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Autore: England    01/03/2015    3 recensioni
Ispirato dal film "Il diavolo veste Prada", Louis è il severo direttore di un giornale di moda in cerca di un fotografo speciale per un servizio particolare ma, ahimè, le cose prendono una piega inaspettata.
cap. 1 - se stesse tenendo la tazza di tè in mano probabilmente la farebbe cadere o comunque traballare per la momentanea scossa di adrenalina che lo ha attraversato, incontrando quello sguardo.
cap. 2 - Si è nascosto, si è nascosto da me.
cap. 3 - Istintivamente si ritrova a pensare che sarebbe disposto ad incollare pezzo per pezzo ogni frammento di quella maschera
cap. 4 - “Styles, portami da bere invece di stare a fissarmi...”
cap. 5 - Harry sente l’aria mancare, allunga una mano, ma le porte si chiudono sotto il suo palmo
cap. 6 - “Scusa, hai detto—intendi… aspetta, sei serio? Ti sei preso una cotta per Tomlinson?”
[Larry Stylinson][accenni Ziam]
 
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Liam Payne, Louis Tomlinson, Zayn Malik
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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vi amo, e spero che voi amiate me, alla prossima!

; england

1!!! 
sto cercando qualcuno che mi aiuti a revisionare i capitoli in cerca di errori e magari qualcuno che possa darmi consigli. Ho inoltre intenzione di iniziare altre fanfictions e avrei bisogno davvero di una mano con le trame! se qualcuno è interessato mandatemi un messaggio e vedremo cosa si può fare! 

2!!! se c'è qualcuno molto bravo in inglese sto pensando di tradurre questa fic, qualcuno che eventualmente possa correggere e/o aiutare?

*
VII
 
 
 
Nel silenzio della notte i sogni si rincorrono. Sogni che sono vividi, ma confusi allo stesso tempo. Dicono che i sogni siano proiezioni della realtà, paure, desideri, possibilità…
 
Si dicono così tante cose, ma a dire il vero non c’è mai verità perché si sa, la vita è soggettiva a volte.
 
C’è un leggero mal di testa che affligge Harry ormai dall’alba, ma si è ostinato a rimanere a letto, finché i raggi del sole non hanno filtrato dalla finestra e lo hanno colpito in pieno viso.
 
Sente il calore del sole sulle palpebre, e adesso che il dormiveglia si fa sempre più lucido percepisce ancora più fastidioso il mal di testa.
 
Ricorda le parole di Zayn, la sera prima, quando gli ha detto che Louis non ha bisogno di lui. Mugola voltandosi con il viso contro il cuscino. Il dolore gli batte sulle tempie e si tira su di scatto, mettendosi seduto al centro del proprio letto, con le gambe incrociate. Alza una mano a massaggiarsi le tempie e si blocca quando vede il display del telefono, sul comodino, illuminarsi ed iniziare poi a vibrare.
 
Allunga la mano d’istinto andando a prenderlo, notando un nome familiare sulla chiamata in arrivo.
 
Osserva qual nome per un po’, prima di accettare la chiamata, portando il telefono all’orecchio,
 
“Harry dove diavolo sei? Sono due ore che provo a chiamarti, ho bisogno di te, adesso!” la voce squillante e alta di Louis gli fa chiudere gli occhi. Il dolore alla testa era già abbastanza,
 
“Che diamine…” mormora guardando alla ricerca della sveglia “ma che ora sono?” sente la propria voce uscire impastata e stanca, confusa e decisamente contrariata,  
 
“Oddio!” Harry deve allontanare il telefono dall’orecchio, un peccato ammetterlo ma quel tono è quasi fastidioso adesso “stavi dormendo? Dovrei ricordami che di domenica la gente normale ancora dorme a quest’ora...”
 
Harry alza gli occhi al cielo, con la mano libera ancora si massaggia le tempie,
 
“Louis?” lo chiama decisamente assonnato, appurando però che l’ora non è poi così mattiniera, anzi,
 
“Buongiorno, Harry… cappuccino?” Il tono di voce fintamente angelico dall’altra parte del telefono gli fa abbozzare un sorriso mentre si getta ancora contro il proprio cuscino, rigirandosi tra le proprie lenzuola,
 
Può chiaramente sentire il muoversi frenetico di Louis, riesce ad immaginarlo mentre cammina e dai rumori provenienti dall’altra parte sembrerebbe anche che stia trasportando qualcosa,
 
“Dammi almeno mezz’ora… ho bisogno di una doccia…” borbotta chiudendo gli occhi, la guancia schiacciata contro il cuscino, sente Louis sbuffare dall’altra parte,
 
“Allora ci vediamo per pranzo, temo che per quando uscirai di casa non sarà più ora di colazione…” sembra perplesso, questa volta fermo e senza muoversi, come se stesse pensando sul da farsi,
 
“Pranzo? Non fate mica il brunch voi persone alla moda?” Harry deve trattenere un sorriso mentre dice quelle parole, riaprendo gli occhi e guardando un punto impreciso del soffitto,
 
“Perdonami Styles, temevo di metterti a disagio con un linguaggio troppo articolato…” Louis ride ed Harry rimane in silenzio ad ascoltarlo, è così diverso, così semplice e puro. Una risata naturale, che davvero poche volte ha sentito uscire da quella bocca. Sembra strano sentirlo così, sembrano quasi amici, eppure nella mente ritornano quelle parole, niente amicizia, niente vita sentimentale, solo lavoro. E’ davvero così? Per quanto Harry possa ripeterselo non è poi così sicuro, di certo non dopo la sera passata a dire a Zayn della sua diamine di cotta adolescenziale, anche se forse, si dice, è una cosa del tutto umana e comprensibile, basta farsela passare, dopotutto.
 
“Harry?” la voce di Louis arriva quasi di sorpresa, Harry si rende conto che non è la prima volta che lo chiama, percepisce il tono preoccupato,
 
“Si, scusa, mi stavo riaddormentando…” bugia “vada per il pranzo allora…” cerca di suonare più positivo possibile, e dall’altra parte Louis sembra caderci abbastanza,
 
“Perfetto, ti mando un messaggio con l’indirizzo”
 
“Mi lascerai lì ad aspettarti di nuovo?” gli esce così, dalle labbra, ancora una volta non riuscendo a distinguere il pensiero da ciò che vuole davvero dire,
 
C’è un momento di silenzio durante il quale Harry si maledice nuovamente, affondando il viso del cuscino con la probabilità di soffocarsi, e poi sente Louis sospirare,
 
“No, ci sarò, lo prometto”
 
E la telefonata si interrompe.
 
Harry sospira abbandonando il telefono tra le coperte, “idiota” mormora, scuotendo il viso ripetutamente contro il letto. Si tira su a sedere, si guarda attorno vagamente confuso, se potesse, quante cose si rimangerebbe.
 
 
 
*
 
 
 
Scende dal taxi con gli occhi ampi che guardano il lussuoso ristorante. Rimane a bocca appena schiusa osservando le porte ricamate in ornamenti dorati e per un secondo deve guardarsi attorno, assicurandosi di non aver sbagliato posto. Dio, ma Louis mangia sempre in posti così? Pensa che forse una volta dovrebbe portarlo a mangiarsi un hamburger.
 
