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Autore: Ehybastaldo_    06/03/2015    0 recensioni
A parte qualche pomeriggio divertente o qualche festa altrettanto curiosa, mi vengono in mente solo due episodi in cui Louis mi ha messo nei casini con lui.
"Sono due le volte che ti metti nei casini, trascinandomi con te." gli dico, seria.
"Beh... Come si dice? Non c'è due senza te." prova a sdrammatizzare.
"In realtà si dice non c'è due senza tre." lo correggo e, come suo solito fare, alza gli occhi al cielo.
"Puntigliosa." mi prende in giro.
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Non ci credo.” ringhio a denti stretti.
Lo voglio strozzare, lo voglio imbavagliare, lo voglio torturare, lo voglio rinchiudere nell’arena degli Hunger Games. Ma senza Katniss o Peeta al suo fianco. Al massimo con Haymitch, ma senza una stupida bottiglia di alcol. Anche Effie andrebbe bene, quel rosa dei suoi capelli farebbe impazzire chiunque. Gale me lo tengo per me. Mi accontento anche di Finnick, in realtà, per lui sarei disposta a riempire casa mia di zollette di zucchero, o quello che vuole.
Sto delirando leggermente…
“E’ colpa tua, visto che mi sei saltata addosso.” mormora Louis, in segno di difesa.
Giro la testa di scatto verso di lui, fulminandolo con lo sguardo.
“Scherzi?” mi irrito di più, se si può.
“No, sono serissimo! Se tu non mi fossi saltata addosso quasi uccidendomi, a quest’ora non saremo qui.”  insiste.
Urlo e provo a lanciarmi verso di lui, venendo però bloccata dalle manette che mi hanno messo ai polsi, saldamente incastrati alla maniglia dello sportello della vettura della polizia.
“Smettetela voi due, là dietro. Non siete messi già in una buona posizione.” ci rimprovera il poliziotto che poco prima ci ha letteralmente tirati fuori dalla casa come in una di quelle scene che solo in tv ho visto. Fino ad oggi.
Le sirene dell’auto vengono accese e per il resto del tragitto me ne sto in silenzio, anche se l’unica cosa che voglio fare al momento è lanciare un Avada Kedavra al cretino al mio fianco.
Come fa, invece lui, ad essere così calmo? Io sto uscendo fuori di testa.
 
L’auto accosta poco dopo. Due poliziotti ci guidano dentro la centrale e io comincio a deglutire preoccupata: sulle sedie di plastica dura di colore nero ci sono tre uomini ammanettati, uno di loro ha il viso sfigurato da diverse cicatrici. Per un momento mi lancia uno sguardo atono, sobbalzo sul posto e arretro leggermente, fino a sbattere sul petto di Louis.
“Seguitemi.” ci ordina il poliziotto più giovane e, in silenzio, eseguiamo l’ordine. C’è una puzza di chiusa qua dentro, possibile che la senta solo io? Non voglio starci un secondo di più!
“Scusi, io domani…”
“Silenzio!” mi interrompe bruscamente quello. Poi prende un enorme mazzo di chiavi e apre una cella. Ma è serio? Per una stupida festa a cui non stavo nemmeno partecipando?
“Dentro.” ordina con tono pacato.
“Sì, ma io…” Louis non mi lascia finire, spingendomi verso la cella. Avvicina la sua bocca al mio orecchio e mi suggerisce di tappare la bocca.
E’ colpa sua se siamo qui! Voglio uscire, voglio urlare, voglio piangere.
Prima di chiudere la porta della cella puzzolente, per fortuna ci toglie le manette. Mi fanno male i polsi, ma finalmente posso tranquillamente strangolare Louis.
“Ti uccido.” dico freddamente non appena siamo da soli. Oddio, proprio da soli no, visto la cella è già occupata da altri tre ragazzi mai visti prima di adesso.
“Siamo già nei guai, vuoi peggiorare le cose?” mi minaccia e poi si siede su una panca di legno attaccata ai muri, sbuffando sonoramente. Io invece prendo posta quella di fronte alla sua, completamente vuota.
“Siamo?” richiamo Louis. “Ti rendi conto che ci hanno chiusi in un carcere per una stupida festa?” quasi urlo.
“Non è una vera cella.” si intromette uno dei tre ragazzi. Ha i capelli rasati a zero e due occhi azzurri, chiari quasi a quelli di Louis. “Se guardi bene, le sbarre sono di plastica rigida. Tengono qui quelli che commettono piccoli danni; domani mattina sicuro siete già fuori.”
