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Autore: DreamsofMartina    10/12/2008    7 recensioni
"Wyoming, molti lo definiscono “freddo” altri preferiscono “ghiacciato” si dice che non c'è molto da fare là a meno di non essere un cowboy o un cacciatore o entrambi: io preferisco chiamarlo “casa”. [...] Iniziai a lavorare nell’esatto momento in cui fui capace di reggermi in piedi, coltivavo, pascolavo il bestiame e salvavo vite: i mustang." Una ragazza in fuga dal suo passato, determinata a costruirsi un nuovo presente; un ragazzo che dalla vita ha avuto tutto, imprigionato in un presente da favola. Potranno mai incontrarsi queste anime così diverse? E lei sarà in grado di insegnarli la vera libertà? La mia prima long sui Jonas, se vi ha incuriosito venite a dare un'occhiata^^
Genere: Romantico, Triste, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Well, Let's start with, I suck at life and relationships

Non c’è molto da dire su questa storia, è la mia prima long su Jonas Brothers, di cui sono una grande fan (o fan attempata come amo definirmi ^^), il personaggio di Katherine è frutto della mia fantasia, tutto di lei è inventato tranne l’amore per i cavalli che anch’io coltivo da quando sono piccola e il suo essere testarda così profondamente radicato anche nella mia persona.

Un ringraziamento particolare va a Minako_86, il mio guru, perché senza il suo aiuto questa storia sarebbe rimasta nel dimenticatoio.

Grazie di tutto Minako_86 spero che continuerai ad assistermi!!!

Ah se non lo avete ancora fatto leggete “Gabrielle” e “Giorni Infiniti” le due Fiction di Minako_86, sono stupende!!!

E dopo questo vi lascio al primo capitolo, che sarà raccontato in prima persona da Kat, la storia si divide in due POV dal punto di vista di Kat e dal punto di vista di…. Beh lo scopriete nel prossimo chappy!!!

Buona lettura!!!

 

 

 

 

 

I, ME AND MYSELF… .

 

 

“Ognuno scrive una storia nella propria testa che alla fine diventa la tua vita e se non la si scrive da soli allora qualcun altro la sta scrivendo per voi.”

 

 

Wyoming, molti lo definiscono “freddo” altri preferiscono “ghiacciato” si dice che non c'è molto da fare là a meno di non essere un cowboy o un cacciatore o entrambi: io preferisco chiamarlo “casa”.

Sono nata nel Wyoming, nella contea di Laramie, in una cittadina che conta non più di centocinquanta abitanti; sono cresciuta nel ranch di mio padre insieme a mia sorella maggiore Tess.

Non ho mai conosciuto mia madre, è morta prima che potessi raggiungere un’età tale da ricordarmela: tumore, mantenne il segreto per anni, visitando di nascosto il medico, celando la chemioterapia sotto un delizioso capello celeste.

Iniziai a lavorare nell’esatto momento in cui fui capace di reggermi in piedi, coltivavo, pascolavo il bestiame e salvavo vite: i mustang.

Li chiamano “selvaggi, figli del vento, padroni della natura” ed io li salvo, insieme a mio padre allestimmo una parte del ranch come ricovero per cavalli smarriti, col tempo lo convinsi ad allevare anche i Mustang, fu dopo che conobbi la mia anima gemella: Urja, una bellissima mustang selvaggia che salvai sulle montagne.

Decisi di domare quella fiera e apparentemente ingestibile giumenta, nel cui carattere mi specchiavo senza fatica. L’empatia che scaturì spontanea dal nostro incontro convinse anche mio padre che decise di salvare i mustang, i sopravvissuti sulle montagne, il ricordo vivente di quello che fu l’America e di quello che potrebbe ancora essere.

I mustang sono la mia linfa vitale, il motivo stesso per cui mi sveglio ogni mattina, sono il mio passato, presente e futuro; per me non esiste altro all’infuori di quello splendido manto e degli zoccoli scalpitanti nel fango.

O almeno così pensavo prima che mio padre ci presentasse Angela Isabelle Lynch.

Il ricordo di mia madre era volato via dal suo cuore, sostituito da lunghi capelli biondi, occhi azzurri e, in particolar modo, quindici anni di differenza.

Furono proprio quei maledetti quindici anni a causare lo sgretolamento della nostra famiglia; ci faceva lavorare tutto il giorno senza un attimo di respiro, finite le mansioni da svolgere al ranch ci dovevamo occupare della casa, mentre lei, fulgida nei suoi trentacinque anni, passava il tempo cavalcando con mio padre.

