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Autore: Spensieratezza    04/03/2015    1 recensioni
Questa è una storia che parla di tre fratelli: Alisea, Alan e Zaffiro e ci sarà anche tanto, tanto amore fraterno!!
Sentì Zaffiro prendergli la mano e si sentì inaspettatamente protetto dalla sua stretta. Si voltò, sentendosi un po’ avvampare quando lo guardò negli occhi.
“Che tipo di visione? Non farmi stare in pensiero, Alan..” disse Zaffiro, prendendogli il viso tra le mani, ma Alan, imbarazzato, si allontanò dalle mani calde e premurose di suo fratello, sfuggendo a quegli occhi azzurri e preoccupati, quegli occhi azzurri come l’oceano atlantico.
(....) “Quanto sei idiota..” disse Alan, nascondendo la testa sul suo braccio coperto dalla felpa.
Non alzò più la testa per un po’. Rimase così, inspirando l’odore della felpa del fratello. era confortante. Sapeva di..casa.
Zaffiro rimase fermo, sorridendo e guardandolo. Alan poteva sentire il calore venire dal corpo di Zaffiro. Calore umano.
Senza quasi rendersene conto – o forse se ne rendeva conto e questa era la parte peggiore – alzò la testa per appoggiarsi al collo di Zaffiro.
ATTENZIONE: questa storia la metto come conclusa, fino a che non capirò come mandarla avanti.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Oscurità…..oscurità completa. …non si pensa mai che il principio è SEMPRE buio….come la fine…. .tutti dicono che quando si muore si vede una gran luce bianca…non è vero..quelle sono favole. È il buio la prima cosa che vedi. E tutto quello che ti accompagnerà dopo. Come potrebbe esserci luce dopo il buio?
 
 
 
"Avrei dovuto saperlo….. "sussurri. Cammini ancora un po’, come un automa. Ti fai strada verso…
 
"Aspetta….è un corridoio?....."
 
Continui a camminare….
 
"Il corridoio di una scuola….ma è tutto buio….non vedo niente…."
 
All’improvviso il corridoio si ilumina in maniera violenta, come se qualcuno avesse acceso di colpo decine di riflettori all’interno…ma non erano riflettori.
 
 
 
“Sono LAMPADE. Sono lampade antiche appese ai muri” esclami con stupore nella voce.
 
“Allora….allora non è vero che c’è solo oscurità e che non esiste la luce.”
 
"Si vede quel che ci si aspetta di  vedere….anche se non corrisponde al vero".
 
 
 
“Aspetta….io non capisco più niente…c’è una tale confusione nella mia testa…credo di non riuscire a ricordare neanche più chi sono. Sono maschio o femmina? Io…non lo ricordo più” dici toccandoti la testa.
 
“Che importanza ha? Si nasce androgini, poi l’uomo nega la sua parte femminile. Il format esterno sentenzia: maschi di qua, femmine di là.
IDIOTI.”
 
Tu sobbalzi.
 
"Vogliono dividere L’UNO, ma non possono dividerlo."
 
 
"Io non capisco…."
 
"Non importa. C’è uno specchio là in fondo. Puoi guardarti, se vuoi".
Ti avvicini lentamente e guardi con timore dentro lo specchio. Con timore e con una certa soggezione.
 
Riconoscimento. Era tutto quello per cui lottano gli esseri umani dal momento in cui vengono al mondo a quando muoiono. Per tutta la vita cercano di riconoscersi, di capire chi sono e non riuscendoci, cercano di riconoscersi negli occhi degli altri, incorrendo in un’illusione dopo l’altra…dopo l’altra….
 
 
"Io…sono davvero io?"
 
"Ne hai forse qualche dubbio?"
 
"Non riconosco la persona che è nello specchio".
 
“Quella persona non sei tu. È solo un’immagine illusoria”.
 
 
Ti giri con aria sprezzante
 
 
“Adesso NE HO ABBASTANZA di questi giochetti. DIMMI CHI SEI.”
 
“Come, con tutta questa luce non riesci a vedermi?”
 
“Sei avvolto da una nebbia” rispondi con aria dura.
 
Ti sbagli! Non c’è nessuna nebbia. Tu la vedi intorno a me perché i tuoi occhi non sono ancora pronti a riconoscermi.
 
