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Autore: Aries K    11/03/2015    1 recensioni
Quando la giovane Emily Collins mette piede nel collegio più cupo e spaventoso di Londra non sa che la sua vita sta per cadere in un mondo oscuro fatto di sangue e creature che credeva vivere solo nei suoi incubi. Quando pensa che la sua esistenza non possa cadere più in basso di così incontra William Delacour, figlio della temibile preside Jennifer Delacour. William -così enigmatico e onnipresente in quel convitto esclusivamente femminile- nasconde un segreto che sembra coinvolgere anche la giovane. I due non potranno che avvicinarvi anche se, non molto lontano da loro, qualcuno cova una centenaria vendetta che sembra non volersi compiere...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ventesimo Capitolo








Una volta che cadi risalire diventa difficile, a meno che non ci sia una mano pronta a sostenerti…e a meno che, una volta afferrata quella mano, non diventi proprio questa la mossa capace di farti ricadere sempre più a fondo.
William mi aveva privato del suo appoggio, mandandomi a tappeto per l’ennesima volta, eppure, adesso, sentivo dentro di me un fuoco accendersi, pronto a divampare.
Avevo raccattato tutte le mie cose e messe nella borsa, quando due colpi alla porta mi fecero stringere lo stomaco.
“Avanti.” Incredibile come quell’unica parola raccogliesse una grande speranza, tanto da farmi vergognare per l’immensa delusione che provai non appena Genevieve entrò, socchiudendo la porta alle proprie spalle.
Il suo sguardo cadde immediatamente sulle mie mani impegnate a congiungere i ganci del borsa, e non ci mise tanto a capire che stavo per andarmene. Dove, ci avrei pensato dopo.
“Tu non hai mai mentito a mio fratello”, esordì, rimanendo ad una distanza di cortesia.
“Già”, mormorai,-“non avrei mai potuto farlo. Non sapevo di essere una sua nemica giurata, come avrei potuto fingere così bene? Lui ci era riuscito con me, prima di rivelarmi che fosse un vampiro…”
“Vedi, Emily, non sono venuta qui per difendere mio fratello. Mi dispiace per lo scontro che avete avuto prima, ma William è un individuo estremamente fragile.”
“Fragile”, le feci eco, lasciandomi cadere sul letto che scricchiolò sotto il mio peso.
“Perché fragile è colui che non conosce la verità”, appuntò con impeto, azzerando la poca distanza che vi era tra noi.
“Posso sedermi, Emily? Non penso che ti ruberò molto tempo.”
Assentii con un gesto del capo, scostando il borsone per farle posto.
Non mi ero nemmeno accorta che si era cambiata: adesso indossava una tuta blu, e aveva i capelli umidi che le ricadevano in tante piccole onde fino a metà busto; anche così la sorella di William suggeriva di provenire da un’epoca lontana.
“Mio fratello non conosce del tutto nostra madre, non l’ha mai conosciuta e di questo posso esserne certa. Lui è stato solo vagamente cosciente di ciò che è accaduto prima e dopo la prigionia di mio padre. Io e lui abbiamo scontato il prezzo dell’amore dei nostri genitori.”
“William mi ha raccontato di come Jennifer e Demetrio si siano conosciuti, mi detto della Prima Caccia e…”
“William conosce solo la versione censurata e infiocchettata di quella storia, Emily.” La voce di Genevieve si sovrappose alla mia. La fastidiosissima sensazione di confusione –di non aver il controllo della situazione- tornò ad intensificarsi, ed io mi sentii irrigidire come se il mio corpo si preparasse a sortire un nuovo colpo duro.
“Ti ascolto”, incitai Genevieve a continuare.
