Conto fino a cinque e gli rispondo, nel modo più garbato possibile, il che per me equivale a invitarlo implicitamente ad andarsene.

-Di solito, canta la gente intonata. Ed io non lo sono.- gli lancio in faccia le parole quasi fossero sputi.

-Beh, ma io sì. Almeno, tutti dicono questo. Visto che io non so suonare e tu non vuoi cantare, perché non facciamo un duetto?-

-Perché non ne ho voglia. Non suono a comando e non faccio duetti.- gli rispondo, alzandomi per andarmene. Se arriverò al mio camper sana e salva almeno potrò stare sola. Sistema rapidamente la chitarra all'interno della sua custodia, incamminandomi già verso il campeggio, ma ho appena finito di mettermela a tracolla che sento i passi del ragazzo dietro di me.

-Beh, allora che dici se ti faccio fare un giro? Conosco questo posto come le mie tasche. A proposito, piacere, mi chiamo Niccolò.-

Alzo gli occhi al cielo, spazientita.

-Cosa sei, italo-greco, Nicolò?- gli chiedo con una vena di sarcasmo, fermandomi di botto e girandomi verso di lui, anche se devo ammettere che questo ragazzo sta iniziando a stuzzicare le corde della mia curiosità più di quanto non abbia mai fatto nessun altro. Mi concedo qualche istante per osservarlo, partendo dai capelli scuri e disordinati per poi scendere e incrociare i suoi occhi verde militare, pochi centimetri più in alto dei miei. Quando i nostri sguardi si scontrano, lo sostengo, quasi sfidandolo. Rimaniamo così qualche secondo, ambra contro foresta, poi lui abbassa gli occhi ed io faccio lo stesso, puntandoli sui suoi bermuda.

-A proposito, tu non hai le tasche, nano.-

Mi guarda per un attimo e si scompiglia i capelli.

-Ebbene sì, Einstein, sono italo-greco, non ho le tasche e sono basso. In compenso tu hai degli occhi strani. Molto strani, direi. Ah, ed io mi chiamo Niccolò. Con due C.-

Oh, stupendo, mi conosce da meno di cinque minuti e già nota i miei occhi. Perfetto. Sollevo lo sguardo verso il cielo e gli lancio una muta preghiera: piovi. Non so bene nemmeno io perché sto implorando le nuvole di rilasciare tutta l'acqua che hanno in se, pur sapendo che ho il 99,99 % di probabilità che non mi ascoltino, se per poter starmene di nuovo sola a suonare o se per evitare di rispondere a Niccolò mostrando il mio interesse per lui.

Resto alcuni istanti a fissare il cielo come una perfetta idiota, per poi decidere che NON pioverà. Accidenti.

-Piacere, Niccolò con due C. Mi chiamo Luna, con una N.- Il ragazzo sorride come se avesse ottenuto chissà quale vittoria.

-Bel nome, Luna. Ma credo che continuerò a preferire Einstein.- mi risponde, continuando a sorridere.

-D'accordo, nano.- ribatto a mia volta. O uno dei due si da una mossa e pensa a qualcosa da fare, o siamo destinati a rimanere qui a scambiarci battutine sarcastiche per il prossimo mese. Sono restia ad ammetterlo, ma mi piace il comportamento di Niccolò. È un po' come me anche se, probabilmente, molto meno musone.

Mi sistemo meglio la chitarra sulla spalla e parlo, pur sapendo che, di certo, mi pentirò almeno un migliaio di volte per ciò che sto per fare. -È ancora valido l'invito alla scoperta dei misteri del campeggio, Niccolò con due C?-

Secondo sorriso da parte dell'interessato.

-Ma certo, Einstein. Prego, da questa parte, ti porto in un posto che ti piacerà!- mi dice, facendomi un cenno con la mano e incamminandosi velocemente.

Mi soffio via dagli occhi un ciuffo di capelli neri sfuggiti alle trecce in cui sono legati, afferro la tracolla della custodia della mia chitarra e m’incammino dietro di lui. Camminiamo in silenzio un paio di minuti, lui davanti ed io dietro, passando dalla piccola spiaggia su cui ci trovavamo a una zona più rocciosa. Nel corso dei miei viaggi ho imparato ad apprezzare questi improvvisi cambiamenti di paesaggio: sono come una melodia, volubile e omogenea allo stesso tempo.

