Non c’è molto da dire su
questa storia, è la mia prima long su Jonas Brothers, di cui sono una grande
fan (o fan attempata come amo definirmi ^^), il personaggio di Katherine è
frutto della mia fantasia, tutto di lei è inventato tranne l’amore per i cavalli
che anch’io coltivo da quando sono piccola e il suo essere testarda così
profondamente radicato anche nella mia persona.
Un ringraziamento
particolare va a Minako_86, il mio guru, perché senza il suo aiuto questa
storia sarebbe rimasta nel dimenticatoio.
Grazie di tutto Minako_86
spero che continuerai ad assistermi!!!
Ah se non lo avete ancora
fatto leggete “Gabrielle” e “Giorni Infiniti” le due Fiction di Minako_86, sono
stupende!!!
E dopo questo vi lascio
al primo capitolo, che sarà raccontato in prima persona da Kat,
la storia si divide in due POV dal punto di vista di Kat
e dal punto di vista di…. Beh lo scopriete nel
prossimo chappy!!!
Buona lettura!!!
I, ME AND MYSELF… .
“Ognuno scrive una storia nella propria testa che
alla fine diventa la tua vita e se non la si scrive da soli allora qualcun
altro la sta scrivendo per voi.”
Wyoming, molti lo
definiscono “freddo” altri preferiscono “ghiacciato” si dice che non c'è molto
da fare là a meno di non essere un cowboy o un cacciatore o entrambi: io
preferisco chiamarlo “casa”.
Sono nata nel Wyoming,
nella contea di Laramie, in una cittadina che conta non più di centocinquanta
abitanti; sono cresciuta nel ranch di mio padre insieme a mia sorella maggiore Tess.
Non ho mai conosciuto mia
madre, è morta prima che potessi raggiungere un’età tale da ricordarmela:
tumore, mantenne il segreto per anni, visitando di nascosto il medico, celando
la chemioterapia sotto un delizioso capello celeste.
Iniziai a lavorare
nell’esatto momento in cui fui capace di reggermi in piedi, coltivavo,
pascolavo il bestiame e salvavo vite: i mustang.
Li chiamano “selvaggi,
figli del vento, padroni della natura” ed io li salvo, insieme a mio padre
allestimmo una parte del ranch come ricovero per cavalli smarriti, col tempo lo
convinsi ad allevare anche i Mustang, fu dopo che conobbi la mia anima gemella:
Urja, una bellissima mustang selvaggia che salvai
sulle montagne.
Decisi di domare quella
fiera e apparentemente ingestibile giumenta, nel cui carattere mi specchiavo
senza fatica. L’empatia che scaturì spontanea dal nostro incontro convinse
anche mio padre che decise di salvare i mustang, i sopravvissuti sulle
montagne, il ricordo vivente di quello che fu l’America e di quello che
potrebbe ancora essere.
I mustang sono la mia
linfa vitale, il motivo stesso per cui mi sveglio ogni mattina, sono il mio
passato, presente e futuro; per me non esiste altro all’infuori di quello
splendido manto e degli zoccoli scalpitanti nel fango.
O almeno così pensavo
prima che mio padre ci presentasse Angela Isabelle Lynch.
Il ricordo di mia madre
era volato via dal suo cuore, sostituito da lunghi capelli biondi, occhi
azzurri e, in particolar modo, quindici anni di differenza.
Furono proprio quei
maledetti quindici anni a causare lo sgretolamento della nostra famiglia; ci
faceva lavorare tutto il giorno senza un attimo di respiro, finite le mansioni
da svolgere al ranch ci dovevamo occupare della casa, mentre lei, fulgida nei
suoi trentacinque anni, passava il tempo cavalcando con mio padre.
Ogni giorno che passava
mio padre era meno nostro e più suo, fino a quando non lo convinse a vendere il
ranch per comprare una villa a Cheyenne.
Fu in quel momento che la
nostra famiglia ebbe definitivamente termine.
All’epoca io avevo appena
compiuto sedici anni, Tess ne aveva venti; decidemmo di scappare la notte del
diciotto aprile, l’anniversario della morte della mamma.
Quella notte io e Tess
facemmo una promessa, non ci saremmo mai dimenticate l’una dell’altra.
Lei andò a vivere a New
York da un’amica, io presi Urja e, grazie all’aiuto
di Dean, il mio migliore amico, barattammo un passaggio per me e la mia mustang
verso la California.