Avvicinandosi all’entrata nota il portiere sorridergli, invitandolo ad entrare aprendo la porta. Harry ricambia il sorriso, un cenno del capo in segno di ringraziamento e si va a togliere i guanti, mentre si avvicina alla direttrice di sala in attesa vicino all’entrata,
 
La donna fa un passo in sua direzione schiudendo le labbra per parlare, ma Harry comincia per primo,
 
“Tomlinson? Credo ci sia un tavolo prenotato…” Harry già guarda alle spalle della donna, è visibilmente agitato, terribilmente impaurito dalla possibilità che Louis non si presenti di nuovo,
 
La donna sorride annuisce un paio di volte, “prego, mi segua, il signor Tomlinson non è ancora arrivato”
 
Quelle parole lo fanno irrigidire, ma questa volta il tavolo non è poi così appartato, e sembra quasi un buon segno anche il fatto che la donna non abbia accennato ad alcun ritardo o cose simile.
 
Si toglie la giacca andando a posarla sullo schienale della sedia e va a sedersi. Strofina le mani sudaticce sulle cosce e si guarda intorno curioso. La gente vicino è visibilmente di alto borgo, donne eleganti, uomini in giacca e cravatta. Abbassa gli occhi sulla propria camicia, lui non indossa alcuna cravatta e quasi se ne vergogna.
 
Alza gli occhi osservando i lampadari luccicanti e poi i ricami di legno e oro nelle colonne.
 
Si sente terribilmente fuori posto, a disagio. Non sceglierebbe mai di mangiare in un posto del genere, non è proprio il suo stile, per non parlare del fatto che forse qui l’acqua costa il doppio di un ristorante normale.
 
D’istinto quasi vorrebbe alzarsi ed andarsene, ma quando volta il capo verso l’entrata, nota di nuovo la direttrice camminare in sua direzione e, dietro di lei c’è Louis, con un ampio sorriso sulle labbra.
 
Harry lo osserva, e nota solo ora le borse giganti che trasporta, per non parlare della giacca al braccio e della borsa in spalla. Lo vede arrancare vicino al tavolo e Harry si alza, allungando una mano per aiutarlo
 
“Ma tu non ti fermi mai?” gli chiede prendendo alcune delle cose che trasporta, aiutandolo a posarle al lato del tavolo,
 
Lo sente sbuffare, prima di vederlo buttarsi con tutto il peso sulla sedia “mi tengo in movimento Styles, il sonno è per i deboli” risponde facendo un ampio sospiro,
 
Harry storce le labbra ma non risponde, lo osserva sistemarsi la frangia e poi arrotolare con cura le maniche del suo maglioncino, fino al gomito. Sente l’angolo delle proprie labbra stendersi quando osserva quelle dita minute ed affusolate che si muovono con cura.
 
Distoglie lo sguardo, perché si ritrova a ricordare quelle stesse mani che gli sistemavano la cravatta, la prima sera che gli ha fatto da fotografo. Ricorda la sensazione di quelle dita che gli sfioravano il colletto della camicia e… scuote il capo. Sente il cuore perdere un battito e quasi si allarma quando ritorna a guardarlo, come se temesse che Louis potesse vedere nella sua mente i suoi pensieri.
 
Però è una idea sciocca, perché quando lo guarda Louis è intendo a leggere il menù. Afferra il proprio, nascondendovi dietro il viso, ma invece di leggere continua a guardare Louis, le ciglia lunghe contro le guance quando sbatte e palpebre, i denti che mordono il labbro inferiore nella chiara indecisione sul cosa ordinare.
Poi lui alza gli occhi e Harry abbassa i propri, sentendo le proprie guance colorarsi. Deglutisce e ricorda quella volta quando aveva quindici anni che si era preso una cotta per il capitano della squadra di football al liceo, e ogni volta che incrociava i suoi occhi sentiva il viso in fiamme, si dice che questa volta non sembra poi così diversa.
 
Fortunatamente c’era sempre la campanella a salvarlo, e questa volta la campanella ha le sembianze della cameriera, che ferma vicino al loro tavolo prende gli ordini.
 
Era troppo distratto e perso nei propri pensieri che non ha sentito cosa ha preso Louis e quando la cameriera gli si rivolge lui dice il primo piatto che vede scritto sul menù.
 
Louis sembra accorgersi del modo sconnesso di fare di Harry, inclina il capo da una parte “tutto bene?” chiede,
 
Il riccio annuisce, allunga una mano a prendere il bicchiere che è stato riempito d’acqua “sì uh---sì… credo di star ancora dormendo…” borbotta accennando un sorriso e Louis annuisce,
 
“Quindi, cos’era tutta questa fretta?” chiede infine, guardandolo con attenzione mentre lo vede drizzare le spalle, felice e fiero, mentre si schiarisce la voce,
 
“Parto per Parigi, domani mattina”
 
Harry s’acciglia, lo guarda in attesa di una spiegazione,  
 
Louis nota la chiara perplessità sul viso dell’altro e ridacchia annuendo un paio di volte, “sì, è una cosa dell’ultimo minuto… pensavo di non poter andare visti tutti gli impegni, ma credo che assistere a qualche bella sfilata mi farà bene… sai… forse sono un po’ sotto pressione…” lascia la frase in sospeso, abbassando gli occhi a guardare il proprio bicchier d’acqua ancora pieno,
                                                                       
“Ok…” una pausa, “quindi… cosa posso fare per te?” perché di certo se lo ha invitato a pranzo per discutere di questo, ci sarà un motivo, almeno crede.
 
Louis sorride, prende il tovagliolo di stoffa andando a sistemarlo con cura sulle proprie gambe. Ci perde un po’ di tempo e Harry riesce a vedere chiaramente che sta elaborando le parole, prima di dirle,
 
“Mantenere una relazione in questo ambiente è molto difficile… credo tu lo abbia capito…” inizia, ancora riflettendo sulle parole “Liam vorrebbe passare del tempo con Zayn e uhm… non me la sento di chiedergli di venire a Parigi… mi chiedevo se volessi venirci tu…” finisce la frase, ma riprende il filo quasi subito, guardandolo con le sopracciglia alzate, mettendo le mani avanti “so che sei molto impegnato con Nick, ma vorr-”
 
“Ci vengo volentieri” Harry lo interrompe, il tono forse più alto del dovuto e nell’incrociare i suoi occhi sente il silenzio adesso un po’ più imbarazzante del dovuto. Gli sorride leggero e Louis ricambia, anche se può vedere chiaramente che sta trattenendo un sorriso più ampio,
 
“Non sono mai stato a Parigi…” aggiunge Harry dopo qualche istante, stringendosi nelle spalle,
 
“Davvero?” Louis lo guarda sorpreso, le labbra schiuse,
 
Il moro annuisce un paio di volte, “davvero. Mi piacerebbe venire… e poi sei tu il capo, gli ordini sono ordini…”
 
Louis schiude le labbra per rispondere, potesse gli direbbe che non è un ordine, ma un invito, eppure non fa in tempo perché la cameriera gli si piazza in mezzo, portando le loro ordinazioni davanti ai loro nasi,
 
Harry osserva i piatti ora sul tavolo e fa scorrere lo sguardo dalla propria carne, all’insalata di Louis. S’acciglia leggermente, ma non dice niente a riguardo.
 