Niccolò si ferma improvvisamente davanti a una parete rocciosa su cui campeggia un cartello, scritto in greco e in inglese, su cui si legge chiaramente DO NOT CLIMB. Il ragazzo accenna con il mento a una grotta che si intravede a metà parete e sorride sornione.

-Questo è il posto che preferisco di tutto il circondario sai? Se arrivi a quella grotta, ti sembra di essere fuori dal mondo, di essere finito in qualche libro. Scommetto che t’ispirerebbe una bella melodia: qualcosa di malinconico ed emozionante. Da lassù si vede il mare come non si vede da nessuna parte. Nelle giornate di tempesta è uno spettacolo che bisogna vedere, almeno una volta nella vita. È raro che io mostri questo posto a qualcuno. A dire la verità, sei la prima. Non è che ci sia molta gente con cui fare amicizia, qui.-

Nelle sue parole si sente una vena di malinconia, mascherata malamente dalla mezza risata con cui conclude la frase.

-A proposito, che ci fai in questo posto dimenticato da Dio e dagli uomini?- gli domando.

Il sarcasmo che era presente nella mia voce fino a pochi minuti fa sembra essere partito per le Hawaii dopo aver sentito questo improvviso sfogo del giovane. È raro che qualcuno si apra in questo modo con me, non sono mai stata considerata una persona capace di ascoltare o con una grande sensibilità.

Il ragazzo fa spallucce prima di rispondere. -Sono il nipote di Viktor, l'uomo che immagino sia andato con tuo padre alla ricerca di qualche stranezza, visto che mancano entrambi dal campeggio. Vengo qui ogni estate da anni ormai. I soldi a casa scarseggiano da quando mamma ha perso il lavoro e io ho tre fratelli minori. È da quando ho sette anni che zio Vik mi porta con sé nei suoi viaggi, ma alla fine approdiamo sempre in questo posto. Io mi diverto a viaggiare, vorrei vivere qualche avventura che si possa veramente definire tale. Non sai cosa darei per una vita come la tua. Devi aver visto così tanti posti diversi! In questi mesi che passo qui do una mano allo zio, appago un po' questa voglia di viaggiare e faccio sì che mamma a casa abbia un problema in meno. Non è una brutta vita, dopotutto.-

Percepisco la tensione nella sua voce e capisco di aver toccato un tasto dolente quando vedo i suoi occhi vagare alla ricerca di qualcosa su cui fissarsi. Cerco qualcosa, qualunque cosa da dire ma, come ho già detto, non sono brava con le parole, soprattutto quando si tratta di parlare con qualcuno che è teso o in difficoltà.

In questi casi ciò che ho sempre fatto era semplice: mi voltavo e fuggivo. Poi, quando ero abbastanza lontana, tiravo fuori la chitarra e lasciavo che la musica colmasse il vuoto che m sentivo nel petto.

Questa volta m’impongo di non voltare i tacchi e di rimanere lì, anche se ciò che esce dalla mia bocca suona piuttosto orribile.

-Io... mi dispiace.- bofonchio a mezza voce. Niccolò deve percepire il filo di tensione che si è creato tra noi, perché cambia rapidamente discorso.

-Non devi, a me piace qui. - dice, a conclusione del discorso, poi m’indica la parete con un braccio. -Saliamo, Einstein?-

Osservo per qualche istante la parete di roccia. Sembra abbastanza stabile e anche piena di appigli, ma come posso arrampicarmi con la chitarra a tracolla?

-E il cartello DO NOT CLIMB?- domando con sarcasmo. -Un italo-greco dovrebbe conoscere l'inglese, nano. E, a casa mia, per quanto possa chiamare un posto casa, DO NOT CLIMB significa “Non arrampicarsi”.-

Niccolò ridacchia. -Non so se hai notato che sul molo dove suonavi prima c'era un enorme cartello “Evitare i rumori molesti”. Una che infrange questo divieto rischiando di ricorrere in una sanzione per disturbo alla quiete pubblica non dovrebbe aver problemi a violare anche questo, no? Non era mica un musicista che diceva che i divieti sono fatti per essere infranti?- ribatte.

