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Autore: Nike93    12/12/2008    6 recensioni
- Cosa… che cosa vuoi? – lo aggredì la voce di Bill, mentre il suo proprietario rimaneva incollato alla porta.
- Io sono… beh… tornato… - farfugliò Tom. Non si era aspettato che Bill gli saltasse in braccio dopo tre anni di completo silenzio, però neanche che gli rivolgesse quello sguardo. – Volevo solo… sapere come state, ecco… Tu, Haylie, la… - Deglutì, incapace di continuare. Bill lo aveva fulminato con lo sguardo, e quegli occhi sembravano tanto carichi di odio da stroncare le sue parole sul nascere [...]
- Haylie è morta! – ringhiò, subito prima che Tom lo vedesse scomparire, accompagnato da uno schianto. Furono necessari un paio di secondi perché si rendesse conto che Bill gli aveva chiuso la porta in faccia.
Genere: Song-fic, Mistero, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 14 – Tutta la verità

Capitolo 14 – Tutta la verità

 

“Quanta vita che corre via,

augurandomi che non sia

tardi ormai

per ritrovare in te me stesso”

 

Quello sgabello gli era estraneo. Il microfono gli era estraneo. Così come gli altoparlanti, gli strumenti, le vetrate. Tutto di quel luogo gli era estraneo.

- Allora, cosa proponi per iniziare? – gli chiese Gustav con un sorriso. Bill lo guardò con espressione vuota.

- Io… non lo so – mormorò, abbassando la testa. Anche le cuffie gli davano fastidio, sentiva le orecchie così calde. – Scegliete voi. Per me è uguale –

Così fu Georg a prendere la parola, forse per allentare la tensione che si stava creando. – Vabbè, dài, facciamo qualcosa di “Zimmer 483” – Gli altri annuirono, ma nessuno disse nulla. – Non so, tipo… “Ich bin da”, “Reden” o… boh, “Heilig”… -

Bill deglutì. Qualcosa gli si era fermato in gola e rendeva difficoltosa la respirazione. Vide Gustav pronto con le sue bacchette, Georg che imbracciava il celebre basso a scacchi bianchi e neri, Tom con la Gibson, una delle tante, poggiata sulle ginocchia.

Chiuse gli occhi, cercando di respirare con calma e di ignorare il sudore che già gli impregnava la fronte.

 

Sorrise quando Haylie, in canottiera e con i capelli legati dietro la nuca, si sedette a cavalcioni su di lui e gli sfiorò la bocca con un bacio lievissimo. – Ma tu me l’hai mai scritta una canzone? – sussurrò appena.

- Mmh? – Bill chiuse gli occhi mentre le labbra di Haylie schiudevano le sue.

- Una canzone tutta per me? L’hai mai scritta? – Le sue mani che gli massaggiavano dolcemente le spalle lo mandavano fuori di testa…

- Uh… certo – mormorò, cingendole i fianchi con le mani. Avvicinò le labbra al suo orecchio. – Ich glaub an dich, du wirst für mich immer heilig sein… - cantò a fior di labbra, sentendola sorridere contro il suo collo. – Per sempre sacra – ripeté in un sussurro, stringendola a sé.

 

Gli sembrò che i primi deboli accordi provocassero un fracasso infernale. Non ce l’avrebbe mai fatta.

Eppure doveva farcela.

 

I suoi occhi erano lucidi oltre il normale, le labbra aperte in cerca di respiro. Non c’era una sola parte di lei che non tremasse incontrollatamente. Bill le strinse ancora più forte la mano, accarezzandole il viso. Non poteva mostrarsi terrorizzato, doveva farcela, doveva farcela per lei. – Haylie… Haylie, tesoro… - balbettò, baciandole la mano stretta a pugno. Ma lei già non rispondeva più.

Bill non riuscì a comprendere le ultime parole che lei pronunciò a fatica, mentre le palpebre si abbassavano e la mano allentava la presa sulla sua, e questo non se lo sarebbe mai perdonato.

Quando il suo sguardo si spense e le sue labbra si aprirono di più, come se avessero finalmente trovato l’aria che cercavano, Bill si ritrovò a stringere una mano inerte. Gli occhi gli si erano già riempiti di lacrime, che cominciarono a scorrere sulle sue guance nello stesso istante in cui fu certo che lei non potesse più vederle.