Parla così sicuro di sé che per un momento penso non sia la sua prima volta qua dentro. Sposto lo sguardo su Louis.
“Resta il fatto che io a quella stupida festa nemmeno stavo partecipando.” digrigno ancora una volta i denti.
“Ehy, era una bella festa fino a quando non sei arrivata tu a rovinarla.” sbuffa ancora una volta. Comincio a pensare che sia lui quello strano sbuffo che fa ogni tanto l’autobus che prendo per andare in università.
Ha pure la faccia di controbattere. “E questa comunque non è una vera cella.” sottolinea, guardando per un attimo il ragazzo impiccione e ricambiando il sorriso idiota che gli appena fatto.
“Maledetta me e quando ci sono venuta.” mormoro e abbasso lo sguardo. Solo ora mi rendo conto di non aver avuto nemmeno la possibilità di cambiarmi. E sono in una stupida cella con una tuta che potrebbe sembrare quella di mia nonna. Posso morire?
Louis inspiegabilmente ghigna.
“Che c’è? Ero pronta per andare a dormire, ma per colpa di qualcuno, ho dovuto cambiare i miei programmi.” lo accuso.
“Ti sta bene. E’ tre volte più di te, ma comunque ti dona.” mi prende in giro. “Anche se ti preferisco quando indossi quei leggings stretti fino le caviglie. Adoro quelli neri.”
Al mio fianco, l’unica arma disponibile che trovo sembra essere un rotolo di carta igienica. Non mi faccio problemi e senza pensarci gliela lancio contro. Lui in cambio ride più forte.
“Smettila.” lo minaccio, ma la sua risata è stranamente contagiosa. E inspiegabilmente mi scappa un sorriso. Forse rido perché conosce i miei vestiti meglio di me, o forse rido perché sono appena diventata paonazza al fatto che lui mi abbia visto con quei stupidi leggings ultra-aderenti che mi ha regalato Skyler dai suoi ultimi acquisti.
All’improvviso lo vedo alzarsi e venire nella mia direzione, piega le ginocchia e si siede vicino a me.
“Per colpa mia finiamo sempre nei casini, eh?” mi chiede retorico.
E ora che ci penso, sono rare le volte che ultimamente io e Louis abbiamo passato del tempo insieme, nonostante all’inizio è andata così bene la nostra presentazione come nuovi vicini di casa.
Salgo i piedi sulla panca, pensierosa, e faccio due conti veloci: a parte qualche pomeriggio divertente o qualche festa altrettanto curiosa,  mi vengono in mente solo due episodi in cui Louis mi ha messo nei casini con lui.
“Sono due le volte che ti metti nei casini, trascinandomi con te.” gli dico, seria.
“Beh… come si dice? Non c’è due senza te.” prova a sdrammatizzare.
“In realtà si dice non c’è due senza tre.” lo correggo e, come suo solito fare, alza gli occhi al cielo.
“Puntigliosa.” mi prende in giro. “Comunque, qualche sarebbe il primo casino in cui ti ho cacciato io?” mi chiede prendendo posto comodamente sulla panca.
Ed è facile, perché ci eravamo appena conosciuti. Difficile da dimenticare per me.
Appoggio la testa al muro, guardando attentamente il soffitto scuro sopra le nostre teste e comincio il mio racconto, quasi perdendomi nelle mie stesse parole.
Ricordo perfettamente la prima volta in cui ho messo piede a Londra: ero spaesata e non sapeva da che parte andare. Skyler, al mio fianco, mi aveva gentilmente suggerito di andare prima alla casa della nonna  -che attendeva l’arrivo della sua nipotina. Se solo l’unica, mica è colpa mia.
Così, con le mie enormi valigie e quelle della mia amica, avevo preso per la prima volta la metro e avevo ritrovato la casa della mia nonnina che non avevo mai visto, se non in foto. Anche se lì, le villette erano praticamente tutte uguali. Ma solo nonna poteva avere quella strana mania per la cura delle piante, e quel giardino sapeva di mia nonna in tutto e per tutto. Ne ero convintissima!
Bussai alla porta con poca convinzione e guardai confusa Skyler: forse la nionna col tempo era diventata un po’ sorda, pensai in un primo momento.
E poi accadde tutto velocemente: uno strano ragazzo mai visto prima aprì la porta di fretta, chiudendola leggermente alle sue spalle e guardandosi intorno in modo ansioso. Poi parlò velocemente.
