Note: 9. Prima del matrimonio. Mi scuso per il ritardo nel postaggio, è un periodo impegnativo. Spero di postare in modo un po’ più frequente ora che si avvicinano le vacanze^^. Il pov è di Bella (sì strano, ma vero). Buona lettura, spero vi piaccia. Commenti, critiche, recensioni et similia sempre molto gradite e apprezzate (Grazie infinite a pinkgirl, elyxyz, feferica e lady lang. Un bacio^^)La storia partecipa al contest 100 prompts! indetto dal forum Fanfiction Contest ~ {Collection of starlight since 01.06.08 }
nightmare
before wedding
“Domani
è un giorno importante” aveva bisbigliato Edward, poco prima di andarsene alla
sua festa di addio al celibato.
“Grazie!
Questo mi aiuterà a rilassarmi” avevo risposto, con una mezza risata che voleva
coprire il mio vero stato d’animo: perché quando Jasper se n’era andato col
futuro sposo, tutta la calma se n’era andata con lui.
Ero
semplicemente atterrita. Provai a rilassarmi, scivolando in un sonno
tormentato.
Guardai
giù verso i miei piedi: un paio di scarpe erano avvolte attorno alla mia
caviglia con un semplice laccetto di cuoio. Il tacco era qualcosa di mortalmente
alto. Deglutii, tentando di cacciar via il terrore. Misi un piede sulla
scalinata. E come previsto, scivolai giù per tutta la lunghezza della rampa,
avvolgendomi nello strascico e assomigliando in qualche modo a un cartone
animato che rotolando nella neve provoca la classica valanga. La gente rideva,
indicandomi sguaiata…
Eravamo
in un prato bagnato dalla luce arancione del tramonto, io già davanti
all’altare, Edward che avanzava maestoso, rilucente da mille bagliori. La gente
urlava, tentando di scappare da quello spettacolo affascinante e
misterioso…
“Tu,
Isabella Swan, vuoi sposare il qui presente Edward Cullen, promettendo di essere
sempre al suo fianco, finchè entrambi vivrete?” mi domandava il prete, davanti a
me.
“Lo
voglio” annunciavo sicura e raggiante.
“E
tu, Edward Cullen, vuoi sposare la qui presente Isabella Swan, promettendo di
essere sempre al suo fianco, finchè entrambi vivrete?” ripetè il
sacerdote.
Alzai
gli occhi verso Edward. Mi squadrò da capo a piedi, lanciando un’occhiata che
decretava la sua stanchezza: “Quanta fatica per un’insulsa, semplice mortale”
sembrava pensare. Si girò lentamente, voltandomi le spalle, e cominciando a
camminare.
“Edward,
no! Edward” provai a chiamare. Ma lui continuava a camminare, sparendo nel buio
insieme a tutto il resto della scena…
Mi
svegliai ansimante e madida di sudore. Aprii gli occhi e lanciai un urlo: i
diamanti del mio anello di fidanzamento rilucevano di una luce diabolica.
Dannati incubi prematrimoniali.
Provai
nuovamente a calmarmi, ma inutilmente. Tutti i sogni mi tornavano alla mente in
modo troppo vivido. E se fossi scivolata? Se la natura del mio futuro marito ci
avrebbe traditi, costringendoci a fuggire? Se (la parte peggiore) nonostante
tutto Edward avesse capito che non ero abbastanza per lui?
Venni
colsa dall’iperventilazione. Lui era così bello, buono, generoso…così Edward! E
io non ero altro che me stessa: una mortale qualunque. Non sarei mai stata alla
sua altezza nemmeno da vampira. Le lacrime cominciarono a rigarmi le guance. Mi
alzai dal letto, sapendo che non avrei preso sonno e che la mattina dopo Alice
mi avrebbe urlato contro. Lo sguardo lucido mi cadde su un vecchio album per
terra. Erano tutte le foto sviluppate dai rullini di quel maledetto compleanno.
Sfogliai le pagine, notando tutti i cambiamenti in me e i non cambiamenti di
Edward, sempre perfettamente immutabile. Rimasi ferma su una foto in
particolare: io e lui, una domenica di tanto tempo prima, quando mi aveva
regalato la Mercedes. Uscivamo dalla macchina insieme, il suo braccio intorno
alla mia spalla, lui folgorante come un modello in occhiali da sole, io la
solita vecchia Bella, ma illuminata dal riflesso della sua
bellezza.
Eravamo
proprio una coppia carina. Ritornai a letto, sorridendo e asciugando le lacrime.
Ricordavo il dialogo che avevamo avuto quando Charlie aveva scattato quella
foto…
“Io
ancora non capisco perché mi hai regalato questo sproposito di macchina. Non
sono alla tua altezza anche senza tutti questi doni stupidi” mi ero lamentata
già allora.
“E chi
dice che non sei all’altezza?” mi aveva sfidato lui, gli occhi perforanti anche
dietro le lenti degli occhiali.
“Bhè…tanta
gente” avevo ribattuto io, pur sapendo che avevo le spalle al
muro.
“Ciò
significa che hai il singolare dono dell’ubiquità, dato che tanta gente puoi
essere solo tu” aveva sorriso. Quel dannato sorriso sghembo che mi fermava il
cuore. Ma volevo resistere.
“Non è
vero, lo pensano tutti. E in più mi spieghi come faccio a meritarti se al
matrimonio inciamperò ovunque, e dopo non avrò altro da offrirti che solo me
stessa? Che tra parentesi non mi sembra abbastanza” avevo sbuffato, ironicamente
ma con una goccia d’ansia. Mi si era parato davanti, annullando la mia visuale,
concentrata su quegli occhi ambrati nascosti dal vetro
scuro.
“Ascoltami
Bella, perché non lo dirò mai più: tu non sei alla mia altezza, perché sei molto
più in alto di me. Sei il dono più perfetto che mi si potesse fare, sei parte di
me; una volta ti dissi che eri tutta la mia vita. Bene, la situazione non è
cambiata. E chiunque osi dire il contrario è solo un povero pazzo. Capito bene?”
aveva concluso minacciosamente, con un piccolo ringhio.
“Va
bene, va bene. Anche se sul discorso della follia avrei qualcosa da aggiungere…”
avevo scherzato, abbracciandolo.
Il
ricordo finì, lasciandomi insonnolita tra le coperte che si erano fatte soffici
e calde. Sbadigliai, chiudendo gli occhi: il mio perfetto angelo custode (che mi
guardava ancora dalla foto), avrebbe vegliato su di me, portando via gli incubi
di quella notte.