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Autore: Aries K    06/03/2015    1 recensioni
Quando la giovane Emily Collins mette piede nel collegio più cupo e spaventoso di Londra non sa che la sua vita sta per cadere in un mondo oscuro fatto di sangue e creature che credeva vivere solo nei suoi incubi. Quando pensa che la sua esistenza non possa cadere più in basso di così incontra William Delacour, figlio della temibile preside Jennifer Delacour. William -così enigmatico e onnipresente in quel convitto esclusivamente femminile- nasconde un segreto che sembra coinvolgere anche la giovane. I due non potranno che avvicinarvi anche se, non molto lontano da loro, qualcuno cova una centenaria vendetta che sembra non volersi compiere...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Diciannovesimo Capitolo








La prossimità del vampiro che mi stava osservando bastò a farmi capire che ero spacciata. Questa volta, lo sentivo, non me la sarei cavata tanto facilmente.
“Ben”, sputai velocemente con il terrore nella voce.
Aggirò il divano con estrema lentezza ed io non mi mossi di pezzo, se non per indietreggiare impercettibilmente quando vidi che mi aveva raggiunta ma che non aveva accennato ad arrestare il passo. Anzi, Ben mi afferrò per un braccio, non tanto per farmi intenzionalmente male quanto per avvertirmi che la presa che stava esercitando sarebbe potuta diventare un qualcosa di cui mi sarei pentita se non lo avessi ascoltato.
“Te lo chiederò una volta sola, Emily. Solo una volta e se non mi risponderai io ti ucciderò. Dov’è il pugnale che la mia Padrona cerca? DIMMELO!”
Il suo ordine fece tremare ogni cellula che mi costituiva e sobbalzai sul posto; dunque una risata di puro nervoso mi fece sconquassare.
“Lurida…”
Senza nemmeno vederlo arrivare, un pugno mi colpì all’occhio sinistro, rovesciandomi come una bambola di pezza sul divano. Poi la mano del mio inseguitore mi afferrò per la maglietta ed ogni traccia di triste ironia si cancellò dal mio volto. Il suo – rabbioso e raccapricciante- era così vicino al mio che le nostri fronti si toccarono in una contrapposizione di caldo e freddo. Di vita e di morte.
“Non avrò pietà di te, lo sai? La Padrona ti desidera viva ma siamo arrivati ad un punto tale che anche da morta andresti bene. Lo sai, vero?”
“Perché non la chiami con il suo nome? Jennifer. Delacour.” Scandii parola per parola, benché faticassi a fiatare.
“Risparmiami la fatica e dimmi dove lo stai nascondendo.”
“Dove sono gli altri schiavi della tua Padrona?
E il secondo pugnò arrivò, assestato al centro dello stomaco.
Tossii attorcigliandomi sul divano, iniziando ad avere una visuale sfocata di ciò che mi circondava.
“Sto per perdere la pazienza, Emily Collins”, cantilenò girando in tondo al divano, dove ancora mi dondolavo rannicchiata dal dolore, -“per colpa di quel pugnale è stato versato il sangue dei miei compagni.
Kendrick, te lo ricordi?”
Come avrei potuto dimenticarlo? Il vampiro biondo che, in quel vicolo sudicio, mi aveva inchiodata al muro.
“Sì.” Mi misi seduta, stringendomi ancora.
“Quel giorno stesso è stato ucciso dalla Padrona per farci intendere che non si scherza e che la nostra immortalità ha un prezzo da saldare.”
Riuscii a mettermi in piedi.
“Quindi lei vi ricatta.”
“Lei ci ha SALVATI!”, gridò, tornando a puntare gli occhi sverzati di rosso nei miei.
“Per darvi questa esistenza fatta di sangue? Quanto era miserabile la vostra vita mortale per pagare un prezzo così alto? Essere schiavi di una Padrona che non esiterebbe ad uccidervi, privarvi della libertà per uccidere a vostra volta.”
“Tu”, mi puntò un dito contro, -“tu non sai niente di come era la mia vita prima che Jennifer Delacour mi trovasse. Era, sì, una vita miserabile. Non avevo dignità, famiglia, un senso che mi facesse svegliare al mattino. Vagabondavo tra le vie di Londra e la mia unica occupazione era qualche furto a Camden Town o, se mi andava di lusso, in qualche quartiere più agiato. Lei mi ha reso immortale, mi ha donato il privilegio di affiancarla nella sua esistenza; insieme, potremmo avere tutto. Siamo esseri superiori… Dove stai correndo, Emily Collins, pensi davvero di poter sfuggire da questa situazione?”