- Haylie… - Le accarezzò il volto con mano tremante, e si accorse che era freddo come non mai. – Haylie… no… - balbettò, stringendole convulsamente una spalla. Non ci fu nessuna reazione, nessuna risposta. – No… Haylie… HAYLIE! –

 

Le cuffie gli scivolarono dalle orecchie e Bill le lasciò cadere a terra, affondando il volto tra le mani.

- No! – gemette. – Non ce la faccio! Non ce la faccio!

Tutto quello che venne dopo, lo sentì a malapena. Tom abbandonò subito la chitarra, alzandosi di scatto e correndogli incontro. Lo prese per le spalle, scuotendolo lievemente. – Bill… Bill, che succede? – Quando Bill alzò la testa, capì immediatamente cosa stava per accadere. La sua fronte era madida di sudore, le mani avevano cominciato a tremargli e gli occhi apparivano oscurati dal panico.

- Andiamo via… ti prego, andiamo via – lo supplicò Bill con voce roca, aggrappandosi alla sua felpa. Tom gli passò un braccio dietro la schiena, aiutandolo ad alzarsi, al che il gemello si abbandonò contro di lui, tremando.

- Cos’è successo? Che ha? – Nel frattempo, Gustav e Georg l’avevano velocemente affiancato.

- Non preoccupatevi – disse Tom, forzando la presa sulla vita di Bill per non farlo cadere. – Scusateci, dobbiamo andare. Mi dispiace – Gustav lo precedette, aprendogli la porta.

- Ma che dici? Certo, andate! – Tom lo ringraziò con un sorriso nervoso, trascinandosi dietro Bill. – Mi raccomando, chiamami, più tardi! –

 

“Credi,

siamo nati insieme

e cresciuti qua,

anelli di catene uniti

per non spezzarsi più”

 

- E’ stata tutta una grandissima cazzata –

Bill si lasciò cadere seduto sul letto, mentre Tom si affrettava ad entrare nella stanza con lui e spalancare le finestre. – Una stronzata all’ennesima potenza. Non dovevo costringerti –

Bill seguitò a non dire nulla, fissando il pavimento. La crisi era andata scemando mentre tornavano a casa in auto alla velocità della luce, ma la sua faccia sembrava quella di chi fosse stato appena pestato a sangue. Tom aprì un cassetto del mobile che usava come comodino per cercare un pacchetto di fazzoletti. Lo richiuse in fretta, avendo visto un angolo della busta bianca che aveva nascosto lì settimane prima: se l’avesse guardata per un secondo di più, si sarebbe messo a urlare. Sedette accanto a Bill e, dopo aver tirato fuori un fazzoletto di carta, afferrò con una mano il mento del gemello e cominciò a strofinargli il trucco via dalle palpebre. – Avrei dovuto saperlo. Ma già, io faccio sempre quello che non devo – Lo sguardo di Bill era spento. Tom non voleva sapere a cosa avesse pensato prima di essere colto da quell’ennesimo attacco di panico, sentiva solo di odiarsi profondamente per ciò che era successo. – Mi dispiace. Non parliamone più. Evidentemente non era destino –

- Haylie è morta per colpa mia –

Tom si bloccò, il fazzoletto ancora premuto sul viso di Bill. Il trucco non era andato via del tutto.

Lo sguardo di Bill incrociò quello del gemello, e Tom sentì un brivido freddo corrergli lungo la schiena. – Non dire idiozie – si costrinse a replicare, appallottolando il fazzoletto. – Sei sconvolto – Subito, si sentì afferrare per una manica, mentre gli occhi di Bill, ancora puntati nei suoi, assumevano una sfumatura di disperazione.

- Sono stato io. E’ stata colpa mia – La sua voce era talmente inespressiva da provocare a Tom un secondo brivido. C’era qualcosa di tristemente folle, disperatamente bisognoso, in quello sguardo.

- Che cosa… cosa stai dicendo? –

Bill deglutì, lo sguardo di nuovo vacuo, la mano ancora aggrappata alla manica della sua felpa. Tom prese il coraggio a due mani.

