Capitolo
Sedicesimo
In cammino
Niphredil
lascia le Sale di Angus prima che si levi l’alba.
Scivola
oltre la palizzata di legno e si mette in cammino, accompagnata dal sussurro
del ruscello e dallo splendore adamantino delle stelle che trapuntano la volta
celeste.
Segue
il torrente per tutto il giorno, dal sorgere del sole fino all’infuocato
tramonto e, alla fine, davanti ai suoi occhi compare l’Inondagrigio, dai flutti
placidi e la spuma cristallina.
Niphredil
si accampa sulle sue sponde. Nonostante l’umidità e la frescura della sera,
ormai è primavera inoltrata ed il freddo non è altro che un ricordo.
Dopo
aver svogliatamente mangiato un boccone di carne secca e salata, l’elfa estrae
il flauto di legno e, per la prima volta da lungo tempo, suona una melodia
lenta e triste, un lamento che sembra riecheggiare anche dopo che Niphredil ha
posato lo strumento.
Dopo
averlo riposto, si corica, stendendo il sacco a pelo dove l’erba cresce più
folta.
L’elfa
sospira, tentando ancora una volta di accantonare il pensiero che l’ha
tormentata per tutto il giorno, come un’ombra che si allungava dietro di lei,
seguendo i suoi passi. Non vuole pensare ai nani, perché sa che il dolore la
riporterebbe indietro, alle Sale di Angus, e sa che non è la cosa migliore. Col
tempo, forse, l’odio di Thorin si affievolirà e magari, un giorno, Niphredil
potrà recarsi sugli Ered Luin, per vedere coi propri occhi come i profughi di
Erebor hanno ricostruito la propria vita. Forse quello sarà un giorno di
risate, di canzoni, sarà un giorno di perdono, perché la pace avrà lenito le
ferite della memoria.
Con
questa speranza nel cuore, Niphredil si addormenta.
Nei
suoi sogni, cammina in una fortezza deserta, dove ogni passo risuona come un
colpo di tamburo.
Le
pareti sono di nuda roccia, con enormi vani dove i picconi hanno scavato con
avidità, per estrarre gemme preziose. Il pavimento, invece, è d’oro, con
delicate venature scarlatte, del colore del sangue.
“Una volta non riuscivo a
comunicare con gli esseri di carne. Non potevo sfiorarli, né il mio pensiero
riusciva a diventare una parola udibile alle loro orecchie” la sorprende una voce
sibilante, stranamente familiare.
Niphredil
si volta e, nell’attimo in cui compie quel movimento, si trova imbrattata di
sangue nerastro, dall’insopportabile fetore.
L’ombra
le si avvicina, allargando le braccia sottili, vestite di nebbia.
“La mia essenza era
flebile, indebolita dalla lunga veglia. Per una breve, confusa stagione ho
potuto camminare fra di voi, ho potuto toccare i vostri oggetti, sentire il
vostro calore.”
-
Ti ho già sognato, una volta. – realizza Niphredil – ma non rammento quando. –
“Perché sto svanendo.
Ancora una volta, la stanchezza mi inghiotte. Ormai non sono altro che un
sogno, di cui all’alba non si serba memoria.”
-
Perché sei qui, allora? Perché cerchi comunque di parlarmi, se non ignori la
futilità dei tuoi tentativi? –
L’ombra
allarga le braccia e, dalle tenebre alle sue spalle, si delineano altre sagome.
Sono
simili alle persone che Niphedil conosce, ma i loro occhi sono vuoti e, quando
muovono le labbra, parlano con la voce dello spirito.