Non lo sapevo come mi sarei liberata da quella situazione ma, sì, dovevo almeno tentare di raggiungere quel dannato pugnale e affrontarlo. Non ero stata allenata, non sapevo nemmeno come avrei potuto impugnarlo senza slogarmi un polso nella disputa che, inevitabilmente, avrei dovuto affrontare tra non molto, ma, nonostante tutto, dovevo provarci.
Nonostante tutto, ero la ragazza leggendaria.
Salii rapidamente le scale, ovviamente perché Ben me lo permise: rimase impalato ad osservarmi, le braccia incrociate al petto e un’espressione di pietoso divertimento.
“Non puoi scappare, c’è solo un’uscita in questa casa.” Fu l’ultima cosa che gli sentii dire, poi, un silenzio fin troppo irreale si abbatté in ogni spazio della casa. Tenni stretto al petto il pugnale e mi schiacciai contro il muro accanto alla porta, attendendolo.
Passò un minuto buono prima che sentissi nuovamente la sua voce. Dal fondo del corridoio.
“Te la ricordi l’assistente sociale? Michelle Morgan o…oh!, forse dovrei chiamarla Rebecca Williams quella lurida puttana traditrice.”
Silenzio. Passi. Sempre più vicini.
“Il tuo arrivo al collegio era programmato, dopo aver ammazzato i tuoi genitori era il passo successivo per prenderti. Così preziosa, così piccola ed ingenua…loro ti hanno tenuta nascosta dalla loro stessa razza- i cacciatori- perché ti proteggessero. L’amore fa fare cose così ingenue e stupide, non ti pare? Credevano davvero, quegli stolti dei tuoi genitori, che Jennifer Delacour non ti avrebbe mai trovata? Dopo aver passato la sua intera esistenza a pianificare tutto questo?”
Iniziavo a sudare freddo e la presa dal pugnale andava via via allentandosi; i passi sempre più vicini mangiavano la distanza dal mio nascondiglio.
Strozzai un grido a stento, quando lo sbattere improvviso di una porta arrivò alle mie orecchie. Se solo avessi saputo quale porta forse avrei potuto capire in che punto del corridoio si trovasse. L’unico indizio che avevo mi suggeriva che Ben era sempre più vicino alla sua preda terrorizzata.
“Emily Collins”, cantilenò di nuovo, -“esci fuori, così ti racconto di Michelle Morgan.”
Silenziosamente aprii la porta e per poco non ci rimasi secca: lo spiraglio che avevo schiuso con estrema cautela mi rivelò che Ben era di spalle con lo sguardo nella direzione opposta, perso nella lunghezza del corridoio.
Pregai che proseguisse, in modo da poterlo pugnalare a tradimento.
Ma si voltò.
Ed io tornai al punto di prima, ansimante.
“Michelle Morgan ricordava tutto della sua vita mortale. Al contrario di me, Kendrick e Tom, i quali avevamo pochi e sfocati ricordi per la testa. Ma erano abbastanza per spingerci tra le braccia della nostra salvatrice. Ad ogni modo, Michelle Morgan aveva una bella vita e non smetteva di frignare riguardo quanto le mancasse. Quella lurida puttanella. La Padrona l’aveva trovata a Cardiff, se non vado errato, e a forza di minacce l’aveva convinta a seguirla a Londra; doveva solo fingersi assistente sociale per poi occuparsi di te e in seguito della prigionia di tua nonna. Ma un giorno fece perdere la pazienza alla Padrona con il suo atteggiamento ritroso e la trasformò. La trasformazione avrebbe dovuto farle dimenticare la sua vecchia esistenza o, quanto meno, avrebbe dovuto offuscarle determinati ricordi ma Michelle Morgan ricordava. A quanto pare finse di collaborare, la furba, e mossa dalla pietà ha pianificato la fuga di tua nonna e chissà cos’altro…ho saputo che si è gettata sotto un treno; probabilmente perché sapeva che i vampiri possono definitivamente morire se smembrati e bruciati. Mi chiedevo se prima di morire ti avesse raggiunta in qualche modo.”
“Oh sì”, dissi a voce alta, con le lacrime agli occhi.
Spalancai del tutto la porta e lo trovai pronto all’impatto ma, anziché gettarmi su di lui per trafiggerlo, aspettai un suo primo passo.
E così fu.