- Bill… com’è andata… veramente? –

Le labbra del moro si schiusero appena, il suo sguardo si perse in lontananza. – N-non ce la faccio più – Quando sentì la mano di Tom posarglisi su una spalla, sobbalzò e lo guardò con terrore.

- Dimmelo, Bill. Ti prego, raccontamelo –

Le sue palpebre ancora sporche di nero si abbassarono appena, il suo sguardo si fissò sul pavimento. E, da quando Bill, con tono monocorde e sommesso, iniziò a parlare, non si staccò mai da quel punto.

- Dopo che Haylie perse la prima bambina, cominciai a sentire qualcosa di strano. Da una parte ero distrutto, perché mi ero abituato all’idea di un figlio, e questo sogno si era sgretolato sotto i miei occhi. Dall’altra, ero furioso, perché avrei voluto dirti un sacco di cose e tu non c’eri. Ma da un’altra ancora ero felice, perché io e Haylie ci eravamo chiariti, avevamo promesso di non dimenticarci mai delle cose importanti.

Quando siamo tornati in tourbus, ho cercato in tutti i modi di non farle pesare la situazione. Mi mancavi e non l’avrei mai ammesso, anzi… forse non l’avevo nemmeno capito. Ho portato avanti i Tokio Hotel perché era giusto così, ma sapevamo tutti che qualcosa era venuto a mancare. Io e Haylie eravamo… tranquilli, in quel periodo, felici perché ci eravamo ritrovati. Sapevo bene che lei avrebbe voluto che io ti cercassi, ma non ha mai detto niente. Stavamo così bene insieme, era tutto perfetto.

Ma poi un giorno ho cominciato a pensare… a qualcosa… che non avrei dovuto. Con il passare dei mesi, mi sono reso conto che, per quanto l’amassi, sentivo che mancava qualcosa. Questo non gliel’ho mai detto, perché sapevo fin troppo bene cosa mi avrebbe risposto. “E’ tuo fratello che ti manca”, mi sembrava di sentirla. E magari aveva ragione, ma intanto io avevo maturato la mia idea e ne ero fermamente convinto. Quella bambina nata morta aveva lasciato un vuoto più grande di quanto pensassi. E mi sono accorto… di volerlo, un figlio. Volevo un bambino da lei. Non le avrei chiesto di sposarmi, per quello non mi sentivo pronto. Ma per avere un figlio sì, mi sentivo pronto. Lo volevo davvero, e non tardai a parlargliene. Solo che lei… non sembrò felice quando glielo dissi –

Tom chiuse gli occhi, respirando profondamente. Non c’era niente nelle parole di Bill, non c’era rabbia, non c’era dolore, non c’era nostalgia. Chissà quante volte ci aveva pensato e ripensato, finché quei ricordi non si erano depositati in fondo nel suo cuore. Bill fece una brevissima pausa prima di riprendere il racconto, con lo sguardo ancora fisso a terra.

- Lei era… terrorizzata. La morte di quella bambina l’aveva segnata nel profondo, era stato l’ultimo di una lunga serie di eventi dolorosi. Io le parlai con serenità, cercando di tranquillizzarla, dicendole che poteva pensarci, che con il tempo il dolore si sarebbe alleviato, ma lei non era convinta. Aveva una paura maledetta, ma io mi convinsi che prima o poi sarebbe passato. Haylie capiva quanto fosse importante per me, e fu per questo che, alla fine, mi disse che forse avevo ragione, che si sarebbe abituata all’idea. E comunque c’era tempo, non era detto che il bambino che volevo venisse concepito all’istante.

Infatti non successe. Passarono mesi e mesi, ma Haylie non rimaneva mai incinta. Tentò varie volte di dissuadermi con questo pretesto, sostenendo che magari quello era lo stesso motivo per cui la prima bambina era nata morta, che forse in lei c’era qualcosa che non andava. E fu un tarlo che attaccò subito anche me.