“Per
onore” ringhia Thorin
“Per
dovere” pronuncia Balin
“Per
istinto” esala Legolas
“Per
la pace” sussurra Luinil
“Per
egoismo” mormora il padre di Niphredil
“Per
amore” sorride Thranduil
“Lo faccio per me stesso” conclude
l’ombra, comparendo ad appena un palmo dal volto di Niphredil. La sua mano di
nebbia le accarezza le guance, seguendo i suoi lineamenti “è la tragedia che grava sul mio fato, non trovare mai riposo. Forse ho
un destino cui adempiere. O forse i miei sforzi sono vani ed io non sono altro
che una dissonanza nell’armonia del creato. Non perdere il pugnale, fanciulla.”
La
sagoma col volto di Thranduil le si avvicina, posandole le mani sulle spalle.
“Usa
le vie più rapide, per fare ritorno a casa” le mormora.
Con
quell’ultimo sussurro, il sogno collassa. Le pareti di pietra diventano lisce
come specchi, poi si trasformano in liquido e scorrono a terra, fondendosi col
pavimento. L’oro e l’argento si mescolano e dal nulla compare una luce
accecante, sempre più alta e più brillante, come fuoco bianco.
A
quel punto Niphredil si sveglia. Il sole è sorto e le riverbera in faccia,
riflettendosi sull’Inondagrigio.
Per
un attimo, il sogno è ancora nitido, fra i suoi pensieri, ma poi scompare,
lasciando solo pallide tracce di sé.
-
Usa le vie più rapide, per tornare a casa. – mormora Niphredil, confusa, mentre
il cuore le batte rapidamente nel petto.
-
Se n’è andata?! – ruggisce Glòin,
battendo una mano sul tavolo e facendo traballare i boccali
-
Se non sbaglio, non era costretta a restare. Aveva svolto il suo compito. –
rileva Dìs
-
Oh, una preoccupazione in meno, tanto meglio. Dormirò sonni più sereni. –
sbotta Dwalin.
Glòin
serra le braccia sul petto, con un grugnito.
Seduto
accanto a lui, Balin rimane in silenzio, assorto nei suoi pensieri.
Anche
a lui sembra incredibile, che Niphredil se ne sia semplicemente andata. Non la
riteneva vincolata ad alcun giuramento, eppure si sarebbe aspettato un saluto,
una parola di congedo. Un sorriso, una stretta di mano e la promessa di
rivedersi, un giorno.
Sospira,
sbocconcellando una pagnotta speziata, poi si volta verso Thorin.
Il
nano, seduto a capotavola, sta fissando il vuoto con aria truce.
-Tu
che ne pensi, Balin? – gli domanda Dìs in quel momento, interrompendo le sue
riflessioni
-
Potrebbe darsi che affari urgenti l’abbiano richiamata a casa – risponde,
assorto, quasi pensando a voce alta.
Glòin
mastica qualcosa di incomprensibile, poi svuota in un sorso il boccale di
birra.
Balin
gli lancia uno sguardo di sottecchi. Per quanto il nano fulvo cerchi di
nasconderlo, ci è rimasto male. La partenza di Niphredil non solo l’ha colto di
sorpresa, ma l’ha anche ferito. Stavano diventando amici.
Balin
sospira, cercando di esaminare i propri sentimenti. Anche lui è dispiaciuto, ma
più di ogni altra cosa è preoccupato.
Preoccupato
perché ha più senso che le sia successo qualcosa, piuttosto che sia scappata
nella notte, come un ladro, senza nemmeno un tentativo di spiegare. Preoccupato
perché Thorin ha in volto i segni dell’astio e della colpevolezza, e perché
Niphredil aveva un segreto, un segreto che potrebbe essere venuto alla luce.
Sorseggia
la sua birra poi, con un sospiro, si alza in piedi.
-
Andrò a controllare che tutto sia pronto per la partenza. – spiega, allargando
le braccia.
Anche
Thorin si alza: - vengo con te. –
I
due nani lasciano la sala e s’incamminano verso la barricata. Attorno al
portone sono raggruppati i bagagli. Alcuni carri per le provviste, pesanti
zaini e bisacce di unguenti ed erbe curative.
