Libri > Twilight
Segui la storia  |       
Autore: Tinkerbell92    09/03/2015    3 recensioni
STORIA IN REVISIONE
Emma Bennett è una trovatella, educata e molto intelligente, che ha passato diciannove anni nell'Orfanatrofio di Volterra.
Il suo tragico passato sembra, ormai, soltanto un lontano ricordo, quando, un giorno, assiste, per caso, al brutale omicidio di uno stranissimo essere umano dalla pelle fredda come il ghiaccio.
I giustizieri altri non sono che i Volturi, i quali, dopo aver discusso sul destino della scomoda testimone, invece che ucciderla, decidono di portarla in dono alla viziatissima figlia di uno dei tre capi.
Genere: Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Volturi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Twilight Saga according to Tinkerbell'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Non riuscivo ad aprire gli occhi.
Per la prima volta la mia curiosità si trovava surclassata, messa in secondo piano rispetto ad un fastidioso senso di angoscia e rifiuto.  
Non volevo vedere, non avevo il coraggio di dare nemmeno una sbirciata. Temevo che non avrei retto altri spettacoli devastanti.
Sussultai non appena un paio di mani fredde si serrarono attorno ai miei polsi.
- Emma…
Scossi la testa con forza, senza aprire gli occhi: - No! Lasciatemi stare, non voglio vedere altro!
Cercai di divincolarmi, ma la presa del vampiro – chiunque egli fosse – si allentò all’improvviso ed un palmo gelido si posò sulla mia guancia: - Va tutto bene, Emma… è tutto finito…
Quel tono rassicurante poteva appartenere ad una persona soltanto.
Con uno sforzo immane riuscii ad aprire gli occhi, trovandomi dinnanzi al volto stanco e sofferente di Marcus.
In un primo momento pensai di scappare via, poi, però, riuscii a guardarmi attorno: la stanza sotterranea non era messa male come pensavo. C’era qualche crepa qua e là, principalmente sul pavimento di pietra, ma, tutto sommato, mi sentivo quasi rassicurata.
Niente macerie, niente pezzi di vampiro sparsi per terra…
Marcus aprì la bocca per dire qualcosa ma io, senza preavviso, mi strinsi a lui, singhiozzando.
- Ho paura- mormorai, affondando il viso nella sua camicia di seta – Ho paura di impazzire…
Il vampiro, dopo un attimo d’incertezza, serrò delicatamente le braccia attorno a me, coprendomi con i lembi del suo mantello scuro: - Stai tranquilla… va tutto bene. Mi dispiace per quello che hai appena passato…
Ci volle un po’ prima che mi calmassi del tutto. Marcus mi accarezzava la testa con una mano, senza dire nulla, mentre con l’altra teneva il mantello avvolto attorno a me.
Non appena riuscii a regolarizzare il respiro, alzai lo sguardo verso l’anziano vampiro. Ci mancò poco che lo chiamassi “padre”.
- Marcus- sussurrai – Cosa… cos’è successo qui? Dove sono… gli altri?
Lui sospirò gravemente: - Siamo andati molto vicini alla distruzione del castello, fortuna che Rowena è riuscita a riacquistare la ragione in tempo. Ci sono stati dei feriti ma tutto sommato…
- Feriti?- ripetei sgranando gli occhi – Chi?
- Felix, Demetri e Heidi- rispose, affrettandosi a terminare il discorso non appena vide il mio volto sbiancare – Comunque nulla di grave, tranquilla.
Gli permisi di darmi una mano a rialzarmi, aggrappandomi al suo braccio non appena avvertii un lieve capogiro: - Voglio… voglio tornare di sopra… non riesco a sopportare la vista di questo sotterraneo.
Marcus annuì, aiutandomi a camminare. Fu piuttosto dura affrontare i gradini che conducevano al piano superiore, ma mi sforzai di ignorare il tremolio alle gambe. Non mi andava di fare nuovamente la figura della debole.