“Aspetta….io ti conosco già???” Sgrani gli occhi. Non capisci. Sarebbe servito a qualcosa dirti che una volta ti chiedevi continuamente come facevano le persone a meravigliarsi sempre di tutto, anche delle cose che in fondo sapevano già? Adesso tu stavi facendo lo stesso.
 
 
 
Non rispondo. Faccio un sospiro. Ti prendo una mano.
 
“Voglio solo che tu sappia una cosa. Non ho mai voluto  farti del male. Lo sai, vero?”
 
“L’hai fatto?” Dici con voce strozzata.
 
“No! Volevo dire che…non ho mai avuto intenzione di farlo. Neanche quando….c’è stato il grande crollo di tutto.”
 
“Io non capisco quello che tu dici”.
“Si invece, lo rifiuti solamente. Vedi,” dico stringendoti ancora di più la mano.
 
“Io…non riuscivo a capire come potessi decidere di buttare tutto all’aria, tutto quello che avevamo, per colpa di un branco di ragazzini….non riuscivo ad accettarlo…io…”
 
“Lasciami la mano!”
 
“Non potevo accettarlo!! Tu volevi proteggerli, ma non  è… non era nella nostra indole farlo….”
 
Momento di silenzio.
 
“Nostra?” Dici con voce strozzata. Percepisco la paura nella tua voce.
 
Ti lascio la mano.
 
"Basta cosi. Questi ricordi sono troppo dolorosi e poi comunque quando ti risveglierai non ricorderai più niente…e neanch’io.
 
“Aspetta, cosa vuoi dire?”
 
Mi limito a sorridere.
 
Non ha importanza.
 
In quel momento, di nuovo il buio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Mattina del giorno 28 ottobre 2011 ore 7:15
 
Driinnnn
Driiinnnn
 
Un piccolo corpo femminile era appoggiato al pavimento vicino al letto, arrotolato in una sottile coperta del color della neve.
 
Driiinnnn
 
“Mmmmm” Marika gemette. Quel rumore era cosi fastidioso e lei aveva tanto sonno.
Tuttavia non poteva più evitarlo. Gli stava rompendo un timpano. Cercò a tastoni la sveglia ma non riusciva a trovarla. Dov’era finita?
 
 
“Perché la testa mi fa cosi male?” disse. Si accorse che non aveva più il cuscino e sentiva anche un sacco di freddo.
 
Apri gli occhi e si accorse di essere caduta dal letto. “Oh accidenti.”
 
Si alzò.
 
Prese la sveglia e la guardò. “Le SETTE E UN QUARTO???”
 
la porta del salone  venne spalancata con impeto.
 
“Perché non mi hai svegliata???”
 
“Tesoro, stavi dormendo cosi bene che mi sembrava un peccato svegliarti” disse la madre, mentre era davanti alla televisione, a sgranocchiare un sacchetto di noccioline.
 
“Ti rendi conto che rischio di arrivare in ritardo? Il mio primo giorno di scuola e arriverò in ritardo!” disse Marika agitata, infilandosi in bagno.
 
 
“Tesoro, ho sempre pensato che tu sia troppo emotiva. Rilassati. Il pullman arriverà tra poco più di dieci minuti.”
 
All’interno del bagno, Marika gemette.
 
Finì di lavarsi i denti e si sciacquò  la faccia, dopodiché mise il vestitino azzurro che aveva preparato da ieri sera, si spazzolò velocemente i capelli e stava per prendere lo zaino, quando la madre la fermò.  “Non senza aver fatto colazione”
 
 
 
“Quale parte della frase:  il pullman se ne sta andando senza di me, non ti è chiara???” disse Marika esasperata.
 
“ Puoi essere in ritardo quanto vuoi, ma sei mia figlia e non te ne andrai senza aver prima fatto colazione” disse la madre.
 
Marika esasperata, prese una mela e un succo di frutta alla fragola.
 
La madre rimase sbigottita, ma la lasciò andare.
 
“Ci vediamo dopo!” gridò Marika,  prendendo il giubbino blu notte, zaino in spalla e correndo come un folletto.
 
