Capitolo 14
– Tutta la verità
“Quanta
vita che corre via,
augurandomi
che non sia
tardi
ormai
per
ritrovare in te me stesso”
Quello sgabello gli era
estraneo. Il microfono gli era estraneo. Così come gli altoparlanti, gli
strumenti, le vetrate. Tutto di quel luogo gli era estraneo.
- Allora, cosa proponi per
iniziare? – gli chiese Gustav con un sorriso. Bill lo guardò con
espressione vuota.
- Io… non lo so –
mormorò, abbassando la testa. Anche le cuffie gli davano fastidio,
sentiva le orecchie così calde. – Scegliete voi. Per me è
uguale –
Così fu Georg a prendere
la parola, forse per allentare la tensione che si stava creando. –
Vabbè, dài, facciamo qualcosa di “Zimmer 483” –
Gli altri annuirono, ma nessuno disse nulla. – Non so, tipo…
“Ich bin da”, “Reden” o… boh,
“Heilig”… -
Bill deglutì. Qualcosa
gli si era fermato in gola e rendeva difficoltosa la respirazione. Vide Gustav
pronto con le sue bacchette, Georg che imbracciava il celebre basso a scacchi
bianchi e neri, Tom con la Gibson, una delle tante, poggiata sulle ginocchia.
Chiuse gli occhi, cercando di
respirare con calma e di ignorare il sudore che già gli impregnava la
fronte.
Sorrise quando Haylie, in canottiera e con i capelli
legati dietro la nuca, si sedette a cavalcioni su di lui e gli sfiorò la
bocca con un bacio lievissimo. – Ma tu me l’hai mai scritta una
canzone? – sussurrò appena.
- Mmh? – Bill chiuse gli occhi mentre le labbra di
Haylie schiudevano le sue.
- Una canzone tutta per me? L’hai mai scritta?
– Le sue mani che gli massaggiavano dolcemente le spalle lo mandavano
fuori di testa…
- Uh… certo – mormorò, cingendole i
fianchi con le mani. Avvicinò le labbra al suo orecchio. – Ich
glaub an dich, du wirst für mich immer heilig sein… - cantò a
fior di labbra, sentendola sorridere contro il suo collo. – Per sempre
sacra – ripeté in un sussurro, stringendola a sé.
Gli sembrò che i primi
deboli accordi provocassero un fracasso infernale. Non ce l’avrebbe mai
fatta.
Eppure doveva
farcela.
I suoi occhi erano lucidi oltre il
normale, le labbra aperte in cerca di respiro. Non c’era una sola parte
di lei che non tremasse incontrollatamente. Bill le strinse ancora più
forte la mano, accarezzandole il viso. Non poteva mostrarsi terrorizzato,
doveva farcela, doveva farcela per lei. – Haylie… Haylie,
tesoro… - balbettò, baciandole la mano stretta a pugno. Ma lei
già non rispondeva più.
Bill non riuscì a
comprendere le ultime parole che lei pronunciò a fatica, mentre le
palpebre si abbassavano e la mano allentava la presa sulla sua, e questo non se
lo sarebbe mai perdonato.
Quando il suo sguardo si spense e
le sue labbra si aprirono di più, come se avessero finalmente trovato
l’aria che cercavano, Bill si ritrovò a stringere una mano inerte.
Gli occhi gli si erano già riempiti di lacrime, che cominciarono a
scorrere sulle sue guance nello stesso istante in cui fu certo che lei non
potesse più vederle.
- Haylie… - Le
accarezzò il volto con mano tremante, e si accorse che era freddo come
non mai. – Haylie… no… - balbettò, stringendole
convulsamente una spalla. Non ci fu nessuna reazione, nessuna risposta. –
No… Haylie… HAYLIE! –
Le cuffie
gli scivolarono dalle orecchie e Bill le lasciò cadere a terra,
affondando il volto tra le mani.
- No!
