Anime & Manga > Axis Powers Hetalia
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Autore: Laghety23    09/03/2015    2 recensioni
Primo lavoro che pubblico qui, siate gentili per cortesia ^^
I rapporti e le relazioni fra le varie nazioni di Hetalia sono qualcosa da cui è impossibile non trarre spunto. Tutti unici e fantastici a modo loro.
Raccolta di one-shot / flashfic dedicata a queste interazioni fra i vari personaggi, in una pairing-mode.
Rating variabile, segnalato all'inizio di ogni capitolo. Temi variabili, quindi tranquilli, non saranno tutte fluff, ma nemmeno tutte angst.
Benvenuti amanti del crack-pairing, onnipresente, e benvenuti shippatori e shippatrici classiche :)
1 - LiechtensteinxLituania
2 - USUK
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Si supponeva che le partite di quel così tanto osannato “football” dovessero essere assolutamente fantastiche, giusto?
Che fossero emozionanti, togliessero il fiato, un po' per le azioni di gioco, un po' per le gonnelline provocanti delle cheerleader.
Si supponeva fossero la quintessenza dello sport americano, giusto?
Con i loro emozionanti colpi di scena, le loro squadre motivate all'eccesso e i loro inni calorosi che coinvolgevano chiunque.
Oh, e si supponeva fossero anche divertenti. Dopotutto in un campus come quello una partita era l'occasione giusta per socializzare e conoscere altre persone. Nell'emozione collettiva di ogni punto segnato, chi non trovava persone a lui o lei affini?
Si supponeva, insomma, che assistere ad una partita del genere, di inizio campionato, fosse un'esperienza imperdibile, per citare la ragazza così entusiasta del corso d'orientamento.
Beh, su tutte quelle fantastiche supposizioni, Arthur ci cagava sopra.
Aveva pensato che quel dannato sport non fosse così dissimile dal suo amato rugby, quindi si era avviato tranquillamente e con passo sicuro verso gli spalti, convinto di passare un primo pomeriggio in quell'università familiarizzando con gli altri ragazzi, ma al solito la fortuna non era stata dalla sua parte.
Quindi ora si ritrovava incastrato in mezzo alle gradinate in compagnia di tipi che personalmente avrebbe evitato accuratamente in qualsiasi contesto.
Tutto quello che sentiva era il rombo assordante del tifo scomposto di centinaia di studenti, i quali non sembravano per nulla scoraggiati dall'irruenza della pioggia autunnale. Come per esempio il ragazzo corpulento alla sua sinistra, che se ne stava tranquillamente a petto nudo. Si era dipinto lo stemma dell'università a tinte sgargianti sulla pancia pronunciata, e i colori si stavano sciogliendo e spargendo per l'addome in modo disgustoso, lasciandogli aloni di un blu e rosso marcio e sbiadito a colargli sul ventre.
Il suddetto ragazzo non sembrava farsi problemi ad abbracciare calorosamente ogni persona nel raggio di due posti da lui ogni qual volta che la squadra di casa guadagnava territorio, mettendo seriamente alla prova la pazienza di Arthur, che cercava disperatamente di svignarsela dalle tribune. Inutilmente. Era da tutto il primo tempo che ci provava, ma con l'inizio del secondo, non era cambiato nulla.
Alla fine aveva capito che il football americano era distante dal suo rugby anni luce. E non ne era per nulla impressionato, semmai, seccato.
Beh, comunque per quello che era riuscito a vedere. Un groviglio di braccia, torsi e teste gli bloccava la visuale la maggior parte del tempo, non lasciandogli che lo spazio fra un collo e l'altro per intravedere l'erba verdissima ma fangosa del campo. Forse un frammento del muoversi dei giocatori ogni tanto.
Oh, altra cosa. Non aveva portato un ombrello con sé. Uno pensa che vivere in Inghilterra diciannove anni della sua vita possa avergli dato almeno questa buona abitudine. E invece no, doveva stare lì sotto l'acqua sferzante, con gocce che -evidentemente bastarde per natura, pensò Arthur- si divertivano ad entrargli nel colletto del cappotto, regalandogli fantastici brividi gelati lungo la schiena. Non voleva in alcun modo sapere in che stato erano ridotti i suoi capelli. O le sue sopracciglia. Quelle maledette sopracciglia.
Ad un altro urlo collettivo fragoroso e spaccatimpani, si scostò bruscamente, prevedendo l'azione del tipo alla sua sinistra. Il tizio sembrò perplesso per un momento, prima di buttarsi su un ragazzino dall'aria esile, che per poco non gridò terrorizzato. Sospirando, sollevato dal mancato assalto e anche dal mancato colpo di grazia al colore originale del suo cappotto, arretrò ancora di un poco.

