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Autore: coldfingergurl    09/03/2015    5 recensioni
Non ricordava il volto di quello schiavo, ricordava solamente i suoi occhi e tutta la paura che quel tipo aveva provato nello stare fermo in mezzo a una stanza piena. Non aveva avuto il coraggio di guardarlo in faccia per bene, per memorizzare le sue fattezze, mentre sperava che il padre non lo costringesse davvero a fargli del male.
Quel mondo non aveva mai rappresentato una persona come Minho, lui non si era mai sentito parte integrante di quella società malata e immorale e non aveva mai considerato un’altra persona indegna di rispetto.
[OnHo]
Genere: Angst, Generale, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jonghyun, Key, Minho, Onew
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ok, questo è l'ultimo capitolo e so che il finale vi lascerà con l'amaro in bocca, ma non odiatemi ò.ò. Dal mio punto di vista era il finale più adatto, sinceramente stava diventando troppo lunga e non avrei comunque saputo come finirla, potete immaginare il continuo come volete :P 



Minho si stava riprendendo abbastanza bene dopo l’essersi svegliato, senza nessun ricordo degli eventi, da quel coma che lo aveva costretto a letto per cinque mesi. Sua madre e Jinki si stavano prendendo cura di lui lasciandogli fare tutte le domande che ancora aveva a causa di quello che era successo al Nucleo, purtroppo non sembravano molto interessati a rispondergli e non aveva ottenuto nessuna risposta convincente, almeno secondo lui.
Qualche ricordo sparso era tornato, non del tutto nitido. Per esempio ricordava che Minseok gli aveva sparato alle spalle mentre lui cercava di avvisare Jonghyun della presenza di una guardia nella stanza. Il fratello era sempre stato meschino, un comportamento del genere se lo sarebbe dovuto immaginare e avrebbe dovuto prestare più attenzione ai suoi movimenti.

L’uccisione del padre era stata incredibilmente veloce, Kibum si era limitato a tagliargli la gola, Jonghyun gli aveva consigliato una morte veloce per evitare di venire scoperti ed uccisi ancora prima di veder morire quell’uomo. Minseok forse si era salvato, forse uno dei due amici lo aveva freddato dopo che Minho era stato ferito, non lo sapeva e non poteva ricordarlo poiché era svenuto immediatamente e l’unica cosa che ricordava era la voce di Jonghyun.
Appena uscito dall’ospedale avrebbe chiesto a sua madre, Jinki non poteva saperne più di lui essendo rimasto tutto il tempo all’entrata del tunnel dove lo avevano lasciato, la donna rimaneva la sua unica fonte di informazione purtroppo.
Non riusciva a fidarsi di lei e delle sue parole, per quanto ne sapeva poteva essersi inventata tutto o avergli fatto un lavaggio del cervello con qualche tecnologia nuova a disposizione dei superricchi. E dire che prima, da ricco lobotomizzato, non avrebbe mai messo in discussione le parole di sua madre, non avrebbe avuto problemi a credere senza ragionare su quello che gli stava dicendo; cinque anni era un periodo abbastanza lungo per perdere tutta quella cieca fiducia.
Le uniche cose positive di quella storia, a parte l’apparente fuga di Jonghyun e Kibum, erano le cure e la presenza di Jinki accanto a sé. 
In quei giorni si erano avvicinati molto, si erano conosciuti sul serio rispetto a quando si vedevano di nascosto, e la vicinanza dell’ex-schiavo lo stava aiutando a non perdere il lume della ragione; nessuno gli garantiva che la presenza dell’altro ragazzo non fosse una messinscena di sua madre, nessuno poteva rassicurarlo sul serio del fatto che Jinki tenesse a lui, ma voleva crederci. Si stava aggrappando con tutto se stesso all’effimero pensiero di interessare affettivamente al più grande.

“Ti ho portato qualcosa da bere, l’infermiera mi ha detto che hai finito l’acqua e allora…”

“In realtà l’ha finita mia madre, sembrava strano che non prendesse qualcosa di mio.”

