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Autore: Clairy93    07/03/2015    9 recensioni
[Seguito di “Mi avevano portato via anche la luna”]
Trieste. 1950.
La guerra è terminata ma quella di Vera Bernardis è una battaglia ben più difficile da superare. E’ sopravvissuta all’abominio dei campi di concentramento, è divenuta un’acclamata scrittrice e ora ha una famiglia a cui badare.
Ma in certi momenti quel numero inciso sulla sua carne sembra pulsare ancora e i demoni del suo passato tornano a darle il tormento.
Situazioni inaspettate sconvolgeranno il fragile mondo di Vera ponendo in discussione ogni cosa, anche se stessa.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Olocausto, Dopoguerra
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Mi avevano portato via anche la luna'
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Cos’è questa meravigliosa sensazione?
E’ un piacevole tepore che si diffonde nel mio corpo, inoltrandosi nelle ossa, nei muscoli, per farsi poi strada nella parte più recondita del mio animo.
Che sia…felicità?
Ho come l’impressione di aver assorbito una quantità di energia tale da poter fare qualsiasi cosa io desideri.
E forse è proprio così.
Perché per la prima volta, non ho più paura.
Voglio vivere. Vivere davvero.
Ho avuto tante seconde possibilità, ma le ho sempre valutate come condanne piuttosto che nuove opportunità.
Ora basta.
Basta indecisione, basta rimproverarsi di colpe che vanno al di là del mio controllo, basta lacrime per ciò che ho perso ma essere grata dei doni ricevuti.
“Cosa pensi?” bisbiglia dolcemente Massimo al mio orecchio.
Mi volto e trovo le sue braccia pronte ad accogliermi.
I nostri corpi nudi si sfiorano, stretti sotto le pesanti coperte.
“A quanto sia perfetto questo momento. Vorrei durasse per sempre.”
“E chi ha detto che debba finire? Possiamo restare qui per tutto il tempo che vogliamo, in questo letto caldo ed accogliente, e se qualcuno oserà disturbarci…beh, dovrà vedersela con me!”
Lui mi stringe forte. Appoggia le dita sui miei fianchi per poi risalire con una lunga carezza fino al seno.
Affondo la testa nell’incavo della sua spalla, soffocando una risata che temo possa attirare l’attenzione di Amelia.
“Tu invece, a cosa pensi?” gli domando, dischiudendo le labbra contro le sue.
Massimo mi dà un lungo bacio, intenso, indugiando sulla mia bocca.
“Penso a quanto tu sia bella.”
Roteo gli occhi al cielo e gli do un buffetto sul mento.
Tuttavia Massimo è serio, mi osserva con quel suo sguardo dolce, disarmante e così intenso che pare possa leggermi dentro.
Sfioro con le labbra il suo collo, per poi rintanarmi sul suo petto.
“Perché non mi hai mai raccontato dei tuoi genitori?”
Per un secondo avverto la mano di Massimo irrigidirsi, prima di riprendere ad accarezzarmi il braccio.
“Tu non me l’hai mai chiesto.” specifica lui.
“Pensavo me ne avresti parlato tu. Non volevo obbligarti.”
“E come mai ti sei decisa proprio ora?”
“Ho domandato ad Amelia...” rispondo, sfoderando un sorriso innocente.
“Mia zia non aveva niente di meglio da fare che spifferare i dettagli della mia giovinezza?”
Pianto decisa il gomito nel cuscino, reggendo la testa con il palmo della mano.
“Non essere duro con lei!” lo rimprovero “Non mi ha rivelato niente. Forse perché ha ritenuto che non dovesse essere lei a farlo…”
“Non fraintendermi Vera, adoro mia zia. Non sarei quello che sono se non fosse stato per lei. E, cosa più importante…” si china per stamparmi un lieve bacio sulla spalla “Ti ha riportata da me.”
Massimo m’invita a riaccomodarmi accanto a lui, tuttavia dal suo tocco incerto trapela inquietudine.
“Cosa ti ha raccontato mia zia?” mi chiede infine, in un lieve e timido sussurro.
“Poco, molto poco. Ha accennato a tua madre e al genocidio del ’16.”