Si sollevò da terra per lanciarsi su di me –pazzo, pazzo il suo sguardo non appena si ritrovò davanti agli occhi il pugnale- e con estrema velocità lo tramortii con il gomito. Cadde a terra e, afferrando la maniglia della porta, schiacciai la sua testa tra essa e lo stipite. Ripetutamente. Violentemente.
Quando lo vidi immobile rafforzai la presa scivolosa sul manico del pugnale, dunque lo sollevai sopra la mia testa senza smettere di fissare la schiena del vampiro.
Non avrebbe dovuto essere difficile e dovetti ricordarmi ancora una volta che ero nata per farlo.
Passai in rassegna i visi delle persone che amavo – i miei genitori-, quello di chi aveva patito per me resistendo stoicamente –mia nonna- il volto della persona a cui dovevo qualcosa –Michelle Morgan- e quello che avrei perduto anche se non avessi trovato il coraggio e la motivazione sufficiente per abbassare il pugnale –William.
L’ultimo pensiero mi rese rabbiosa e feci per affondare nella carne di Ben quando inaspettatamente mi afferrò per i polsi e mi fece roteare in aria con un solo braccio, schiantandomi sul pavimento del corridoio. Il pugnale volò lontano, rimbalzò sulla parete e cadde nella tromba delle scale. Un dolore accecante m’invase le spalle e recuperai fiato a fatica; alzandomi constatai che anche Ben aveva risentito dei colpi che gli avevo inferto: il lato destro della sua testa era ricoperto di sangue, l’occhio chiuso e impiastricciato.
Schizzai verso il punto in cui avevo visto cadere l’arma ma, poco prima di scendere il primo gradino, Ben mi acciuffò per i capelli.
“Servirà una goccia del tuo sangue. L’ultima goccia dell’ultima della dinastia dei Collins.”
Mi tirai in avanti, digrignando i denti dal dolore infuocato che si andava ad espandere lungo il mio cuoio capelluto.
“P-p-er cosa?”, strillai e, come in risposta, le parole di William riguardo al fatto che io fossi un mezzo mi risuonarono nella testa.
Ben urlò qualcosa che non ascoltai ed io trovai la forza di assestargli un calcio; fu allora che mi liberai dalla sua presa strillando a pieni polmoni, pienamente consapevole di alcuni resti dei miei capelli nella sua mano ancora chiusa a pugno. Scivolai e rotolai fino a sbattere contro la vetrata del pianerottolo. Lì, da dove ero precipitata, potevo vedere il pugnale giacere sull’ultimo gradino quasi fosse la linea agognata di un traguardo, ed io un semplice corridore che, forse, avrebbe dovuto passare la sua vita ad allenarsi.
Con uno slancio mi alzai da terra ignorando tutte le proteste del mio corpo livido, dunque, stringendo i denti, mi fiondai di sotto, seguita a ruota da Ben e dalle sue imprecazioni oscene.
Presi il pugnale e roteai su me stessa fino a cercare di colpirlo ma questo si era gettato nella parte opposta del salotto, come una iena.
Adesso che eravamo l’uno di fronte l’altra mi accorsi con una certa punta di compiacimento di come l’avevo ridotto. I capelli che aveva impeccabilmente raccolto in un codino era sciolti e scompigliati, una ciocca era colorata di rosso, come tutta la parte destra della faccia ricoperta di sangue. Gli occhi sbarrati e la bocca aperta in una smorfia che interpretai come rabbia omicida e disprezzo.
“Non puoi avvicinarti a me”, dissi, dominando l’affanno,-“perché se anche solo questa lama ti sfiora tu diventi cenere. Dimmi cosa vuole da me –dal mio sangue- la Delacour e perché le serve questo pugnale.”
“Chiedilo a lei. Quando ti verrà a prendere e prosciugherà anche l’ultima goccia del tuo schifosissimo sangue da cacciatrice.”
Si avventò su di me. Stupidamente, coraggiosamente. Riuscì a prendermi di sorpresa perché con un colpo secco del braccio mi disarmò e il pugnale roteò in aria fino a cadere in mezzo a noi, tagliando la nostra pericolosa vicinanza. Lui si allontanò come se dal cielo fosse colata della lava, io mi mossi solo per riflesso e pensai che non mi sarei mai perdonata per averlo fatto. Il pugnale era troppo vicino a lui, non potevo avvicinarmi senza rischiare di rimanere uccisa dalla stessa lama che mi avrebbe concesso la vittoria; dunque mi accontentai di recuperare l’attizzatoio per camino.
