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Autore: crimsontriforce    10/12/2008    1 recensioni
Breve storia di un successo annunciato che alla fine non poté che tramutarsi in sconfitta.
Eterno è solo Sin assieme alla sua corte.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Auron, Bahamut, Braska, Ixion, Jecht
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Dieci anni fa, la stessa strada'
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3. Pioggia battente su rocce scoscese – sfiducia




If only I could call the rain to melt and wash away the pain you feel

I would

You gave yourself to me and showed me what the truth could be

For that, I say thank you

This was my life

It never made much sense to me








Auron restava in piedi davanti alla porta dell'alloggio, vigile. Cercava del coraggio, così piantato su due piedi, mentre la luce del giorno svaniva dalla finestra alle sue spalle.

Quando l'ebbe trovato, bussò veloce per cinque volte.


“È aperto, Auron. Non penso che verranno a trucidarci nella notte, per sgraditi che possiamo essere.”


Braska era seduto sul letto e lo attendeva con sguardo vuoto, massaggiandosi il collo sotto i lunghi capelli castani finalmente liberi dai paramenti. Indossava una pesante camicia da notte, mentre gli abiti che aveva scelto per rappresentare la sacralità del suo cammino giacevano ammonticchiati all'altro angolo della stanza, una fiamma spenta di ogni tono di rosso cupo che divorava l'asta, lo scialle , l'armatura.

Auron sentì di aver sconfinato in un momento di intimità di cui non era certo di fare parte e fece per uscire, scusandosi con un inchino a mani unite che manteneva la sostanza di quello rituale senza concedersi una forma da cui si sentiva lontano, quella sera più che mai.


“Poche lodi a Yevon?”, notò pigramente Braska. “Resta, amico mio, resta. Siamo sulla stessa barca.”

Auron si sedette con discrezione su una panca libera, senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso. Trovava conferma dei suoi pur ovvi timori e il cuore gli doleva: il volto dell'evocatore era tirato, le guance scavate accentuate dalla luce obliqua della sera. Lo osservava a sua volta ed era tornato attento ed affettuoso, ma mancava di ogni serenità: gli avvenimenti del giorno avevano lasciato in lui un solco profondo.


“Mio Lord”, iniziò, trovando sconveniente – sgarbato, nel minimo – quello stallo prolungato. “Posso?” Indicò la corazza per terra, mezza sepolta da volute di stoffa rossa con l'occasionale guizzo di blu. Aveva tanto insistito, prima della partenza, affinché Braska si proteggesse almeno il busto con del buon acciaio, secondo l'esempio di Lady Yocun, nel malaugurato caso la sua spada non fosse stata abbastanza rapida da difenderlo. Vedere la sua piccola vittoria abbandonata nel mucchio, ancora sporca del fango della traversata del mattino, gli doleva un po'.

“Fai pure”, disse Braska e subito lo vide frugare nella loro sacca comune alla ricerca di olio e di uno straccio per poi impegnarsi con tutte le sue forze in operazioni cui era abituato da una vita.


“Grazie, Auron. Ma certo non sei venuto qui per farmi una predica implicita sulla mia trascuratezza?”

“No, certo”, rispose, lasciando lo straccio e appoggiandosi con entrambe le mani alla superficie ancora sporca. Dov'era fuggito il coraggio di prima? “È che, pensavo... non posso accollarmi il fardello altrui. Forse, però, condividerlo...”

“È solo questo, dunque?”, chiese Braska con un sorriso triste. Si portò una mano alla fronte. “Da quando sei entrato cerco di leggerti, ma sei stato insolitamente oscuro. Mi chiedevo quale segreto portassi con te, o che infausta notizia.”

“Ho fallito, dunque?”

“Al contrario, al contrario. La solitudine mi era... insopportabile.” Scostò una ciocca di capelli, innervosito. “E doppiamente lo era accettare quel sentimento, ché non è degno del mio ruolo. Ti chiedo solo, mio buon Auron, di essere più chiaro la prossima volta che ti presenterai alla mia porta.”