Ogni giorno che passava mio padre era meno nostro e più suo, fino a quando non lo convinse a vendere il ranch per comprare una villa a Cheyenne.

Fu in quel momento che la nostra famiglia ebbe definitivamente termine.

All’epoca io avevo appena compiuto sedici anni, Tess ne aveva venti; decidemmo di scappare la notte del diciotto aprile, l’anniversario della morte della mamma.

Quella notte io e Tess facemmo una promessa, non ci saremmo mai dimenticate l’una dell’altra.

Lei andò a vivere a New York da un’amica, io presi Urja e, grazie all’aiuto di Dean, il mio migliore amico, barattammo un passaggio per me e la mia mustang verso la California.

Mentre ero sul tir che ci portava verso la salvezza salutai per l’ultima volta le mie amate Rocky Mountains, il Dead Indian Pass dove salvai Urja, Laramie e una parte di me che sarebbe appartenuta per sempre al Wyoming.

Sono passati tre anni da quel giorno, ora ho diciannove anni e vivo nella città degli angeli, chi avrebbe mai pensato che una montanara come me si sarebbe ritrovata a vivere a Los Angeles.

Eppure è così, faccio l’addestratrice in un circolo ippico per cavalli da film, il direttore mi assunse grazie all’aiuto di un amico di Dean che lavorava lì, il quale mi presentò a lui che, dopo aver testato le mie potenzialità, decise di farmi lavorare come addestratrice; in cambio mi permise di tenere Urja nelle scuderie, procurandole tutto il necessario per mantenerla in forma.

Faccio fatica a ricordare la mia vita prima della California, molto è cambiato da quando sono qui, i miei capelli per esempio, non sono più lunghi come una volta, ma corti e scalati come quelli di un ragazzo, sono maturata e mutata, sono semplicemente diversa.

Nonostante sia cambiata, ci sono cose di me che sono rimaste immutate: sono sempre sprezzante nei confronti dell'autorità, ribelle e non sono disposta a rinunciare alla libertà senza combattere;

sebbene viva lontano dai ranch, non sono riuscita ad abbandonare il mio cappello a falda larga da cowboy, gli stivali alti e appuntiti e gli speroni rimuovibili.

Beh penso d’aver detto tutto.

Ah, comunque mi chiamo Katherine Mayer.

 

But wakin up on the range
Lord I feel like an angel
Free like I almost could fly
Drift like a cloud out over the badlands
Sing like a bird in the tree
The wind in the sage sounds like heaven singin
A song of Wyoming for me

                        (John Denver)

 

 

 

Il sabato sembra che Los Angeles si risvegli, i larghi boulevard sono straripanti di gente affetta dalla mania dello shopping e non è raro incontrare qualche vip, con il viso celato sotto un capello, intento a fare compere sperando di non essere investito dai paparazzi.

Quella, come tutte le mattine da ormai tre anni, ero diretta al centro ippico dove Mr Henry, il mio adoratissimo capo, mi attendeva per darmi, a detta sua, una notizia vitale per i futuri sviluppi della mia carriera. Mentre cammino mi guardo, sorrido come un scema, al solito indossavo una camicetta di lino bianca a mezze maniche, jeans lunghi strappati qua e là, stivali marroni a punta infilati sopra i pantaloni ed, immancabile, il mio capello color pelle da cowboy; è una specie un rituale per me vestirmi in questo modo, che molti definirebbero “old fashion”, in un certo senso mi  aiuta a non dimenticare i ranch del Wyoming e oltre tutto abiti così sono l’ideale visto il lavoro che svolgo.

Stavo percorrendo l’Ocean Drive quando sento il trillo inconfondibile del mio telefono, mi fermo e dalla tracolla di pelle estraggo il mio vecchio Motorola Star-Tac X nero, alzo con delicatezza l’antenna, che si è rotta già cinque volte, e rispondo: “Pronto!”

“Che ingrata, invece di urlare e dirmi quanto ti sono mancata, ti limiti ad un semplice pronto!” disse una voce fin troppo femminile dall’altra parte dell’apparecchio.

Sorrido riconoscendola all’istante: “Tess! Quanto mi sei mancata!” dissi, forse troppo ad alta voce

“Sì, sì, sai Katy, come attrice sei penosa- disse provocando l’ilarità della sorella- allora, come se la passa la mia sorellina preferita?” mi chiese

“Ti ricordo che sono l’unica sorella che hai! Comunque va tutto bene, pensa che oggi ho un appuntamento speciale con il capo, dice che si tratta di una notizia che dovrà avere assoluta precedenza su tutto il resto!” ammisi divertita

“Hai capito! La mia sorellina fa progressi! Sono proprio felice che stia andando tutto a gonfie vele, ma anche io ho una notiziona per te, indovina chi verrà a Los Angeles martedì prossimo?”