– gemette. – Non ce la faccio! Non ce la faccio! –
Tutto
quello che venne dopo, lo sentì a malapena. Tom abbandonò subito
la chitarra, alzandosi di scatto e correndogli incontro. Lo prese per le
spalle, scuotendolo lievemente. – Bill… Bill, che succede? –
Quando Bill alzò la testa, capì immediatamente cosa stava per
accadere. La sua fronte era madida di sudore, le mani avevano cominciato a
tremargli e gli occhi apparivano oscurati dal panico.
- Andiamo
via… ti prego, andiamo via – lo supplicò Bill con voce roca,
aggrappandosi alla sua felpa. Tom gli passò un braccio dietro la schiena,
aiutandolo ad alzarsi, al che il gemello si abbandonò contro di lui,
tremando.
-
Cos’è successo? Che ha? – Nel frattempo, Gustav e Georg
l’avevano velocemente affiancato.
- Non
preoccupatevi – disse Tom, forzando la presa sulla vita di Bill per non farlo
cadere. – Scusateci, dobbiamo andare. Mi dispiace – Gustav lo
precedette, aprendogli la porta.
- Ma che
dici? Certo, andate! – Tom lo ringraziò con un sorriso nervoso,
trascinandosi dietro Bill. – Mi raccomando, chiamami, più tardi!
–
“Credi,
siamo nati insieme
e cresciuti qua,
anelli di catene
uniti
per non spezzarsi
più”
- E’
stata tutta una grandissima cazzata –
Bill si
lasciò cadere seduto sul letto, mentre Tom si affrettava ad entrare
nella stanza con lui e spalancare le finestre. – Una stronzata
all’ennesima potenza. Non dovevo costringerti –
Bill
seguitò a non dire nulla, fissando il pavimento. La crisi era andata
scemando mentre tornavano a casa in auto alla velocità della luce, ma la
sua faccia sembrava quella di chi fosse stato appena pestato a sangue. Tom
aprì un cassetto del mobile che usava come comodino per cercare un
pacchetto di fazzoletti. Lo richiuse in fretta, avendo visto un angolo della
busta bianca che aveva nascosto lì settimane prima: se l’avesse
guardata per un secondo di più, si sarebbe messo a urlare. Sedette
accanto a Bill e, dopo aver tirato fuori un fazzoletto di carta, afferrò
con una mano il mento del gemello e cominciò a strofinargli il trucco
via dalle palpebre. – Avrei dovuto saperlo. Ma già, io faccio
sempre quello che non devo – Lo sguardo di Bill era spento. Tom non
voleva sapere a cosa avesse pensato prima di essere colto da
quell’ennesimo attacco di panico, sentiva solo di odiarsi profondamente
per ciò che era successo. – Mi dispiace. Non parliamone
più. Evidentemente non era destino –
- Haylie
è morta per colpa mia –
Tom si
bloccò, il fazzoletto ancora premuto sul viso di Bill. Il trucco non era
andato via del tutto.
Lo sguardo
di Bill incrociò quello del gemello, e Tom sentì un brivido
freddo corrergli lungo la schiena. – Non dire idiozie – si
costrinse a replicare, appallottolando il fazzoletto. – Sei sconvolto
– Subito, si sentì afferrare per una manica, mentre gli occhi di
Bill, ancora puntati nei suoi, assumevano una sfumatura di disperazione.
- Sono
stato io. E’ stata colpa mia – La sua voce era talmente
inespressiva da provocare a Tom un secondo brivido. C’era qualcosa di
tristemente folle, disperatamente bisognoso, in quello sguardo.
- Che
cosa… cosa stai dicendo? –
Bill
deglutì, lo sguardo di nuovo vacuo, la mano ancora aggrappata alla
manica della sua felpa. Tom prese il coraggio a due mani.
-
Bill… com’è andata… veramente? –
Le labbra
del moro si schiusero appena, il suo sguardo si perse in lontananza. –
N-non ce la faccio più – Quando sentì la mano di Tom
posarglisi su una spalla, sobbalzò e lo guardò con terrore.