-“Fermati, fermati!”, gridai, cercando di prendere tempo mentre porgevo la punta nelle fiamme; poi glielo puntai contro.
“Non riusciresti mai a colpirmi. Sono più veloce di te, Emily Collins.”
“Ma io ho un motivazione più grande della tua per ucciderti, Ben.”
Questa volta fui io ad attaccare per prima; il vampiro si difese con il pugnale e girammo in tondo nella stesso punto, complici nel disegnare il nostro destino. Sapevo, ed era chiaro, che eravamo appena arrivati al round finale. Perlomeno io, nonostante l’adrenalina e la buona dose di vendetta, ero pur sempre un’umana che simulava di essere una guerriera contro una creatura sensibilmente più sviluppata.
Mi difesi da alcuni suoi fendenti che mi suggerirono di essere spacciata, dal momento che sentivo via via le forze abbandonarmi. Mi rimaneva solo una cosa da fare: giocare d’astuzia.
Dopo aver parato altri due colpi che altrimenti mi sarebbero stati fatali, mi accasciai a terra pregando di riuscire convincente nella performance più importante della mia vita.
Lasciai scivolare via a malincuore la mia arma d’ottone; i piani improvvisi sono i più pericolosi, ma possono rivelarsi i più riusciti se ben congeniati.
Il freddo del pavimento mi s’insediò sotto pelle unendosi al sudore della lotta e della paura. Il cuore batteva a mille, il cervello che invocava un unico finale.
“Oh bene”, disse Ben con la voce impastata benché potessi udire una gloria non troppo lontana nascondersi nel suo tono basso,-“ammetto che sei stata un osso duro, non me lo sarei aspettato.”
Ora, dovevo essere veloce.
“Addio, Emily Collins.” Aprii gli occhi di scatto, trovando il pugnale scendere verso il mio petto e così –più veloce della luce- colpii la sua mano con la gamba facendogli perdere la presa.
Infine, tutto accadde molto velocemente: il secondo d’impasse di Ben mi concesse di recuperare l’attizzatoio che, gridando per la frustrazione, gli affondai nel petto.
Vidi la sua bocca spalancarsi muta, gli occhi fuori dalla orbite piantati nei miei. Mi abbandonai di peso su di lui rafforzando la presa sul manico e lo inchiodai a terra, completamente paralizzato.
Quello che accadde una volta che mi fui rialzata lo ricordo con estrema difficoltà: fu come se, trapassando il petto di quel vampiro, una lama invisibile mi avesse giocato la stessa sorte. Un qualcosa dentro di me, capii senza nascondere l’angoscia, si era definitivamente rotto, spezzato.
Mi mossi come in un sogno, dapprima lentamente poi guadagnando sempre più velocità, indirizzandomi verso la porta d’ingresso come se ne valesse della mia vita, nonostante mi fossi guadagnata una grande possibilità di salvezza.
Non appena messo piede fuori la mia fuga venne immediatamente arrestata da un ostacolo: andai a sbattere contro il petto di qualcuno.
-“No! LASCIAMI!”, gridai con quanto più fiato mi fosse rimasto in corpo. Tentai di dimenarmi ma due braccia mi imprigionarono costringendomi ad aderire ancora di più contro quel corpo estraneo.
-“LASCIAMI! LASCIAMI ANDARE!”
-“EMILY!”
Bastò la sua voce per far crollare ogni mia difesa. Mi lasciai abbandonare tra le sue braccia, stringendo la sua camicia tra i pugni chiusi, e frugai dentro di me trovando l’ultimo briciolo di energia capace di farmi alzare la testa per incontrare lo sguardo preoccupato di William. E anche quello interdetto di Genevieve ed Henry alle sue spalle.
“Cosa è successo? Il tuo occhio…sei sconvolta.”
“C’è qualcuno dentro”, asserì Henry oltrepassandoci per entrare.
William sciolse l’abbraccio con delicatezza, non senza prima registrare il suo corpo irrigidirsi sotto le mie mani. Non appena vide un suo simile inchiodato a terra nel proprio soggiorno, uggiolante di dolore, il poco colore del suo volto venne lavato via da autentico e puro sgomento.
“Emily…”, scandì il mio nome lentamente,-“che cosa sta succedendo?”
“Mi sembra talmente chiaro, vecchio mio.” Henry gli mise una mano sulla spalla, ma Will si scostò. Genevieve nel frattempo si era inginocchiata accanto alla testa di Ben, studiandone il volto deformato dalla smorfia dello strazio.