-No sai, credo proprio fosse uno scrittore, ma non importa. Il concetto è chiaro. Ma mi stai forse dicendo che suono male la chitarra?-

Il ragazzo sorride ancora. -Affatto, suoni molto bene e suoneresti ancora meglio se mi lasciassi cantare, ma per quegli uomini anche un fischio può essere un rumore molesto.-

-Buono a sapersi, allora. Farò in modo di suonare molto di più apposta per dargli fastidio!-

Sarei capace di farlo. Eccome se ne sarei capace.

-Se hai un'altra chitarra, ti do una mano io e anche molto volentieri, anche se non sono capace. Ma, ora, saliamo a quella grotta o hai paura?- mi domanda, senza smettere di sorridere.

-È una sfida, per caso?-

-Non si risponde a una domanda con un'altra domanda, genio. Comunque sì, è una sfida. Voglio vedere se ce la fai altrettanto bene come suoni.- mi risponde, inarcando un sopracciglio con fare sornione.

Mi lecco le labbra e sento il sapore della salsedine. Ho sempre amato le sfide, soprattutto quelle che mettono alla prova i miei limiti.

Annuso l'aria e sento che l'odore di pioggia è diventato odore di temporale, ma decido di ignorarlo. Non mi sono mai, mai tirata indietro di fronte a una sfida.

Sfilo la chitarra dal collo e la infilo in mano al ragazzo.

-Vedi di trattarla bene. Nessuno ha mai avuto l'onore di tenerla in mano prima di te, oltre a me.- gli dico.

Detto così può sembrare piuttosto acido, ma tengo a questa chitarra più che alla mia stessa vita. È stato solo grazie a lei se non ho mollato in molte occasioni.

Passo oltre Niccolò lanciando al mio strumento un'occhiata apprensiva, per poi risalire fino al viso del giovane, scontrandomi ancora una volta con i suoi occhi. -E levati quel sorrisetto idiota dalla faccia, nano!- bofonchio, poggiando un piede alla parete rocciosa e cercando un appiglio con le mani. Salgo di qualche metro senza avere particolari problemi, tenendo gli occhi fissi sulla grotta sopra di me. Le mie dita fanno una buona presa sulla roccia, ma sento i muscoli delle braccia che iniziano a indolenzirsi. Non ho mai avuto una muscolatura particolarmente sviluppata, ma non ho mai nemmeno dato troppo peso alla cosa: per suonare la chitarra servono soltanto dei gran calli alle dita. Idem per la matematica: serve un buon cervello e un po' di logica. Per entrambi poi è essenziale tanto esercizio.

Sto giusto pensando che potrei avere qualche problema ad arrivare in cima che sento la prima goccia d'acqua cadermi sul viso. -Accidenti!- impreco. So con quanta imprevedibilità si possa scatenare un temporale in Grecia e con quale potenza. Sono rari, ma quando ci sono fanno scintille.

Dalla spiaggia sento Niccolò urlarmi qualcosa che somiglia a un ''Scendi prima che cominci''.

Come se fossi stupida.

Inizio la discesa con più rapidità che posso, ma facendo attenzione a valutare le prese che utilizzo, visto che la roccia inizia ad essere bagnata. Quando mi mancano un paio di metri al terreno, salto e faccio in modo di atterrare nel modo più stabile possibile.

Mi muovo velocemente verso il ragazzo e afferro la chitarra, come se potessi in questo modo ripararla dalla pioggia, anche se ormai sono fradicia anch’io. –Andiamo.- dico al ragazzo. -Almeno nel camper saremo all'asciutto.- Ovviamente il camper a cui accenno è quello mio e di mio padre. È vecchiotto ma mi piace, con i suoi sedili marroni, l'aria vissuta e i miei vecchi disegni da bambina appesi agli armadietti.