- Oi, ti dispiace? -

Girandosi, Arthur vide due occhi verdi guardarlo storto. Doveva essere accidentalmente inciampato su qualcuno.

- Oh, scusa, non volevo – si scusò, sorpreso.

Cazzo.

- Vedi di stare più attento! Coglione -

L'altro ragazzo si voltò di nuovo verso il campo, non prima di avergli lanciato un'occhiata risentita e avergli rivolto un gesto non molto garbato con la mano.
Beh, perfetto no?
Arthur doveva uscire di lì.
Secondo i suoi calcoli mancavano solo cinque minuti all'agognato intervallo, una pausa che sarebbe stata la sua occasione per correre verso i dormitori. Doveva solo resistere altri...vediamo... trecento secondi? Si, sembrava decisamente più facile da sopportare messa così.
All'improvviso ci fu un rombo più forte degli altri e dagli spalti si levarono per l'ennesima volta bandierine blu, bianche e rosse al cielo nuvoloso, cartelli malconci, e qualcuno lanciò una felpa.
Inaspettatamente, Arthur sentì un senso di indignazione. Almeno una piccola parte di partita voleva vederla dannazione. Sì ok, non è che avesse dovuto pagare il biglietto ma hey, era uno spettatore, aveva il diritto di vedere cosa diavolo stesse succedendo in campo.
Si sforzò di stare in punta di piedi sui gradoni di cemento scivolosi, arrischiandosi anche a aggrapparsi alle spalle di qualcuno davanti a lui, che comunque non se accorse. Era determinato a capire quale giocatore avesse fatto quel punto così decisivo.
Si sporse un po', cercando di sovrastare la folla dinanzi a lui.
Apparentemente il touch down era opera del numero quattro.
Il ragazzo gli dava le spalle, correva a salutare l'altra tribuna. Si era tolto il casco e lo teneva sotto il braccio, mentre i compagni dietro lo seguivano in gruppo, ridendo e gridando frasi d'incoraggiamento. Il nostro inglese attese pazientemente che si voltasse, spostando il capo a destra e sinistra in modo da evitare di avere ancora la visuale bloccata.
E il ragazzo alla fine si voltò.
Arthur non poté fingere di non capire l'improvviso scoppio di grida acute da parte delle ragazze sulle gradinate.
Sebbene sporco di erba e fango, il giocatore sembrava brillare di luce propria.
Sul viso dalla pelle appena abbronzata e sudata ricadevano disordinati ciuffi di capelli dorati. Il sorriso smagliante che rivolgeva alle gradinate era ampio e luminoso e aveva gli occhi più azzurri e limpidi che Arthur avesse mai visto.
Era, avrebbe osato dire, da togliere il fiato.
Il ragazzo guardò trionfante in alto, scrutando ogni studente in volto, esprimendo da solo tutto il loro entusiasmo, e per un brevissimo momento, i loro sguardi si incrociarono.
D'un tratto si sentì strano. Non...non riusciva proprio a convincersi a guardare da un'altra parte.
Neppure il numero quattro tolse gli occhi dai suoi, era come se si fossero legati assieme, come se avesse cercato fra tutti proprio il suo viso.
Era davvero bello...
Perché non poteva guardare altrove?
Sentì qualcosa gonfiarsi nel petto, una strana sensazione che non riuscì a definire. Cresceva, e stava diventando tutto più chiaro, stava riuscendo ad afferrarla...

- Ehi, amico! Vedi di scendere! -

Uno scossone, ed era per terra sul gradone, fradicio e stordito.
Il ragazzo davanti a lui se l'era bruscamente levato di dosso con una gomitata, facendolo cadere.
Arthur si rimise in piedi in fretta, spazzolandosi il cappotto e cercando di salvare il salvabile.

- Tsk. Imbecille -

Era la seconda volta che veniva insultato, ma non gliene importò granché.
Si rese conto, piuttosto, che le mani pallide gli tremavano, e il cuore gli batteva forte nel petto, come se cercasse una via di fuga dalla gabbia toracica. Stava annaspando e non se ne era nemmeno accorto?
Riprese fiato con calma, più frastornato che arrabbiato. La sensazione prima presente nel petto volatilizzata.
Cosa era appena successo?