Quello fu… il peggior periodo che passammo insieme. Con la musica non combinavo più niente, ero sempre in tensione sia per quel bambino che non arrivava sia per la preoccupazione per la salute di Haylie. Lei sembrava star bene, ma continuava a non restare incinta. Passavamo da un medico all’altro, e tutti dicevano la stessa cosa, anche se io non capii mai i dettagli e le motivazioni di ciò che spiegavano: eravamo entrambi in salute, ma forse la prima gravidanza aveva preannunciato una certa difficoltà per l’organismo di Haylie. Forse era da prendere come un avvertimento, magari voleva dire che il suo corpo non poteva sostenere uno sforzo simile. Ma io non ho desistito. Mi rifiutavo di credere che potesse esserci qualcosa che non andava, in lei… in noi.

E infatti il miracolo arrivò. Haylie restò incinta l’estate scorsa. Io ero… felice, euforico. Ma Haylie cominciò a non star bene fin dai primi mesi di gravidanza. Era sempre a terra, come se si sentisse debole. Decisi di prendermi una pausa con il gruppo, ma non spiegai nulla. Questa volta ce lo saremmo tenuto per noi fino alla fine.

E poi, un’altra girandola di medici. La conclusione era sempre la stessa: Haylie doveva stare a riposo, era molto indebolita, c’erano grandi rischi di aborto. La gravidanza riuscì a portarla fino alla fine, ma con sforzi disumani. Era sempre… pallida, stanca, si affaticava per nulla. Già al sesto mese le veniva difficile muoversi, e io… le stavo sempre accanto, ripetendole che ce l’avremmo fatta, che eravamo sulla buona strada, che si trattava solo di fare un ultimo sforzo. Non riuscivo a capire se fosse ancora impaurita all’idea del bambino o se fosse semplicemente debole come dicevano i dottori. Quando… tutto iniziò, e andammo in ospedale… non sentivo dire altro che quello sarebbe stato un parto difficile. Haylie era sempre magrissima, la pancia era cresciuta così poco che, prima del parto, sembrava essere ancora al sesto mese… -

Se avesse seguito l’istinto, Tom gli avrebbe preso una mano tra le proprie e l’avrebbe stretta più forte che poteva… Bill chiuse gli occhi e, per la prima volta da quando aveva iniziato a raccontare, i suoi lineamenti si contrassero impercettibilmente.

- Haylie mi supplicò di starle accanto e io… io ero terrorizzato all’idea di assistere al parto, ma… per lei avrei fatto di tutto. Eravamo arrivati al punto che inseguivamo –che io inseguivo- e non l’avrei lasciata sola. Fu… straziante, una tortura. Alla fine, Haylie non aveva neanche più la forza di piangere, c’ero io che le tenevo una mano e cercavo di tranquillizzarla, ma era come se non mi sentisse. E quei medici… quegli stronzi che per mesi avevano vantato tutte le loro grandi conoscenze… non sono riusciti ad aiutarla… non le hanno dato retta quando urlava per il dolore, non… non mi hanno ascoltato quando dicevo che Haylie non respirava quasi più. Il cuore non ha retto allo sforzo, dissero dopo, tutto il suo organismo era troppo debole. E’… è morta tra le mie braccia, prima ancora di raccogliere le forze per spingere fuori del tutto il bambino. E il bambino era… talmente piccolo, talmente fragile, che non sono riusciti a salvare neanche lui. L’ho sentita… l’ho sentita respirare sempre più piano, ho sentito il suo cuore spegnersi a poco a poco – Bill deglutì e chiuse gli occhi, chinando la testa. Le sue labbra ebbero un fremito. – Mi… mi stava ancora stringendo la mano, quando stava morendo – mormorò con voce strozzata.

Tom, seduto accanto a lui, non aveva la forza di muovere un muscolo. Il racconto che aveva appena ascoltato sembrava quasi una storia inventata, una fiaba d’altri tempi. Una fiaba senza lieto fine che aveva tormentato suo fratello per settimane, mesi. – Oh mio Dio… - sussurrò, il respiro rallentato, chiudendo gli occhi.

Quando li riaprì per guardare Bill, pronto a dirgli qualsiasi cosa pur di non sprofondare in quel silenzio opprimente, vide un’unica, piccola lacrima scivolare lungo la sua guancia, trascinando con sé i rimasugli di trucco e rigandogli la pelle di nero. – Io non ho mai capito com’era lei – gemette, scuotendo la testa. – Lei non voleva quel bambino, ma io pensavo che col tempo avrebbe cambiato idea… - Le sue mani tremarono per un attimo, prima che Bill le affondasse tra i capelli, rannicchiandosi su se stesso. – Lei era tutta la mia vita, e io l’ho uccisa con le mie mani! – giunse la sua voce già alterata dal pianto.