“E’ proprio in quell’anno in cui tutto è cominciato.” afferma, esalando un greve sospiro “Durante la Grande Guerra, mio padre fu chiamato ad arruolarsi. Il suo contingente fu mandato in Turchia, all’epoca nemica dell’Intesa. Lì conobbe una donna armena, mia madre. Era il settembre del 1915. I turchi già perseguitavano gli armeni in quanto considerati spie russe, li rapivano e si ignorava dove venissero portati, e d’altronde nessuno tornò mai per testimoniare. Mia madre aveva da poco partorito, convinse mio padre a portarmi in Italia, al sicuro. Lui accettò. Ma quando tornò da lei, era scomparsa. Nonostante fossero stati insieme per poco più di un anno, penso che lui l’abbia amata profondamente.”
“Tuo padre ti parlava tanto di lei?” gli chiedo, levando in alto il capo in cerca del suo sguardo.
Massimo scuote la testa.
“No, raramente.” risponde lui, mettendo le braccia dietro la nuca “Io crescevo e mio padre era come se non esistesse. Si gettava a capofitto nel lavoro, ore e ore trascorse nei campi. Non si fermava mai, come se non sentisse la stanchezza. E quando non lavorava, passava la notte a bere.”
I suoi occhi scurissimi si velano di malinconia, persi in quelle stanze di ricordi che con fatica sta riaprendo per condividerne il contenuto con me.
“Tu non gli hai mai domandato di tua madre?”
“Così tante volte da smettere. Lui era sempre elusivo... Ma un episodio lo ricordo bene. Nei momenti più improbabili, a cena, durante la notte o mentre era incollato alla canna della bottiglia, all’improvviso diceva: Me l’hanno portata via. E non ho potuto fare niente per salvarla…”
Cade il silenzio.
Un silenzio fatto di ricordi, di cose non dette, di atteggiamenti sbagliati.
Quel silenzio impossibile da colmare per chi, come il padre di Massimo, è sopravvissuto alla guerra, durante la quale si è visto strappare la propria essenza e l'ha riottenuta ammaccata e compromessa per sempre.
“Nel frattempo eravamo riusciti a mettere da parte una bella somma di denaro.” prosegue Massimo, accarezzando i miei capelli con tocco tremante “Mio padre decise di investirli. Ma con la grande depressione del ’29, perdemmo tutto. E in quell’istante mio padre toccò il fondo. Una mattina mi svegliai, avevo tredici anni. Invece di trovarlo steso sul divano, avvinghiato alla sua bottiglia di vino, vidi due carabinieri e mia zia Amelia, seduta su una sedia, che mi guardava con gli occhi colmi di lacrime. Lui era morto, si era ucciso, proprio dietro casa nostra.”
Mi metto a sedere e passo piano una mano tra i suoi capelli, sistemando alcune ciocche arruffate, per poi accarezzargli il viso.
I suoi occhi arrossati sembrano più neri e densi, profondi come quella sofferenza che traspare dal suo volto ma che tenta di smorzare con un sorriso.
“Dopo di che sono andato a vivere con mia zia, qui alla fattoria. A sedici anni mi sono arruolato. In questo modo fu più semplice reperire i documenti su mio padre, ricostruire la sua storia, soprattutto durante quell’anno trascorso in Turchia. Scoprì il nome di mia madre, si chiamava Hande. Significa “risata”, o qualcosa del genere. Risalii al nome del campo dove fu deportata e uccisa. Apparteneva ad un generale, un certo Ebert Schröder. Non ci misi molto a scoprire che era ancora in vita e abitava a Dresda, in Germania. Ricordi Vera, la prima volta che abbiamo dormito insieme?”
“Certo, era il marzo del 1943.” confermo, stringendomi più a lui.
“Ti dissi che mi avrebbero mandato in Germania, senza poter rivelarti altro. Ho mentito. Andai a Dresda, a cercare Schröder. Quando tornai a Trieste tu non c’eri più, ti avevano portata alla Risiera di San Sabba. Subito mi esplosero nella mente le parole di mio padre, me l’avevano portata via e non ho potuto fare niente per salvarla. Io non sarei finito come lui, con il rimpianto di aver abbandonato a morte sicura la donna che amavo. Avevano osato portarti via da me, io avrei fatto qualsiasi cosa per riportarti a casa.”
Mi sciolgo dal suo abbraccio per potermi voltare, appesantita da un improvviso e acuto senso di colpa.
“Massimo. Tu hai disertato, ti sei infiltrato tra le SS per farmi evadere da Mauthausen, ti hanno catturato, torturato e sei rimasto in carcere per cinque anni solo per salvare me?”
Lui intreccia le sue dita con le mie, posando per un istante lo sguardo sul mio avambraccio lungo il quale, seppur leggermente sbiadito, è ancora inciso il numero.