“E’ una storia così lunga che non saprei nemmeno dove iniziare, ma cercherò di fartela breve. Mio padre, Demetrio, faceva parte di uno dei clan più potenti della Francia. Ma non possedeva l’inclinazione di chi si fa trascinare, bensì mio padre era nato per capeggiare. Unire questo, al rigido regime del clan non fecero che renderlo insofferente e ribelle. Demetrio si giustificava dietro al suo carisma, al suo essere un abile predatore per trasgredire le regole e andare contro alla sua fratellanza. Questi, un giorno, si accorsero che le sue gesta stavano per portarli ad essere scoperti. Dei cacciatori di vampiri erano da poco giunti nel villaggio, e ogni minimo sospetto sarebbe bastato per stanarli; quello che i componenti della fratellanza non sapevano era che proprio colui che avevano accolto tra di loro, mostrando indulgenza verso i suoi comportamenti, stava cercando di tradirli in ogni modo possibile e inimmaginabile.”
Aggrottai le sopracciglia e prima che potessi fiatare Genevieve alzò la mano per suggerirmi di aspettare. Dunque proseguì:
“Nella mente di mio padre nacque un piano che solo un fanatico potrebbe pianificare in modo tanto minuzioso: sterminare il suo clan e qualsiasi altro vampiro che lo avrebbe ostacolato nella sua personale missione di creare una razza superiore. Ancora superiore alla nostra. Nuovi vampiri dotati di grandi capacità, e per ciò intendo creature soprannaturali capaci di piegare la natura, gli elementi…in poche parole, possessori di inaudibile potenza.”
Tremai. Alla sola concretizzazione di quel disegno, io tremai. Le intuizioni mie e di Nicole non erano poi così lontane dalla realtà, in qualche modo Demetrio era riuscito nel suo intento proprio con Jennifer. D’un tratto mi venne in mente la sera in cui assistetti alla magia che aveva esercitato su suo figlio, marchiandogli la fronte con il suo sangue mentre la sua bocca enunciava quello che era, a tutti gli effetti, un incantesimo.
“Voi siete già dotati di grandi capacità”, mormorai fissando Genevieve, la voce un tremito debolissimo,-“grazie alla magia diverreste…”
“Inarrestabili”, suggerì lei.
“I padroni del mondo”, conclusi io, come se guardandola nei suoi occhi di ghiaccio fossi caduta in trance.
“Demetrio per conseguire il suo obiettivo doveva incontrare uno stregone e così, cercando tra le ombre di quel villaggio e scavando tra i segreti che riusciva a cogliere negli occhi delle persone, i suoi passi lo guidarono da mia madre. Mia madre era praticante di magia, ereditata direttamente da mia nonna. Bastarono pochi anni e lei fu posta di fronte ad una scelta: o Demetrio e quindi il mondo delle tenebre, o continuare a vivere nella paura che un cacciatore potesse arrivare anche alla sua famiglia. Praticamente Jennifer non ebbe scelta poiché mio nonno, l’unico genitore che le era rimasto, la cacciò di casa come se, così facendo, si fosse liberato di un terribile fardello che si trascinava da anni.
Si rifugiarono presso la casa di un’indovina, un rifugio lontano dalla vita del villaggio, nascosto tra le rovine e i boschi quasi come se quella casa, assieme a loro, avesse avuto la necessità di isolarsi dal resto del mondo.”
-“L’indovina predisse due Caccie, l’ultima vede lo sterminio della tua famiglia”, dissi, assicurandomi che, almeno quella parte della storia, coincidesse con quello che avevo ascoltato in quella notte lontana.
-“E’ così”, confermò Genevieve,-“l’indovina non cercò mai di uccidere mia madre come immagino William ti abbia raccontato. Tutt’altro, fu una fidata sostenitrice del piano di mio padre. L’unica cosa vera è che lei ha aiutato me e mio fratello a venire al mondo, ma non per mezzo della magia. Lei era solo una veggente. Come già ti ho detto, prima della nostra nascita e della conseguente trasformazione di Jennifer, gli unici vampiri dotati di poteri eravamo io e Will.”