“Jecht?”, chiese poi.

“Dorme. Prima gli ho parlato. A lungo.” Accompagnò la risposta con una passata di straccio particolarmente vigorosa.

“Quindi avevi un segreto, in un modo o nell'altro.”

“Nessun segreto. Un... dubbio.”

“Vuoi parlarmene?”

“Posso essere del tutto diretto?”, chiese, ma al contempo negò, perché con la scusa dell'ultima luce alzò la placca a coprirgli del tutto il volto – le fibbie, anche le fibbie devono essere regolarmente controllate, in fondo, si disse.

“Da te non mi aspetterei nulla di meno.”

“Non capisco se non posso o non voglio continuare a non prestargli attenzione”, tirò fuori tutto d'un fiato.

“Parola mia, Auron, tu quattro negazioni le chiami 'essere diretto'?”, lo stuzzicò Braska, mentre un'altra parte dei timori che lo assalivano lasciava timidamente spazio all'amore sconfinato e divertito per il mondo e le persone che lo circondavano.

“Resta quello che provo. Ora dorme. Prima... parlava. Non sempre a me. Mi ha chiesto se eravamo un sogno, se quando fosse riemerso da... da 'quell'onda', ha detto, sarebbe tornato da suo figlio. Ha raccontato molto della sua casa, una frase sconnessa alla volta, inframmezzate da lunghi silenzi in cui guardava il soffitto o la sua mano. Mai me. Si vergognava, credo.”

“Non mi stupisce. Farsi vedere così vulnerabile? Povero, povero Jecht... non è tipo di persona che possa perdonarselo. Però si è fidato di te. Considerala come una piccola conquista, perché il nostro compagno di viaggio” – e qui fece una pausa soddisfatta nel poterlo chiamare nuovamente così, perché le scelte compiute sulla strada avevano avuto un peso da cui non era ancora sicuro di essersi liberato – “è difficile da avvicinare e ancor più a comprendersi.”
“Tutto quello che vedevo erano gli scherzi e le sfide, mio Lord. Non ho fede né talento per scrutare nei cuori degli uomini. Ne conosco uno, al resto non bado.”

“Non lo conosci abbastanza per sapere che non è faccenda di fede, pare!”, rise Braska. “Non di quella dei templi, almeno, che non arride all'intuito e alla conoscenza. Ma dici bene nello stimare altrove i tuoi talenti. Sei un buon consolatore, credo, almeno a giudicare dai tuoi successi di oggi.”

“Sono solo stato in silenzio. Cosa avrei dovuto rispondergli?”

“Questo va oltre la mia stessa comprensione, temo. Eppure si è rasserenato abbastanza da cedere al sonno. Ti ha detto altro della canzone?”
“Poco, ma coerente, come tutto il resto. La conosce come una nenia per bambini, con delle parole molto semplici.”

“Nulla per cui venir tacciati di eresia, eh?”

“Non per il mio metro. Sono, credo, più belle delle nostre.”

Prega, Yu Yevon, sogna, Fede, per tutta l'eternità, donaci abbondanza...”, recitò Braska tenendosi la fronte fra le mani. “C'è poco di eterno in un qualcosa che altrove è conosciuto in altro modo, non trovi?”
“Vorrei sapere dove. Per via del blitzball, pensavo... una città sperduta, non raggiunta da Yevon. Ma quel nome? La tossina di Sin, se quello è stato a consegnarcelo così, non sconvolge i ricordi a quel modo. E ora l'Inno. Non può essere casuale, né tanto meno esserselo inventato, come avevo a volte sospettato – e ora me ne pento. Troverò modo di fare ammenda. Ma non capisco.”