“Guarda cosa abbiamo qui.”
Henry fece due passi in avanti e poi si chinò per raccogliere il pugnale.
Mi portai una mano ad accarezzarmi il collo sentendo il cuore fin troppo vicino alla gola. Era arrivato. Il momento che avrebbe scalfitto tutto quello che avevamo costruito da mesi, era arrivato. Strinsi le palpebre perché i contorni di tutto ciò che mi circondava erano diventati fin troppo vividi, come se presto sarebbero scoppiati.
“Credo che la tua amata non sia una donzella in pericolo come ci hai lasciato intendere. Anzi… guarda tu stesso.”
Henry parlava a William –che gli aveva strappato il pugnale di mano senza pensarci due volte- ma guardava me, con una tale intensità da farmi sentire spoglia dei miei stessi indumenti.
“Collins”, mormorò William,-“i Collins e…gli Stryder. I Cacciatori che hanno imprigionato mio padre, quelli a cui mia madre ha sempre dato... ma certo.”
E mentre ancora ricambiavo lo sguardo ostile di Henry, vidi con la coda dell’occhio Will voltarsi verso di me. Il suo sguardo bruciava sulla mia pelle, e avrei giocato carte false pur di rimandare il momento in cui avrei incrociato i suoi occhi. Perché, lo sapevo, sarebbe stato proprio quello sguardo a spezzarmi. Il leggervi anche il più piccolo cambiamento mi avrebbe distrutta definitivamente.
“Tu sei… mi hai tradito.”
In un attimo ci guardammo, e tutto mi parve così sbagliato.
Sbagliato il modo in cui sembrava non riconoscermi, ripugnarmi addirittura.
“William, lascia che io ti spieghi tutto quanto.”
“Il classico monito di chi non ha niente da esplicare, certo”, s’intromise Henry, che non perse occasione per mostrarmi la ritrosia che ha sempre provato nei miei confronti.
“Henry tu non devi intrometterti”, lo ammonì Genevieve ora abbandonando Ben alla sua sorte,-“non sono affari nostri. Ma William… devi guardare oltre ciò che vedi sulla superficie.”
“Vedo questo”, ruggì tra i denti, sollevando ciò che teneva in mano quasi fosse un qualcosa di putrido, -“e vedo lei, lei la ragazza che credo di amare che ha inchiodato a terra un mio stesso simile.”
“Ma non ho avuto scelta! Io non sapevo niente di tutto questo, devi credermi! William lasciami spieg…”
Feci per toccargli un braccio ma lui mi precluse il contatto scostandosi, ed io mi sentii già sconfitta in una guerra che era appena incominciata.
“Non fare così…”
“Ti sei avvicinata a me solo per arrivare a questo”, confermò unendo erroneamente i puntini di quello scenario,-“avrei dovuto capirlo. Eppure sembravi così sinceramente scossa quando hai scoperto chi ero davvero.”
“Non posso credere che tu stia dubitando di tutto quello che c’è stato tra di noi.”
“Non posso credere che tu mi abbia nascosto una parte fondamentale di te, dopo tutto quello che c’è stato tra di noi.”
Cercai di ignorare il profondo distacco misto a delusione nella sua voce e tentai nuovamente di riavvicinarmi benché fossi consapevole che se si fosse discostato ancora, allora non avrei più trovato il coraggio per farlo.
Ma proprio mentre la mia mano stava viaggiando verso la sua, un grido squarciò quella cortina di disagio, facendoci sobbalzare uno per uno.
Straordinariamente Ben si era seduto a terra con ancora l’attizzatoio che gli trapassava lo stomaco. Boccheggiò un qualcosa di incomprensibile e poi, come se lottasse contro delle mani invisibili che gli bloccavano il capo, ruotò la testa quel tanto che bastava per stabilire un contatto visivo con Henry Devonne.
Di nuovo, boccheggiò qualcosa al limite delle forze.
“Sta cercando di dirti qualcosa, Henry”, intuì Genevieve, ora chinandosi di fronte a Ben, che strabuzzò ancora di più gli occhi nel vederla. Mi domandai se non gli ricordasse spaventosamente la sua adorata Padrona.
-“He…n”, esalò inaspettatamente quest’ultimo. E nell’istante successivo il vampiro dalla chioma di fuoco si avventò su di lui, abbracciando la sua testa nella morsa fatale delle sue braccia; due movimenti e gliela staccò, sotto le mie urla incredule.