- Dimmelo,
Bill. Ti prego, raccontamelo –
Le sue
palpebre ancora sporche di nero si abbassarono appena, il suo sguardo si
fissò sul pavimento. E, da quando Bill, con tono monocorde e sommesso,
iniziò a parlare, non si staccò mai da quel punto.
- Dopo che
Haylie perse la prima bambina, cominciai a sentire qualcosa di strano. Da una
parte ero distrutto, perché mi ero abituato all’idea di un figlio,
e questo sogno si era sgretolato sotto i miei occhi. Dall’altra, ero
furioso, perché avrei voluto dirti un sacco di cose e tu non
c’eri. Ma da un’altra ancora ero felice, perché io e Haylie
ci eravamo chiariti, avevamo promesso di non dimenticarci mai delle cose
importanti.
Quando
siamo tornati in tourbus, ho cercato in tutti i modi di non farle pesare la
situazione. Mi mancavi e non l’avrei mai ammesso, anzi… forse non
l’avevo nemmeno capito. Ho portato avanti i Tokio Hotel perché era
giusto così, ma sapevamo tutti che qualcosa era venuto a mancare. Io e Haylie
eravamo… tranquilli, in quel periodo, felici perché ci eravamo
ritrovati. Sapevo bene che lei avrebbe voluto che io ti cercassi, ma non ha mai
detto niente. Stavamo così bene insieme, era tutto perfetto.
Ma poi un
giorno ho cominciato a pensare… a qualcosa… che non avrei dovuto.
Con il passare dei mesi, mi sono reso conto che, per quanto l’amassi,
sentivo che mancava qualcosa. Questo non gliel’ho mai detto,
perché sapevo fin troppo bene cosa mi avrebbe risposto. “E’
tuo fratello che ti manca”, mi sembrava di sentirla. E magari aveva
ragione, ma intanto io avevo maturato la mia idea e ne ero fermamente convinto.
Quella bambina nata morta aveva lasciato un vuoto più grande di quanto
pensassi. E mi sono accorto… di volerlo, un figlio. Volevo un bambino da
lei. Non le avrei chiesto di sposarmi, per quello non mi sentivo pronto. Ma per
avere un figlio sì, mi sentivo pronto. Lo volevo davvero, e non tardai a
parlargliene. Solo che lei… non sembrò felice quando glielo dissi
–
Tom chiuse
gli occhi, respirando profondamente. Non c’era niente nelle parole di
Bill, non c’era rabbia, non c’era dolore, non c’era
nostalgia. Chissà quante volte ci aveva pensato e ripensato,
finché quei ricordi non si erano depositati in fondo nel suo cuore. Bill
fece una brevissima pausa prima di riprendere il racconto, con lo sguardo
ancora fisso a terra.
- Lei
era… terrorizzata. La morte di quella bambina l’aveva segnata nel
profondo, era stato l’ultimo di una lunga serie di eventi dolorosi. Io le
parlai con serenità, cercando di tranquillizzarla, dicendole che poteva
pensarci, che con il tempo il dolore si sarebbe alleviato, ma lei non era
convinta. Aveva una paura maledetta, ma io mi convinsi che prima o poi sarebbe
passato. Haylie capiva quanto fosse importante per me, e fu per questo che,
alla fine, mi disse che forse avevo ragione, che si sarebbe abituata
all’idea. E comunque c’era tempo, non era detto che il bambino che
volevo venisse concepito all’istante.
Infatti
non successe. Passarono mesi e mesi, ma Haylie non rimaneva mai incinta.
Tentò varie volte di dissuadermi con questo pretesto, sostenendo che
magari quello era lo stesso motivo per cui la prima bambina era nata morta, che
forse in lei c’era qualcosa che non andava. E fu un tarlo che
attaccò subito anche me.