- Mi dispiace- sussurrò Marcus all’improvviso –Per quanto hai visto… per quello che hai saputo… immaginavo che prima o poi l’avresti scoperto, ma in questo modo…
- Non mi va di parlarne- risposi spiccia, scacciando a fatica le immagini tremende del massacro – Mi viene la nausea a pensarci. Ma… mi dispiace averVi dato del mostro…
- Forse hai ragione- mormorò afflitto lui – Anzi, hai ragione sicuramente. Io sono un mostro. Anche se cerco di non farci caso io…
- Marcus- lo interruppi scuotendo la testa – Definire Voi “mostro” è un’esagerazione. Siete molto più umano di quanto pensiate… anche se i vostri pasti sono tutt’altro che apprezzabili…
- Non ci muoviamo dal castello da anni ormai- sospirò – E, anche se girassimo per la città di notte, di sicuro desteremo dei sospetti maggiori tra la gente di Volterra. E’ l’unico modo che abbiamo per nutrirci e non ne vado fiero, specialmente adesso che l’hai scoperto. Mi spiace che tu ci sia rimasta così male…
Alzai lo sguardo verso di lui, sorridendo leggermente: - Questi non sono discorsi da mostro.
Anche se per poco, una flebile luce di sollievo illuminò il viso del vampiro, che piegò appena le labbra verso l’alto: - Ti ringrazio.
Raggiungemmo il salone principale, dove venni quasi stritolata dall’abbraccio di Milady: - Emma! Credevo che ti saresti barricata nel sotterraneo per sempre!
- Non ci penso nemmeno – biascicai, dando un’occhiata oltre le sue spalle.
Chelsea e Renata mi fissavano in piedi e immobili, accanto ad una poltrona sulla quale sedeva Felix. Rimasi piuttosto sorpresa quando vidi che la metà sinistra della testa del vampiro era completamente bendata.
- Che ti è successo?- esclamai stupita, staccandomi dal braccio di Marcus – Credevo che voi vampiri non…
- Mi ha fermata mentre mi trovavo al culmine dell’ira- spiegò Milady, leggermente imbarazzata – E… senza volerlo gli ho rotto la testa…
Alla mia espressione confusa, Felix si alzò dalla poltrona sorridendo e si tolse le bende con un gesto fulmineo. Emisi un gemito di sorpresa e disgusto: una crepa profonda partiva dalla fronte ed arrivava fino al mento, solcandogli tempia, zigomo e mascella. Somigliava molto ai crateri che dividono in due rocce e montagne.
Niente sangue, naturalmente, né organi visibili. Solo un gigantesco solco grigiastro.
- Ti piace?- chiese il gigante con aria allegra – Credo che un tuo dito ci passerebbe senza problemi in mezzo…
- No, grazie, non voglio nemmeno provare – mi affrettai a rispondere – Coprilo pure.
Felix scoppiò a ridere, permettendo a Renata di sistemargli nuovamente la benda.
Mi voltai verso Marcus, che sorrise appena: - Tranquilla, non resterà così per sempre. In un paio di giorni tornerà come prima.
- Giusto… voi guarite in fretta – osservai, dandomi un’occhiata attorno.
Milady mi prese sottobraccio e mi strizzò l’occhio: - A Heidi è andata peggio. Le ho staccato un braccio, il naso e mezza gamba e c’è mancato poco che le staccassi anche la testa. Credo che ci penserà due volte prima di attaccarti, d’ora in poi…
- Le è quasi venuta una crisi isterica – ridacchiò Renata – Non è abituata a farsi “rompere”. Abbiamo dovuto chiuderla nella sua stanza con Corinne per calmarla.
- Non so perché, ma non mi sento molto dispiaciuta – replicai sarcastica, ricordandomi improvvisamente di una cosa – E… Demetri?
- Oh, lui sta bene – sorrise Rowena, sbattendo le lunghe ciglia illuminate da una curiosa polverina d’oro – Vuoi vedere di persona?
Mi voltai verso Marcus, che annuì, poi sospirai: - Sì, lo voglio vedere.