Diedi immediatamente le spalle a quella scena ripugnante e tra le imprecazioni di Genevieve e William riuscii comunque a cogliere altri strappi innaturali e il fuoco che si ravvivava accogliendo gli arti del vampiro. “Perché lo hai fatto?”
“Stava delirando”, spiegò Henry con la voce affannata,-“ho messo fine alle sue pene. O forse qualcuno in questa stanza avrebbe preferito vederlo agognare come una bestia?”
Non ci volle chissà quale sforzo per capire che si stava riferendo a me, ancora voltata di spalle e con le mani intorno alla bocca. Con un altro sforzo mi girai verso di lui, non riuscendo a non gettare un’occhiata alla pozza di sangue ai suoi piedi, alle sue mani e alla massa già annerita dal fuoco nel camino. Il mio stomaco protestò e mi sentii sbiancare.
Una cacciatrice di vampiri che non riesce a sopportare la vista di un vampiro squartato e messo al rogo, ci credete?
“Ho già detto che non è come può sembrare. Non sapevo di essere chi sono davvero prima di poche ore fa. Mia nonna mi ha informato tramite una lettera data dalla mia assistente sociale. Quel pugnale mi è stato recapitato sempre da mia nonna dopo averlo nascosto chissà dove per evitare che tua madre lo trovasse. L’ha torturata. Tua madre ha torturato mia nonna per arrivare a prendere quello che tu tieni nelle mani, William. E per averlo lei ha messo sulle mie tracce quei vampiri che mi hanno braccata per Londra, convinta che il pugnale fosse con me. E sai un’altra cosa?”
“Basta così”, m’interruppe lapidario, gettando il pugnale ai miei piedi,-“non voglio ascoltare oltre.”
No, non proprio ora che gli stavo per rivelare che era stata proprio sua madre a privarmi della mia e di mio padre, che gli aveva teso un’imboscata e che mi aveva rovinato la vita.
“E invece penso che dovresti ascoltare.” Non ero stata io a rivolgermi a lui con quel tono duro e anche un po’ arrogante, bensì Genevieve.
“Sorella…”
“Tu hai questa idea perfetta di mamma scolpita nella mente”, lo accusò lei, accalorandosi,-“eppure ora che ci vivi al fianco avresti dovuto accorgerti di chi è veramente. Pensi davvero, alla luce di tutti questi fatti, che l’arrivo di Emily al collegio sia stato casuale? O che forse l’ha orchestrato a dovere per evitare che le luci dei riflettori degli altri cacciatori non la raggiungessero nel suo regno?”
“Lei mi disse che aveva lasciato stare questa storia.”
Genevieve grugnì qualcosa portandosi il dito indice e il pollice a strizzarsi il dorso del naso, combattuta, evidentemente, se scuotere il fratello per farlo ragionare o recuperare un po’ di lucidità per rispondergli in modo civile.
Scelte la seconda opzione, per fortuna.
“Tu non puoi credere ad ogni cosa che dice! Lei mente, lei ha un piano ben disegnato in testa e non si fermerà fin quando non diventerà realtà. Se davvero ami Emily, devi fare una scelta.”
Dopo le parole di Genevieve sembrò che la temperatura nella stanza avesse subito un drastico calo.
Io, lei e suo fratello eravamo immobili, quasi avessimo paura ad emettere un solo suono. Le parole, imparai quella sera, possono essere armi.
“William, sono preoccupata. Nostra madre va fermata, e arrivati a questo punto non puoi più far finta che non sia vero.” La sua voce si addolcì percettibilmente, così come il suo sguardo quasi implorante.
“Adesso è diventata nostra madre? Ti sei preoccupata di rinnegarla per tutto questo tempo e adesso ti permetti…”
Bastarono quelle poche parole per riaccendere la fiamma che aveva avvolto Genevieve pochi istanti prima, così come bastarono due passi per fronteggiare William. Per la prima volta mi resi conto che esisteva un loro inferno personale, e che da quel giorno sarebbe diventato anche il mio.
“Nostra madre è solo un mio problema, tu stanne fuori, sorella.”
Poi si voltò a guardarmi e il suo sguardo mi fece serrare la mascella, zittendo persino le mie voci interiori.
Uscì dalla stanza seguito dai nostri sguardi smarriti; allora raccattai il pugnale da terra e mi ritirai nella stanza che mi era stata concessa.
   
 
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