- Bill, io… - Per un attimo, la mano di Tom vagò incerta sulla sua spalla, prima che un flash gli attraversasse la mente all’improvviso. Si morse le labbra, si guardò intorno indeciso, ma poi si alzò di scatto dal letto e si diresse verso il cassetto da cui aveva preso i fazzoletti. Afferrò la lettera che vi aveva nascosto poco tempo prima, tornando a sedersi accanto al gemello. Lo scosse leggermente per una spalla. – Ascolta… -

- Sono stato io – fu il flebile sussurro di Bill, il capo ancora chino in avanti. – E’ questa la verità –

- No – Tom gli strinse più forte la spalla e il moro alzò la testa. Il suo sguardo vagò dal viso di Tom alla busta che teneva in una mano. – E’ questa la verità – Bill tornò a guardare la lettera, tirando su col naso.

- C-che cos’è? – Tom indugiò solo un attimo. Stava per svelare il proprio tradimento.

- L’ho trovata nella tasca di un paio di pantaloni di Haylie. E’ per te, leggila – Si aspettava di incrociare uno sguardo furioso, lo sguardo di chi si sentiva tradito per l’ennesima volta, e invece tutto quello che vide sul viso del fratello fu una sfumatura di speranza contrapporsi alla desolazione. Bill prese la busta e, con mani incerte, ne tirò fuori il foglio piegato in quattro.

Mentre i suoi occhi, sempre più avidi e lucidi, scorrevano tra le righe scritte da Haylie molto tempo prima, Tom si ritrovò a chiedersi cosa avesse provato veramente nel momento in cui le aveva lette. E cosa avrebbe provato il suo gemello…

- Haylie… - Il mormorio spezzato di Bill lo avvertì che il gemello aveva terminato di leggere e, anche quella volta, si accorse di essere sprovvisto di tutte le parole che avrebbe voluto dirgli. Bill fu scosso da un tremito e si coprì la bocca con una mano per soffocare un singhiozzo.

Quando le sue spalle sussultarono, Tom avrebbe dato qualsiasi cosa pur di avere la forza di abbracciarlo, ma poi tutto successe talmente in fretta che persino lui si ritrovò spiazzato.

- Tom! – Un secondo singulto, un movimento veloce, e Bill si era abbandonato contro di lui, stringendo convulsamente le braccia intorno al suo collo e singhiozzando forte contro la sua spalla. Le mani di Tom rimasero incerte per pochi istanti, prima che il ragazzo si decidesse a cingere con le braccia il corpo esile del fratello, cullandolo come un bambino spaventato. – Oh, Tomi… Tomi… -

Improvvisamente, ogni precedente emozione lo abbandonò: la rabbia, il rancore, la tristezza. C’era solo Bill, il suo gemello, c’era l’affetto sconfinato che non aveva mai smesso di provare per lui, c’era la nostalgia, la mancanza della sensazione che non provava più da anni, quella di avere ancora una famiglia.

Bill strinse i pugni sulla sua felpa, tremando contro di lui. – Mi sento… così solo! – singhiozzò, il viso nascosto nel collo di Tom.

- Non sei solo – sussurrò il biondo, accarezzandogli piano i capelli e sentendolo sussultare violentemente fra le proprie braccia. Cercò di ricordare quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che si erano abbracciati così, ma si accorse di non riuscirci. – Non sei solo… non lo sei mai stato –

- Io… ho perso tutto, tutto! - I singulti non erano ancora cessati. Tom allontanò Bill da sé per poterlo guardare in faccia. Le lacrime avevano lasciato dei brutti segni lungo le guance e i suoi occhi erano talmente gonfi da far sembrare che Bill avesse pianto per tutto il giorno.