Non mi fu difficile decifrare ciò che aveva detto, visto che anche io avevo lo stesso difetto.
“Ma quanto ci hai messo? Ti scalerò venti sterline! Entra, muoviti!” e con quelle parole mi aveva strattonato dentro casa, lasciando Skyler e le mie valigie sul portico di casa. Me la immaginai con la bocca spalancata, stupida. Forse il doppio di me.
“Ehy! Scusami, ma…” mi interruppe bruscamente.
“Non c’è tempo per le scuse e per i ma! Seguimi!” mi strinse di più la mano, in modo che non potessi girare i tacchi e andarmene da quella casa, che di sicuro non era quella di mia nonna. Ma era identica!
“Mamma! E’ arrivata Lily dal Canada! Vieni che te la presento!” urlò lo strano tizio.
Chi era Lily? Perché mi aveva appena chiamata così? Che voleva da me? E soprattutto perché mi avrebbe tolto venti sterline?
Mille domande riempirono presto la mia mente che nemmeno vidi l’arrivo di una donna bellissima –Johanna, si presentò- fin quando non mi stritolò in un abbraccio affettuoso. Dovevano tenerci tanto a questa Lily.
“Oh cara, Louis ha parlato così tanto di te negli ultimi giorni.” mi sorrise.
Così lo strano tipo che indossava una maglia bianca a righe blu e sotto dei pantaloni con dei risvoltini, con gli occhi così chiari e azzurri da far invidia al cielo… Avevo già dimenticato il nome mentre lo stavo studiando. Bene.
“Sorridi.” Lewis –o Louis? Non ricordavo bene, in un primo momento- mi strattonò per un braccio e sussurrò quella parola tra i denti, in modo che solo io potessi sentirlo, restando comunque impassibile, con uno strano sorriso stampato sulle labbra rivolto alla madre, che continuava a guardare insistentemente me.
Mi sforzai e cercai di ricambiare il sorriso, reggendo il suo gioco. Altro che togliermi venti sterline, per questa bella messa in scena me ne doveva dare minimo duecento! Evidentemente questa Lily non esisteva e il tipo aveva preso chissà su quale sito online una ragazza a caso che potesse aiutarlo chissà per quale cosa.
“Salve signora…” lasciai in sospeso il saluto, imbarazzata. Facevo schifo con i nomi, non era colpa mia!
“Tomlinson.” mi aiutò il ragazzo, ridendo. “Chissà perché, ma ancora non ha imparato il nostro cognome.” provò a pararsi il fondoschiena che –mi era caduto l’occhio accidentalmente mentre mi aveva trascinato dietro di lui, giuro!- era ben messo.
“Addirittura? Dopo quasi sei mesi di fidanzamento non riesci a ficcartelo in testa?” madre e figlio risero di gusto, io deglutii preoccupata.
Caspita, doveva esserci in gioco qualcosa di davvero importante se il ragazzo si era inventato di sana pianta con tanto di scenetta il suo fidanzamento con una del Canada.
“Uhm… Comunque, la tavola è quasi pronta, se volete lavarvi le mani, Louis sai dov’è il bagno, fai il padrone di casa.” e per fortuna non seguì. Avevo bisogno di due  o tre risposte.
Entrammo nel bagno del piano superiore e Louis chiuse subito la porta alle sue spalle non appena vi entrò.
“Ma insomma! Sono tre settimane che proviamo la recita, ti ho anche dato una caparra in anticipo e tu dimentichi il mio cognome?” sussurrò, ma si vedeva lontano un miglio che voleva urlare.
“Ma io non sono questa Lily!” spiegai velocemente, difendendomi.
“Lo so che ti chiami Jasmine, ma quando ho detto a mia madre di voler andare a trovare la mia ragazza in Canada, l’unico nome che mi è uscito è stato quello, lo sai!”
In faccia diventò rosso come un pomodoro. Stava per esplodere, ma prima dovevo farlo io. Non era quello che intendevo.
“No, cioè… Io non sono chi pensi che io sia.” provai con altre parole.
“E non me ne frega niente. Io ti ho pagato per convincere mia madre a mandarmi per quasi un mese in Canada con i miei amici, anche se lei pensa che io ci venga per passarlo con te. Lo dovresti sapere.” sbuffò irritato.