Aspettò un poco perché le dita smettessero di fremere, poi scosse la testa con forza, cercando di schiarirsi le idee e togliersi quel dannato senso di vertigine che gli annebbiava il cervello.
E allora la rabbia bussò alla porta. Chi diavolo era quel tipo, per farlo sentire così? Si era praticamente arrampicato su un tizio per vederlo e tutto ciò che ci aveva ricavato era una brutta sensazione. Ma che cazzo.
Decise, sebbene con riluttanza, di rivolgersi al ragazzo che aveva urtato prima.

- Ehi, scusami -

Gli batté leggermente sulla spalla, guadagnandosi un'ulteriore occhiataccia.

- Che c'è? -

- Mi potresti dire chi è che ha appena fatto il touch down per favore? -

- Il numero 4 – mugugnò stizzito, ritornando subito dopo con lo sguardo verso il campo. Indignato, Arthur gli picchiettò di nuovo il braccio.

- Sì, ma come si chiama? -

- Non lo sai? Oh Cristo santo -

-
Sarei nuovo, quindi...- Arthur sentì che stava per perdere la pazienza.

- E' Jones. Alfred F. Jones, cazzo – lo guardò quasi con disprezzo – certo che dovrebbero informarli i novellini della minchia come te -

- Senti, vacci piano con le parole, coglione -

- Oddio, il novellino si scalda -

L'inglese sospirò, e cercò, sebbene restio, di placarsi. Una rissa il primo giorno di scuola? Non era il caso.

- Dimmi solo chi è e facciamola finita -

- Quarterback. Idolo della scuola. Più muscoli che cervello. Le ragazze prendono il numerino...devo andare avanti o ci sei arrivato? -

Arthur ci era arrivato. Il solito ragazzone americano. Più stereotipo di così.
Eppure...
Alfred F. Jones, eh?
Sopraggiunse, opportuno, il fischio dell'arbitro, che segnalava liberatorio l'intervallo.
Si riscosse rapidamente e si diresse con decisione verso il lato destro della tribuna, seguendo la massa di studenti che stava disperdendosi con velocità.
Aveva sicuramente visto abbastanza.



*~~~~~~~~~~~~~~*


- Ehi! TU! -

 

Arthur si bloccò in mezzo alla stradina di ghiaia che portava fuori dallo stadio. Non aveva riconosciuto la voce. Stupito si voltò a fronteggiare chiunque l'avesse chiamato.

- Sì, ecco! FERMO! -

La sua mascella rischiò di cadere. Il numero quattro stava correndo come un forsennato verso di lui. Ma che diavolo!?

- Non fare un passo in più! - urlava come se ne dipendesse della sua vita.

Il ragazzo si fermò davanti a lui ansimando, piegato in avanti con le mani sulle ginocchia. Ancora con l'uniforme della squadra addosso.

- Ok, ok...ecco... - riuscì a dire fra un respiro affannoso e l'altro.

 

Si alzò per guardarlo in faccia e, Dio, Arthur avrebbe giurato che facesse un centinaio di volte più colpo visto da vicino.

- Hai bisogno di qualcosa? - chiese l'inglese educatamente, il viso sempre bloccato su quell'espressione sorpresa.

Il ragazzo lo ignorò.

- Tu sei il tizio della tribuna di prima, giusto? - chiese, scrutandolo in viso.

Si ricordava di lui? Si erano guardati in faccia pochi secondi...

- C'erano qualcosa come cinquecento studenti sulla tribuna dove stavo...- iniziò scettico.

- Sì, sì, sei tu! - lo interruppe. Sembrava così sicuro che Arthur dovette ricredersi, intendeva proprio lui. Tuttavia il ragazzo continuò a fissarlo intensamente, e scoprì di non poter, di nuovo, distogliere lo sguardo.

- Non starai andando via vero? - chiese, quasi disperato.

- Tornavo al dormitorio, devo ancora fare un sacc-... -

- No! Devi restare! - sembrava sinceramente turbato dalla sua risposta.

- Scusami? -

- Sì! Non capisci? Avevo guardato te prima di prendere la palla! - aprì le braccia come a rafforzare il concetto – non capisci? -

Arthur si sentì un poco preso in contropiede, non l'aveva proprio notato, che diamine...

- Temo di no, mi dispiace – tentò di dire.

- Ma certo! Tu sei il mio portafortuna per la partita! - esclamò il ragazzo.

 

Ma cosa?