- Non è così – Tom gli strinse un braccio, accarezzandolo con il pollice, e gli sorrise. Avrebbe voluto dirgli che Haylie era sempre accanto a lui, ma non aveva mai creduto alla presenza dei morti ed era sicuro che il gemello lo sapesse. Non voleva essere ipocrita. Voleva, e doveva, solo dirgli quanto di più vero riuscisse a cavare fuori dal cuore. – Ci sono io. Ti voglio bene, Bill – Il moro lo guardò per qualche attimo tirando su col naso, prima di chinare la testa e riprendere a piangere sommessamente, coprendosi la bocca con una mano. Tom lo circondò con le braccia e lo strinse di nuovo a sé, sentendo i singhiozzi di Bill soffocati sul proprio petto, sulla felpa ormai bagnata a chiazze e sporca di nero. Lasciò che si sfogasse liberamente, che facesse scorrere tutte le lacrime che aveva trattenuto, sperando che questo servisse ad alleviare la sua sofferenza.

Com’era possibile soffrire a quel modo e tenersi tutto dentro per tanto tempo, com’era possibile soffocare il dolore fino a sentirlo parte di sé? Fu la mancata risposta a queste domande a confermare il pensiero di Tom: suo fratello era davvero la persona speciale che era sempre stato. E allora com’era possibile che tutto quello fosse toccato proprio a lui?

Quando i singhiozzi diminuirono, Bill, con il respiro ancora un po’ affannoso, si staccò da lui, asciugandosi gli occhi con la manica della giacca. Furono i pochi istanti di silenzio che seguirono a provocare un altro lampo nella mente di Tom.

- Bill, dov’è sepolta Haylie? –

Il moro lo guardò in modo strano, come se si sentisse messo con le spalle al muro, e mugugnò l’indirizzo del cimitero continuando a strofinarsi gli occhi. – Ma io non so se… - tentò poi debolmente di opporsi.

- Andiamo da lei. Adesso –

Bill si passò una mano sul viso, poi guardò il palmo sporco di trucco. I suoi occhi si posarono su Tom. – N-non posso venire conciato così! – Il biondo si alzò dal letto, tirandolo per un braccio e facendo alzare anche lui.

- Allora cambiati. Dài, sbrigati –

Gli era preso come uno strano impulso, un incomprensibile, urgente bisogno. Non avrebbe saputo spiegarlo e neanche gli interessava: sapeva solo che doveva farlo, che dovevano farlo.

Pochi minuti dopo, Bill uscì dalla camera da letto in jeans e con un vecchio giubbotto grigio, tentando di tirare su la zip fino al mento. Si era ripulito il viso alla meno peggio, anche se gli occhi erano ancora gonfi come se avessero ricevuto un pugno ciascuno. Tom lo spinse fuori di casa appena in tempo per fargli afferrare una sciarpa attaccata all’appendiabiti, e pochi minuti dopo erano già in macchina, con Bill al volante.

Tom notò subito l’incertezza del gemello nella guida, come se non conoscesse la strada, ma la attribuì alla stanchezza e allo stordimento. Quando parcheggiarono nei pressi dell’entrata del cimitero, lo sguardo di Tom percorse le inferriate dei cancelli con una certa inquietudine.

- Dài, entriamo – si costrinse a dire. Vide l’esitazione di Bill accentuarsi quando si trovarono a due passi dall’entrata, ma non poteva tirarsi indietro. Stava succedendo esattamente come qualche ora prima: Bill non voleva venire alla riunione, lui l’aveva praticamente costretto e tutto era finito in dramma. Ma adesso era diverso, non poteva cambiare idea. Infilò un braccio sotto quello del gemello, tirandoselo dietro. Credeva che Bill conoscesse la strada, ma lo vide fermarsi e chiedere sottovoce qualcosa al custode, che fece un cenno distratto verso sinistra e rispose a voce altrettanto bassa.

La spiegazione di quel comportamento cominciò ad apparirgli più chiara quando si trovarono di fronte alla tomba di Haylie. A differenza di molte altre, la lapide era piuttosto sporca, il nome in rilievo si presentava opaco e la foto scolorita. A completare il tutto, la totale assenza di fiori.

Tom sentì qualcosa di molto simile a un pugno nello stomaco. Fu colto da un lieve giramento di testa e si aggrappò al braccio di Bill, balbettando: - Cosa… perché…? –

- Non ho mai avuto il coraggio di venire – rispose Bill con la voce rotta, stringendo i pugni e mordendosi il labbro inferiore.