Ci arriviamo in pochi minuti, correndo, con la pioggia che continua a cadere incessante. Le mie scarpe sono ormai bagnate fradice e sporche di sabbia, mentre Niccolò si è tolto quasi subito le infradito e sta arrancando accanto a me a piedi nudi.

Quando arriviamo al campeggio si sono già tutti rifugiati all'interno dei camper, fermi in questo posto da così tanto tempo, ormai, che le ruote si sono sgonfiate. Non c'è anima viva, per fortuna.

Caccio una mano nella tasta dei pantaloncini che indosso e impreco, fermandomi davanti alla porta del nostro mezzo. -Merda!-

-Che c'è, scaricatore di porto? * - ribatte il ragazzo, passandosi una mano tra i capelli fradici. Cosa alquanto stupida da fare, visto che continua a piovere e che i suoi capelli torneranno nella stessa identica condizione in due nanosecondi.

-Ho perso le chiavi. Ora ci toccherà aspettare mio padre qui fuori per chissà quanto!- bofonchio, abbastanza arrabbiata. Perché perdo sempre le cose nei momenti meno opportuni? Accidenti alla mia sbadataggine!

-Hai una forcina?- mi chiede Niccolò, accennando ai miei capelli. Annuisco e ne cerco una con le dita, sfilandomela dai capelli e liberando un ciuffo di capelli che mi ricade, puntualmente, davanti agli occhi.

-Tieni, nano. Che vuoi farci?-

Il giovane sorride malandrino e si avvicina alla serratura. Ci infila la forcina e in un paio di secondi la porta si apre.

Lo guardo, sollevando un sopracciglio e fingendo di essere impressionata, ma devo ammettere che un pochino lo sono veramente, anche se non lo ammetterò mai. Chissà quanti altri segreti nasconde sotto quel sorriso sbieco sempre aperto sul suo viso. Sorride anche ora, mentre parla.

-In ogni film che si rispetti c'è qualcuno che scassina una porta con una forcina. Mi sono sempre chiesto se fosse vero. Ebbene, signori e signore, lo è!-

-Hai scoperto l'acqua calda.- rispondo, ridendo a mia volta mentre entro nel camper, inspirando l'odore famigliare di caffè che pervade l'aria da quando ne ho ricordo.

-No, Einstein. Ho scoperto l'acqua fredda. Quella dei temporali greci!- dice, fermandosi tra le due porte e scuotendo la testa per scrollarsi l'acqua dai capelli. Faccio finta di non sentirlo e poggio la custodia della chitarra sul tavolo. La apro e ringrazio silenziosamente chiunque vi abbia applicato lo strato impermeabile: lo strumento è ancora perfettamente asciutto. Faccio scorrere le dita sulle sei corde e constato che suona ancora alla perfezione.

Tiro un sospiro di sollievo e mi volto verso la porta, dove Niccolò mi sta guardando in attesa di un cenno.

-Vieni, non mangio, lo avrei già fatto.- dico, facendo un gesto di invito piuttosto teatrale. -Benvenuto nella mia umile dimora.- così dicendo mi lascio cadere su uno dei due divanetti che fungono da seduta per il tavolo e che si potrebbero anche trasformare in un letto matrimoniale.

Niccolò si siede accanto a me e poi inizia a giocherellare con le corde della chitarra, producendo dei suoni abbastanza fastidiosi. -Dai qua, faccio io.- il ragazzo ci poggia una mano sopra, bloccandomi.

-Solo se mi lascerai cantare.- sollevo gli occhi al cielo.

-Affare fatto, rompiballe che non sei altro.-

Prendo la chitarra, chiudo gli occhi e mi lascio ispirare dal rumore della pioggia sul tetto del camper e dal respiro di Niccolò di fianco a me. Le mie dita si muovono quasi in automatico, andando a suonare una canzone che ho sempre amato ma che non ho mai suonato a nessuno, nemmeno a mio padre. L'ho imparata e conservata nel mio cuore, aspettando qualcuno che potesse capirla come l'avevo capita io.