Prendono a mangiare in silenzio, non si dicono niente perché sembra come se avessero perso il filo del discorso. Questo imbarazzo nell’aria fa quasi pizzicare la pelle di Harry che alla fine sospira “quindi? A che ora si parte?”
 
“Verrò con l’autista a casa tua verso le… sette?” azzarda Louis, grato che glielo abbia chiesto e abbia parlato per primo di nuovo,
 
Harry annuisce, “quanto restiamo a Parigi?”
 
“L’ultima sfilata è venerdì a mezzogiorno, se tutto va bene credo che potremmo rientrare per il tardo pomeriggio”
 
Harry non risponde, si limita ad annuire mentre mastica l’ennesimo boccone. Osserva il proprio piatto, diventato vagamente interessante adesso, mentre di sottecchi ogni tanto osserva Louis mangiare così lentamente la sua insalata che quasi lo fa arrabbiare,
 
Louis riesce a percepire quella preoccupazione o forse perplessità, che ora si stende sul viso dell’altro, così allunga una gamba, andando a dargli un piccolo colpetto sul polpaccio, sotto il tavolo, una cosa davvero poco elegante e di poca classe, “Styles, non farmi quella faccia o non ti chiederò più niente d’ora in poi”,
 
Il tono vagamente offeso fa sorridere Harry che scuote il capo rialzando gli occhi verso i suoi, “sono solo un po’ pensieroso, scusami, non vedo davvero l’ora di partire” e sorride; un sorriso ampio che mette in risalto le fossette delle sue guance. Nel guardarlo Louis sente anche le proprie labbra stendersi in un sorriso, e se le morde subito dopo, annuendo,
 
“Farò arrangiare il volo e l’albergo ad Eleanor allora” afferma, andando ad appoggiare adesso le posate ai lati del proprio piatto.
 
Harry non può fare a meno di notare che la metà dell’insalata è ancora lì, però non dice niente. In silenzio finisce di mangiare, lasciando che la conversazione prenda una piega più vaga adesso fino a che non si decidono ad alzarsi.
 
 
“A domani allora” dice, in piedi avanti a lui sul ciglio della strada, il taxi fermo ad aspettarlo.  
 
A Louis suona più che bene, annuisce come se fosse un bambino a cui gli viene chiesto se vuole delle caramelle e si sorprende del fatto che deve nascondere l’entusiasmo, “sarò puntuale” dice prima di voltarsi e camminare verso l’auto che lo sta aspettando, la portiera già aperta per lui.
 
Harry osserva la sua schiena finché non lo vede sparire all’interno dell’auto scura e ridacchia scuotendo il capo, si lascia andare ad una risata leggera, non sa perché, si stupisce persino lui, però gli viene da ridere, felice questa volta.
 
 
 
*
 
 
 
Apre la porta velocemente, la luce del sole lo colpisce in pieno viso, tanto da fargli uscire un rantolo di dolore mentre alza una mano a coprirsi gli occhi. Quando riesce a mettere a fuoco avanti a se vede chiaramente la figura di Louis, le mani sui fianchi in una posizione di visibile disappunto,
 
“Styles, spero tu stia scherzando…” la sua voce ancora più severa adesso,
 
“Cazzo!” Harry si copre la bocca “scusa, scusa! Ci sono, devo solo vestirmi… oddio dove ho messo i jeans…” rientra in casa fiondandosi in camera. Grazie a Dio aveva preparato la valigia la sera prima, ma la sveglia del suo telefono non ha suonato, o forse non l’ha sentita, perché è chiaramente tardi e lui è ancora in boxer.
 
Sente Louis seguirlo alle sue spalle e richiudere la porta senza nemmeno che lo abbia invitato ad entrare. Non sa cosa sta facendo mentre lui getta in aria alcuni vestiti, cercando quelli da mettersi “cavolo li avevo messi qui!” il suo tono è quasi disperato e quando alza gli occhi vede Louis andargli incontro, tirandogli addosso degli abiti che tiene tra le mani,
 
“Trovato questi, ti do dieci secondi, comincia a muoverti… uno…”
 
Harry li afferra iniziando a vestirsi velocemente, quando si infila i jeans quasi inciampa e perde l’equilibrio in avanti, li allaccia all’ultimo prima di allungare una mano e reggersi contro lo stipite della porta, imprecando,
 
“Dieci…” sente il sospiro di Louis contro il viso, perché nel perdere l’equilibrio gli si è gettato addosso senza nemmeno rendersene conto. Lo guarda così vicino, rimane in silenzio a fissare i suoi occhi chiari. Schiude la bocca,
 
“Scusa…” mormora prima di vedere Louis fare un passo indietro, voltare il capo da una parte, allontanandosi come se si fosse scottato,
 
“Sbrigati, ti aspetto in macchina” e si volta, dandogli le spalle, verso il portone.
 
 
Seduto in auto, Louis si ritrova a battere nervosamente il piede a terra, le dita che si intrecciano una all’altra e nella mente l’immagine di quel viso così vicino, ad un soffio da lui. E’ così abituato a vedere modelli vestiti appena che il fatto di averlo visto in boxer era davvero da poco, ma quel viso, così vicino, il suo fiato caldo e quegli occhi.
 
Chiude i propri, sente il proprio cuore battere nelle orecchie, stringe le mani tra di loro e si morde con forza la bocca. Cercando di calmare il proprio stato d’animo che è già stato sconvolto di prima mattina.
 
 
 
*
 
 
 
Non hanno parlato molto durante il volo, solo qualche scambio di battute riguardante gli impegni di lavoro e gli eventuali momenti di svago. Qualche cena ed evento a cui dovranno partecipare, ma niente discorsi personali. Sembra che quella regola sia ancora valida, anche se a dire il vero sembra sia seguita solo in casi di eccezionale imbarazzo, tipo questo, dove nessuno dei due prova a dire qualcosa che sia oltre i limiti.
 
Parigi è meravigliosa, da quando è atterrato Harry non riesce a posare nemmeno per un istante la propria macchina fotografica. Si sente così affascinato da quel cielo azzurro, dalle persone, i viali… l’architettura. Dio, Harry ama Parigi. Così simile e così tremendamente diversa da Londra, si respira tutta un’altra vita.
 
Crede sia davvero un peccato che sia a Parigi solo per una questione di lavoro, ma lui e Louis ne hanno già discusso e sa che avrà del tempo libero, tra un impegno e l’altro. Probabilmente non sarà abbastanza per tutto, ma si dice che forse questa non sarà l’unica volta che visita Parigi, o almeno spera.
 
Louis osserva Harry di sottecchi dal proprio lato del sedile. Il finestrino aperto dell’altro fa entrare aria fredda che gli scompiglia i capelli, ma per quanto odi questa cosa, guardare quel viso sorridente e affascinato sembra momentaneamente valere di più dei propri capelli. Che non lo dica in giro però, perché è anche abbastanza grave.
 
Si ritrova a sorridere guardandolo quando Harry si volta verso di lui, gli occhi vivaci “era come te l’aspettavi?” chiede Louis,
 
Harry scuote il capo “è anche meglio…” risponde così, prima di ritornare con la macchina fotografica a scattare foto all’esterno.
 
 
Viaggiano per le strade di Parigi per circa quarantacinque minuti, raggiungendo il centro, diretti verso l’Hotel prenotato.
 