 
 
 
“Aspettami, aspettami, aspettami, aspettami” continuava a ripetere Marika, cercando di accelerare il passo, ma sentendosi rallentata dallo zaino che teneva in spalla. Mancavano solo cinque minuti. Per fortuna il pullman si fermava proprio sotto casa. Vide il pullman arrivare e gli fece cenno di aspettarla con la mano. Entrò con il fiatone. “La sveglia ha suonato tardi stamattina?” gli chiese il conducente con un sorrisetto malizioso. “A dire la verità, sono io che non l’ho sentita! pensò marika ma non lo disse. Si sentiva già imbarazzata da capo a piedi. Cercò di infilare il biglietto nel pullman, ma non voleva entrare, cercò di spingere. Niente. La stavano fissando tutti.
 
Che idiota, lo stavo infilando dalla parte sbagliata!
 
“Scusatemi, solo un secondo” disse alla platea.
 
Finalmente riusci a timbrare il biglietto. Desiderava solo allontanarsi da li, ma sfortunatamente si era dimenticata che teneva ancora in mano la mela e il succo di frutta, senza aver neanche preso un sacchetto in cui infilarli. Per l’agitazione inciampò e il succo di frutta cadde per terra, insieme a lei, mentre la mela fece un volo e atterrò in grembo ad un altro ragazzo seduto su uno dei sedili.
 
Quando rialzò il viso e si rimise in piedi, la sua umiliazione era completa.
 
 
 
“Mi dispiace, scusatemi” disse al conducente, che borbottò e rimise in moto.
 
“Scusami. Non volevo... sono inciampata” disse, strizzando gli occhi, rivolta al ragazzo biondo e con gli occhi azzurri,  cui aveva gettato addosso la mela.
 
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia e sorrise, ma non sembrava volersi prendere gioco di lei.
 
Le passò la mela.
 
“Figurati. L’importante è che non mi abbia preso in testa.  E poi non dicono*una mela al giorno toglie il medico di torno?* tieni. Puoi sederti qui se vuoi.”
 
Marika si sedette nel sedile di fronte. Sentiva ancora un tremendo calore al collo per la doppia figuraccia fatta appena poco prima. “Grazie.” disse ad occhi bassi.
 
 
“Sei fortunata che la mela non è caduta” disse sorridendo, il ragazzo. “è la tua colazione suppongo.”
 
Ecco pensò marika. Si sta prendendo gioco di me. Pensò tristemente.
 
“Anche io non sono riuscito a fare colazione. Stavo per tirare fuori questo” disse con un sorriso da 200 watt.
 
Tirò fuori una di quelle bottigliette di latte al cioccolato che spopolavano tanto dieci o venti anni prima. Marika si senti un po’ meno imbarazzata.
 
“Lo vuoi? Molto meglio di una mela, no?”
 
“Oh no, non voglio rubarti la tua colazione” disse abbassando lo sguardo. “Io ho la mia mela e il mio succo di frutta” disse indicandoli, sentendosi sempre più stupida.
 
“In realtà non intendevo il mio. Ne ho un altro. Prendi” disse lanciandogli un’altra bottiglietta, senza chiedergli il permesso.
 
“Ti piace il cioccolato, vero?” chiese indeciso.
 
“Certo” sorrise Marika. “Allora, grazie…sei molto gentile”.
 
“Non c’è di che. È bello condividere le cose. a proposito, io sono Stefano”
 
“Io, Marika” disse lei, sorridendo.
 
 
 
 
Dopo circa dieci minuti di viaggio, Marika pensò che la presenza del ragazzo, tutto sommato, era molto piacevole. Non si sentiva obbligato a dire qualcosa per favorire a tutti i costi la conversazione, né sembrava ritenere un dovere parlare per forza con lei. Si era addirittura messo ad ascoltare la musica nelle cuffie e questo, lungi dall’irritarla, a Marika piaceva molto. Aveva sempre ritenuto affascinanti gli spiriti liberi, quelli che non fanno qualcosa perché sentono di essere tenuti a farlo, ma perché semplicemente gli va di farlo. Quelli che sono spontanei. Quelli che sono sé stessi. A volte Marika riusciva ad apprezzare e amare  addirittura molto più quelli che lottavano per amore di un ideale, che quelli che avevano successo nel campo sociale. Amava i diversi, i dannati,  i solitari, i difficili, i tormentati, quelli che non riuscirai mai a capire, quelli con l’anima in fiamme….
 