All’udire quella notizia non riuscì a reprimere un gridolino di gioia: “Non ci credo! Ma come, quando?” chiesi rimasta a corto di parole

“Diciamo che Mme Hautaine, la direttrice della casa di moda dove lavoro, mi ha concesso un paio di giorni di vacanza e ho colto la palla al balzo!” mi disse allegra Tess

“E’ favoloso! Non vedo l’ora, così ti mostrerò il circolo dove lavoro e potrai rivedere Urja!” risposi euforica

“Non vedo l’ora anch’io di riabbracciarti, ma ora ti devo salutare qui sono le sei e se non mi sbrigo a vestirmi farò tardissimo a lavoro!”

“Le sei? Ti svegli così presto la mattina? Qui sono appena le nove!” dissi sbalordita, il fuso orario non mi è mai entrato in testa

Katy non tutti vanno a lavorare tardi come te, pigrona! Ora devo proprio andare, un bacione e a presto!” rispose mandandomi un bacio

“Per tua informazione io non sono pigra è il lavoro che inizia tardi! -urlai stizzita, poi mi ritrovai a sorridere- Conterò i giorni Tess! Un bacio!” dissi prima di chiudere la conversazione.

La notizia dell’arrivo di Tess  mi aveva resa felice, anzi di ottimo umore, tanto che iniziai a saltellare canticchiando il motto delle Cowgirls: “Cowgirl born, cowgirl bred, I’ll be a cowgirl till the day I’m dead!”

Svoltai l’angolo continuando a saltellare quando qualcosa, o meglio qualcuno, mi venne addosso sbalzandomi per terra. Ero ancora seduta sull’asfalto del marciapiede cercando di riprendermi dall’urto appena avvenuto, quando una voce maschile mi urlò contro: “Vuoi stare più attenta! Mi hai quasi rotto il naso, te ne rendi conto o no?”

Ok, ero perfettamente cosciente del fatto di trovarmi dalla parte del giusto, chiusi gli occhi “Respira Katy respira, conta fino a dieci, uno, due, tre… o al diavolo!” mi alzai in piedi ritrovandosi di fronte all’idiota che mi aveva appena procurato, e ne ero totalmente certa, un bel livido nero sulle chiappe, notai con piacere che doveva avere più o meno la mia età, era alto su per giù un metro e ottanta e aveva un buffissimo tic dovuto ai capelli troppo lunghi che gli coprivano il viso; mi avvicinai quel tanto che mi bastò per trovarmi a pochi centimetri dal suo viso: “Senti un po’ Mr buone maniere, io ho svoltato l’angolo mantenendo la destra sei tu quello che camminava a sinistra! Onde per cui io ho ragione e tu torto! E non me ne importa un fico secco se il tuo bel faccino si è ferito, capito?” urlai con tutto il fiato che avevo nei polmoni terminando la mia arringa incrociando le braccia e mostrandogli un sorriso di sfida.

Notai che non reagì anzi, sulla sua faccia si dipinse un sorrisetto divertito che, in quel momento, avrei tanto voluto prendere a pugni: “Senti, senti, che parolone! Vedi di solito sono una persona calma ma oggi a causa della tua disattenzione intenzionale mi hai fatto fare tardi ad un servizio fotografico molto importante e se non arrivo tra circa… –guardò l’orologio che, non mi sorpresi affatto, era d’oro- cinque minuti, puoi considerarti una ragazza morta!” disse dandomi una piccola spinta con l’indice che, colta alla sprovvista, mi fece indietreggiare di un passo.

Ero al limite della sopportazione, sapevo che un minuto di più con quell’essere mi avrebbe fatto perdere quel minimo di auto controllo che a stento possedevo: “Per quanto mi riguarda puoi avere un servizio fotografico, una mostra o anche un discorso dal quale dipenderanno milioni di vite, se pensi di passarla liscia così ti sbagli! Mi devi delle scuse!”

Il ragazzo rise di gusto: “Senti non ho tempo da perdere con delle mocciose come te, per cui ti saluto!” disse salutandomi con la mano prima di sparire dietro l’angolo.

Ero furiosa, no ero il ritratto stesso dell’ira, gliel’avrei fatta pagare a quello schifoso figlio di papà, oh se l’avrei fatto!