“Però la prima Caccia è come mi è stata descritta, vero? Tu e William siete stati costretti a fuggire, l’indovina e tuo padre, invece, sono stati catturati…”
“E mia madre ha cercato in tutti i modi di riuscire a liberarli. Seguì i cacciatori fino alle cripte in cui vennero imprigionati; mi raccontò che il verde della pianura in cui erano stati trasportati i prigionieri era scomparso poiché ogni centimetro di terra era occupato da questi enormi carri che trasportavano gabbie. Jennifer venne toccata e strattonata da braccia che reclamavano la sua attenzione, come se fosse l’ultima speranza di ognuno di loro. Riuscì a raggiungere papà. E in quel poco scambio di battute che gli fu concesso, lui riuscì a strappare a lei la promessa di conseguire da sola l’obiettivo che si erano prefissati, e di tornare da lui, un giorno, per salvarlo.”
“Poi vostra madre tornò da voi in pessime condizioni, dando la colpa di tutto a te e William per via della vostra scappatella in quel villaggio. Avevate lasciato delle tracce che hanno condotto i cacciatori anche nel vostro rifugio.”
-“Ricordo l’asprezza delle sue parole come se me le avesse vomitate addosso un giorno fa”, le tremò la voce, alzandosi,-“tutta quella storia di creare una razza superiore le stava facendo offuscare la ragione, ma quando quella volta tornò da noi ebbi la conferma che l’avevamo persa per sempre. Come se fosse stata catturata anche lei, se non peggio. Oh, ora ti dirò delle cose, Emily, che William nemmeno immagina.”
Tirai le ginocchia verso il petto e Genevieve dovette leggere la gratitudine nei miei occhi per avermi concesso almeno la verità.
“Sparì per un anno, ci lasciò al nostro destino. Quando un giorno tornò da me, solo da me. I miei poteri sono maggiori rispetto a quelli di mio fratello, si manifestano per mezzo del mio corpo; a differenza di William che è più predisposto per i poteri mentali. Ad ogni modo, mia madre mi raggiunse e mi portò di fronte alle cripte. C’era un ammasso di roccia che ostruiva l’entrata e mia madre aveva ben pensato di spostarla con la mia e la sua magia. Io in un primo momento mi rifiutai per il gusto di farla soffrire, impazzire, proprio come lei aveva fatto con me abbandonandomi. Volevo farle provare sulla pelle lo stesso dolore che aveva impartito con la sua assenza, ma in men che non si dica tirò fuori una frusta e cominciò a colpirmi, ordinandomi di riportare indietro mio padre. Ogni frustata era un pezzo di me che se ne andava, ma era anche vero che più ricevevo quelle sferzate e più i miei poteri sembravano aumentare. Ci provammo per un mese, tra colpi, schiaffi, calci e frustate e la roccia come a prendermi in giro si crepò soltanto senza muoversi di un solo inutilissimo millimetro.”
Se Genevieve non si fosse fermata non mi sarei mai accorta di star piangendo, tutto in lei gridava dolore.
“Non dissi niente a William per non turbarlo e per non rovinare la gioia che provò nel rivederla. William è sempre stato più sensibile e comprensivo di me, il fatto di esser stati abbandonati lo fece soffrire, sì, ma pensò che se ciò era sufficiente a far riprendere nostra madre, allora andava bene. Naturalmente fu peggio. Però, come ti ho detto, Emily, non potevo rompere l’incanto del loro ritrovarsi e mio fratello aveva bisogno di lei, in quel momento della sua vita. Ti ha mai parlato di Adelaide?”
Nel solo udire quel nome ebbi un fremito, un piccolissimo e stupido spasmo di gelosia.
“Mi ha accennato qualcosa”, mugugnai facendo cadere le gambe oltre il materasso, incapace di sostenere le parole che seguirono,-“mi ha solo detto di averla amata in modo disperato e totale, proprio come si amano le cose andate perdute.”