Harry non ha dubbi che sarà un posto lussuoso, ma quando l’auto si ferma e gli aprono la portiera, non si aspettava di certo tutto questo. Lui, abituato a dormire in hotel con al massimo due stelle se tutto va bene, adesso si ritrova probabilmente in uno degli hotel più costosi e belli di Parigi.
 
Alza gli occhi, leggendo il nome dell’hotel, ma viene distratto subito da una voce squillante e un “bonjour!” fin troppo urlato. Si volta osservando un uomo in giacca e cravatta correre verso Louis, con il quale si scambia due baci sulle guance. Harry sorride, al fianco del suo capo che ora si volta posandogli una mano sul braccio,
 
“Ti presento Harry, sarà lui a seguirmi questa settimana” spiega all’uomo che con un ampio sorriso gli si avvicina,
 
“Harrì! Benvenuto a Parì!” esclama il tizio, chiaro accento francese,
 
Harry non fa in tempo a ricambiare il saluto che l’uomo prende sottobraccio Louis, iniziando a camminare verso l’entrata. Li sente borbottare, ma non capisce di cosa.
 
Lui rimane per qualche istante impalato lì, prima di voltarsi e guardare gli uomini che scaricano le valige dall’auto. Così sospira e prende anche lui a camminare verso l’entrata.
 
Alza gli occhi una volta superato l’ingresso, il lusso tutto attorno è quasi troppo, non ci era davvero abituato a certi livelli ma hey, la realizzazione di star viaggiando con praticamente un’icona della moda londinese, e non solo, lo colpisce in piena faccia quando osserva gli enormi lampadari pendenti di oro e diamanti. Diamanti, diamanti veri pensa Harry.
 
Rimane a guardare Louis mentre parla con il ragazzo alla reception, gli sente dire di aver riservato le solite stanze e che è sempre un piacere averlo lì. Se ne rimane in disparte, almeno finché non lo vede voltarsi e fargli cenno di avvicinarsi.
 
Lo guarda allungargli una tesserina “ecco, la chiave della tua stanza” dice e Harry annuisce, ringraziandolo.
 
 
Quando infila la carta nell’apposita fessura la piccola luce verde scatta e Harry afferra la maniglia andando ad aprire la porta. Le bocca praticamente spalancata mentre osserva la stanza solo dall’entrata “okay… oka---wow…” l’entusiasmo aumenta man mano che si fa avanti in quella che sembra più un appartamento di una camera. Si volta osservando il letto matrimoniale, matrimoniale? Quello è un letto per sei persone, non due.
 
Harry ride tra sé e sé e va verso il mini frigorifero e lo spalanca osservando le varie bevande all’interno. “Devo dirlo a Zayn…” mormora andando verso il bagno adesso; sulla porta si ritrova a pensare che probabilmente è persino più grande della sua vecchia camera.
 
 
“Harry?” la voce di Louis lo coglie di sorpresa all’entrata ed esce veloce dal bagno tenendo in mano delle bottigliette di shampoo e balsamo. Non si era accorto di aver lasciato la porta aperta.
 
“Che stai facendo?” Il tono confuso di Louis mentre lo osserva gli fanno abbassare gli occhi sulle proprie mani e ride “scusa, è… wow, non sono mai stato in un albergo così” confessa ritornando verso il bagno a posare le cose.
 
Louis lo segue appena, fermandosi sulla porta “ti piace? E’ tutto in ordine?” chiede guardandosi attorno, assicurandosi che vada tutto bene perché ci tiene.
 
Quando Harry ritorna a guardare Louis, lo vede camminare per la stanza con una espressione concentrata. Si rende conto di quanto due persone possano avere occhi tanto diversi verso la stessa cosa perché mentre lui si guarda attorno stupito e felice, Louis guarda in cerca di eventuali difetti.
 
“No, va tutto bene, grazie” alla fine gli risponde e lo vede ritornare sui suoi passi, verso di lui.
 
“Ho un paio di appuntamenti ora, cose poco importanti in realtà, puoi andare a fare un giro se vuoi…” gli dice mentre riprende a camminare verso la porta; Harry lo segue fermandosi sulle soglia a guardarlo finché non si volta di nuovo, posando le dita sottili sul suo mento, riflettendo.
 
“L’hotel ha una macchina e un autista a disposizione per te se vuoi non so… evitare la metro o i taxi” fa una pausa mordicchiandosi le labbra e abbassa gli occhi, Harry sente il suo sguardo praticamente sul proprio petto, tanto prepotente che quasi gli brucia, è come se lo stesse studiando,
 
“Alle otto e mezzo trovati nella hall con l’Armani… andiamo a cena fuori”.
 
 
 
*
 
 
 
Il cielo limpido e la brezza leggera rendono questa giornata una giornata perfetta per delle foto. Lungo il viale degli Champs-Élysées Harry osserva le foglie rossicce degli alberi, di tanto in tanto una si stacca e svolazza a terra, trasportata dal vento leggero si posa sul marciapiede e puntualmente l’ennesima persona andrà a calpestarla, provocando la rottura della foglia ormai secca.
 
Tiene la macchina fotografica in mano, accesa, e non riesce a smettere di scattare foto alle persone, alle cose, agli edifici. Qualsiasi cosa attorno attira la sua attenzione, mille stimoli che lo fanno sorridere.
 
In fin dei conti, si dice, sono anche foto di una vacanza, meglio farne abbastanza e non lasciare niente.
 
Nota il nome di grandi firme dei negozi che si affacciano sulla strada e sorride nel pensare che probabilmente Louis ha camminato su quella stessa strada quando ancora non si conoscevano.
 
Porta la camera al viso e si ferma poggiando una spalla contro un muretto mentre osserva oltre il vetrino, verso un negozio che spicca grazie ai particolari dorati del suo esterno. Louis Vuitton.
 
Osserva un paio di signore uscire con delle buste enormi e Harry scatta un paio di foto, prendendo tutto l’edificio, in una foto che può sembrare del tutto normale, rappresentando la normale giornata di due amiche che vanno a fare shopping insieme; niente di troppo artistico, in realtà.
 
Osserva la foto sul piccolo schermo e poi ritorna a guardare attraverso lo specchietto.
 
Rimane in silenzio, con le labbra leggermente schiuse quando vede Louis arrivare da dietro l’angolo, al suo fianco un ragazzo che Harry suppone abbia la stessa età e con loro una donna decisamente più anziana.
 
Ridono, Louis ride ampiamente e questa volta Harry accetta il fatto che non sia così falso come lo ha visto altre volte.
 
Le pieghe ai lati dei suoi occhi sono la cosa più bella di quel sorriso e Harry scatta un’altra foto.
 
Si fermano davanti al negozio e Louis osserva la vetrina indicando alcuni oggetti all’interno.
 
Il ragazzo annuisce e gli poggia una mano sulla schiena, invitandolo ad entrare, sparendo così, tutti e tre, all’interno del negozio.
 
Harry deglutisce, abbassa gli occhi a guardare Louis attraverso il piccolo schermo della propria macchina fotografica.
 
Preme la freccetta verso destra scorrendo le foto e con un sospiro, spegne la camera, prendendo a camminare dalla parte opposta.
 