Milady mi condusse al secondo piano, attraversando una decina di corridoi illuminati da una timida luce solare. Nonostante i raggi fossero piuttosto deboli, la pelle della vampira brillava come un diamante.
Giungemmo davanti ad un grande portone di legno, che Rowena socchiuse appena, spingendolo con una sola mano: - Benvenuta nella Palestra! Naturalmente, nessuno di noi ha veramente bisogno di fare esercizio fisico, però rappresenta un ottima fonte di svago, in particolare per le Guardie. Entra pure, vi lascio da soli.
Avanzai cautamente, quasi intimorita, mentre Milady mi teneva la porta. Tempo di varcare la soglia che la biondina se n’era già andata. Con un sospiro, mi guardai attorno.
Non avevo mai visto tante attrezzature ginniche in vita mia: aste sospese, reti, anelli, pesi… sicuramente una persona sportiva si sarebbe trovata in Paradiso.
A qualche metro da me, Demetri si stava esercitando a praticare delle curiose mosse di combattimento, che rendevano i suoi movimenti molto simili ad una coreografia di ballo.
Mi schiarii la voce, sistemandomi un ciuffo ribelle ed avvicinandomi con passo un po’ incerto. Lui mi guardò e sorrise, interrompendo la strana danza. Indossava dei pantaloni morbidi ed una maglia scura che lasciava scoperte le braccia. Attorno al destro, poco sotto la spalla, era stata avvolta una benda biancastra.
- Ehi! – mi salutò allegro, gettandosi di schiena sul materassone più vicino.
- Ehi – risposi, sedendomi accanto a lui – Giornataccia, eh?
- Naaah, ne ho passate di peggiori – affermò convinto, senza smettere di sorridere – Tu stai un po’ meglio?
- Un po’ – sospirai, indicando poi con un cenno la fasciatura avvolta attorno al suo braccio – Anche tu hai rischiato di spaccarti?
Demetri si sollevò sui gomiti, forse facendo un po’ apposta a flettere i bicipiti: - In realtà è andata un po’ diversamente: nel trambusto, Heidi mi ha morso.
- Cosa?
Spalancai gli occhi incredula, mentre lui, srotolando le bende, mi mostrò l’inconfondibile segno di denti affilati impresso sulla sua pelle, come una sorta di tatuaggio livido tendente al bluastro.
- I morsi degli altri vampiri vi fanno questo effetto? Non ricordo di aver letto nulla al riguardo…
- Non resterà così per sempre – rispose lui, cercando di risistemare la fasciatura – Questione di poco tempo, poi diventerà grigio chiaro e, se il morso non è profondo, sparirà. Comunque sì, il veleno dei nostri simili può ferirci ed essere anche piuttosto doloroso. Non penso, però, che Heidi mirasse a me…
- No, di sicuro puntava me. Aspetta, ti aiuto io…
Avvolsi rapidamente i lembi della benda attorno al suo braccio, per poi fissarli in un nodo. Demetri mi fissò, quasi sogghignando, poi si sporse verso di me, stampandomi un rapido bacio sulle labbra. Mi venne spontaneo sorridere.
- Allora non sei più arrabbiata con noi, eh? – osservò con aria furba, scompigliandosi distrattamente i capelli color rame.
Mi strinsi nelle spalle, reprimendo un brivido: - Senti, preferirei non ricordare quello che è successo poco fa. Parliamo d’altro, per favore.
- Altro?
I suoi occhi cremisi si socchiusero in modo malizioso: - Di cos’altro potremmo parlare?
Mi guardai attorno, cercando di trovare un argomento di conversazione che mi distraesse dai pensieri inquietanti sui cadaveri dissanguati, poi m’illuminai: - Come sei diventato un vampiro?
Demetri assunse improvvisamente un’aria più attenta e interessata, come se non si aspettasse una domanda del genere. Poi, le sue labbra si piegarono in un sorrisetto compiaciuto: - Non ti ho ancora raccontato la mia storia, quindi…
Si sdraiò di nuovo sul materasso, vagando con la mente nei meandri del tempo passato: - Dunque, nacqui a Corinto nel 1181… dopo Cristo, naturalmente. Mia madre era una donna molto debole e malaticcia, non si riprese mai dal parto. Morì quando avevo appena due anni, spegnendosi su quel letto dal quale non si alzava mai.