Mentre ero sul tir che ci
portava verso la salvezza salutai per l’ultima volta le mie amate Rocky
Mountains, il Dead Indian Pass dove salvai Urja,
Laramie e una parte di me che sarebbe appartenuta per sempre al Wyoming.
Sono passati tre anni da
quel giorno, ora ho diciannove anni e vivo nella città degli angeli, chi
avrebbe mai pensato che una montanara come me si sarebbe ritrovata a vivere a
Los Angeles.
Eppure è così, faccio
l’addestratrice in un circolo ippico per cavalli da film, il direttore mi
assunse grazie all’aiuto di un amico di Dean che lavorava lì, il quale mi
presentò a lui che, dopo aver testato le mie potenzialità, decise di farmi
lavorare come addestratrice; in cambio mi permise di tenere Urja
nelle scuderie, procurandole tutto il necessario per mantenerla in forma.
Faccio fatica a ricordare
la mia vita prima della California, molto è cambiato da quando sono qui, i miei
capelli per esempio, non sono più lunghi come una volta, ma corti e scalati
come quelli di un ragazzo, sono maturata e mutata, sono semplicemente diversa.
Nonostante sia cambiata,
ci sono cose di me che sono rimaste immutate: sono sempre sprezzante nei
confronti dell'autorità, ribelle e non sono disposta a rinunciare alla libertà
senza combattere;
sebbene viva lontano dai
ranch, non sono riuscita ad abbandonare il mio cappello a falda larga da
cowboy, gli stivali alti e appuntiti e gli speroni rimuovibili.
Beh penso d’aver detto
tutto.
Ah, comunque mi chiamo Katherine Mayer.
≈But wakin up on
the range
Lord I feel like an angel
Free like I almost could fly
Drift like a cloud out over the badlands
Sing like a bird in the tree
The wind in the sage sounds like heaven singin
A song of Wyoming for me≈
(John Denver)
Il sabato sembra che Los
Angeles si risvegli, i larghi boulevard sono straripanti di gente affetta dalla
mania dello shopping e non è raro incontrare qualche vip, con il viso celato
sotto un capello, intento a fare compere sperando di non essere investito dai
paparazzi.
Quella, come tutte le
mattine da ormai tre anni, ero diretta al centro ippico dove Mr Henry, il mio
adoratissimo capo, mi attendeva per darmi, a detta sua, una notizia vitale per
i futuri sviluppi della mia carriera. Mentre cammino mi guardo, sorrido come un
scema, al solito indossavo una camicetta di lino bianca a mezze maniche, jeans
lunghi strappati qua e là, stivali marroni a punta infilati sopra i pantaloni
ed, immancabile, il mio capello color pelle da cowboy; è una specie un rituale
per me vestirmi in questo modo, che molti definirebbero “old fashion”, in un
certo senso mi aiuta a non dimenticare i
ranch del Wyoming e oltre tutto abiti così sono l’ideale visto il lavoro che
svolgo.
Stavo percorrendo l’Ocean Drive quando sento il trillo inconfondibile del mio
telefono, mi fermo e dalla tracolla di pelle estraggo il mio vecchio Motorola
Star-Tac X nero, alzo con delicatezza l’antenna, che si è rotta già cinque
volte, e rispondo: “Pronto!”
“Che ingrata, invece di
urlare e dirmi quanto ti sono mancata, ti limiti ad un semplice pronto!” disse
una voce fin troppo femminile dall’altra parte dell’apparecchio.
Sorrido riconoscendola
all’istante: “Tess! Quanto mi sei mancata!” dissi, forse troppo ad alta voce
“Sì, sì, sai Katy, come attrice sei penosa- disse provocando l’ilarità
della sorella- allora, come se la passa la mia sorellina preferita?” mi chiese
“Ti ricordo che sono
l’unica sorella che hai! Comunque va tutto bene, pensa che oggi ho un
appuntamento speciale con il capo, dice che si tratta di una notizia che dovrà
avere assoluta precedenza su tutto il resto!” ammisi divertita
“Hai capito! La mia
sorellina fa progressi! Sono proprio felice che stia andando tutto a gonfie
vele, ma anche io ho una notiziona per te, indovina chi verrà a Los Angeles
martedì prossimo?”