 
 
*
 
 
 
“Jean, tesoro ascoltami, chiama la mia assistente Eleanor Calder e dille di annullare il servizio di Rolland e anticipare quello di dicembre di Simons” la voce di Louis è tranquilla, quasi dolce mentre Il ragazzo alla reception annuisce appuntando tutto su un piccolo post-it giallo, andando subito dopo a digitare un numero sul telefono. Louis lo guarda ancora qualche istante, almeno finché non lo sente iniziare a parlare ed unisce le mani strofinandole tra di esse, sorridendo leggermente.
 
Si sposta verso un grande specchio vicino all’entrata e alza le mani a sistemare leggermente la piega del colletto della camicia e allacciando il piccolo bottoncino della giacca. Osserva i propri capelli, voltando il capo da una parte all’altra e assicurandosi che ogni cosa sia al proprio posto. Avvicina il viso allo specchio, andando con il polpastrello del pollice a strofinare una piccola macchiolina sulla gota.
 
Volta il capo da una parte quando sente mormorare un gruppetto di donne al proprio fianco qualcosa che in francese riesce ben a capire e sposta gli occhi sullo specchio, e guardando il riflesso dietro si se nota la figura di Harry, mentre scende la scalinata. Lo fa con naturalezza ed eleganza e lui si ritrova a fissarlo in silenzio, si accorge del cuore nel petto che ha preso a battere tremendamente veloce e forte che quasi teme che possa essere sentito da quelle donne, le quali chiacchiere ora hanno decisamente più senso.
 
Lo osserva scendere quei gradini uno ad uno, lento come fosse un film, con quelle mani che allacciano i bottoni della giacca con cura e quelle stesse dita che poi porta tra i capelli, tirandoli indietro. Lo fa sempre, pensa Louis.
 
Continua a guardarlo allo specchio, sa perfettamente che non ci crede nessuno che si sta specchiando, perché è chiaro come il giorno che i suoi occhi sono puntati su quella figura. Vede il sorriso che rivolge alla ragazza che si ferma per farlo passare, poi la mascella definita e come se non bastasse anche la brillantezza dei suoi occhi… infine però, al centro di tutto quello osserva la curva della sua bocca ben delineata e rosea, come vi fosse disegnata.
 
Trattiene il respiro, la gola così secca che si trova a deglutire un paio di volte di seguito, cercando di ritrovare la salivazione persa al momento. Distoglie lo sguardo scuotendo il capo, incrociando i propri occhi nello specchio prima di schiarirsi la voce e voltarsi, pronto per affrontarlo in tutta la sua bellezza,
 
Rimane fermo al proprio posto mentre è Harry a farsi vicino, e più cammina più quel sorriso che gli rivolge gli fa sciogliere il cuore,
 
Dio, Louis può giurare che sorride in quel modo solo a lui, con quella piccola fossetta e le labbra leggermente inclinate da un lato, quasi ammiccante,
 
E’ bellissimo.
 
E’ perso nei suoi pensieri, Louis, quando si accorge che ha perso più della metà di ciò che Harry gli sta dicendo. S’acciglia alzando gli occhi a guardare quelli verdi dell’altro che adesso sembra perplesso, “hey?”
 
Harry ci riprova “mi ascolti?”
 
“Uh?” Louis batte le palpebre, come se si fosse appena risvegliato e questa volta gli occhi guardano la sua bocca, cercando di catturare eventualmente qualsiasi altra cosa volesse dirgli, “scusa… ero…”
 
“Lavoro?” continua Harry, inclinando il viso da una parte,
 
Louis sorride vagamente imbarazzando, però annuisce “sì-uh… sempre lavoro…” si stringe nelle spalle, a voler dire che è ovvio,
 
Le mani si spostano con uno stimolo istintivo, andando a posare le dita affusolate sul colletto della sua camicia, sistemandolo. La dita sfiorano la sua pelle calda e Louis per un istante si immobilizza, sentendo una piccola scossa attraversargli le dita fin lungo la schiena. Deglutisce, lascia scorrere le dita sapute sulla stoffa, curandola con cura. Rimane in silenzio per un po’, prima di abbozzare un sorriso,
 
“Devi davvero imparare a sistemare questi colletti…” mormora osservando la stoffa sotto le proprie mani e, una volta fatto, sfiora leggermente il piccolo bottoncino nel mezzo con la punta delle dita, in un gesto delicato.
 
“Ci sei tu per quello…” la voce di Harry che suona più seria del dovuto e Louis alza d’istinto gli occhi, allarmato, cercando di carpire i motivi di quella affermazione, ma quando vede sulle sue labbra un piccolo sorriso divertito quasi si sente uno sciocco, anche se più rilassato, ricambia il piccolo sorriso,
 
“Stai davvero bene…” mormora piano Harry, in modo che solo Louis possa sentirlo e lui, per la prima volta dopo tanto e troppo tempo, sente le proprie gote andare a fuoco. Un piccolo formicolio sulle orecchie che bruciano e si rende conto di star arrossendo. Louis Tomlinson sta arrossendo ad un complimento. Un complimento che viene da qualcuno come Harry che conosce da meno di sei mesi ma il quale parere adesso sembra più che importante. Gli capita spesso che la gente gli faccia complimenti, ci è abituato, ma questa volta è diverso perché suona quasi più intimo, solo per lui… e poi… è davvero sincero… e forse è quello che gli piace di più di tutto ciò che Harry gli dice, la sincerità.
 
Louis si maledice mentalmente per il silenzio che ha lasciato cadere subito dopo, un silenzio che forse ha lasciato spazio già a troppi pensieri. Allontana le mani da lui, fa un passo indietro come se quel contatto gli causasse bruciore, anche se non è una brutta sensazione non riesce a gestirla ora come ora. Si volta velocemente, “andiamo, siamo in ritardo” si limita a dire, cercando di rimanere distaccato per quanto gli è possibile, prendendo a camminare.
 
Harry non sa, forse è deformazione professionale, o forse è semplicemente lui, perché adora i particolari, adora osservare e capire. Il modo di fare sfuggente di Louis lo incuriosisce e per quanto potrebbe sembrar essere una cosa negativa, a lui non fa nemmeno poi così male, perché può giurare di aver visto il rossore delle sue guance quando si è voltato. Questo gli basta, per ora. Osserva la sua schiena mentre cammina lontano, via, sfuggendogli di nuovo eppure, maledizione, Harry adora le sfide.
 
 
Louis non aveva menzionato che fosse una cena con più persone, ma di certo Harry non poteva pretendere una cena a lume di candela in un ristorante lussuoso di Parigi solo per loro due, così, come avrebbe voluto evitare, si ritrova seduto ad un ampio tavolo rotondo, con circa altre otto persone, ognuna con un completo differente ed estremamente bello, e ovviamente costoso.
 
Parlano e discutono di affari, delle nuove mode, i nuovi colori, discorsi che Harry evita portando il bicchiere vicino alle labbra più spesso del dovuto. Il vino che sta bevendo forse costa più del suo intero guardaroba, ma è buono, e non paga lui, quindi gli sta più che bene andare avanti. Sotto il tavolo la propria gamba batte a terra con nervosismo, non riesce e non può partecipare a quelle conversazione perché, diamine, lui non sa niente di tutto questo e si chiede, nel retro della propria mente, perché Louis ce lo abbia portato, sa bene che Harry non è in grado di fare certi discorsi.
 