- Non ti seguo -

- Allora, prima che Mattie mi passasse la palla e facessi il touch down, ho guardato la tribuna di destra, lo faccio sempre – iniziò lui, non diminuendo mai la foga con cui stava spiegando qualcosa di, evidentemente, vitale importanza – e ho visto te! E poi ho fatto quel punto fantastico! Mi hai portato fortuna! -

Il nostro inglese lo fissò per un attimo, prendendo nota dei sottili capelli appiccicati alla fronte imperlata di sudore, del ciuffo ribelle che, prima non lo aveva notato, guizzava verso l'alto, degli occhi così azzurri e spalancati che si rivolgevano unicamente a lui, della bocca morbida socchiusa, testimone di ogni singolo suo respiro.
Doveva avere una faccia ancora più confusa di prima, perché il quarterback si affrettò ad aggiungere: - Mattie è un mio compagno di squadra, il numero 1, anche se sì, ogni tanto gli danno il 2 -

- Sì, sì, no, ho capito – riuscì a rispondere infine.

- Devi restare! - esclamò di nuovo il ragazzo.

Arthur, per l'ennesima volta nella giornata, pensò scocciato, si trovò a scuotersi l'aria imbambolata di dosso. Non voleva assolutamente tornare su quelle tribune!

- Gh! Mi dispiace va bene, ma dovrei proprio finire di disfare i bagagli e...-

- E' per colpa di quel tizio che ti ha buttato giù? - troncò la sua frase l'altro.

Lui deglutì sonoramente, sbigottito. Aveva persino visto il ragazzo della fila avanti buttarlo per terra? Che imbarazzo...

- Se vuoi puoi stare in panchina con gli altri, o dove vuoi, davvero, ti trovo un posto tranquillo, ma resta - sembrava veramente convinto di quello che diceva, e allo stesso tempo autenticamente angosciato da un rifiuto – per favore -

E poi lo afferrò per un braccio, e Arthur sentì come una scossa attraversargli il corpo, accompagnata ad una sensazione di calore. Ci mise un po' di tempo a rispondere.

- D'accordo – sospirò infine.

Il ragazzo tolse la mano, lasciando un senso di gelo sul braccio e su tutto il corpo dell'inglese, che si trovò - di nuovo! - come a svegliarsi da uno stato di trance. Una goccia d'acqua glaciale gli rigò la guancia, e lui sussultò sorpreso. Dall'inizio della conversazione non si era nemmeno accorto che stava continuando a piovere.

- Grazie! - il quarterback richiamò di nuovo la sua attenzione, sorridendo raggiante, come se avesse appena vinto a qualche ambitissima lotteria.

I suoi occhi erano due sprazzi di cielo terso e limpido, il suo sorriso un raggio di sole...ah! Ma che cazzo stava pensando?

- Come ti chiami? -

Si costrinse a rispondere senza fare qualcosa di orribile come balbettare o impappinarsi.


- Arthur Kirkland -

E così, stava per ritornare in quel dannatissimo campo. Cazzo. Come diamine aveva fatto quel tizio a convincerlo?

- Piacere Artie, io sono Alfred – continuò il ragazzo, sorridendo ammiccante e alzando il pollice della mano destra. Poi gli fece l'occhiolino. Sembrava al settimo cielo.
Arthur dal canto suo si sentiva leggermente agitato.

- Non chiamarmi così! - disse distogliendo lo sguardo, infastidito.

- Va bene, va bene... Artie – rispose, di nuovo strizzandogli l'occhio.

- Bah! Imbecille -

Alfred ridacchiò.

- Ti accompagno, vieni – disse, e lo prese un'altra volta per il braccio, tirandolo con entusiasmo ma senza fargli male.

Mentre Arthur lottava per non arrossire, Alfred lo portò di nuovo verso lo stadio.






Note dell'autrice sghignazzante:

Saaaaaaaaalveeeeeee! *arriva di corsa e si schianta contro il muro*
Allora, si, il secondo capitolo è una USUK.
AU, nessuna pretesa qui.

Non mi aspettavo che ne venisse fuori un granché, e infatti... dayum. Vabbé, teoricamente ci potrebbe stare anche una long qua...ma non è proprio il momento ahahah :3
Spero vi piaccia e che qualcuno voglia dirmi cosa ne pensa, eventuali critiche e tutto ;D
Ho sempre estratto a sorte neh, e ho deciso che cercherò di fare capitoli alternati: crack - canon ^v^

Ciao Ciao :3

P.S. Avete individuato Lovino-cucciolo-oddioqualcunofacciaunafotoalculodispagna-Vargas? ;3

  
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