“Una città di luci, senza Sin né quei precetti vuoti che altro non fanno che ricondurlo a noi”, disse Braska, sguardo ora fisso sulla cima dell'asta che era diventata uno stendardo carico di promesse. “Sembra un'illusione scintillante, al largo delle coste mortali. Tu più di ogni altro, Auron, sai quanto in questi giorni il mio pensiero imbocchi una sola via”, disse, alzandosi e appoggiandogli una mano sulla spalla. Auron rabbrividì. “Eppure quell'immagine non mi lascia... e Jecht è la prova vivente che c'è qualcosa al di fuori di questo ciclo, che sia un insegnamento dal passato più remoto, uno squarcio del futuro cui dobbiamo aspirare o altro ancora, che nella nostra limitatezza non riusciamo a comprendere. O forse viviamo in menzogne più profonde di quelle che uno spirito attento possa riuscire a riconoscere... e quella Zanarkand è veramente il premio che attende i coraggiosi che raggiungono il Nord. Abbiamo un solo modo per scoprirlo”, sussurrò. “Se, come temo, non sarà così... proseguirete da soli la ricerca. Me lo prometti, Auron?”

“Mio Lord, io... non ero venuto per parlare di Jecht.”


Gli rivolse uno sguardo ferito. L'uomo di Zanarkand era la speranza e il sogno. Anche solo parlando di lui era riuscito a tornare se stesso, ma ora che quello era spezzato Braska doveva fare i conti con un mondo che si stava rivelando peggiore di quello che era pronto a salvare.


Nessuno dei due era certo di come proseguire. Auron chiese permesso con un cenno del capo e si sedette per terra, schiena al letto. Braska si accovacciò sulle coperte.

“Auron... pensi che ce la faremo?”

“Non è mio compito curarmi della speranza, mio Lord.”
So che non è quello che desideri. Ma sei venuto qui offrendo aiuto e... per stasera, ti prego, non rendere le cose più difficili. È più di quanto...”

“Chiedo perdono. E comprendo la domanda.”

“Mi fido della tua opinione, Auron.”

“Mal riposta”, rispose tristemente. “Non lo so. Pensavo che avessero almeno abbastanza giudizio da non intralciare chi viaggia per la loro salvezza, ma...”

“È questo che mi avvilisce.”

La scelta del termine non poteva essere più adeguata. Auron non aveva mai visto Braska lasciarsi andare a quel modo, con una stanchezza profonda della mente che traspariva da ogni gesto.

“Far girare un messaggio da qui a Bevelle non è faccenda di molto”, riprese l'evocatore. “Anche tenendo in conto la burocrazia della capitale... e so che le sue accuse non sono sufficienti a fermarci.”

“Se ci hanno fatti partire...”

“Appunto! Yevon non rinuncerebbe mai a un evocatore. Sta temporeggiando, gliel'ho letto negli occhi.”
“Non c'era bisogno di guardarlo negli occhi, mio Lord. L'avrei aperto in due...”
“Ora, questo sì che ci avrebbe causato un guaio”, sorrise a fatica. Auron rispose con un ghigno d'incoraggiamento degno del compagno assente. “Condivido il sentimento, ad ogni modo. Se il sacerdote di un tempio è capace di agire con tale meschinità...”


“Noi non siamo nulla”, disse infine Braska con la semplicità che riservava di solito a riflessioni più tranquille. “Non siamo nulla e l'incidente di oggi me l'ha mostrato. Come ha fatto la buona sorte ad assistermi finora? Conosco l'indifferenza che permea i popoli quando la distruzione è sempre alle porte, conosco tutti i mali causati dall'ignoranza, la rabbia di un uomo la cui sorella fugge con uno straniero, la crudeltà data dalla miseria, il dolore che opprime quando quell'indifferenza se ne va e molti altri ancora. L'odio che mi ha mostrato Maife non è più profondo né immotivato di altri, credo, ma è... lì, semplicemente, dove non me l'aspettavo. Finora, nulla che io conosca si è mai opposto apertamente a un pellegrinaggio. Questo lo rende più grave? O forse è solo l'ultimo anello di una catena che solo ora si è ingrossata abbastanza da diventare visibile ai miei occhi miopi. Se un sacerdote di Yevon si comporta così, che speranza hanno gli altri? Pensavo che una Calma avrebbe aperto la strada a un nuovo modo di pensare, e di sentire, ma vedo ora che tutto questo scorre troppo, troppo in profondità... tutte le mie speranze mi si ritorcono contro, Auron, non so cosa fare.”