La vampira abbozzò un triste sorriso, poi si guardò intorno come per cercare le giuste parole per rispondermi. Poteva anche rimanere zitta, io aveva appena capito quello che non avevo voluto ammettere tempo fa ma che, comunque, Genevieve mi confermò:
“La uccise per sbaglio, una notte. Si era innamorato di questa umana così innocente e pura, talmente accecante l’ascendente che aveva su di lui da avergli fatto dimenticare chi era davvero. Quello che William non sapeva era che, per quanto possiamo essere divisi in due –con una metà umana e una soprannaturale- non possiamo esistere senza una o senza l’altra. Noi siamo questo, divisi in due, e non possediamo il lusso di poter schierarci da una parte sola. Così, una notte, dopo essersi cibato per tanto tempo solo di sangue animale…perse il controllo e arrivò ad uccidere Adelaide. Lei morì tra le sue braccia, e nonostante il delirio e lo shock mio fratello non dimenticò mai lo sguardo terrorizzato di lei. Non so nemmeno cosa significa poter essere guardati in quel modo, né se riuscissi a vivere sapendo che l’ultimo sguardo a me rivolto dalla persona che amavo significasse terrore e rinnego.”
Annegai nel mio sconforto. Non me l’aveva detto. Mi aveva taciuto questo perché non solo era il suo doloroso passato ma anche il suo incubo più grande: quello di poter perdere me nello stesso modo. A causa della sua natura, proprio come stava accadendo.
“Sei la sua seconda possibilità di fare meglio.” Genevieve si accucciò di fronte a me, indagando tra le mie lacrime, -“dopo quel giorno giurò a se stesso che non avrebbe mai più ceduto al suo desiderio di nutrirsi di sangue umano. Questo fin quando non incontrò te. Mi ha raccontato di quella notte, quella in cui lo hai seguito e lo hai trovato con le mani sporche di sangue di una giovane donna.”
“E’ stata colpa mia…”
“No. Non è colpa di nessuno. Amandolo, dopo quello che hai visto, hai accettato la parte mostruosa di lui. Amandolo, lui si è amato. Grazie a te William ha imparato ad accettare di nuovo il suo essere vampiro. Vedi, per nutrirsi non bisogna necessariamente uccidere. Mio fratello non voleva nemmeno accettare questa alternativa, e a lungo andare sarebbe morto. Abbiamo bisogno di sangue, sangue nutriente per vivere.”
“Siete immortali.” Dissi stupidamente, intontita.
“Esiste anche il concetto di immortalità a tempo indeterminato. Non perdere mai di vista il fatto che siamo per metà umani.”
“William non mi ha mai parlato di questo!”, avevo alzato la voce, scattando in piedi,-“né della fine di Adelaide, che a quanto pare il suo fantasma è sempre stato in mezzo a noi.”
“Non puoi incolparlo di questo, Emily, non è corretto. Lui non è in grado di parlare ad alta voce dei suoi demoni, soprattutto a te, che avresti potuto benissimo diventare uno di loro.”
“Lo sono diventata comunque, un suo demone”, asserii spostandomi senza un chiaro motivo verso un angolo della stanza, accanto all’armadio. Genevieve mi seguì con gli occhi, con lo sguardo di chi guarda la disfatta di un caso umano.
“Mi dispiace”, disse, facendo per dirigersi verso la porta.
“Genevieve? William mi perdonerà? Io l’ho già fatto per quello che è successo prima.”
Indugiò per un attimo con la mano sopra il pomello, per poi voltarsi nella mia direzione e rispondermi:
“Sai, esistono due tipi di persone: chi sottovaluta l’amore e chi lo sopravvaluta. Dal canto mio, ho visto uomini e donne compiere grandi gesta in nome di questo sentimento. Te lo dico per esperienza, però, Emily…”, abbassò lo sguardo come se non volesse farmi cogliere l’emozione che la stava visibilmente attraversando,-“a volte l’amore non basta. Per certi versi, non basta mai.”
E uscì dalla stanza, lasciandomi in quell’angolo con domande e risposte che cozzavano e rimbombavano nella mia testa sopraffatta.