Quello
fu… il peggior periodo che passammo insieme. Con la musica non combinavo
più niente, ero sempre in tensione sia per quel bambino che non arrivava
sia per la preoccupazione per la salute di Haylie. Lei sembrava star bene, ma
continuava a non restare incinta. Passavamo da un medico all’altro, e
tutti dicevano la stessa cosa, anche se io non capii mai i dettagli e le
motivazioni di ciò che spiegavano: eravamo entrambi in salute, ma forse
la prima gravidanza aveva preannunciato una certa difficoltà per
l’organismo di Haylie. Forse era da prendere come un avvertimento, magari
voleva dire che il suo corpo non poteva sostenere uno sforzo simile. Ma io non
ho desistito. Mi rifiutavo di credere che potesse esserci qualcosa che non
andava, in lei… in noi.
E infatti
il miracolo arrivò. Haylie restò incinta l’estate scorsa.
Io ero… felice, euforico. Ma Haylie cominciò a non star bene fin
dai primi mesi di gravidanza. Era sempre a terra, come se si sentisse debole.
Decisi di prendermi una pausa con il gruppo, ma non spiegai nulla. Questa volta
ce lo saremmo tenuto per noi fino alla fine.
E poi,
un’altra girandola di medici. La conclusione era sempre la stessa: Haylie
doveva stare a riposo, era molto indebolita, c’erano grandi rischi di
aborto. La gravidanza riuscì a portarla fino alla fine, ma con sforzi
disumani. Era sempre… pallida, stanca, si affaticava per nulla.
Già al sesto mese le veniva difficile muoversi, e io… le stavo
sempre accanto, ripetendole che ce l’avremmo fatta, che eravamo sulla buona
strada, che si trattava solo di fare un ultimo sforzo. Non riuscivo a capire se
fosse ancora impaurita all’idea del bambino o se fosse semplicemente
debole come dicevano i dottori. Quando… tutto iniziò, e andammo in
ospedale… non sentivo dire altro che quello sarebbe stato un parto
difficile. Haylie era sempre magrissima, la pancia era cresciuta così
poco che, prima del parto, sembrava essere ancora al sesto mese… -
Se avesse
seguito l’istinto, Tom gli avrebbe preso una mano tra le proprie e
l’avrebbe stretta più forte che poteva… Bill chiuse gli
occhi e, per la prima volta da quando aveva iniziato a raccontare, i suoi
lineamenti si contrassero impercettibilmente.
- Haylie
mi supplicò di starle accanto e io… io ero terrorizzato
all’idea di assistere al parto, ma… per lei avrei fatto di tutto.
Eravamo arrivati al punto che inseguivamo –che io inseguivo- e non
l’avrei lasciata sola. Fu… straziante, una tortura. Alla fine,
Haylie non aveva neanche più la forza di piangere, c’ero io che le
tenevo una mano e cercavo di tranquillizzarla, ma era come se non mi sentisse.
E quei medici… quegli stronzi che per mesi avevano vantato tutte le loro
grandi conoscenze… non sono riusciti ad aiutarla… non le hanno dato
retta quando urlava per il dolore, non… non mi hanno ascoltato quando
dicevo che Haylie non respirava quasi più. Il cuore non ha retto allo
sforzo, dissero dopo, tutto il suo organismo era troppo debole. E’…
è morta tra le mie braccia, prima ancora di raccogliere le forze per
spingere fuori del tutto il bambino. E il bambino era… talmente piccolo,
talmente fragile, che non sono riusciti a salvare neanche lui. L’ho
sentita… l’ho sentita respirare sempre più piano, ho sentito
il suo cuore spegnersi a poco a poco – Bill deglutì e chiuse gli
occhi, chinando la testa. Le sue labbra ebbero un fremito. – Mi… mi
stava ancora stringendo la mano, quando stava morendo – mormorò
con voce strozzata.
Tom,
seduto accanto a lui, non aveva la forza di muovere un muscolo. Il racconto che
aveva appena ascoltato sembrava quasi una storia inventata, una fiaba
d’altri tempi. Una fiaba senza lieto fine che aveva tormentato suo
fratello per settimane, mesi. – Oh mio Dio… - sussurrò, il
respiro rallentato, chiudendo gli occhi.