Inizio con un accordo di do e poi lascio che gli altri si susseguano senza più pensarci. Ad un certo punto mi rendo conto che Niccolò ha iniziato a cantare, con una voce incredibilmente dolce. Sento il desiderio di andargli dietro, nonostante sappia di non avere una bella voce.

-Fatemi sentire gli angeli, gli angeli che suonano…- inizio, piano, cercando di allineare la mia voce con la sua. Lo vedo che alza gli occhi e mi guarda stupito. Senza perdere il contatto con i miei occhi, mi sorride, con una dolcezza rapportata al tono della sua voce.

-…e poi spiegatemi cosa vuol dire vivere se poi bisogna piangere. Ditemi che cosa devo fare per stare sopra una nuvola e per farmi ascoltare…-

Le mie dita ormai vanno da sole, mentre le nostri voci, la mia più debole, la sua più decisa, si librano verso il cielo in un inno all'adolescenza, alla vita, all'amicizia. Perché ora, in questo campeggio, non ci siamo più solo io e la mia chitarra. Ci siamo io, la mia chitarra e un amico.

-Sì perché il cielo è l'impianto, è l'impianto più limpido e le mie note le nuvole…-

Non so quanto siamo rimasti lì, a suonare e cantare una canzone dopo l'altra, ma so che ho avuto modo di apprezzare fino in fondo la sensibilità di Niccolò e le emozioni così vivide che la sua voce trasmetteva. So soltanto che mio padre, quando è rientrato per cenare ci ha trovato ancora così, io seduta sul divanetto e il ragazzo al tavolo, ci ha guardati e ha sorriso.

Dopo anni, i suoi occhi color ambra si sono illuminati di nuovo.

Niccolò è sceso dal tavolo e ha mosso qualche passo verso la porta, quasi come se non sapesse bene come comportarsi – proprio lui, che si era presentato con l'aria così spaccona. Mio padre lo ha seguito con lo sguardo per poi tornare a guardare me.

-Ho trovato un nuovo socio, Luna. Ragiona esattamente come me, faremo grandi cose insieme. Partiamo dopodomani, Na.-

Mi mordo il labbro, trovandomi a pensare, per la prima volta, di non voler andarmene. Ho appena trovato un amico, il mio primo amico. Voglio rimanere.

-A proposito, noto con piacere che hai già conosciuto suo nipote! Suo zio mi ha domandato se potevi dargli un po' di ripetizioni di matematica.-

Mi volto verso il ragazzo e i nostri occhi si incontrano per l'ennesima volta in questa giornata. Le mie labbra si piegano all'insù, aprendosi in un sorriso che è raro vedere sul mio viso. Pizzico con le dita le corde della chitarra e strizzo l'occhio.

-Quando iniziamo, nano?-


 


 


 


 

NdA: Buongiorno a tutti! Dopo diecimilaventordici riletture, finalmente ho trovato il coraggio di pubblicare questa storia, il mio primo vero esperimento nel campo delle originali un po' lunghette (okay, un bel po', per i miei standard!) .

Innanzitutto, devo ringraziare infinitamente Ranyare , che ha acconsentito a farmi da beta e mi ha dato una buona mano, soprattutto a livello di formattazione...grazie mille!

Secondo, questa storia (come la maggior parte delle mie) è nata sul pullman che mi porta a scuola e si può considerare un'unione tra il corso di chitarra che sto facendo, la musica che ascolto e il corso di sub (che non centra nulla, in apparenza, ma per me è stato essenziale per prendere gli spunti su cui scrivere questa storia). A questo proposito, tengo a precisare che ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti è puramente casuale (mi sento la sigla d un telefilm!).

Il titolo è quello indicato dal contest a cui questa storia partecipa: ''Il mio titolo, la tua storia '' di 9dolina0 sul forum di EFP.

Invece, le canzoni citate sono ''Demons'' degli Imagine Dragons e ''Nuvole di Rock'' dei Modà...sono due canzoni che sono state e sono tuttora importanti per me <3

Detto ciò, basta... spero che questa storia vi piaccia, ci ho lasciato l'anima e qualche decimo di vista XD

Le recensione, che siano positive o no, sono sempre ben accette per migliorare!

A presto k_j

  
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