Jinki abbozzò un sorriso e poi appoggiò la bottiglia d’acqua sul comodino vicino al letto, si mise seduto subito dopo e lasciò andare un lungo sospiro mentre incollava gli occhi sulla figura di Minho. Sembrava pensieroso, turbato da qualcosa, lo schiavo non era molto bravo a nascondere le cose in quel periodo, forse il senso di colpa o quella strana collaborazione con la signora Choi lo logorava talmente tanto da non permettergli più di fingere come prima. 

“Fra qualche giorno potrai uscire da qua, hai già pensato a dove andare?”

“Tornerò a casa mia.”

E con “casa sua” intendeva la catapecchia dove aveva vissuto in quegli anni, la casa che aveva diviso con Jonghyun e Roo e la presenza di Kibum di tanto in tanto; non sarebbe mai tornato a vivere al Nucleo, non dopo quello che avevano fatto a suo padre, non dopo che Minseok gli aveva sparato e sua madre era riapparsa nella sua vita.
Stava bene, tutto sommato, nella parte povera della città. 
Aveva dovuto sopportare il freddo, la fame e la miseria, le persone che morivano nelle case vicine e un’abitazione senza porte, ma aveva resistito e si era adattato a quella vita, diamine, era persino riuscito ad andare al mercato tutto da solo senza avere paura di venire rapinato! Era cambiato in quegli anni e non era sicuro che sarebbe riuscito a tornare alla vita adagiata di prima, a quella vita che gli era mancata i primi tempi ma di cui, adesso, non sentiva per niente la mancanza.
Gli mancava Jonghyun in compenso, gli mancavano le sue grida di piacere quando se la spassava con Kibum, gli mancavano i rimproveri a Roo e le risate che quella cagnolina provocava a tutti e due quando non si scannavano l’uno contro l’altro… Erano quelle le cose che avrebbe voluto indietro, non di certo soldi e una madre fredda e distaccata.
Nessuno avrebbe riconosciuto Choi Minho nel ragazzo steso su quel letto d’ospedale e andava bene così, lui non voleva più avere niente a che fare con la gente del Nucleo.

“Vorresti tornare là? Perché? Credevo odiassi quella casa.”

“E’ così, ma è casa mia e non ho nessun altro posto dove andare.
Non ho una famiglia, l’unico amico che avevo è sparito nel nulla… Cosa dovrei fare? Tornare a vivere con mia madre al Nucleo e fingere che questi cinque anni non siano mai esistiti? No, grazie. Anzi, mi stupisce come tu riesca a starle vicino.”

Non lo capiva sul serio, Jinki aveva proclamato odio per la famiglia Choi, aveva odiato suo padre e Minseok, aveva tramato vendetta alle loro spalle pur di diventare una persona libera eppure, adesso, riusciva a parlare come se niente fosse a sua madre, perché?
Cosa c’era dietro quel comportamento?
Non riusciva a credere ci fosse una celata pace tra quei due, lo schiavo aveva sterminato la famiglia per cui lavorava e lo aveva fatto trafugando notizie e spostamenti a Kibum, aveva dato tutto il necessario affinché il killer potesse prendersi la propria vendetta e fare giustizia ai propri genitori, i dubbi che affliggevano il cervello di Minho erano del tutto normali considerata la situazione.

“Non voglio stare vicino a lei, voglio stare vicino a te. Fino a quando starai in ospedale dovrò sopportarla, dopo sparirà dalla mia vita come ho sempre desiderato.”

“Jinki…”

“So che non ci conosciamo bene, so che siamo incappati in una brutta situazione di recente, ma quando ti ho baciato l’ho fatto perché mi piaci. 
La gente crede che gli schiavi non siano in grado di amare o di desiderare il contatto fisico, ma non è così. Io desidero fare sesso, desidero baciare e toccare un’altra persona e voglio essere toccato e baciato. Voglio avere una storia d’amore e avrei potuto averne una con altre schiave e dare il via alla mia stirpe di purosangue, ma non mi sono mai piaciute le donne.”

Le parole dell’altro ragazzo lo lasciarono interdetto, non sapeva cosa dire o come reagire a tutte quelle confessioni; Jonghyun era stato il primo a mettergli dei dubbi sul comportamento degli schiavi e sulla loro voglia di avere una vita normale nonostante tutto.
Jinki sembrava aver diviso il lato professionale, se così poteva definirlo, dal lato personale. Aveva mantenuto i propri desideri e le proprie speranze, certo che un giorno avrebbe trovato un compagno - visto che aveva ammesso che le donne non gli piacevano – con cui vivere felice e tranquillo… Per quanto possibile.