Sei una maledetta asociale, lo sai, vero? Una schifosissima. Stramaledetta, asociale e vai anche fiera dei tuoi stupidissimi pensieri. Un giorno tua madre non ce la farà più a sopportare la tua pazzia e ti costringerà ad andare da uno strizzacervelli per capire che cosa non va in te..anzi, neanche. Non ha nessuna importanza riuscire a capirlo. L’unica cosa che conta per lei sarebbe solo che io guarisca  pensò tristemente Marika, sperando che Stefano non si accorgesse del suo abbassamento di umore.
 
“Marika” disse d’un tratto Stefano.
 
L’ha capito. Non so come ha fatto ma ha capito lo stesso e ora dovrò rendergli conto di quello che… pensò in maniera sconnessa.
 
“Marika?”
 
“S-si?”
 
“Ci siamo fermati” disse Stefano con voce impassibile.
 
Marika socchiuse appena gli occhi e si voltò verso il finestrino, in strada.
 
“Oh dio, ma quella è …..”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Era in ritardo. Era stata tutta la notte ad assistere quel bambino malato con la febbre, tutta la notte a stargli accanto, a tenergli la mano, a fargli compagnia…senza mai cedere al sonno, senza mai un cedimento. Doveva essere sicura che stesse bene, che fosse scesa la febbre….se fosse risalita e lei si fosse addormentata…come avrebbe potuto perdonarselo? Le suore avevano insistito perché andasse a casa, ma lei non aveva voluto lasciare il bambino. Aveva pianto cosi tanto quando la febbre non accennava a diminuire. Clère aveva quel pianto ancora nelle orecchie… ma alla fine era crollata. Verso le 05:00 era crollata nel sonno. Si era sdraiata sul lettino accanto al bambino e si era addormentata.
Si era risvegliata verso le 7:00 e aveva dovuto correre a casa a cambiarsi e lavarsi e correre per riuscire a non arrivare in ritardo a scuola. Aveva preso il motorino ed era sfrecciata via. Aveva due occhiaie blu, il viso stanco, era riuscita a mettersi un po’ di cipria per dare un po’ di colore ma non era sicura di aver ottenuto l’effetto desiderato. Non aveva tempo di controllarsi. Non aveva neanche fatto in tempo a fare colazione. Si era solo messa una sciarpa viola al collo per via del freddo glaciale. Sperò di non fare un incidente con il motorino  per la troppa fretta. ….E poi, vide qualcosa che la fece fermare,  con gli occhioni e la bocca spalancati.
 
 
 
 
 
 
 
 
“Svegliaaaaaaa” La voce squillante di Alisea irruppe nella stanza.

Alan e Zaffiro mugghiolarono nei cuscini.

Alisea scostò le tende della stanza, inondando cosi la stanza di luce.


Zaffiro sprofondò la testa nel cuscino, Alan invece si eclissò in fondo al letto come una lucertola che nuotava nel mare.

Alisea fece un sospiro esasperata, ma stava ridendo.

Si arrampicò al davanzale della finestra e calcolò mentalmente la distanza tra i loro letti. Non erano cosi lontani, quelli di Zaffiro e Alan erano più o meno vicini. Fece un bel respiro e……
 
SBAM. Atterrò sdraiata di peso con le gambe sul letto di Zaffiro e l’altra metà del corpo sul letto di Alan. Rimase stordita per qualche secondo.
 
Ohi….credevo fosse più morbido come salto.
 
L’impatto fece spaventare terribilmente Alan e Zaffiro, che soffocarono delle grida, ma senza alzarsi.
 
Alan disse : “Dimmi che non ha appena fatto quello che ho sentito.”
 
“è TUA sorella. Al. “ disse Zaffiro,  risprofondando nel cuscino.
 
Alan mugghiolò:”  lo sai che prima delle dieci di mattina è TUA sorella.”
 
Alisea arricciò il labbro:"Non volevate svegliarvi. Dobbiamo andare a scuola!” disse Alisea cercando di levargli forzatamente coperta e lenzuolo di dosso, impresa resa difficile dal fatto che Alan e Zaffiro facevano resistenza.
 