Mio padre era un uomo ricco ed impegnato, un aristocratico che gestiva buona parte del denaro della città. Una sorta di banchiere, diciamo. Durante la mia infanzia non passammo molto tempo insieme, infatti fui cresciuto dalla sua concubina, Zanthe. Sai, Emma, credo che ti sarebbe piaciuta molto, era una donna incredibilmente forte, intelligente, severa ma generosa. Ho un ricordo molto vivido di lei: era robusta, dava una grande soddisfazione abbracciarla senza aver il timore di stringere troppo forte. Aveva i capelli neri e profumava di pane alle olive.
Lei e mio padre avevano avuto tre figli illegittimi, due gemelli, Tecla e Agapios, nati due anni prima di me, e il piccolo Nerses, venuto al mondo otto anni dopo i fratelli, gracile e smunto.
Non ebbi particolari problemi durante l’infanzia e l’adolescenza: andavo d’accordo con i miei fratellastri e la mia tutrice, nessuno di noi aveva bisogno di altro rispetto a ciò che possedeva. E con “altro”… sì, mi sto riferendo anche a mio padre. Non lo odiavo e penso che nemmeno il resto della famiglia lo odiasse, semplicemente ci limitavamo ad accettare le sue assenze e le sue presenze in egual modo. Per quasi una ventina d’anni, mio padre fu poco più consistente di un fantasma.
In caso te lo stessi chiedendo… sì, il mio cosiddetto potere era già attivo quand’ero un bambino, anche se, naturalmente, in maniera molto più lieve rispetto ad ora. Scontato dire che, quando io e i miei fratelli giocavamo a nasconderci in giardino, io ero sempre quello avvantaggiato.
Tuttavia, le gioie infantili e le avventure dell’adolescenza erano destinate a svanire: il giorno del mio diciassettesimo compleanno, mio padre tornò al palazzo di corsa, di punto in bianco, senza preavviso. E, sempre senza preavviso, annunciò che io e i miei due fratelli maschi avremmo dovuto intraprendere la carriera militare. Soltanto l’anno dopo scoprimmo che gli era giunta voce di un appello lanciato dal nuovo Papa affinché venisse combattuta una Quarta Crociata. Per un motivo che non scoprii mai, mio padre era intenzionato a combattere sotto il vessillo dell’Impero Bizantino e noi tre figli avremmo dovuto seguirlo.
Come di certo saprai, passarono circa quattro anni dall’enciclica papale all’effettiva partenza dei crociati: nel 1202, mentre la città di Zara cadeva dopo due settimane d’assedio, io, mio padre e i miei fratelli ci preparavamo a partire alla volta della Terrasanta. Nel frattempo, il principe bizantino Alessio IV strinse un’alleanza con i crociati per riprendere in mano l’impero usurpato dal fratello Alessio III. Tutto ciò che mi venne riferito è che avrei combattuto in favore del primo.
Il viaggio che affrontai, destinato a terminare a Costantinopoli, segnò in modo definitivo la mia visione del mondo, così come il rapporto con mio padre.
La mia avversione nei suoi confronti cominciò a manifestarsi quando Nerses, sempre fragile e cagionevole, morì di febbre durante il tragitto. In un primo momento, accusai mentalmente nostro padre per la morte del mio fratellastro, tuttavia, non mi sentivo ancora pronto a giudicare in modo drastico quell’uomo che conoscevo appena, non ero pronto a odiarlo.
Il primo assedio di Costantinopoli durò poco meno di un mese e si risolse con la vittoria dell’alleanza crociato-bizantina. La mia famiglia ebbe un ruolo piuttosto marginale durante le battaglie, probabilmente fu per questo che riuscimmo tutti e tre a sopravvivere
Tuttavia, il successo dell’impresa si rivelò decisamente inutile, visto che le ostilità tra il nuovo re, Alessio V, e i nostri ex alleati cristiani portarono, nel 1204, ad un secondo assedio della città.