Quando li
riaprì per guardare Bill, pronto a dirgli qualsiasi cosa pur di non
sprofondare in quel silenzio opprimente, vide un’unica, piccola lacrima
scivolare lungo la sua guancia, trascinando con sé i rimasugli di trucco
e rigandogli la pelle di nero. – Io non ho mai capito com’era lei
– gemette, scuotendo la testa. – Lei non voleva quel bambino, ma io
pensavo che col tempo avrebbe cambiato idea… - Le sue mani tremarono per
un attimo, prima che Bill le affondasse tra i capelli, rannicchiandosi su se
stesso. – Lei era tutta la mia vita, e io l’ho uccisa con le mie
mani! – giunse la sua voce già alterata dal pianto.
- Bill,
io… - Per un attimo, la mano di Tom vagò incerta sulla sua spalla,
prima che un flash gli attraversasse la mente all’improvviso. Si morse le
labbra, si guardò intorno indeciso, ma poi si alzò di scatto dal
letto e si diresse verso il cassetto da cui aveva preso i fazzoletti.
Afferrò la lettera che vi aveva nascosto poco tempo prima, tornando a
sedersi accanto al gemello. Lo scosse leggermente per una spalla. –
Ascolta… -
- Sono
stato io – fu il flebile sussurro di Bill, il capo ancora chino in
avanti. – E’ questa la verità –
- No
– Tom gli strinse più forte la spalla e il moro alzò la
testa. Il suo sguardo vagò dal viso di Tom alla busta che teneva in una
mano. – E’ questa la verità – Bill tornò
a guardare la lettera, tirando su col naso.
- C-che
cos’è? – Tom indugiò solo un attimo. Stava per
svelare il proprio tradimento.
-
L’ho trovata nella tasca di un paio di pantaloni di Haylie. E’ per
te, leggila – Si aspettava di incrociare uno sguardo furioso, lo sguardo
di chi si sentiva tradito per l’ennesima volta, e invece tutto quello che
vide sul viso del fratello fu una sfumatura di speranza contrapporsi alla
desolazione. Bill prese la busta e, con mani incerte, ne tirò fuori il
foglio piegato in quattro.
Mentre i
suoi occhi, sempre più avidi e lucidi, scorrevano tra le righe scritte
da Haylie molto tempo prima, Tom si ritrovò a chiedersi cosa avesse
provato veramente nel momento in cui le aveva lette. E cosa avrebbe provato il
suo gemello…
-
Haylie… - Il mormorio spezzato di Bill lo avvertì che il gemello
aveva terminato di leggere e, anche quella volta, si accorse di essere
sprovvisto di tutte le parole che avrebbe voluto dirgli. Bill fu scosso da un
tremito e si coprì la bocca con una mano per soffocare un singhiozzo.
Quando le
sue spalle sussultarono, Tom avrebbe dato qualsiasi cosa pur di avere la forza
di abbracciarlo, ma poi tutto successe talmente in fretta che persino lui si
ritrovò spiazzato.
- Tom!
– Un secondo singulto, un movimento veloce, e Bill si era abbandonato
contro di lui, stringendo convulsamente le braccia intorno al suo collo e
singhiozzando forte contro la sua spalla. Le mani di Tom rimasero incerte per
pochi istanti, prima che il ragazzo si decidesse a cingere con le braccia il
corpo esile del fratello, cullandolo come un bambino spaventato. – Oh,
Tomi… Tomi… -
Improvvisamente,
ogni precedente emozione lo abbandonò: la rabbia, il rancore, la
tristezza. C’era solo Bill, il suo gemello, c’era l’affetto
sconfinato che non aveva mai smesso di provare per lui, c’era la
nostalgia, la mancanza della sensazione che non provava più da anni,
quella di avere ancora una famiglia.
Bill
strinse i pugni sulla sua felpa, tremando contro di lui. – Mi
sento… così solo! – singhiozzò, il viso nascosto nel
collo di Tom.