Tom chinò la testa, coprendosi gli occhi con una mano. Era una visione insopportabile. La tomba abbandonata come se Haylie fosse stata dimenticata da tutti, la foto scolorita… no, non avrebbe potuto guardarla per un secondo di più.

Non si accorse che Bill aveva stretto i pugni, non vide i suoi occhi colmarsi nuovamente di lacrime, sentì solo un gemito spezzato provenire dalla sua sinistra. - …no! –

Alzò la testa e lo vide con il viso sepolto tra le mani, leggermente curvato in avanti, come se non avesse più la forza di reggersi in piedi. Per la seconda volta non ebbe il tempo di fare nulla, perché Bill si aggrappò a lui, riprendendo a piangere contro il suo collo. Tom lo strinse a sé, appoggiando il mento sulla sua spalla, e rimasero così per minuti interi, senza dire nulla, lasciando che il vento, con la sua furia e il suo sibilo, parlasse per loro.

 

“Stai con me

nell’alto dei cieli,

stai con me

tra questi veleni”

 

- Non andartene anche tu – singhiozzò debolmente Bill stringendo più forte il gemello.

- Sono qui – Tom non sapeva quante volte avesse ripetuto quelle parole, ma non gl’importava, perché quella era la semplice verità. Era lì, era lì per lui, come era stato fin dal primo momento. Sentì Bill tirare un respiro affannoso.

- Giurami che non cambierà più niente, che ci vorremo sempre bene – Bill strinse i denti come se sentisse dolore fisico, mentre le lacrime riprendevano a scorrere copiose lungo le sue guance. – P-perdonami Tom… perdonami! – singhiozzò.

Tom lo abbracciò con forza senza dire nulla. Gli parve di sentire un lieve pizzicore da qualche parte negli occhi, e ne ebbe la conferma quando li strofinò con le nocche e le sentì bagnarsi leggermente.

Ce l’aveva fatta. Era libero.

- Hai chiesto scusa troppe volte, Bill – mormorò sorridendo appena. – E sei l’unico che non ha nulla da farsi perdonare – Il moro si separò da lui, guardandolo con occhi colmi di tristezza. – Non cambierà più niente. Te lo giuro, fratellino –

Bill ingoiò le ultime lacrime rimaste prima di sorridere.

Sorridere davvero per la prima volta, sorridere al fratello che credeva di aver perso, quel fratello che era l’unica persona che gli era rimasta.

Un ultimo abbraccio mise la parola “fine” al rancore e alla rabbia che si erano tenuti dentro fino a scoppiare, e suggellò un patto davanti agli occhi di Haylie che, seppur dai colori un po’ sbiaditi, li guardava sorridendo da quel pezzo di ceramica stampata.

 

 

 













Eccoci, dunque.
Da questo capitolo emerge quanto io sia priva di fantasia e come la struttura di questa fic sia praticamente uguale a quella del suo prequel "Dimentica". Però, ecco... E' questa la scena attorno a cui si è creata la vicenda, questi i primi dialoghi che ho creato, questo il momento che aspettavo. E la mia amata "Stai con me" di Raf non poteva risultarmi più utile di così.
Ormai ci avviciniamo alla fine, il prossimo capitolo sarà l'ultimo prima dell'epilogo... e spero che queste ultime puntate spingano chi ha letto senza mai commentare (32 preferiti °__° grazie) a fare un piccolo sforzo almeno per una volta.
rakith: il "tuo" capitolo? Wè bella, modera i toni! XD
noirfabi: speranza avverata, come puoi notare. E la frase che hai citato trova il suo collegamento.
Pikkola Tokietta: meglio tardi che mai XD No, scherzo, sono stata contentissima di leggere la tua recensione e spero di trovarne anche per i prossimi capitoli. Grazie di cuore.
Sweet Dreamer: vabbè, perdonata (per questa volta!)... Beh, più sorpresa di così si muore (che brutta cosa da dire in un contesto come questo XD)
Sore: io sono raccomandata U_U Penso che adesso neanche Bill ti piacerà più, dato che 1) piange (sì, ha un cuore, lui); 2) ha rivelato che non sei effettivamente stata tu a uccidere Haylie...
  
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