Mio padre si era rifiutato di rimpatriare dopo la vittoria, stregato dalle ricchezze imperiali, così, quando i crociati attaccarono, fummo costretti a combattere di nuovo, questa volta contro coloro che avevamo affiancato soltanto l’anno prima. Perché, alla fine, è questo il lato tragico dell’essere un soldato: devi limitarti a seguire gli ordini dei superiori, senza badare ai tuoi sentimenti e valori morali.
Mio fratello Agapios aveva fatto amicizia con un ragazzo crociato di nome Friederik, durante il primo assedio: di punto in bianco, quel giovane svevo con cui aveva riso e scherzato non poteva considerarsi diversamente da uno qualsiasi dei soldati nemici che cercavano di far breccia nelle mura della città, reclamando le nostre teste.
Il Nove Aprile, quando l’assedio cominciò, fui convocato da uno dei comandanti, un misterioso uomo dall’accento egiziano, affinché pattugliassi i confini delle mura alla ricerca di eventuali nemici nascosti. Mio padre, non so come, era venuto a conoscenza del mio dono e, sperando forse di attirare l’attenzione dei piani alti, pensò bene di sfruttarmi. Cominciai a capire che, per lui, io e mio fratello non rappresentavamo altro che semplici strumenti, utili soltanto alla realizzazione dei suoi scopi personali.
Tre giorni dopo, i crociati riuscirono a penetrare in città, dando luogo ad uno dei massacri più devastanti della storia. Fortunatamente, non ho molti ricordi di quel micidiale spargimento di sangue: fui ferito mortalmente e persi i sensi mentre cercavo di raggiungere mio fratello dalla parte opposta della città.
Per un breve lasso di tempo restai sospeso in un piacevole oblio oscuro, attendendo semplicemente di morire, lasciandomi alle spalle ogni cosa. E poi, improvvisamente, qualcosa di affilato mi serrò la gola, soffocandomi. Sulle prime pensai che qualche crociato avesse pensato di finirmi, ma cambiai idea immediatamente non appena un dolore insopportabile cominciò a diffondersi in tutto il mio corpo, provocandomi spasmi e urla involontarie.
Mi domandai chi potesse divertirsi a torturare in quel modo orribile un uomo già morto. Mi sentii trafiggere da mille aghi e poi avvolgere dalle fiamme dell’Inferno. E continuavo a domandarmi perché la Morte tardasse tanto a sopraggiungere.
Quando il dolore cessò, ripresi lentamente i sensi e fu come risvegliarsi in un altro mondo. Ma mi resi presto conto che il mondo era sempre lo stesso, ero io ad essere diverso.
L’uomo, o meglio, il vampiro che mi salvò si chiamava Amun. Lo riconobbi immediatamente come il comandante che mi aveva convocato per affidarmi il pattugliamento dei confini cittadini: mi aveva tenuto d’occhio dopo aver saputo della mia abilità, sapendo che avrebbe comportato l’acquisizione di un dono speciale dopo la trasformazione.
Prima che potesse spiegarmi la situazione, provai d’istinto ad individuare la presenza di mio fratello, ma con scarsi risultati. Capii che doveva essere caduto in battaglia insieme a mio padre.
Amun si presentò come uno dei vampiri più anziani della Terra, mi spiegò cosa comportasse appartenere alla sua specie e si offrì di farmi da mentore per affinare al meglio il mio potere.
Accettai di affidarmi alla sua guida, alla condizione di poter vedere un’ultima volta le donne delle mia famiglia. Egli acconsentì, così, non appena la mia sete si fu leggermente placata, tornai a Corinto insieme a lui. Tuttavia, una brutta sorpresa mi attendeva: Zanthe, provata da una lunga malattia che ci aveva tenuto nascosta per anni, era morta l’ anno prima, mentre Tecla aveva abbandonato la città in compagnia di un ragazzo sconosciuto, facendo perdere le proprie tracce. Suppongo fosse morta anche lei in quel periodo, visto che non riuscii mai a ritrovarla.