- Non sei solo
– sussurrò il biondo, accarezzandogli piano i capelli e sentendolo
sussultare violentemente fra le proprie braccia. Cercò di ricordare
quanto tempo fosse passato dall’ultima volta che si erano abbracciati
così, ma si accorse di non riuscirci. – Non sei solo… non lo
sei mai stato –
-
Io… ho perso tutto, tutto! - I singulti non erano ancora cessati. Tom
allontanò Bill da sé per poterlo guardare in faccia. Le lacrime
avevano lasciato dei brutti segni lungo le guance e i suoi occhi erano talmente
gonfi da far sembrare che Bill avesse pianto per tutto il giorno.
- Non
è così – Tom gli strinse un braccio, accarezzandolo con il
pollice, e gli sorrise. Avrebbe voluto dirgli che Haylie era sempre accanto a
lui, ma non aveva mai creduto alla presenza dei morti ed era sicuro che il
gemello lo sapesse. Non voleva essere ipocrita. Voleva, e doveva, solo dirgli
quanto di più vero riuscisse a cavare fuori dal cuore. – Ci sono
io. Ti voglio bene, Bill – Il moro lo guardò per qualche attimo tirando
su col naso, prima di chinare la testa e riprendere a piangere sommessamente,
coprendosi la bocca con una mano. Tom lo circondò con le braccia e lo
strinse di nuovo a sé, sentendo i singhiozzi di Bill soffocati sul
proprio petto, sulla felpa ormai bagnata a chiazze e sporca di nero.
Lasciò che si sfogasse liberamente, che facesse scorrere tutte le
lacrime che aveva trattenuto, sperando che questo servisse ad alleviare la sua
sofferenza.
Com’era
possibile soffrire a quel modo e tenersi tutto dentro per tanto tempo,
com’era possibile soffocare il dolore fino a sentirlo parte di sé?
Fu la mancata risposta a queste domande a confermare il pensiero di Tom: suo
fratello era davvero la persona
speciale che era sempre stato. E allora com’era possibile che tutto
quello fosse toccato proprio a lui?
Quando i
singhiozzi diminuirono, Bill, con il respiro ancora un po’ affannoso, si
staccò da lui, asciugandosi gli occhi con la manica della giacca. Furono
i pochi istanti di silenzio che seguirono a provocare un altro lampo nella
mente di Tom.
- Bill,
dov’è sepolta Haylie? –
Il moro lo
guardò in modo strano, come se si sentisse messo con le spalle al muro,
e mugugnò l’indirizzo del cimitero continuando a strofinarsi gli
occhi. – Ma io non so se… - tentò poi debolmente di opporsi.
- Andiamo
da lei. Adesso –
Bill si
passò una mano sul viso, poi guardò il palmo sporco di trucco. I
suoi occhi si posarono su Tom. – N-non posso venire conciato così!
– Il biondo si alzò dal letto, tirandolo per un braccio e facendo
alzare anche lui.
- Allora
cambiati. Dài, sbrigati –
Gli era
preso come uno strano impulso, un incomprensibile, urgente bisogno. Non avrebbe
saputo spiegarlo e neanche gli interessava: sapeva solo che doveva farlo, che dovevano
farlo.
Pochi
minuti dopo, Bill uscì dalla camera da letto in jeans e con un vecchio
giubbotto grigio, tentando di tirare su la zip fino al mento. Si era ripulito
il viso alla meno peggio, anche se gli occhi erano ancora gonfi come se
avessero ricevuto un pugno ciascuno. Tom lo spinse fuori di casa appena in
tempo per fargli afferrare una sciarpa attaccata all’appendiabiti, e
pochi minuti dopo erano già in macchina, con Bill al volante.
Tom
notò subito l’incertezza del gemello nella guida, come se non
conoscesse la strada, ma la attribuì alla stanchezza e allo stordimento.
Quando parcheggiarono nei pressi dell’entrata del cimitero, lo sguardo di
Tom percorse le inferriate dei cancelli con una certa inquietudine.
