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Autore: _candyeater03    07/03/2015    4 recensioni
{Tributi dei Settantaquattresimi Hunger Games}{Raccolta di OneShots; 10159 parole}
***
Questo è il canto dei tributi, una confessione, un sussurro, un epitaffio.
Gli ultimi pensieri di molti che non lo credevano, perché la morte coglie di sorpresa. Di molti che hanno abbassato la guardia nel momento fatale, convinti di essere al sicuro. Illusi anche solo per un giorno di potercela fare.
Ma non era forse sempre stata questa la regola? Un solo vincitore. Oppure due, magari.
Questo è il racconto di sette morti, e di altre tre. Dieci anime bambine soffiate via, dieci colpi sul tamburo della ribellione.
***
1. You and I’ll be safe and sound
2. Just close your eyes
3. I remember you said don't leave me here alone
4. I remember tears streaming down your face
5. No one can hurt you now
6. You'll be alright
7. Hold on to this lullaby
8. All that's dead and gone and past tonight
9. Come morning light
10. Everything's on fire
11. Epilogo
Genere: Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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You’ll be alright



 
Mi ero buttato a capofitto nel campo.
Forse le spighe alte un metro e mezzo non erano propriamente sicure, ma ogni cosa anche solo apparentemente priva di insidie mi sembrava perfetta.

Poi quel campo indisturbato, al limitare dell’Arena, mi ricordava il Distretto 11.
I campi colorati d’estate che si estendevano per chilometri, i frutteti che infondevano nell’aria un profumo inebriante, il cielo rosato all’alba, gli uccellini mattinieri che si esibivano in timidi canti alle quattro del mattino, ricordandomi che non ero l’unico a non dormire.

Avevo preso un respiro profondo.
Non dovevo pentirmi di aver pensato che ne avrei potuto farne ritorno. Assolutamente no. Dovevo solo sperare che Cato e la Ragazza in Fiamme si sarebbero uccisi a vicenda, e allora mi sarebbero rimasti come avversari solo la ragazza del 5 e l’Innamorato.
Certo, era un bel rischio. Ma la mia vita era fatta di rischi.

Avevo sentito un suono in lontananza. Un rapido susseguirsi di passi pesanti e di respiri affannati.
Qualcuno si stava avvicinando, e avevo temuto di sapere chi fosse. Un tributo con cui avrei avuto infime possibilità di sopravvivenza. Mi aveva visto, ma fortunatamente non sembrava troppo veloce.
In corsa sarei riuscito sicuramente a battere Cato, ma mancavano solo dieci metri prima che mi raggiungesse. 

Nove.
Istintivamente, avevo afferrato la mia spada, che mi sarebbe stata utile, molto utile, ma che non mi avrebbe necessariamente salvato. 

Sette.
Avevo lasciato indietro lo zaino che gli avevo preso mentre piangeva la sua Clove, nella vaga speranza che così mi avrebbe lasciato andare. Comunque mi odiava per averla uccisa, e l’avrebbe vendicata ad ogni costo.
In ogni caso, avrebbe dovuto aspettarselo. Clove aveva commesso il grosso errore di nominare Rue... 

Cinque.
Il resto, invece, l’avevo preso. Il piccolo zaino contrassegnato dal numero 11, che conteneva una confezione di pomata per le ustioni, le provviste, la tintura di iodio. 

Tre, due, uno… 
Si stava avvicinando, ed io non avevo ancora iniziato a correre.

Prima che fossi riuscito a prendere velocità, il Favorito mi si era avventato contro.
Cato era riuscito con facilità a disarmarmi, e stava provando ad atterrarmi per infliggere il colpo mortale. Fortunatamente, non era molto più robusto di me, perciò ero riuscito, seppur per poco tempo, a disarcionarlo. In risposta, lui mi aveva assestato un forte pugno in pieno petto, bloccandomi per qualche secondo.

Stava brandendo un coltello con una smorfia carica di sadismo, odio, amarezza e soddisfazione.
Non si sapeva quale emozione dominasse in lui.

“Perché hai preso ciò che era mio”, Cato mi aveva trafitto lo stomaco con la spessa lama del coltello, e si era appropriato di entrambi gli zaini. “E…per Clove”, l’ultima parola racchiudeva in sé tristezza, amarezza e nostalgia.
Questa volta mi pugnalò al cuore, come per simboleggiare che io avevo ferito a morte quello del mio avversario.

Ecco cosa insegnavano gli allenamenti nel Distretto 2.
A uccidere. Uccidere spietatamente, perché ogni cosa poteva apparire come un nemico.

Cato si era allontanato euforicamente per la dolorosa vendetta, mentre io ero a terra, immobile e inerte.
Probabilmente stavo impallidendo visibilmente per la perdita di sangue.

Il cielo del tramonto si tingeva di bagliori rosati e ambrati.
Avevo sospirato di nostalgia pensando a quante volte mi ero trovato sotto quello stesso cielo, del tutto ignaro di ciò che mi sarebbe successo.
La mia vista stava iniziando ad offuscarsi. Iniziavo a vedere il cielo di un colore verde pallido, quasi come le foglioline primaverili.

Anche se il tutto stava velocemente diventando nero, non piansi.
Se era quello che Capitol City voleva vedere, non l’avrebbe visto. Sarei stato bene, lontano da quella società malsana e crudele, con tutte le altre vittime che gli Hunger Games avevano mietuto in settantaquattro anni, e che avevano capito troppo tardi di non essere la pedina di Capitol City. Perché solo una persona è artefice del proprio destino, e non può essere costretta a schemi calcolati dai potenti.

Avevo chiuso gli occhi, un attimo prima che anche la mia mente si tingesse di nero.






NdA:
Ma salve! Finalmente sono riuscita ad aggiornare, perché tra matrimoni in famiglia (non chiedete dettagli), pattinaggio sul ghiaccio con gli amici (nemmeno ora) e un'improponibile quantità di compiti non ce l'ho fatta prima xD
Ebbene sì, capitolo di Thresh (che prima mi stava antipatico perché aveva ucciso Clove, ma mettersi nei panni di un personaggio è molto psicologico O.O).
Oh, e c'è la mia cara sorellina di nove anni che brandisce una mannaia pronta ad uccidermi perché non ho inserito accenni alla Rue/Thresh (si chiama Resh?), che è la sua coppia preferita. 
Il prossimo capitolo è quello di Rue, quindi prevedo già prima di scriverlo che sarà molto deprimente. 
Ciao!

Candy<4
   
 
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