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Autore: Ladyhawke83    03/03/2015    12 recensioni
Missing moments anteriore a "la promessa del mago". La prima grande battaglia in cui si trovano invischiati il mago Vargas e lo stregone Callisto... Ritroveremo anche la druida Isabeau, che però dovrà fare i conti con sentimenti inaspettati...
[La guerra. A cosa si riduce poi la guerra. Chi sono i vincitori e quali i vinti?
Questo me lo domandai spesso in quei mesi in cui combattemmo duramente contro un nemico il più delle volte sleale, agguerrito e senza scrupoli.
Ma cominciamo dal principio...]
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Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The magician's promise'
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La linea dell'oblio

Parte I
Guerra e tradimenti.



La guerra. 
A cosa si riduce poi la guerra?
Chi sono i vincitori e quali i vinti?
Questo me lo domandai spesso, in quei mesi in cui combattemmo duramente contro un nemico il più delle volte sleale, agguerrito e senza scrupoli. 
Ma cominciamo dal principio.
Ero stato inviato insieme ad una fazione piuttosto esigua di maghi e stregoni, per contrastare l'avanzata di quelli che, all'inizio credevamo essere orchi poco organizzati, e che invece possedevano dalla loro, una potentissima arma di distruzione.
Gli orchi di per sé, per maghi ben addestrati come noi, non rappresentavano un problema. Eravamo convinti sarebbe stata una facile vittoria, ma quando giungemmo sul posto chiamato "la linea dell'oblio", scoprimmo che, dietro a quel numeroso esercito di orchi, c'era un'energia potente che andava ben al di là della forza bruta o del mero desiderio di  conquista.
Qualcosa rendeva quegli stupidi bestioni dalla pelle grigiastra e coriacea, particolarmente agili e immuni ad i nostri attacchi. Erano persino in grado di stordire i poveri malcapitati che finivano sotto le loro grinfie.
Purtroppo alcuni di noi, sia maghi che stregoni, erano stati trasformati da questa energia ignota, la loro mente era stata svuotata. Erano diventati burattini, brutte copie di sé stessi, incapaci di ragionare o di lanciare qualsivoglia incantesimo, anche i più semplici.
All'inizio tutto questo mi era parso strano ed inquietante, ma in quei tre mesi di combattimenti sulla linea dell'oblio, così chiamata proprio perché molti di noi avevano lì perso il senno, non ero riuscito a giungere ad una spiegazione plausibile. 
Che gli orchi avessero sviluppato capacità magiche fuori dal comune? Che fossero in grado di succhiare via, letteralmente, la mente di un mago o di uno stregone, con tutte le sue abilità? E a quale scopo?
Finora ero riuscito a non farmi inebetire il cervello, ma non sapevo fino a quando avrei resistito. Della mia squadra, i superstiti, oltre a me, erano: Callisto ed altri tre. Solo cinque uomini ancora in grado di controbattere gli attacchi dell'esercito di orchi. 
Gli altri, beh... gli altri pascolavano in verdi prati credendo di vedere farfalle e lucine, al posto del sangue e dei cadaveri.
Quella mattina sentivo che non sarei arrivato al tramonto e, da un certo punto di vista, il mio sesto senso elfico non si sbagliava.
Il Gran Maestro Ianis quel giorno mi mandò, insieme a Callisto e a Helevorn, il suo nobile figlio, a perlustrare una zona più a sud della "linea".
Il compito non facile, era di rendere inoffensiva la torretta ed il trabucco degli orchi. Callisto, lo stregone si sarebbe occupato di mettere fuori combattimento gli armigeri, mentre io e Helevorn, dovevamo distruggere quelle armi, a qualsiasi costo.
Ero perfettamente consapevole che il membro più esposto sarei stato io, poiché lo stregone avrebbe usato l'arco ed attacchi da distanza, mentre Helevorn essendo figlio del Gran Maestro, nonché futuro Arcimago, sarebbe stato più protetto in una posizione non molto esposta. 
Non si poteva certo mettere a repentaglio una così importante vita, come quella dell'elfo helevorn; mentre io ero sicuramente sacrificabile. Un mago di medio livello, per giunta di razza bastarda, un Adanedhel di una casata nobile casata decaduta, poteva benissimo morire, nessuno se ne sarebbe dispiaciuto poi tanto. 
Il mio obiettivo era la torre, avrei dovuto colpirla in maniera ravvicinata, possibilmente con una palla di fuoco, o con qualcosa di molto distruttivo, poco importava se rischiavo l'incenerimento nel farlo.
Era un buon giorno per morire, mi dicevo, ma qualcosa dentro di me mi tratteneva dal compiere un simile sacrificio, non qualcosa, bensì il pensiero di qualcuno: Isabeau.
Avevo pensato molto a lei, per quanto la guerra permettesse di fare pensieri positivi.
Isabeau, la dolce druida testarda, mi mancava. 
Il nostro era stato un incontro fugace, troppo breve perché potessi dire di amarla, ma sufficiente per sentire comunque verso di lei un legame.
Non volevo morire e lasciare tutto in sospeso con Isabeau e, per di più, non volevo che, qualora Callisto fosse sopravvissuto, potesse tornare da lei per consolarla, di fatto prendendo il mio posto. 
Avevo pur sempre un orgoglio io.
Quella giornata però, non mandava buoni presagi.
Mentre riflettevo sulle possibilità di farcela o di fallire, mi avvicinai silenziosamente ai nostri nemici, ripassando mentalmente ogni piccolo movimento ed ogni parola dell'incantesimo. 
Era Rischioso, ma poteva funzionare.
Diedi il segnale a Callisto, che incoccò le frecce infuocate nell'arco pronto a scoccare.
L'elfo Helevorn, dal canto suo, doveva attuare un diversivo e disperdere il grosso dei nemici, niente di pericoloso, ma il suo aiuto sarebbe stato determinante, avevo però, fatto i conti senza l'oste.
Arrivato ad una certa distanza, attaccai e, contemporaneamente al mio incantesimo, Callisto scoccò le sue frecce infuocate.
Tutto sembrava funzionare, quando voltandomi in direzione di Helevorn, non lo vidi. 
Lo chiamai, ma nessuna risposta mi giunse dal giovane elfo. 
Gli orchi, colti di sorpresa, non persero troppo tempo ed iniziarono il contrattacco. Le nostre esigue difese reggevano bene, ma la palla di fuoco che avevo lanciato e l'incantesimo di disintegrazione di Callisto, non avevano sortito l'effetto sperato.
Il figlio di Ianis, sembrava scomparso. La situazione precipitò velocemente, stavamo per cedere o, quantomeno, io stavo per cedere. 
Avevamo bisogno dei poteri di Helevorn.
In mezzo al fumo, all'odore di bruciato e alle grida, mischiate a strani suoni gutturali degli orchi, lo vidi, la lunga chioma bionda, quasi argentea, il portamento fiero, quasi distante.
Stavo per tirare un sospiro di sollievo, sapendo che il mio scudo difensivo non avrebbe retto ancora per molto quando, invece di attaccare il nemico, Helevorn si volse inaspettatamente contro di noi.
Non ebbi neanche il tempo di capire cosa stava accadendo, che mi ritrovai sbalzato a parecchi metri dal punto in cui ero, l'onda d'urto fu enorme, lo schianto ancora di più.
Quando, dopo il colpo, riuscii a ritrovare uno sprazzo di lucidità, cercai di mettere a fuoco la vista, con la coda dell'occhio vidi Helevorn, nobile figlio di Ianis e discendente degli Alti elfi, che si ergeva a capo degli orchi, i nostri nemici. Appariva evidentemente soddisfatto dell'attacco andato a segno, contro lo stregone Callisto e contro di me.
Sul suo viso comparve un ghigno di malcelata soddisfazione.
Ci aveva venduti, aveva giocato sporco, era immischiato con il nemico. 
Per cosa poi? 
Uno come lui poteva avere qualsiasi cosa desiderasse solo alzando un dito, perché mai tradire i propri simili?
Cercai di rialzarmi, ero ancora quasi del tutto intero, tranne forse che per una o due costole rotte. Ero stato sbalzato, come fossi solo una bambola di pezza, a più di cinquanta metri dal punto della torre. Lo scudo magico, evocato mi aveva protetto, anche se non del tutto.
Cercai di comunicare mentalmente con Callisto, ma non rispose. Provai a chiamare nello stesso modo Helevorn.
"Helevorn perché fate questo? Siamo tutti dalla stessa parte, siete ancora in tempo, ripensateci, siete un grande mago. Come nobile figlio di Ianis, avrete presto il titolo di Arcimago, cosa possono darvi gli orchi che non abbiate già?". Chiesi allo stremo delle forze.
"É proprio questo il problema, stupido Adanedhel. Io non voglio solo comandare un stupido gruppo di maghi nell'Academia, io voglio di più, e per farlo devo togliervi di mezzo. Tu, lo stregone ed anche quello stolto di mio padre, che crede che io sia il figlio perfetto... Niente di più sbagliato! Adesso fammi un favore mezzo uomo: muori!" Disse l'elfo dai capelli argentei, con gelida determinazione. Mi bloccò a distanza, non potevo muovermi, né controbattere all'incantesimo che egli stava per lanciare. Vidi distintamente gli orchi caricare il trabucco, dietro suo ordine. Quello stesso trabucco che io ed Helevorn avremmo dovuto distruggere, fu direzionato verso di me e fu sganciato il colpo. 