Auron non sapeva cosa rispondere.


“E io che reagisco”, riprese, “non sono forse ugualmente indegno? Non è presunzione, quella di voler cambiare il mondo intero? Mille anni di storia e noi al confronto così fragili, così transitori che basta questo a fermarci. Sin è eterno, Yevon lo è...”

Appoggiò la schiena alla parete e continuò la confidenza in tono più sommesso.

“Ogni tanto, sai, ho un'impressione. Mi sembra che l'amore che mi legava a lei non sia stato che un frammento, un evento casuale nell'ordinaria ciclicità del mondo... e tutto quel che ne è seguito, un'illusione.” Non pianse per abitudine, perché non era qualcosa che un evocatore potesse permettersi, in qualunque circostanza. “Ce la faremo, Auron? Cosa faremo?”


Il guardiano avrebbe giurato di essersi sentito spezzare a metà. Mentre sentiva parlare quella persona che non aveva la calma di Braska (per la seconda volta in giornata), non ragionava come Braska (in una spaventosa prima volta dacché lo conosceva) e in definitiva non era che un'ombra dell'uomo cui aveva votato la sua esistenza, Auron sapeva che gli sarebbe bastato dar voce alla sua verità per dare alla storia un corso diverso: “No, è follia.” “Non otterremo niente.” Quella volta, solo quella volta l'avrebbe ascoltato. Sarebbe tornato da Yuna, a Bevelle, o avrebbero vissuto altrove e ugualmente Auron li avrebbe seguiti, finalmente sereno.


Invece si alzò, prese l'asta che giaceva appoggiata al muro e vi chiuse attorno la mano dell'evocatore, tenendola stretta con la sua e inginocchiandosi poi ai suoi piedi. Che giustizia ci sarebbe stata in una vittoria del genere? Che onore?

“Per stasera”, disse allora, “andiamo a prendere quell'Eone. Domani, quando la mia promessa di non infierire non sarà più valida, si vedrà.”

L'avrebbe fatto desistere, un giorno. Auron ne era certo. Quando fosse successo, però, sarebbe stato a testa alta, con una scelta degna di lui e di tutto ciò che rappresentava.


“Auron? Sei sicuro di quello che dici?”, chiese Braska, che non piangeva, perché non era qualcosa che un evocatore potesse permettersi, ma che come amico sentiva gli occhi lucidi.

“Mai stato più certo in vita mia.” Né più autodistruttivo. Ma qualcuno doveva mantenere la direzione del loro piccolo gruppo e, se Braska in quel momento non ne era in grado, la responsabilità ricadeva su di lui. “Maife si è arrogato un diritto non suo. Il tempio esiste per servire la Fede, o così ci dicono: se le Prove non ci sconfiggeranno ed essa accetterà la nostra situazione, la sua posizione sarà insostenibile. Io dico di andare e lasciare che sia la realtà del pellegrinaggio a giudicarci.”
“Sai che è un piano incosciente? Potremmo venir scomunicati... tutti... di nuovo.”

“So anche che non posso tollerare che la situazione ci distrugga così, mio Lord”, ammise a testa bassa.

“Sei coraggioso, amico mio”, disse Braska, rasserenato da un sostegno così inflessibile trovato in una fonte così imprevista. Non l'avrebbe mai ringraziato a sufficienza per essere entrato d'improvviso nella sua vita, in un giorno qualunque di tanti anni prima. Si limitò, per il momento, a stringergli a sua volta la mano chiusa.

“Se Sin portasse la soluzione fra le sue fauci, andrei lì a prenderla. E ho già rigettato Yevon partendo. Tutto quello che faccio...”


“Mi piace questo modo di ragionare!”, disse Jecht spalancando la porta.


“Jecht!” Auron scattò in piedi. “Dovresti essere ancora a letto!”