Di tanto in tanto alzando gli occhi incontra quelli di Louis illuminati dalle candele al centro del tavolo. Sa bene qual è il colore di quegli occhi, ma sotto quelle luci risultano più caldi, vagamene lucidi e decisamente più dolci, o almeno quando incontra i propri. Eppure i loro contatti visivi durano poco, perché Louis bada bene al distogliere lo sguardo in fretta, sorridendo a qualcuno che gli sta parlando,
 
Harry sorride vagamente a quegli occhi che, ogni volta che sfuggono, fanno sembrare Louis un ragazzino intimidito. E gli fosse più vicino gli darebbe un colpetto con il piede, ma purtroppo si trova dall’altra parte del tavolo e non può di certo rischiare di colpire qualcun altro. In realtà, se deve essere onesto, non sa nemmeno perché si sono seduti così distanti, ma tutti sembravano voler sedere vicino al suo capo, e chi è lui per dire di no, in fin dei conti.  
 
“Harry, raccontami un po’ ragazzo, so che sei un bravo fotografo, che progetti hai?” una voce non famigliare pronuncia il suo nome, lui si volta ad osservare l’uomo al proprio fianco che sorseggia il suo vino e sorride. Inizialmente non risponde, rimane un momento a riflettere su quella domanda e porta di nuovo il calice alle labbra, finendo il sorso che vi aveva lasciato.
 
“La mia ambizione è quella di essere un fotografo principalmente freelance. So che è una carriera molto ardua per chi non si è fatto ancora un nome, ma ci sto lavorando…”
 
L’uomo annuisce un paio di volte arricciando le labbra, guardando Louis prima di tornare su di lui, “di certo Harry, lavorare per una rivista come Flamme sarà una grande rampa di lancio per te… hai già progetti per dopo?”
 
Harry si stringe nelle spalle “avrei un progetto in realtà, ma sono ancora tutte cose in elaborazione, per ora mi concentro sul presente…”
 
L’uomo annuisce e sorride. Allunga un braccio andando a dare una piccola pacca sulla sua spalla, leggera e calibrata “bravo, bravo…” borbotta, prima di voltarsi a parlare con qualcun altro.
 
Harry sospira, abbozza un sorriso e quando alza gli occhi ritrova Louis a guardarlo, ma Louis non sorride, sembra pensieroso. Così pensieroso che non si accorge nemmeno che Harry sta ricambiando il suo sguardo. Fissa i suoi occhi attentamente e lo vede andare a guardare il piatto, quello che il cameriere gli ha appena posato davanti e Harry vorrebbe sprofondare, perché vede il terrore, in quegli occhi.
 
 
Per quanto Louis possa sembrare perso nei meandri della propria mente, non è sciocco. Sa perfettamente che quel paio di occhi lo stanno fissando mentre lui, in preda al panico osserva la carne nel proprio piatto, la salsa con cui è ricoperta, il contorno di insalata e una strana crema di qualcosa che in realtà non conosce. Deglutisce impercettibilmente mentre stringe così forte le posate che le nocche delle sue mani diventano bianche. Alza appena gli occhi, guarda e persone attorno a lui mangiare tranquillamente e discutere tra loro, tranne una, Harry ovviamente, cazzo, sempre lui, e Louis si dice che non è stata una buona idea portarselo dietro perché a certe cene nessuno fa mai caso se qualcuno mangia o meno, tutti presi da tutt’altro. Ma Harry non è così, Harry è diverso, e lo sta guardando, lo osserva, e si preoccupa. Louis lo vede così chiaramente che quasi si spaventa.
 
Velocemente va a tagliare un piccolo pezzo di carne, portandolo alla bocca, con la speranza che Harry cominci a mangiare e smetta di fissarlo.
 
Louis mangia, è guarito, non è un problema il cibo, eppure alle volte, soprattutto quando vede piatti così abbondanti, sente il pensiero martellare nella sua mente, la paura, il terrore che le cose vadano fuori dal suo controllo, non riuscirebbe ad affrontarlo di nuovo, si conosce.
 
L’ha superato, ne è uscito, si dice, ma la verità è che non appena nota le calorie abbondanti nel piatto cerca di evitarle in tutti i modi, se riesce. Non può rischiare, non deve.
 
Nonostante però stia mangiando, anche se lento e poco, Harry se n’è accorto, Louis lo vede nello sguardo perplesso quando porta il tovagliolo alle labbra, lo nota quando inarca un sopracciglio abbassando gli occhi sul suo piatto ancora mezzo pieno. In risposta però, Louis si limita ad un piccolo sorriso prima di riprendere a parlare con qualcuno del tavolo o beve un sorso del vino, evitando lo sguardo persistente del riccio. Cerca di prendere in mano la forchetta il meno possibile, riempendosi invece bicchiere dopo bicchiere di vino, fin quando sente la testa un po’ più leggera, meno pensierosa. Ecco, così va bene si dice, così si sta bene.
 
 
 
*
 
 
 
L’unico rumore nell’auto è quello della pioggia sui finestrini, i tergicristalli il movimento e la radio di sottofondo che canta classiche canzoni francesi. Il resto è silenzio, un pesante silenzio che aleggia tra loro due, seduti ai lati opposti dell’auto, mentre si muovono tra le vie ancora trafficate di una Parigi che non dorme mai.
 
Harry sente la tensione, il nervosismo che quella situazione gli crea e probabilmente anche Louis lo ha notato, perché quando Harry si volta a guardarlo trova i suoi occhi già lì, languidi e lucidi, che lo fissano. Uno sguardo che Harry è sicuro sia dovuto a tutto il vino che ha bevuto, non sembra ubriaco però, forse solo triste. Non sa cosa è peggio, se deve essere sincero.
 
La cosa che accade inaspettata però è che per la prima volta dopo la cena nessuno dei due interrompe quel contatto visivo. Rimangono a guardarsi, in silenzio per almeno una buona manciata di secondi. Si guardano come se cercassero di scovare i segreti, le paure, i desideri. Si guardano cercando di entrarsi dentro a vicenda.
 
Harry però non ci riesce, non ce la fa più a guardarlo e ad immaginarsi cose che non può sapere, così è lui ad interrompere quel silenzio “eviti di mangiare o sei solo a dieta?” chiede tagliente, una domanda così sciocca che suona così male quando esce dalla sua bocca. Gli sembra una accusa, una viscida insinuazione. Potesse ritornerebbe indietro, forse la formulerebbe in modo differente, ma questa cosa del pentirsi di ciò che dice sembra essere diventato un hobby ormai.
 
“Non… sono a dieta…” una risposta semplice, che in realtà non gli dice niente di più di quello che vorrebbe in realtà sapere. La sua voce suona bassa, così debole e stanca adesso. Lo osserva distogliere lo sguardo per primo e guardare fuori, oltre i finestrini scuri. Le luci di una Parigi notturna che Harry dovrebbe godersi ma, in realtà, l’unica cosa che vuole vedere è proprio lì adesso, dentro quella macchina.
 
Schiude le labbra per ribattere, inventarsi qualcosa e riempire quel silenzio maledetto, magari intervenire con qualcosa di leggero per alleviare la situazione, ma il sospiro di Louis lo blocca sul nascere del pensiero e capisce, con una certa amarezza, che questo non è il momento né il luogo più adatto per avere quella conversazione. Lo rispetta, perché di certo non può costringerlo ad avere una conversazione che chiaramente sta evitando, così si volta, gli occhi a guardare un punto impreciso al di fuori e ritorna ad immergersi nell’angoscia che il piccolo spazio nell’auto ha da offrirgli ora. Per quanto lui non voglia, deve conviverci.
 