All’udire quella notizia
non riuscì a reprimere un gridolino di gioia: “Non ci credo! Ma come, quando?”
chiesi rimasta a corto di parole
“Diciamo che Mme Hautaine, la direttrice della
casa di moda dove lavoro, mi ha concesso un paio di giorni di vacanza e ho
colto la palla al balzo!” mi disse allegra Tess
“E’ favoloso! Non vedo
l’ora, così ti mostrerò il circolo dove lavoro e potrai rivedere Urja!” risposi euforica
“Non vedo l’ora anch’io
di riabbracciarti, ma ora ti devo salutare qui sono le sei e se non mi sbrigo a
vestirmi farò tardissimo a lavoro!”
“Le sei? Ti svegli così
presto la mattina? Qui sono appena le nove!” dissi sbalordita, il fuso orario
non mi è mai entrato in testa
“Katy
non tutti vanno a lavorare tardi come te, pigrona! Ora devo proprio andare, un
bacione e a presto!” rispose mandandomi un bacio
“Per tua informazione io
non sono pigra è il lavoro che inizia tardi! -urlai stizzita, poi mi ritrovai a
sorridere- Conterò i giorni Tess! Un bacio!” dissi prima di chiudere la
conversazione.
La notizia dell’arrivo di
Tess mi aveva resa felice, anzi di
ottimo umore, tanto che iniziai a saltellare canticchiando il motto delle
Cowgirls: “Cowgirl born, cowgirl bred, I’ll be a cowgirl
till the day I’m dead!”
Svoltai l’angolo continuando
a saltellare quando qualcosa, o meglio qualcuno, mi venne addosso sbalzandomi
per terra. Ero ancora seduta sull’asfalto del marciapiede cercando di riprendermi
dall’urto appena avvenuto, quando una voce maschile mi urlò contro: “Vuoi stare
più attenta! Mi hai quasi rotto il naso, te ne rendi conto o no?”
Ok, ero perfettamente
cosciente del fatto di trovarmi dalla parte del giusto, chiusi gli occhi
“Respira Katy respira, conta fino a dieci, uno, due,
tre… o al diavolo!” mi alzai in piedi ritrovandosi di fronte all’idiota che mi
aveva appena procurato, e ne ero totalmente certa, un bel livido nero sulle
chiappe, notai con piacere che doveva avere più o meno la mia età, era alto su
per giù un metro e ottanta e aveva un buffissimo tic dovuto ai capelli troppo
lunghi che gli coprivano il viso; mi avvicinai quel tanto che mi bastò per
trovarmi a pochi centimetri dal suo viso: “Senti un po’ Mr buone maniere, io ho
svoltato l’angolo mantenendo la destra sei tu quello che camminava a sinistra!
Onde per cui io ho ragione e tu torto! E non me ne importa un fico secco se il
tuo bel faccino si è ferito, capito?” urlai con tutto il fiato che avevo nei
polmoni terminando la mia arringa incrociando le braccia e mostrandogli un
sorriso di sfida.
Notai che non reagì anzi,
sulla sua faccia si dipinse un sorrisetto divertito che, in quel momento, avrei
tanto voluto prendere a pugni: “Senti, senti, che parolone! Vedi di solito sono
una persona calma ma oggi a causa della tua disattenzione intenzionale mi hai
fatto fare tardi ad un servizio fotografico molto importante e se non arrivo
tra circa… –guardò l’orologio che, non mi sorpresi affatto, era d’oro- cinque
minuti, puoi considerarti una ragazza morta!” disse dandomi una piccola spinta
con l’indice che, colta alla sprovvista, mi fece indietreggiare di un passo.
Ero al limite della
sopportazione, sapevo che un minuto di più con quell’essere mi avrebbe fatto
perdere quel minimo di auto controllo che a stento possedevo: “Per quanto mi
riguarda puoi avere un servizio fotografico, una mostra o anche un discorso dal
quale dipenderanno milioni di vite, se pensi di passarla liscia così ti sbagli!
Mi devi delle scuse!”
Il ragazzo rise di gusto:
“Senti non ho tempo da perdere con delle mocciose come te, per cui ti saluto!”
disse salutandomi con la mano prima di sparire dietro l’angolo.
Ero furiosa, no ero il
ritratto stesso dell’ira, gliel’avrei fatta pagare a quello schifoso figlio di
papà, oh se l’avrei fatto!
Scesi dall’autobus con un
diavolo per capello e superai a passo marziale l’enorme cancello di ferro con
la scritta dorata “Malibu’s Horse
Center”.