-
Sembri turbato – esordisce Balin – posso chiederti il motivo? –
Thorin
solleva lo sguardo: - tu lo sapevi? – chiede. Non c’è risentimento, nella sua
voce, solo una profonda stanchezza – sapevi che Niphredil era la comandante del
Reame Boscoso, oltre che l’amante di Thranduil? –
Balin
congiunge le mani, intrecciando le dita: - lo sapevo. – risponde, con un
sospiro – e sapevo che non si dava pace, per la menzogna. Aspettava il momento
migliore per parlarti. –
-
Non difenderla! – sbotta Thorin
-
Non la difendo – replica Balin, quietamente – cerco di farti vedere l’intero
quadro. La rabbia acceca, amico mio, non dobbiamo fidarci di quello che ci
mostra, perché è sempre un disegno parziale. –
-
Non mi fidavo più di lei, per questo l’ho cacciata. –
Balin
solleva un sopracciglio, per poi accarezzarsi la barba: - è davvero questo il
motivo? – indaga, in tono gentile.
-
In parte – ammette Thorin, scuotendo la testa – Tu che ne pensi, Balin? –
Balin
sospira, poi appoggia una mano sulla spalla del principe: - penso che Niphredil
non meriti il tuo odio, ma credo anche che sia impossibile costringere qualcuno
a dimenticare il passato. –
Luinil
scosta con un calcio il cadavere di un ragno.
-
Qui abbiamo finito – capitola, riponendo il sottile arco di legno chiaro – se
però i ragni ritornano, saremo costretti ad andare a distruggere i nidi, a
nord. Intanto torniamo ad Eryn Galen. –
Gli
altri esploratori annuiscono poi, in ordine e in silenzio, s’incamminano lungo
il sentiero, nascosto dall’erba alta ma facilmente visibile ad un occhio
addestrato.
Luinil
chiude la fila e quando una mano le si stringe delicatamente al polso si volta
di scatto, con una smorfia.
-
Mi stai spiando? – sbotta, trovandosi di fronte a Legolas
-
Sì – ammette lui, candido – ma non fraintendere le mie intenzioni: non è
mancanza di fiducia nelle tue abilità, è semplice noia. – tira Luinil verso di sé, per poi arruffarle i capelli –
stai facendo un gran bel lavoro. –
-
Erano solo ragni – mormora, imbarazzata
-
Non è solo per i ragni – sorride Legolas – è per come stai gestendo la
situazione. Gli uomini sentono la mancanza di Niphredil, però ti obbediscono.
Ti rispettano… - il principe abbassa la voce, poi aumenta un po’ la stretta
sulla mano dell’amica -… anche se sospetto che tu non desiderassi il fardello
del comando. Ti prego, dimmi se sto candendo in errore. –
Luinil
sospira, poi scuote il capo: - non ho mai pensato potesse accadere – confessa,
sottovoce – ho sempre pensato che Niphredil ci sarebbe stata per sempre, che
sarebbe stata lei a guidare l’esercito. –
-
Eppure eri conscia che ti stava addestrando per succederle – rileva Legolas
-
Una volta me l’ha chiesto, sai? Mi ha versato una coppa di vino e mi ha detto
“Lu, io ti sto insegnando tutto quello che so. Quand’eri bambina ti ho letto le
favole che mio padre aveva letto a me, ti ho cantato le canzoni che lui mi
sussurrava, per farmi dormire, ed ora ti sto mostrando l’unica via che conosco,
la via della spada e dell’arco, la via della corazza e dello stendardo. Ma se è
un altro, il tuo desiderio, allora parlamene, ti prego, e troveremo un’altra
soluzione. Voglio che tu sia felice, Lu.”. Io… ho esitato, ma poi ho pensato a
mio padre, al suo sorriso quando sistemava le armi, all’orgoglio nella sua voce
quando mi parlava del suo compito. Rinunciando all’addestramento mi sembrava di
deluderlo. – Luinil distoglie lo sguardo dagli occhi di Legolas, con un gemito
– Pensavo davvero di volerlo. –
Il
principe le accarezza la guancia, sollevandole il viso: - Il fatto che tu abbia
a lungo seguito una via non significhi che non ne esistano altre – dice,
sottovoce, posando la fronte su quella dell’amica – cosa vorresti, davvero? Che
vita desideri, Luinil di Eryn Galen? –
Luinil
arrossisce: - ti metteresti a ridere, se te lo dicessi. – si schermisce poi,
agitando una mano
Legolas
sorride: - dimmelo lo stesso. Non può essere così terribile. –
L’elfa
sospira poi, rassegnata, inclina il capo e sussurra qualcosa all’orecchio del
principe.