La mia famiglia era stata spazzata via nel giro di pochi anni, Amun era tutto ciò che mi rimaneva. Mi affezionai a lui e gli fui grato per tutto ciò che fece per me, eppure… eppure la mia nuova vita non mi impedì di dimenticarmi di quella vecchia, né tantomeno mi impedì di realizzare da che razza di mostro si era fatta ingravidare la mia povera madre.  
Mio padre era la causa di tutto: se avesse continuato ad occuparsi del proprio mestiere, senza farsi ammaliare dal fascino dell’ambizione, le persone che amavo non sarebbero scomparse prematuramente. Se fosse rimasto il semplice egoista che era, la mia vita non sarebbe stata sconvolta in quel modo; diventando un egoista ambizioso, si macchiò le mani del sangue dei propri figli. Capii che non erano state le malattie o i soldati crociati ad ucciderci tutti: era stato lui.
E sì, Emma, fu allora che cominciai a odiarlo. E, nonostante sia piuttosto inutile, io lo odio ancora e non lo perdonerò mai per quello che mi ha fatto.

Attesi che proseguisse con il racconto, ma lui si limitò a voltare il viso verso di me, sorridendo furbescamente: - Non siamo solo noi vampiri ad essere dei mostri, non credi?
- So benissimo di cosa sono capaci gli esseri umani – replicai, stendendomi su un fianco accanto a lui – E so benissimo che non è la razza ma il comportamento a rendere qualcuno un mostro. Può capitare di esprimersi male quando si è sconvolti.
- Sto solo cercando di punzecchiarti – sogghignò lui, avvicinando il viso al mio – E’ divertente perché ci caschi sempre.
Sospirai, senza trattenere un sorriso, e mi sporsi in avanti, baciandolo. Cominciavo a non fare più troppo caso alla temperatura delle sue labbra.
- Posso farti una domanda? – sussurrai non appena ci scostammo – Come mai fai parte dei Volturi, ora? E’ successo qualcosa ad Amun?
Mi pentii all’istante di avergli chiesto una cosa simile, vedendo l’espressione dolorosa che si dipinse sul suo volto.
- Io… beh, Aro desiderava che facessi parte della sua Guardia. Ha mandato Chelsea a spezzare il legame che mi univa ad Amun per indirizzare la mia lealtà verso la famiglia Volturi. Però – mi interruppe, non appena spalancai la bocca, sconvolta – in realtà per lei fu meno difficile del previsto. Voglio dire, Amun era importante per me, lo vedevo quasi come… come un padre, piuttosto che un mentore. Eppure, da un po’ di tempo, avevo la sensazione che cominciasse a considerarmi un possedimento. Era tremendamente geloso di me, probabilmente avrebbe preferito che gli portassero via Kebi, la sua compagna priva di poteri, al posto mio. Avevo paura che… che diventasse egoista e avido, come il mio padre biologico, avevo paura che cominciasse ad “usarmi”. E’ soprattutto per quello che me ne sono andato.
- Anche Aro mi sembra piuttosto possessivo – osservai – E non si fa problemi ad usare i sottoposti come pedine.
- Questo lo so – replicò lui, strizzandomi l’occhio – Ma non provo alcun legame affettivo nei confronti di Aro, tesoro mio. Lui non può deludermi o ferirmi.
- Perché le persone che amiamo tengono in mano il nostro cuore – conclusi con un sussurro – E a loro… basta molto poco per distruggerlo.
- Esattamente – rispose lui, baciandomi la fronte.  
Restai in silenzio per qualche secondo, mordendomi il labbro distrattamente. Un pensiero poco piacevole si fece strada nella mia testa.
- Anche noi due potremmo ferirci facilmente.
Mi sentii improvvisamente stringere lo stomaco in una morsa, realizzando che le mie parole suonavano in maniera piuttosto esplicita come una confessione.