-
Dài, entriamo – si costrinse a dire. Vide l’esitazione di
Bill accentuarsi quando si trovarono a due passi dall’entrata, ma non
poteva tirarsi indietro. Stava succedendo esattamente come qualche ora prima:
Bill non voleva venire alla riunione, lui l’aveva praticamente costretto
e tutto era finito in dramma. Ma adesso era diverso, non poteva cambiare idea.
Infilò un braccio sotto quello del gemello, tirandoselo dietro. Credeva
che Bill conoscesse la strada, ma lo vide fermarsi e chiedere sottovoce
qualcosa al custode, che fece un cenno distratto verso sinistra e rispose a
voce altrettanto bassa.
La
spiegazione di quel comportamento cominciò ad apparirgli più
chiara quando si trovarono di fronte alla tomba di Haylie. A differenza di
molte altre, la lapide era piuttosto sporca, il nome in rilievo si presentava
opaco e la foto scolorita. A completare il tutto, la totale assenza di fiori.
Tom
sentì qualcosa di molto simile a un pugno nello stomaco. Fu colto da un
lieve giramento di testa e si aggrappò al braccio di Bill, balbettando:
- Cosa… perché…? –
- Non ho
mai avuto il coraggio di venire – rispose Bill con la voce rotta,
stringendo i pugni e mordendosi il labbro inferiore.
Tom
chinò la testa, coprendosi gli occhi con una mano. Era una visione
insopportabile. La tomba abbandonata come se Haylie fosse stata dimenticata da
tutti, la foto scolorita… no, non avrebbe potuto guardarla per un secondo
di più.
Non si
accorse che Bill aveva stretto i pugni, non vide i suoi occhi colmarsi
nuovamente di lacrime, sentì solo un gemito spezzato provenire dalla sua
sinistra. - …no! –
Alzò
la testa e lo vide con il viso sepolto tra le mani, leggermente curvato in
avanti, come se non avesse più la forza di reggersi in piedi. Per la
seconda volta non ebbe il tempo di fare nulla, perché Bill si
aggrappò a lui, riprendendo a piangere contro il suo collo. Tom lo
strinse a sé, appoggiando il mento sulla sua spalla, e rimasero
così per minuti interi, senza dire nulla, lasciando che il vento, con la
sua furia e il suo sibilo, parlasse per loro.
“Stai con me
nell’alto dei
cieli,
stai con me
tra questi
veleni”
- Non
andartene anche tu – singhiozzò debolmente Bill stringendo
più forte il gemello.
- Sono qui
– Tom non sapeva quante volte avesse ripetuto quelle parole, ma non
gl’importava, perché quella era la semplice verità. Era
lì, era lì per lui, come era stato fin dal primo momento.
Sentì Bill tirare un respiro affannoso.
- Giurami
che non cambierà più niente, che ci vorremo sempre bene –
Bill strinse i denti come se sentisse dolore fisico, mentre le lacrime
riprendevano a scorrere copiose lungo le sue guance. – P-perdonami
Tom… perdonami! – singhiozzò.
Tom lo
abbracciò con forza senza dire nulla. Gli parve di sentire un lieve
pizzicore da qualche parte negli occhi, e ne ebbe la conferma quando li
strofinò con le nocche e le sentì bagnarsi leggermente.
Ce
l’aveva fatta. Era libero.
- Hai
chiesto scusa troppe volte, Bill – mormorò sorridendo appena.
– E sei l’unico che non ha nulla da farsi perdonare – Il moro
si separò da lui, guardandolo con occhi colmi di tristezza. – Non
cambierà più niente. Te lo giuro, fratellino –
Bill
ingoiò le ultime lacrime rimaste prima di sorridere.
Sorridere davvero
per la prima volta, sorridere al fratello che credeva di aver perso, quel
fratello che era l’unica persona che gli era rimasta.
Un ultimo
abbraccio mise la parola “fine” al rancore e alla rabbia che si
erano tenuti dentro fino a scoppiare, e suggellò un patto davanti agli
occhi di Haylie che, seppur dai colori un po’ sbiaditi, li guardava
sorridendo da quel pezzo di ceramica stampata.