Era la fine.

"Tranquillo Vargas, la tua dolorosa dipartita sembrerà un incidente, ed io farò in modo di sembrare molto addolorato per questo..." La sua voce mi giunse alla mente, era molto tranquillo, una tranquillità inquietante, sadica, premeditata.

Il colpo fu fortissimo, sentì le ossa frantumarsi, un rumore secco. Fui scaraventato ancora più indietro e, quando atterrai al suolo, il dolore fu così insopportabile che desiderai di morire, presto e velocemente.
Ebbi ancora la forza, sdraiato sulla schiena, scomposto come un burattino a cui siano stati tranciati i fili di netto, di aprire gli occhi. 
Prima di morire volevo guardare per l'ultima volta il cielo.
Era terso, poche nuvole dalle forme astratte, i corvi volteggiavano in circolo sui cadaveri dei nostri compagni, presto si sarebbero cibati anche del mio di cadavere.
Non so se fosse la mia mente sconvolta dal dolore, o se fosse reale, ma in mezzo al gruppo di corvi gracchianti, scorsi un falco in volo, un bellissimo falco pellegrino.
Sentii in bocca il sapore amaro del sangue, il freddo mi invase, non sentivo più il mio corpo ed ero esausto. 
I miei occhi si chiusero su quell'ultima immagine del rapace in volo.
Lo stridere del falco, sembrava un triste lamento, fu l'ultimo suono che udii.

Era un bel giorno per morire, dopotutto
   
 
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