“Minho… Quello che sto tentando di dirti, di spiegarti, è il modo di sopravvivere della maggior parte degli schiavi. Non siamo persone così deboli come tutti voi ricchi credete, riusciamo a sopportare le vostre torture, le vostre umiliazioni, ben consapevoli di non poterci fare niente. Non abbiamo scelto noi questa vita, ci è toccata e l’unica cosa che rimane davvero nostra è la speranza di incontrare la persona perfetta. Di incontrare quella persona in grado di cancellare tutto lo schifo che siamo costretti a sopportare… I miei genitori si amavano sul serio, quelli di Kibum si erano innamorati davvero, non è difficile lasciarsi alle spalle il “lavoro” da schiavo quando cresci con una famiglia vera alle spalle.”

“Ma i genitori di Kibum lo hanno mandato via, non lo hanno fatto diventare uno schiavo.”

“E a quale prezzo? Li hanno trucidati la sera stessa e Kibum è cresciuto in una gang mafiosa, se fosse rimasto al Nucleo forse avrebbe avuto una vita migliore.”

Minho aveva scosso la testa, non era convinto delle parole dell’altro ragazzo; come poteva uno schiavo dire che quella vita era migliore di quella per strada?
Una vita costretto a dare piacere e a servire dei vecchi ricchi viziati non poteva essere meglio di una vita in completa libertà, una vita lontana da tutto lo schifo che c’era nel Nucleo. Ma forse lui la pensava a quel modo perché non era stato costretto ad uccidere o a spacciare, non aveva mai dovuto fare parte di una gang come Kibum e Jonghyun, la sua idea di libertà era completamente distorta e diversa da quella degli amici. Persino da quella di Jinki.

“Non credo che per Kibum sia stato semplice far parte di una gang, nonostante sembrasse godere nel far soffrire gli altri…”

“Però tu volevi essere libero, non eri felice laggiù… Come puoi dire che per Kibum sarebbe stato meglio?”

Jinki sospirò dopo la sua domanda, lo schiavo non aveva idea di cosa rispondergli e di come fargli capire il suo punto di vista. Era comprensibile, doveva sentirsi parecchio confuso considerato che le sue azioni non riflettevano per niente il suo pensiero: diceva che vivere al Nucleo non era male, ma poi aveva passato anni ad organizzare la propria fuga e la propria vendetta. Minho non sarebbe mai riuscito a capire del tutto i sentimenti dell’altro ragazzo, non avrebbe mai potuto sapere cosa aveva provato nello stare agli ordini di suo fratello, ma riusciva a comprendere il suo dolore.
Riusciva a vedere il dolore e la sofferenza.
Ed era a causa di quello che riusciva a capire di lui che aveva sempre la voglia di tenerlo stretto a sé e dirgli che tutto sarebbe andato bene (ed era una sensazione strana, non aveva mai provato nulla del genere per nessuno).

“Forse lo credo perché so che non avrei mai resistito per strada, come membro di una gang. Kibum e il tuo amico, Jonghyun, sono stati costretti ad uccidere e a perseguire debitori, sono stati costretti ad abbracciare la criminalità e a conciarsi come tutti gli altri. Quei tatuaggi, quei marchi sulla pelle, non hanno dato loro un’identità ma gliel’hanno tolta facendoli amalgamare a tutti gli altri… Per noi schiavi è diverso, anche se apparteniamo ai nostri padroni e non possiamo davvero lasciar trapelare la nostra personalità, non dobbiamo macchiarci di reati e non dobbiamo conciarci come un’altra persona per appartenere a un gruppo. Capisci?”