“Solo per salvarti?” ripete lui, sbigottito “Vera, la tua vita è ciò di più prezioso io abbia mai voluto custodire. Ti avevo mentito e abbandonata per portare a termine una mia folle vendetta, quando sarei dovuto rimanere a Trieste per proteggere te e la tua famiglia.”
“E alla fine, lo hai trovato quel generale?” chiedo, lasciando trapelare la mia apprensione.
“Sì…”
La voce di Massimo è poco più che un incerto sussurro.
“…Lo hai ucciso?”
Lui esala un lungo e silenzioso sospiro che sembra però amplificarsi all’infinito, insinuandosi nel profondo.
“No, non ci riuscii.” risponde all’improvviso “Andai da lui, ma feci in modo che non si accorgesse di me. Vive in una piccola villa in campagna, a pochi chilometri da Dresda. E’ sposato e ha tre figli. Sua moglie era incinta del quarto. Lui giocava con i ragazzi in riva ad un lago. Si riconcorrevano. Uno di loro aveva spruzzato dell’acqua, bagnando la madre seduta sotto la fronda di un albero. Schröder corse da lei, la baciò sulla fronte e l’asciugò. Avevo il dito sul grilletto, sarebbe bastata una lieve pressione…ma dio, quanto tremavo! Non ci sono riuscito. Non potevo permettere che quei ragazzi vivessero un’infanzia come la mia…”
Prendo il suo volto tra le mani, così da poter incatenare il suo sguardo al mio e porlo in salvo da quel mare oscuro e turbinoso che intravedo nei suoi occhi.
“Sei un uomo straordinario Massimo. Hai sempre dimostrato una bontà e un altruismo immenso. E con questo gesto, non hai solo risparmiato la vita di un uomo. Hai salvato una famiglia. E hai salvato te stesso.”
Lui mi bacia con irresistibile dolcezza.
Rimaniamo così, stretti l’uno all’altra, in un abbraccio che ha il profumo della notte.
Finché noto Massimo accigliarsi, turbato da alcuni piccoli graffi presenti sui miei palmi.
Lui afferra le mie mani rigirandole delicatamente tra le sue, per poi indirizzarmi un’occhiata confusa.
“Sbucciare frutta per ore intere può causare qualche piccolo infortunio.”
Così gli racconto di Amelia e della spropositata quantità di frutta da pulire. Ho capito solo dopo che quello è stato il suo stratagemma per temporeggiare e darmi la possibilità di riappacificarmi con Massimo.
“Dovrò dire a mia zia di smetterla di schiavizzarti.” dichiara lui e scoppiamo in una fragorosa risata “E di darci un taglio anche con questi assurdi piani tattici!”
Ridiamo ancora di più.
“Sai, è bello qui.” affermo, accoccolandomi vicino a lui “Mi piace la quiete che si respira, poter stare a contatto con la natura, lontano dai rumori…”
“E allora torna a Trieste. Vieni a vivere qui!” m’interrompe prontamente Massimo “Con Tommaso!”
“Come faccio con il lavoro? E la scuola di Tommy?”
“E dove sta il problema Vera? Ci organizzeremo. Non ti piacerebbe ricominciare da dove tutto è iniziato?”
Lui sfiora la mia fronte con un bacio e sorrido serena.
“Sarebbe bellissimo.”



Angolino dell'Autrice: Ciao miei gommosi e zuccherosi marshmallows! :3
Con questo capitolo abbiamo letteralmente fatto un salto nel passato di Massimo. E purtroppo, il prossimo sarà il capitolo conclusivo.
Mi spiace tantissimo, ma sono così felice perchè con questa storia ho avuto l'occasione di conoscere voi, che siete delle persone straordinarie!
Però! C'è un però! Mi sono lanciata in un'avventura. Ho iniziato a scrivere una nuova storia che potete trovare qui: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3047712&i=1.
Si intitola "Come compromettere la carriera...e vivere felici", è un giallo ed è un genere con cui non mi sono mai confrontata prima.
Questo mi spaventa, ma allo stesso tempo ho voglia di mettermi alla prova!
Se volete rimanere sempre aggiornati o magari fare quattro chiacchere, passata nella mia pagina Facebook --> https://www.facebook.com/pages/Clairy93-EFP/400465460046874?ref=hl
Grazie di cuore per tutto quello che fate per me! Ve amo 'na cifra!
Buona domenica!
Clairy.
   
 
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