Demetri ebbe probabilmente la stessa impressione, infatti, ruotò sul fianco destro, ritrovandosi col corpo premuto contro il mio. Mi strinse a sé nel modo più delicato possibile e, poggiando le labbra sul mio orecchio, sussurrò semplicemente: - Sì. Potremmo sul serio.
- Da parte mia, cercherò di evitarlo – promisi, scostandomi per guardarlo negli occhi – Finché avrò vita farò il possibile per non far più soffrire te, Marcus, Milady…
- Finché avrai vita? – ripeté lui a bassa voce, aggrottando la fronte un po’ confuso.
- Beh, non vivrò per sempre, dopotutto – spiegai, cercando di sorridere – Non sono immortale come voi.
Il silenzio che seguì la mia affermazione provocò una spiacevole sensazione di angoscia che mi attanagliò il petto. Sensazione che si accentuò non appena Demetri pronunciò la domanda che tanto temevo.
- Quindi… non vuoi diventare una di noi?
Dovetti lottare per diversi istanti contro l’impulso di alzarmi e scappare via. La possibilità di ferirlo mi sembrò immediatamente più tangibile.
- Non mi fraintendere – mormorai, scegliendo con cura le parole – Voi vampiri mi piacete, sul serio, nonostante non approvi le vostre abitudini alimentari. E l’idea di passare con voi l’eternità è allettante. Insomma, chi non vorrebbe restare giovane per sempre?
- Ma c’è un “però”, giusto?
Presi un profondo respiro, trovando il coraggio di fissarlo dritto negli occhi: - Però… l’essere umana è parte di me. Sono debole, ai vostri occhi, e magari piena di difetti. Ma, se devo essere sincera, questa cosa non mi dispiace, perché… beh, questa sono io. Sono nata così e non me la sento di perdere la mia umanità per avere in cambio una vita immortale.  Chi mi assicura che, una volta trasformata, non diventi un’altra persona? Essere mortale ti fa apprezzare, anche indirettamente, ogni minuto passato su questa Terra, perché sai di essere soltanto un segmento finito nell’immensa linea del tempo. Un condannato a morte cerca di assaporare ogni momento, di notare ogni minimo dettaglio, di vivere nel modo più completo possibile il tempo che gli rimane. Io… penso che essere mortale sia in realtà l’unico modo per sentirsi veramente… vivi. E non sono sicura che l’immortalità possa darti lo stesso.
Demetri batté le palpebre un paio di volte, restando in completo silenzio. In quel momento, l’attesa del suo verdetto, qualunque fosse, mi sembrò interminabile.
Aprii la bocca per aggiungere qualcosa, per rompere quell’imbarazzante silenzio, ma lui, dopo aver sorriso, si mise a sedere facendomi la linguaccia: - Non so darti una risposta, in realtà, comunque capisco il tuo punto di vista. Ma, se mi permetti – aggiunse con un ghigno furbo - io continuerò a sperare che, prima o poi, tu possa cambiare idea.  

***
Angolo dell’Autrice: Dopo SECOLI finalmente riesco ad aggiornare la storia. Mi dispiace avervi fatto attendere tanto, spero che il capitolo non sia risultato deludente.
Colgo l’occasione per fare una piccola pubblicità all’autrice Ska e alla sua ff “Il Crociato e la Strega”. Mi è venuto in mente che anche nella sua storia Demetri (che ne è il protagonista) ha partecipato alle crociate, anche se, dal quello che ricordo, lui era dalla parte dei cristiani invece che dei bizantini. Ho vaghe rimembranze perché l’ho letta molto tempo fa, comunque ricordo che mi piacevano le sue storie, quindi vi consiglio un salto nel suo profilo ^_^  
Il discorso di Emma sull’immortalità è leggermente ispirato al dialogo tra Achille e Briseide nel film Troy.
Ok, credo sia tutto XD
Grazie ancora a chi ha voglia di seguirmi!
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Twilight / Vai alla pagina dell'autore: Tinkerbell92