Scesi dall’autobus con un diavolo per capello e superai a passo marziale l’enorme cancello di ferro con la scritta dorata “Malibu’s Horse Center”.

Costruito su uno dei più belli promontori di Malibu, il Malibu’s Horse Center ospita circa cinquecento cavalli, anch’io rimasi sbalordita quando me lo dissero, ma dopo tre anni ci fai l’abitudine. E’ considerato il più grande centro ippico della California con le sue dieci “dépendance” per cavalli, come ama chiamarle il capo, sei arene e centinaia e centinaia di ettari di colline incontaminate, tutte destinate a cavalli e cavalieri. Non è strano vedere qualche vip o “babbeo” come amo chiamarli io, passeggiare a cavallo o prendere lezioni per qualche film e, purtroppo devo ammetterlo, tocca quasi sempre a me occuparmene.

Cercando di far sbollire la rabbia mi diressi verso l’edificio centrale, sede della direzione, mi fermai davanti ad una porta dove erano state incise in oro (ci credereste mai?) le lettere “Mr Edward Henry”, bussai e attesi una risposta.

La sua voce da orso in letargo rispose dopo qualche secondo: “Avanti”

Entrai e mi sedetti in una delle poltrone di pelle rossa di fronte alla sua scrivania: “Salve Mr. Herny, mi aveva detto di venire subito qui non appena fossi arrivata.” dissi cercando di dissimulare i rimasugli di collera che ancora mi assalivano.

Mr. Hernry non era un tipo alto anzi, era più basso della norma, tarchiato e si ostinava a portare un orribile riportino biondo che ad ogni alitata sistematicamente gli ricadeva sulla spalla. Si considerava il fondatore e benefattore del centro che, senza le laute donazioni dei ricconi che lo frequentavano non sarebbe campato più di due mesi, era simpatico anche se nessuno era mai riuscito a ridere ad una sua battuta e non era troppo esigente sugli orari ma, cascasse il mondo, non permetteva a nessuno di abbassare la qualità dei servizi che il centro offriva, qualità che lui considerava “il fiore all’occhiello” del club.

Impiegò qualche minuto nel tentativo di tirare fuori da una tasca della giacca, che le eccessive dimensioni della pancia restringevano ad una sottiletta, il suo orologio da taschino; vi buttò un occhio poi mi squadrò con quel suo fare da intenditore: “Katherine almeno oggi che ti avevo avvertito di doverti dare una notizia importante potevi presentarti un po’ più elegante!” disse fermandosi a guardare gli stivali sporchi di fango

Sbuffai: “Lo sa che non amo i fronzoli e soprattutto quegli stupidi vestiti da “Via col vento” che mi limitano i movimenti, quindi perché si ostina a chiedermi sempre la stessa cosa?”

Fece svolazzare la mano, come se cercasse di scacciare una mosca: “Ah lasciamo perdere! Piuttosto passiamo alle cose importanti, ti ho chiamata qui perché oggi verranno tre ragazzi che non hanno mai cavalcato e tu dovrai occupartene!"

“Veramente oggi avrei una  lezione con il signor Jeff e….” non mi permise di finire la frase, lo odiai, ma diceva che quella di fermare le persone era una delle sue infinite facoltà, per quella volta lo lasciai fare.

“Ah lascia perdere Jordan, ci parlerò io con lui, questo affare è molto più importante ed è di vitale importanza che ti ne occupi tu!”

Alzai gli occhi al cielo: “E perché mai proprio io, anche Ray è molto qualificato!”

“Perché questi non sono tre ragazzi qualsiasi ma la boy-band più famosa del momento, sono gli idoli pop-rock di milioni di teenager sparse per tutta l’America!” disse con troppa enfasi, strozzandosi sul finale, dopo un paio di colpi di tosse e un bicchiere di wisky,  riprese: “I loro nome è Jonas Brothers!”

Scossi la testa, bene altri tre babbei che non sanno come spendere i loro milioni da seguire, forse avrei fatto meglio ad ascoltare i consigli del mio oroscopo, “riposo prolungato”, ma si sa, io non seguo mai i consigli.

“Allora ci stai?” mi chiese, facendomi largamente capire che non avrebbe accettato un no come risposta.

Maledissi me e la mia insolita quanto profondamente radicata propensione a fare sempre di testa mia, sopirai: “A che ora saranno qui?”

 

Not gonna be afraid
I'm gonna wake up feelin' beautiful today
And know that I'm okay
Cause everyone's perfect in unusual ways
You see now, now I believe in me

                             (Demi Lovato)

 

 

 






  
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