“No, non lo so ! E io mi chiamo Ireland! Vengo dall’Irlanda e cercavo mia nonna, ho sbagliato solo casa!” urlai con tutta me stessa. Ero rossa in faccia, lo potevo vedere dal mio riflesso nello specchio alle spalle di Louis.
Il ragazzo si accigliò per un momento.
“Credo di non aver capito.” sbiascicò.
“Invece hai capito benissimo, cazzo!” mi tappò la bocca con un bacio.
Sbattei gli occhi un paio di volte, poi un urlo da bambina mi fece sobbalzare spaventata.
“Louis ha baciato la sua fidanzata!”
Evidentemente Louis non era figlio unico.
“Ti prego, aiutami a convincere mia madre a mandarmi in Canada. Ti ripago come preferisci.” mi supplicò alla fine. Quasi mi faceva tenerezza.
“Come preferisco io?” chiesi per conferma e lui annuì con foga.
Già sapevo come sfruttare quel desiderio  a mio piacimento, così lo assecondai.
 
“Quindi tu hai dei nonni da queste parti? Come si chiamano?” chiese curiosa Johanna, mentre portava la forchetta alla bocca, riempiendola di quelle deliziose lasagne che aveva preparato. E Louis non aveva solo una sorella. Penso che sua madre si era programmata di sfornare una squadra di calcio, per forza.
“Sono morti.”
“Scott.”
Io e Louis rispondemmo all’unisono. Ci guardammo per un attimo in faccia e, mentre Louis mi rimproverava con lo sguardo, io gli schiacciai un piede sotto il tavolo. Avremmo fatto a modo mio!
“Scott? Ireland Scott?” chiese ancora, attirando la nostra attenzione. E lei come la conosceva?
Annuii distratta.
“Che strano… Non mi ha mai parlato di te, eppure viviamo vicino da anni, ormai.” il suo tono sembrava deluso e pensieroso allo stesso tempo.
Per poco non mi soffocai con la saliva a quelle parole. Ma prima Louis ben pensò di ricambiare il mio gesto poco carino di qualche secondo prima, pestandomi di sorpresa un piede. Talmente ne fui sorpresa –e aveva fatto davvero male- che andai a sbattere col ginocchio contro il tavolo, facendo traballare tutto.
Poi il campanello di casa spezzò quell’imbarazzante momento che si era creato. E prima che me ne rendessi conto, Johanna era andata ad aprire.
Oh mio Dio! Avevo dimenticato Skyler, che di sicuro, ragazza per bene qual era, si era recata alla prima stazione di polizia nelle vicinanze per denunciare il mio rapimento.
“Signora Tomlinson, piacere! Sono Lily, scusi il ritardo!”
Louis ed io ci guardammo in faccia allarmati, suo padre e le sorelle sembravano non aver sentito nulla. Eravamo fottuti!
“E io sono Skyler, l’amica di Ireland a cui è stato detto di non fare nulla o la vita della mia amica sarevve stata in serio pericolo.” riconobbi perfettamente la voce di Skyler.
Guardai Louis in cerca di spiegazioni e lui se ne uscì con un semplice “Continuava a chiamare mentre eri in bagno. Ho dovuto farlo per forza maggiore.”
Ringhiai appena e mi avvicinai a lui in modo minacciosa.
“Io ti uccido.” Dissi.
“Stai tranquilla, che se non lo fai tu, ci penso io.” s’intromise Johanna.
 
Ricorderò sempre quel giorno. Siamo diventati vicini di casa, amici e poi quasi sconosciuti.
Non abbiamo mai avuto un granché di rapporto, io e Louis, ma ci è sempre andata bene questa… cosa.
“Oddio, sì! Ricordo la faccia infuriata di mia madre quando ti ha portato alla casa di tua nonna.” Ridiamo entrambi per un altro po’, poi cala il silenzio.
Gioco nervosamente con il laccio della mia tuta e spero vivamente che questi poliziotti, dopo aver sequestrato il cellulare di Louis stiano almeno avvisando i suoi genitori per liberarci.
“E qual è stata la seconda volta in cui ti ho messa nei casini, come la prima?”
Louis interrompe i miei pensieri tristi.
Sorrido divertita e “Non lo ricordi? Eppure è successo ad una delle tue feste.”
Louis mi guarda curioso.
 



 
SALVE!
Ecco il secondo capitolo, presto posterò
L’ultimo così mi potete dire che ne pensate c:
Intanto grazie per chi l’ha letta, seguita o messa nelle
Preferite <3
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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