Capiva? In un certo senso sì.
Aveva capito che Jinki non sarebbe sopravvissuto nel quartiere povero della città.
Aveva capito che il Nucleo rappresentava la salvezza per le persone deboli. 
E, con sua sorpresa, aveva capito che lo stesso Jinki rientrava nella categoria dei deboli, se così poteva definire le persone troppo spaventate e poco portate alla vita da criminale (non che fosse una cosa brutta, nemmeno lui era tagliato per certe cose e spesso avrebbe voluto dire a Jonghyun di smetterla con quella vita perché non era moralmente e legalmente giusta).
Cosa avrebbe fatto l’ex-schiavo adesso?
Dove sarebbe andato a vivere?
Non aveva più una famiglia da servire, non aveva più due genitori, era solo al mondo e al Nucleo non sarebbe mai potuto ritornare, tanto meno avrebbe potuto vivere con la signora Choi e approfittare dei suoi soldi – Minho era sicuro che la madre aveva ereditato ogni cosa dalla morte del marito e del figlio -.

“Dove andrai adesso che sei libero? Non puoi restare con mia madre e… e so che non hai nessuno.”

Jinki lasciò andare un sospiro profondo alla domanda di Minho, non sembrava essersi offeso per il poco tatto che il giovane Choi aveva usato nel dirgli che non aveva nessuno e quello gli fece tirare un sospiro di sollievo. L’ultima cosa che voleva era inimicarsi il più grande. 

“Non lo so, potrei tornare al mercato degli schiavi e chiedere di lavorare là. L’idea non mi attira molto considerando il destino di tutti quei ragazzi chiusi là dentro, ma che altro posso fare?”

“Potresti venire a stare con me, potremmo vivere insieme e arrangiarci con qualche lavoretto. So che la vita da poveraccio non fa per te, so che non vorresti mai finire in una gang, ma insieme potremmo cavarcela.”

Non ne era molto sicuro, ma sperava che tutto andasse liscio almeno per una volta.
Senza Jonghyun sarebbe stato difficile tornare a casa, l’idea di non avere nessuno con cui passare le giornate e dividere le pene di quella vita da pezzente lo spaventava – non aveva mai preso bene i cambiamenti – ed era riluttante all’idea di avere un nuovo coinquilino; Jinki aveva bisogno di un posto dove stare, loro due andavano abbastanza d’accordo, togliendo il fatto che lo schiavo si era dichiarato cotto di lui, e potevano cavarsela davvero se fossero rimasti insieme.

“Sei sicuro? Non vorrei finire per essere un peso e…”

“Sono sicurissimo. Tu mi piaci, Jinki, e anche se non dovessimo mai avere una relazione o chissà cosa, voglio aiutarti a rimetterti in piedi. 

Se non fosse stato per Jonghyun, nonostante il suo caratteraccio e il suo avermi ignorato per anni, non sarei mai arrivato fino ad oggi…. Probabilmente sarei morto di freddo e di fame, quella scimmia mi permetteva di mangiare e mi faceva usare le coperte, non importava quanto non ci sopportassimo. Voglio solo darti un mano.”
Minho non ebbe il tempo di sentirsi soddisfatto del proprio discorso, non riuscì nemmeno a fare qualche battuta idiota su quanto fosse saggio, perché le labbra di Jinki si posarono sulle sue improvvisamente (proprio come il primo e unico bacio che si erano scambiati).
La bocca del più grande era calda, le sue labbra erano morbide, e non poté fare a meno di lasciarsi andare a quel calore e a quella eccitazione tutta nuova che provava in quel momento. Non aveva avuto molte relazioni, i suoi baci si contavano sulle dita di una mano e sicuramente niente poteva comparare alle sensazioni che Jinki gli stava dando. 
Non c’era solamente l’attrazione fisica, quello che provava per l’altro ragazzo lo coinvolgeva su più livelli e sapeva di essere stato dannato per l’eternità fin dal primo istante che aveva posato gli occhi su di lui.

Continuarono a baciarsi castamente per qualche secondo, le mani di Minho che andavano a giocherellare con le ciocche di capelli dello schiavo, quelle che gli ricadevano sul volto e non gli permettevano di vedere per bene i lineamenti di Jinki – che Minho considerava a dire poco perfetti -.
Le loro lingue si scontrarono in maniera timida e sperimentale, nessuno dei due ragazzi sapeva quanto potersi spingere oltre e quanto lasciarsi andare alla passione crescente in entrambi, per questo i loro baci sembravano quelli tra due ragazzini e non tra due adulti (Jonghyun lo avrebbe preso in giro, ne era sicuro).

“Grazie, dico sul serio Minho.”
   
 
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