 
Harry cammina un paio di passi dietro Louis, come in un tacito accordo di essere lasciato in pace, lo segue fin dentro l’hotel, dritto verso l’ascensore. Ma quando si ritrovano in silenzio davanti le porte chiuse Harry sembra ripensarci, perché si volta prendendo a camminare verso le scale,
 
“Harry?” la voce spaesata di Louis lo chiama e lui si volta a guardarlo,
 
“Dove stai andando?” chiede,
 
Harry si stringe nelle spalle “io… prendevo le scale…” semplice,
 
“Non essere idiota” sbotta Louis, scuotendo il capo mentre entra nell’ascensore ormai arrivato.
 
Harry rimane un istante stupito da quel tono quasi arrabbiato che ha sentito uscire dalle sue labbra, così, prima di contraddirlo, va verso l’ascensore, mettendosi al suo fianco, la propria spalla contro la sua, “scusa…” mormora sospirando “sono pessimo a fare l’assistente” aggiunge.
 
Luis non risponde, guarda dritto avanti a se e quando le porte dell’ascensore si aprono cammina fuori velocemente, verso la sua camera, senza una parola, senza dirgli niente, ignorandolo completamente come se non esistesse.
 
Harry non lo sopporta, è stufo, così dannatamente stanco “Louis fermati…” lo chiama, il tono della sua voce così disperato che si incrina nella gola “ti prego, io---vedo solo la tua schiena… sono così stanco di vedere la tua schiena mentre te ne vai, fermati… parlami, dimmi qualcosa… ti prego…” le braccia lungo i fianchi, fermo in mezzo al corridoio illuminato dalle fioche luci notturne accese,
 
Louis si ferma, in mano stringe la carta della propria stanza, sente le gambe tremargli quando si volta “Dio…io---cazzo Styles lasciami in pace” scuote il capo più volte. Si volta andando ad infilare la carta nella porta, facendola aprire.
 
Harry gli si avvicina velocemente, allunga un braccio posando una mano sulla maniglia della porta, richiudendola, cercando di mettersi tra lui e la sua camera, lo guarda dritto negli occhi, anche se Louis gli sfugge ancora, “insultami, sfogati, d---dimmi qualcosa! qualsiasi cosa ma ti prego non lasciarmi così… ancora… Louis…”
 
“Sta zitto! Harry sta zitto, io non---noi non siamo amici! Smettila di fare… questa cosa! Smettila!” chiude gli occhi di colpo, stringe le palpebre così forte con la speranza che Harry possa sparire, con le sue parole che ancora rimbombano nel corridoio, o forse semplicemente nella propria testa. Sente il proprio respiro affannato, il cuore che gli batte velocemente e riapre gli occhi di colpo, quelli di Harry lo fissano feriti, così abbattuti che gli si stringe il cuore. Un dolore al petto che non sa spiegarsi o che non vuole spiegarsi.
 
Lo vede lasciar scivolare via la presa, la porta avanti a lui si riapre e rimane immobile, mentre Harry cammina via, senza aggiungere altro.
 
Che sta facendo? Che diamine sta facendo? Non ha idea di cosa gli sia passato per la testa, del perché lo abbia trattato così. E’ così stufo di doversi nascondere, di dover fingere che non gli interessi quando in realtà è tutto il contrario.
 
Sente la porta poco distante scattare, nella testa si ripete che dovrebbe chiamarlo, ma quando finalmente alza gli occhi a guardarsi attorno Harry non è più nel corridoio, e la porta è chiusa. Si morde la bocca, pensa al proprio orgoglio, a tutto ciò che non farebbe mai in questa situazione, e decide che farà tutto quello, tutto ciò che non avrebbe mai il coraggio di affrontare, adesso o mai più si dice, adesso che è ubriaco, magari domani se ne pentirà, adesso è il momento giusto.
 
Bussa alla porta, una, due volte, forse tre, Harry non risponde. Sa che è voluto, che forse se ne sta in piedi dall’altra parte indeciso se aprire o meno, ed è proprio così, Harry è lì, la fronte poggiata contro la porta chiusa, il respiro calmo e il silenzio nelle orecchie,
 
“Mi dispiace…” la voce di Louis esce bassa, ma Harry oltre la porta riesce a sentirlo,
 
“Ti dispiace? Per cosa?” chiede Harry,
 
Louis si morde la bocca, non si aspettava la risposta ma si avvicina di un passo alla porta, poggia il palmo su di questa e poi il viso, con l’orecchio contro il legno, per poterlo sentire e in modo che Harry lo senta senza che debba alzare troppo la voce, “Sono uno stronzo…”
 
“Sì, lo sei…”
 
Louis abbozza un sorriso amaro “mi dispiace… Harry…”,
 
Nessuna risposta, così Louis parla di nuovo “mi apri?”
 
“Perché dovrei? Per vederti fare un’altra scenata? No grazie”.
 
Louis sospira, chiude gli occhi “non fare lo stronzo, tu non sei così…”
 
“Non siamo amici, tu non sai come sono”
 
“Harry per l‘amor del cielo mi dispiace! apri questa porta così posso dirtelo guardanti negli oc-” la porta si spalanca, Louis quasi perde l’equilibrio in avanti perché vi era poggiato contro, guarda il viso del riccio, i suoi occhi appena lucidi e si morde la bocca, “mi dispiace… io-”
 
Harry alza gli occhi al cielo, quasi esasperato, ma Louis scuote il capo, gli occhi aperti e vividi come se nella sua mente fosse successo qualcosa, come se qualcosa fosse scattato e lui avesse avuto la rivelazione della sua esistenza, osserva Harry con le labbra schiuse “sono pronto… le foto, adesso, qui, sono pronto, facciamolo” deciso, una volta per tutte, la svolta.
 
Harry lo guarda spalancando gli occhi, una situazione che si è trasformata in qualcosa che non si aspettava. Non hanno niente, assolutamente niente, ma Louis è pronto, è pronto adesso, deve farlo, al diavolo le luci, sarà tutto più reale, più vero, così come deve essere “oh---uh adesso? okay prendo la macchina fotografica, aspettami nella tua stanza”.
 
 
Louis è in piedi al centro della propria suite, le mani unite avanti al grembo mentre tira le proprie dita con nervosismo. Ruota il capo più volte, guardandosi distrattamente intorno, mentre nella mente si ripete che è adesso o mai più.
 
Chiude gli occhi e si irrigidisce quando sente la porta alle proprie spalle chiudersi, respira piano e si volta, guardando Harry che si fa avanti. Ha tolto la giacca e ora la sua camicia sembra molto più casual, con le maniche arrotolate ai gomiti e i primi bottoncini slacciati. Lo farebbe sorridere, se non fosse che il terrore che prova lo blocca lì, impietrito.
 
“Parlami…” la voce di Harry è bassa, calma. Calibrata adeguatamente per essere un conforto, un appiglio.
 