Nel silenzio che ne seguì solo una certezza si dissipò in quella cortina confusa: il fatto che il dolore più grande non l’avrei provato nell’ammettere che eravamo giunti ad una fine, ma dopo, quando le nostre strade avrebbero intrapreso percorsi speculari destinate ad incrociarsi solo per distruggersi. Il dimenticarlo non poteva essere contemplato perché in un modo o nell’altro William mi avrebbe raggiunto.
Afferrai la borsa e nascosi il pugnale sotto la maglietta, incastrandolo nella cintura dei jeans.
Sapevo dove andare.



Ero sgattaiolata via dalla casa senza farmi vedere da nessuno, o almeno così speravo che fosse andata. Ritrovare il giusto sentiero per allontanarmi da quella foresta tenebrosa si rivelò molto più complicato di quanto auspicassi ma, non appena il terreno fangoso e sporco lasciò il passo al cemento della città, tirai un piccolo sospiro di sollievo. Londra era avvolta da una nebbiolina grigia e siccome riprese a piovere trovai un riparo presso un fast food piuttosto affollato. Lungo la strada avevo frugato in me alla ricerca di un po’ di stoicismo per affrontare quella che sarebbe stata, in un modo o nell’altro, l’ultima telefonata con Nicole. Ultima perché avevo deciso di affrontare Jennifer Delacour, quella notte. In un primo momento avevo pensato di seguire le direttive che mia nonna voleva seguissi –e quindi raggiungerla in Francia, cercando la dimora degli Stryder nell’indirizzo che mi aveva appuntato nelle note finali- invece, struggendomi nella consapevolezza che avevo perso il mio porto sicuro, cambiai idea alimentando il rancore e la vendetta che provavo nei confronti di Jennifer. Aveva ucciso i miei genitori e ora voleva anche me. Mi aveva dato la caccia per così a lungo e aveva organizzato tutto con talmente tanta precisione e pazienza che, era inutile negarlo, non mi avrebbe mai lasciata stare. Quindi, non mi restava altro che abbracciare il mio nuovo destino e affrontare lei una volta per tutte. William non mi avrebbe mai perdonata… ma l’avevo già perso, dovetti ricordarmi. Quindi, tanto valeva recidere il filo dell’indulgenza e della pietà che m’illudevo ci tenesse ancora legati, l’ultimo.
“Buonasera, cosa desidera?” La voce della signorina alla cassa mi fece trasalire, strappandomi dalle scuse che stavo propinando a me stessa per giustificare quella voglia di vendetta che mai avevo sperimentato.
Ordinai un hamburger, una vaschetta di patatine e della coca-cola, poi presi posto al tavolo più isolato del locale.
Voci e risate di bambini mi raggiunsero, contenti delle sorprese scovate nel raccoglitore del cibo, i genitori che gli intimavano di abbassare il tono nonostante in quel locale ci fosse un trambusto tale che le loro vocine erano solo un rumore appena distinto. Quell’immagine mi fece tornare in mente uno dei primi discorsi che avevo avuto con William, ossia quello della mia realtà sospesa. Gli avevo confessato che il pensiero di poter un giorno abbandonare il collegio e dedicarmi in tutto e per tutto alla realizzazione della mia vita era la forza che mi sosteneva nell’affrontare la reclusione del collegio stesso. Ora mi sembrava una totale presa in giro, quel maledetto istituto poteva trasformarsi nella mia tomba se non fossi riuscita a trafiggere la Delacour per prima.
Di colpo mi passò la fame e incartai la metà di hamburger che avevo addentato, scostandolo con le ultime tre patatine rimaste… poi, il cellulare squillò.
“Senti, il discorso di prima non sta né in cielo e né in terra.” Non avevo nemmeno fatto in tempo a rispondere che la voce di Nicole m’invase l’orecchio, con lo stesso tono disperato con cui l’avevo lasciata poco prima.
“Nic…”
Nic un corno! Capisco che tu possa essere assolutamente sconvolta per via di tutto quello che mi hai confessato ma ti prego, scappa in Francia da quella famiglia di cacciatori come ti ha suggerito tua nonna. Sì, perché qui, adesso, si tratta di scappare.”