“Non guardare me, balia troppo cresciuta! È lui che ha bisogno di tutte le tue amorevoli cure, ora. Il Grande Jecht non ha bisogno di riposo, posso partire anche subito – e con quella dannata musica sparata nelle orecchie!”

Fu un attimo troppo veloce nell'assumere una delle sue pose tronfie per risultare del tutto credibile, ma si accontentarono di vederlo lì, saldo in piedi davanti a loro.

“Origliare le conversazioni del proprio evocatore non è permesso”, lo rimproverò Auron tradendo un sorriso.

“Neanche espressamente vietato, che io sappia”, gli fece eco Braska.

“L'ho detto che sei a posto, capo! Ma sei anche in minoranza, due contro uno.” Strizzò un occhio a Auron, che lo guardò incredulo. “Quindi stanotte si va, chiusa discussione.”

Si piantò i pugni sui fianchi e restò lì, guardando per aria, in una posa che evidentemente riteneva eroica.

Braska, ugualmente incredulo, spostava lo sguardo da un guardiano all'altro.

“Jecht?”, chiese.

“Sì?”, mugugnò l'altro, immobile.

“Voglio un parere onesto. Quando, se arriveremo fino in fondo... cosa otterremo?”

Jecht incrociò le braccia e si appoggiò allo stipite.

“Cosa otterremo? Abbiamo una tradizione, negli Abes. Se qualcuno chiede 'Qual è il nostro scopo?', la risposta è una sola: 'Vittoria!' Non ne conosco altre.”


Era deciso.








******
Formattazione al meglio di quel che mi riesce di fare dai computer universitari - suscettibile di revisione non appena mi ridaranno il mio. u_u

@sony1987, sono felice che ti stia prendendo! E sì, il pellegrinaggio di Braska è proprio pieno di spunti e possibilità, con una ricca gamma di paralleli e contrasti con quello di Yuna che aspetta solo di venir sfruttata.
--Papiro alert, darmi corda su FFX è pericoloso--
Beh, sarà pure un'opinione personale la tua, ma ::anche la trama di FFX-2:: può essere smentita da chiunque, l'opinione è in buona compagnia XP Con me sfondi porte aperte, l'ho pure già spernacchiato ne Il sole non tramonta e in incisi più o meno invisibili sparsi ovunque, è più forte di me... ed è anche più forte di lui l'impulso di mostrare il fianco, suvvia. Penso che la mia immaginazione avrebbe approfondito comunque, magari a livello più microscopico (che vien anche più facile), se il canone si fosse soffermato più sul trio, ma farci addirittura un gioco intorno avrebbe avuto un grosso problema: il finale. Si può obiettare che la loro storia è una prima pietra importantissima nell'inizio della fine di Spira (è il grosso cartello al neon che regge quasi ogni mia fanfiction sul trio XDD), si può calcare la mano quanto si vuole, ma il succo è sempre quello: rocce cadono, tutti morti, niente di fatto. =( Pensando a illustri paragoni storici: Valkyrie Profile Silmeria si dà al What if contestualizzato, Xenosaga butta ai rovi la continuity, Fire Emblem 7 limita l'elemento prequel a una quisquilia, Chrono Cross (il prequel-sequel-midquel-whateverquel) fa della dimensione alternativa la sua ragione di vita, i due KH in arrivo promettono burrasca... non mi viene in mente un videogioco che faccia seriamente da prequel a un altro riprendendone ed espandendone elementi ben noti proprio perché, ehi, si saprebbe già chi fa cosa e perché. Mi sembra che Silmeria sia quello che l'ha svolto con più grazia fra quelli che conosco, poi mettiamoci anche Myst 4 che però gioca secondo tutt'altre regole narrative. Insomma, è un terreno spinoso, anche a voler fare le cose per bene.
I nostri amati autori peraltro non sono coinvoltissimi nell'X-2, eh XD Team diverso, ed è da tempo che mi riprometto di controllare chi badò a entrambi e chi no...
   
 
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