Costruito su uno dei più
belli promontori di Malibu, il Malibu’s
Horse Center ospita circa cinquecento cavalli,
anch’io rimasi sbalordita quando me lo dissero, ma dopo tre anni ci fai
l’abitudine. E’ considerato il più grande centro ippico della California con le
sue dieci “dépendance” per cavalli, come ama chiamarle il capo, sei arene e
centinaia e centinaia di ettari di colline incontaminate, tutte destinate a
cavalli e cavalieri. Non è strano vedere qualche vip o “babbeo” come amo
chiamarli io, passeggiare a cavallo o prendere lezioni per qualche film e,
purtroppo devo ammetterlo, tocca quasi sempre a me occuparmene.
Cercando di far sbollire
la rabbia mi diressi verso l’edificio centrale, sede della direzione, mi fermai
davanti ad una porta dove erano state incise in oro (ci credereste mai?) le
lettere “Mr Edward Henry”, bussai e attesi una risposta.
La sua voce da orso in
letargo rispose dopo qualche secondo: “Avanti”
Entrai e mi sedetti in una
delle poltrone di pelle rossa di fronte alla sua scrivania: “Salve Mr. Herny,
mi aveva detto di venire subito qui non appena fossi arrivata.” dissi cercando
di dissimulare i rimasugli di collera che ancora mi assalivano.
Mr. Hernry
non era un tipo alto anzi, era più basso della norma, tarchiato e si ostinava a
portare un orribile riportino biondo che ad ogni alitata sistematicamente gli
ricadeva sulla spalla. Si considerava il fondatore e benefattore del centro
che, senza le laute donazioni dei ricconi che lo frequentavano non sarebbe
campato più di due mesi, era simpatico anche se nessuno era mai riuscito a
ridere ad una sua battuta e non era troppo esigente sugli orari ma, cascasse il
mondo, non permetteva a nessuno di abbassare la qualità dei servizi che il
centro offriva, qualità che lui considerava “il fiore all’occhiello” del club.
Impiegò qualche minuto
nel tentativo di tirare fuori da una tasca della giacca, che le eccessive
dimensioni della pancia restringevano ad una sottiletta, il suo orologio da
taschino; vi buttò un occhio poi mi squadrò con quel suo fare da intenditore:
“Katherine almeno oggi che ti avevo avvertito di doverti dare una notizia
importante potevi presentarti un po’ più elegante!” disse fermandosi a guardare
gli stivali sporchi di fango
Sbuffai: “Lo sa che non amo
i fronzoli e soprattutto quegli stupidi vestiti da “Via col vento” che mi
limitano i movimenti, quindi perché si ostina a chiedermi sempre la stessa
cosa?”
Fece svolazzare la mano,
come se cercasse di scacciare una mosca: “Ah lasciamo perdere! Piuttosto
passiamo alle cose importanti, ti ho chiamata qui perché oggi verranno tre
ragazzi che non hanno mai cavalcato e tu dovrai occupartene!"
“Veramente oggi avrei
una lezione con il signor Jeff e….” non
mi permise di finire la frase, lo odiai, ma diceva che quella di fermare le
persone era una delle sue infinite facoltà, per quella volta lo lasciai fare.
“Ah lascia perdere
Jordan, ci parlerò io con lui, questo affare è molto più importante ed è di
vitale importanza che ti ne occupi tu!”
Alzai gli occhi al cielo:
“E perché mai proprio io, anche Ray è molto qualificato!”
“Perché questi non sono
tre ragazzi qualsiasi ma la boy-band più famosa del momento, sono gli idoli
pop-rock di milioni di teenager sparse per tutta l’America!” disse con troppa
enfasi, strozzandosi sul finale, dopo un paio di colpi di tosse e un bicchiere
di wisky, riprese: “I loro nome è Jonas
Brothers!”
Scossi la testa, bene
altri tre babbei che non sanno come spendere i loro milioni da seguire, forse
avrei fatto meglio ad ascoltare i consigli del mio oroscopo, “riposo
prolungato”, ma si sa, io non seguo mai i consigli.
“Allora ci stai?” mi
chiese, facendomi largamente capire che non avrebbe accettato un no come
risposta.
Maledissi me e la mia
insolita quanto profondamente radicata propensione a fare sempre di testa mia,
sopirai: “A che ora saranno qui?”
≈Not gonna be afraid
I'm gonna wake up feelin'
beautiful today
And know that I'm okay
Cause everyone's perfect in unusual ways
You see now, now I believe in me≈
(Demi Lovato)