“Scappare per cosa? Lei mi troverà. Anzi, probabilmente mi acciufferebbe prima ancora che io possa imbarcarmi.”
“Oh, certo che ti troverà”, mi rispose tutta trafelata, talmente tante le cose che aveva da dirmi,-“ma quando lo farà ci sarà tua nonna e quella famiglia a proteggerti! Andare incontro alla Delacour è come continuare a guidare in una strada che ha come termine un burrone ed esserne consapevoli. Tu stai per cadere per sempre, e lo sai.”
“Sottovaluti la mia arma. Se solo la vedessi capiresti che cosa è in grado di fare.”
“Ma se non lo sai nemmeno tu.” Il tono della mia amica divenne improvvisamente fiacco, me la immaginai sprofondare nel divano di casa sua con la testa reclinata all’indietro e gli occhi chiusi, strizzati per l’esasperazione. Dal canto mio, anche io ero piuttosto scocciata e, appoggiando le spalle contro le grate di legno della parete, sfiorai con le dita la sagoma del pugnale sotto la maglietta. E subito m’invase una sensazione di potere.
“Devi avere fiducia in me”, la implorai dopo due secondi contati di silenzio. Le persone intorno a me cominciavano a raccattare i loro cappotti e ad andarsene.
“William non permetterà che avvenga lo scontro. Non vorrebbe mai che la ragazza che ama e sua madre si ammazzassero tra di loro.”
“Non mi ha ancora trattenuta.” Sapevo di non essere del tutto limpida per il semplice fatto che, con buone probabilità, William non sapeva che ero andata via. Forse nemmeno Genevieve immaginava che me ne fossi già andata benché avesse colto la celerità con cui stavo preparando la borsa.
“Ma lo farà. E se non lo farà lui…”
“Non ti azzardare!”
Non le lasciai il tempo necessario per completare quella stupida frase.
-“Non ti azzardare a venire, Nicole! Stanne fuori.” Non dissi quelle parole con la stessa determinazione con cui l’avevo pronunciate nella mia mente quasi in simultanea, e per un attimo non potetti non pensare che, forse, una parte di me che non l’avrebbe mai ammesso voleva che qualcuno mi fermasse. Che mi prendesse e scuotesse via tutti quei sentimenti deleteri da cui mi ero lasciata ricoprire affinché agissero da spinta per fare quel che avevo in mente. Magari mi ero davvero illusa che fronteggiare la Delacour fosse l’unica soluzione per districarmi da quella rete di menzogne e sangue, illusa che forse l’amore che William provava per me era niente in confronto a quella situazione, e per tanto qualsiasi scelta mi avrebbe comunque divisa da lui.
“Emily, ascoltami.”
Per poco non ci rimasi secca. La voce di Nicole era stata sostituita da quella di…
“Jamie?”, alzai la voce e scattai sul posto, tanto che alcune teste si voltarono verso di me,-“si può sapere cosa…dove…?”
“Nicole è qui in ospedale da me. Naturalmente di nascosto, e la mia vicina di letto è stata tanto gentile e tanto buona da non chiamare gli infermieri.”
“Già, anche io dopo quaranta sterline me ne starei zitta e muta”, percepii Nicole borbottare in lontananza.
“Come stai, Jamie?”
Sospirò.
“Non cercare di cambiare argomento. Io sto bene, in questi giorni mi hanno fatto le flebo di vitamine, la febbre è scesa e la tosse c’è ma è meno cattiva di prima. Ora, voglio che tu stia al sicuro. E non lo sarai qui a Londra dominata da chissà quali pensieri negativi. Non si dovrebbe mai ragionare con certi sentimenti in corpo. Mi dispiace così tanto, Emily.”
Non riuscii a ribattere. Ero appena uscita fuori dal locale e mi sostenevo con la spalla contro un palo della luce. Anche se le mie labbra tremavano anticipando un’ennesima crisi di pianto, trovai la forza di dire:
“Dispiace anche a me.”
E gettai il cellulare in strada.
   
 
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