Legolas
stringe le labbra – mi sembra legittimo, Lu – riesce poi a pronunciare,
trattenendo le risate.
I
giorni successivi scivolano rapidi e frenetici, per tutti.
I
nani sono di nuovo in cammino, pieni di aneddoti e progetti. I loro passi e le
loro voci riecheggiano lungo il Verdecammino, precedendo la carovana.
Gli
orchi sciamano dal nord, calandosi lungo gli irti pendii delle Montagne
Nebbiose fino a raggiungere gli Erenbrulli. Mentre marcia, a capo dell’avanguardia,
Sinag si sente ancora addosso gli occhi del drago. Ogni volta che storce le
labbra, le ustioni non ancora guarite gli inviano fitte di dolore, quasi a
rammentargli che il maledetto serpente avrebbe potuto ucciderlo. E invece, come
suprema beffa, ha scelto di risparmiarlo, per lasciargli condurre una vita col
fardello di quell’umiliazione.
Tanto
pesanti e sgraziati sono i passi degli orchi, tanto rapida e lieve è l’andatura
di Niphredil.
Risale
l’Inondagrigio, camminando sulle sue sponde, finché il fiume non si biforca. Da
un lato il Bruinen, che porta verso Imladris. Niphredil accarezza per un attimo
l’idea di seguirlo, di raggiungere l’Ultima Dimora Accogliente, per incontrare
sire Elrond e trascorrere qualche giorno con la sua gente, ma il desiderio di
rivedere Thranduil prevale e l’elfa imbocca la via opposta, quella che segue l’altro
ramo dell’Inondagrigio, quel fiume che è chiamato Mitheithel.
E’
un cammino solitario, ma pacifico, accompagnato dal sole e dal canto dell’acqua.
Mentre
oltrepassa il confine e si lascia l’Eriador alle spalle, Niphredil riflette
sulla propria vita. Rivede ogni giorno trascorso, il sangue versato, le imprese
compiute, gli ordini che ha ingiunto e quelli a cui ha obbedito, alle
roccaforti protette e a quelle perdute, ripensa ai momenti di dubbio che l’hanno
trattenuta, agli errori in cui è caduta, ai sospiri che le hanno riempito il
petto.
Ogni
tanto, sente i secoli pesare sulle proprie spalle. Soprattutto quando è sola,
quando non c’è Thranduil a baciarle dolcemente le labbra e a sussurrarle che
una lunga via può essere piacevole, quando si è in due a percorrerla.
--La Coda!
Questo
capitolo è cortino, eh. Ops. Scusate.
E’
che tutti stanno camminano, che noiaaa!
Provvederò
ad aggiornare con il prossimo in tempi brevi, così che succeda almeno qualcosa, in questo benedetto racconto
:P
Un
bacio!
-
La Matta
P.S.
– gli itinerari sono stati pensati dalla sottoscritta (immaginatevi una me
molto perplessa davanti alla mappa della Terra-di-Mezzo, che si gratta la testa
cercando di calcolare tempi e strade), quindi tutt’altro che immuni da errori.
Qualora ne trovaste, fatemi sapere ;)