Louis però abbassa gli occhi, sa bene cosa gli sta chiedendo e quando schiude le labbra sente i propri denti battere. Si rende conto di star tremando. Alza le proprie mani, osserva le proprie dita agitarsi e il cuore prende a battere ad un ritmo più sostenuto.
 
Lentamente, all’interno del proprio campo visivo entrano un altro paio di mani, guarda quelle dita avvolgere le proprie in un contatto leggero. Le mani di Harry protettrici sulle sue, mentre stringe la presa saldamente, “parlami…” ripete e Louis alza di nuovo il viso, ritrovando quello di Harry poco distante che lo guarda. Lo lascia senza fiato, eppure allo stesso tempo perdersi in quegli occhi gli fa scordare ogni cosa, sente il proprio corpo perdere rigidità, calmarsi, le mani strette nelle sue smettono di tremare e lui schiude le labbra, guardando quelle di Harry serrate.
 
“Io…” si morde la bocca, batte le palpebre qualche volte mentre riflette sulle proprie parole, “ho lottato così tanto Harry… io---per venirne fuori… è stato un inferno…” sente la propria voce incrinarsi, mentre le lacrime si incastrano lentamente tra le ciglia, bloccandole lì, al bordo dei suoi occhi lucidi.
 
“E adesso… adesso ho sempre così tanta paura… di guardarmi allo specchio e scoprire che sono al punto di partenza… il terrore di vedermi ancora così, di odiare ciò che sono… non-”
 
“E’ lo stesso terrore che hai quando guardi un piatto troppo pieno…” questa volta è Harry a parlare, è un sussurro, come se nella sua mente tutti i pezzi del puzzle stiano iniziando a dare forma alla vera immagine del Louis che ha davanti. La presa sulle sue mani si fa più leggera, fino a lasciarle.
 
Louis annuisce appena alzando una mano ad asciugarsi gli occhi umidi, “vorrei---vorrei solo guardarmi allo specchio e sapere che vado bene…” mormora ancora, la gola secca brucia di amarezza, mentre scuote il capo, dandosi mentalmente dello stupido.
 
Harry lo guarda in silenzio, osserva il rossore dei suoi occhi e gli sembra di essere davanti ad un ragazzino, non un uomo di trent’anni. Eppure non c’è niente di strano, tutta quella fragilità, quelle paure che si celano dietro ogni gesto che fa, nascondendosi dietro la sua figura seria di direttore. Nasconde tutto questo e Harry si sente come se avesse trovato l’oro alla fine dell’arcobaleno perché si rende conto di quanto tutto questo sia estremamente intimo ed importante per Louis. E sarà stato il vino, il fatto che Harry sia stato insistente, ma attorno a lui non vede più muri, niente più maschere, solo tanta tristezza, paura, il bisogno di essere sostenuto.
 
Harry capisce adesso, capisce perché Louis sia stato così duro con gli altri fotografi prima di lui, ogni cosa ha senso perché solo qualcuno davvero speciale avrebbe potuto arrivargli così vicino da guardarlo e vedere il suo mondo dentro i suoi occhi.
 
Fa un passo indietro, afferra la macchina fotografica che aveva lasciato cadere lungo il fianco e si guarda attorno alla ricerca di un punto preciso.
 
Vede un grande specchio che ricopre quasi l’intera altezza della parete e poi guarda Louis, “davanti allo specchio, voglio che ti spogli” il tono è serio e deciso, non lascia trasparire nessuna possibilità di ribattere.
 
Louis volta il capo a guardare lo specchio a cui si riferisce, deglutisce. Gli capita spesso di doversi mettere davanti al proprio riflesso, ma lo fa per gli abiti, per sistemare la propria apparenza, mai per osservarsi.
 
“Voglio che ti guardi, voglio che ti liberi di tutta questa merda di cui senti il peso, voglio che tu ti veda come sei davvero” Harry continua, cercando di rimanere coerente al proprio tono deciso, anche se dentro si sente vacillare perché ha paura di non esserne all’altezza. Allunga una mano, fa un cenno verso Louis di avvicinarsi allo specchio,
 
“Fai come se io non fossi qui, guardati… con tutto ciò che provi…”
 
“Guardarmi…” mormora in risposta Louis, ancora un po’ perplesso mentre prende a camminare lentamente per la stanza, le mani che sfiorano i bottoni della giacca ancora allacciata. Si ferma davanti lo specchio, osserva il proprio riflesso prima di abbassare gli occhi velocemente alle proprie mani.
 
Guarda le proprie dita fini ed affusolate che tremano ancora e cerca, per quanto può, di mantenere la calma. Le guarda finché il tremore non diminuisce, prima di posarle sopra il primo bottone.
 
Sente la macchina fotografica scattare la prima foto. Lui trattiene il respiro con la paura di soffocare, le dita sottili che tremano mentre lentamente prende a sbottonare quel primo ostacolo. Alza gli occhi, osserva le proprie mani riflesse e si dice che ha visto così tante volte il proprio corpo fare quei movimenti, e si dice è che tutto così diverso ora che deve guardare se stesso oltre la stoffa. Non è la giacca, non è la camicia, ma sono le sue mani, la linea del proprio petto a contatto con gli indumenti e la curvatura del collo…
 
Anche se Harry gli ha detto di non pensare a lui, non ci riesce. Harry, quando ha visto le sue foto per la prima volta sapeva che era lui la persona che cercava, e ha sperato con tutto se stesso che funzionasse. Ora, dopo solo poche settimane Harry è già lì, un muro già crollato, i suoi occhi e i suoi scatti già oltre le sue difese.
 
Louis si lascia sfuggire un sorriso quasi sollevato a quel pensiero. Una tranquillità che ancora non è pronto ad ammettere. Senza accorgersene la giacca è ormai completamente sbottonata. La lascia scivolare via, lungo le sue braccia sottili, sfregare contro il tessuto della camicia che ancora indossa.
 
Cade a terra, il rumore ovattato della stoffa contro la moquette viene accompagnato solo dai loro respiri leggeri e gli scatti della macchina fotografica.
 
Sente il proprio cuore battere lento, a differenza dei propri pensieri che viaggiano a velocità estrema. Mille pensieri ed emozioni e per quanto si sforzi di pensare che sia solo, non riesce a scordarsi di Harry. Combatte contro se stesso e il suo corpo, ma l’istinto ha la meglio e ruota il capo.
 
Harry trattiene il fiato, quegli occhi chiari oltre il vetrino lo fissano e scatta l’ennesima foto rilasciando il respiro.
 
Louis si lecca le labbra, la sua mano destra che inizia a sbottonare i gemelli della manica opposta. La lentezza, la meticolosità dei suoi gesti ormai appurati e provati per anni. Gesti che non aveva mai fatto con tanta intensità.
 
Harry deglutisce, sente gli occhi bruciargli perché si è dimenticato di sbattere le palpebre nell’ultimo minuto con la paura di perderlo di vista, ma quando con lo sguardo lo cerca lui è ancora lì, ancora con quell’espressione poco concentrata, un po’ vuoto e un po’ distante.
 
Harry si chiede a cosa stia pensando in un momento come questo. Forse Louis ripensa alla sua vita, al suo passato, oppure immagina il suo futuro dopo oggi, non lo sa, ma se c’è qualcosa di cui Harry è certo è che ancora una volta sente invadersi dal desiderio di rimettere insieme tutti quei pezzi, senza sapere né come né perché.
  
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