Zaffiro disse: “ Adesso vi butto giù dal letto tutti e due. 1-2……”
 
Alan rispose:”Lo sai che hai rischiato di ammazzarti con quel salto? Vuoi morire giovane?” disse trattenendo il lenzuolo.
Zaffiro caricò: Non solo. Vuole trascinarci nella fossa con lei! Se non fosse cosi leggera ci avrebbe seppellito con quel salto.”
 
“Beh, non avete sempre detto “Insieme, forever e oltre ?” disse Alisea  ridacchiando e scandendo le parole.
 
Alan e Zaffiro la guardarono di sottecchi, dopodiché la spinsero giù dal letto e cadde cosi sul grosso puff che c’era per terra.
 
“Ho sempre pensato che guardi troppi telefilm. In particolare The Vampires Diaries ha un effetto negativo su di te. ” ridacchiò  Alan.
 
“Già. Chissà da chi ha preso” replicò sarcasticamente Zaffiro.
 
 
 
 
La porta si spalancò ed entrò la zia Judith, che chiaramente aveva sentito tutto il rumore.
Con quella vestaglia arancione sembrava una lampadina accesa.. aveva le mani sui fianchi e lo sguardo corrucciato. Guardò Alisea che cercava di alzarsi ancora dal puff e poi guardò i due ragazzi.
 
“Ebbene?”
 
“Ha cominciato lei” dissero in coro Alan e Zaffiro, indicandola.
 
“Ahhhhh. Quanta pazienza! Alzatevi e vestitevi. La colazione è pronta. Cosi poi andate a scuola. I vostri vestiti sono sul termosifone” disse la zia tra l’esasperato e il sorridente.
 
 
 
I ragazzi si alzarono di malavoglia e cercarono di acchiappare Alisea che prontamente riusci a sfuggirgli con l’agilità di un grillo o di una gazzella.
 
 
 
Per colazione bevvero del latte pastorizzato con biscotti alla vaniglia, mentre la zia sorridente stava cambiando l’acqua al vaso di fiori e stava innaffiando quelli in balcone.
 
 
 
Prima di andare via, Alisea si trattenne ancora un po’ ad annusare i fiori nel vaso con espressione di tenerezza.
 
La zia, che si stava infilando il cappotto per accompagnare i ragazzi a scuola,  sorrise intenerita senza parlare.
 
 
“è solo che mi piacciono i fiori. E il loro profumo.” Si scherni Alisea e  cosi dicendo si affrettò a prendere il giubbotto e lo zaino, mentre la zia gli stava tenendo la porta.
 
I fratelli stavano sorridendo  a metà tra la tenerezza e la strafottenza.
 
La zia li riprese bonariamente: “Credete di essere cosi diversi da lei?”
 
Alan fece spallucce. “Alisea è la parte sognante di noi tre.”
 
“Ah si? E voi che parte sareste invece?”
 
Zaffiro fece un sorriso da 200 watt e disse in maniera teatrale: “Non lo saprai maiiii” e poi rise.
 
“Adesso basta con queste stupidate. Sbrigatevi che se no si fa tardi” disse allegramente,  spingendoli giù per le scale.
 
 
 
 
Era una bella giornata. Il cielo era di un azzurro turchese da mozzare il fiato. Avrebbe reso romantici anche i cinici più incalliti. Non c’era neanche una nuvola. Sembrava proprio di stare dentro un dipinto. Alisea guardava il cielo con aria sognante. I fratelli facevano finta di essere indifferenti, ma anche loro gettavano occhiate qui e là.
 
“Lo sapete che cosa si dice di quelli che guardano il cielo? Che sono sognatori e la cosa che li caratterizza è sicuramente la fantasia, che usano per viaggiare in universi paralleli che vanno oltre l’immaginazione umana” disse Zaffiro con voce da sapientone.
 
Alisea e Alan distolsero subito lo sguardo imbarazzati.
 
Zaffiro ridacchiò.
 
La zia lo riprese subito: “dagli un po’ di tregua, e voi due non fatevi prendere in giro da vostro fratello”
 
“Certo che no” bofonchiò Alan.
 
 
“ATTENTA!!! FRENAAAA” gridò Alisea.
 
   
 
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