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Autore: Soul of Paper    11/03/2015    5 recensioni
Il mio finale della quinta serie. Cosa sarebbe successo se dopo aver ricevuto quella telefonata notturna a casa di Madame Mille Lire nella quinta puntata ed essersi seduti su quel divano, le cose fossero andate diversamente? Cosa sarebbe successo se Gaetano non avesse permesso a Camilla di "fuggire" di nuovo? Da lì in poi la storia si sviluppa prendendo anche spunto da eventi delle ultime due puntate, ma deviando in maniera sempre più netta, per arrivare al finale che tutte noi avremmo voluto vedere...
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Camilla Baudino, Gaetano Berardi, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 45: “Behind Blue Eyes – seconda e ultima parte”
 
 

Note… una melodia, prima delicata e poi sempre più intensa si insinua nel rifugio caldo e accogliente che la ripara, riportandola lentamente a riva da quel mare profondo e sereno in cui galleggiava.
 
Le pupille che lottano contro la luce mentre le orecchie e il cervello captano il “vincerò” che risuona potente nell’aria.
 
Puccini, Turandot, Nessun dorma. Il messaggio è chiarissimo nel contenuto e nel mittente.
 
Solleva il capo per sbirciare la sveglia sul comodino. Sono quasi le 11 e sua madre di solito è in piedi per le sette, cascasse il mondo: è sempre stata mattiniera, a differenza sua e di suo padre, e con l’età, come è naturale che sia, questa tendenza è ancora peggiorata.
 
Lo sguardo poi cade, in maniera quasi naturale, sul viso a pochi centimetri dal suo. Gaetano dorme ancora placidamente, con quell’espressione da bambino che si perderebbe per ore ad osservare, intenerita ed orgogliosa di essere lei e solo lei la depositaria di questa vulnerabilità, questa fiducia, questo abbandono.
 
“Gaetano… Gaetano,” ripete, con tono sempre più forte, ma niente sembra riuscire a scalfire il suo sonno.
 
A fatica sposta lievemente quelle braccia tra le quali si sente al sicuro, protetta, e gli posa una mano sul viso, cercando di svegliarlo.
 
“Amore…” lo chiama, accarezzandogli la guancia, “amore, lo so che sarai stanchissimo, ma è ora di alzarsi, dormiglione.”
 
Lui mugugna e borbotta qualcosa che suona come “cinque minuti”.
 
Camilla non può evitare di sorridere, ma sa che è ora di passare alle maniere forti.
 
Gli soffia nell’orecchio, sentendolo rabbrividire e cercare di ritrarsi, ma lei non gli dà tregua, tracciando una scia di baci prima lungo tutta la mandibola per poi risalire sulla guancia, sopra la linea del lieve strato di barba morbida, ed infine espirare un refolo d’aria delicato e persistente ad un centimetro dalle sue labbra. Lo vede sorridere, gli occhi che si aprono a fessura, ancora assonnati, per poi fissarsi nei suoi.
 
Il sorriso si fa malizioso e nel giro di un secondo si ritrova con quelle labbra sulle sue, a soffocare il gridolino di sorpresa quando il mondo si capovolge, la schiena che sprofonda nel materasso, quel corpo forte che preme dolcemente sul suo, travolta da un bacio che le fa esplodere il cuore nel petto.
 
“Buongiorno,” le sussurra sulle labbra, guardandola in quel modo che la fa sentire la donna più bella e desiderata del pianeta, un sorriso dolce che gli illumina il viso.
 
“Buongiorno a te,” mormora languidamente, sollevando una mano per accarezzargli di nuovo la guancia.
 
“Se il buongiorno si vede dal mattino, sarà una giornata non solo buona ma meravigliosa,” proclama, sfiorandole il naso con il suo per poi posarci un altro lieve bacio, “vorrei svegliarmi esattamente così tutte le mattine: i tuoi baci sono più efficaci e soprattutto più piacevoli di qualsiasi sveglia.”
 
“Sì, si sente che ti sei proprio… risvegliato, in tutti i sensi,” lo stuzzica, con un tono ironico e sensuale insieme, muovendosi lievemente contro di lui, che trattiene a stento un lamento strozzato.
 
“Non hai idea quanto…” sussurra con voce arrochita, lambendole le labbra senza approfondire il contatto: una tortura deliziosa quasi quanto essere coperta dal suo corpo nudo, i muscoli che si tendono e si rilassano accarezzandole la pelle.
 
“Allora dimostramelo…” lo provoca, mordicchiandogli delicatamente il labbro inferiore.
 
Lo sente sorridere e poi la sua bocca la avvolge in un duello dolcissimo che le toglie il fiato e la ragione, facendole dimenticare tutto il resto del mondo.
 
Almeno fino a che le note marziali della cavalcata delle valchirie, sparate a tutto volume, non la ridestano bruscamente.
 
“Gaetano… Gaetano…” lo chiama, prendendogli il viso prima che le sue labbra sul collo la facciano di nuovo precipitare nella nebbia, e sollevandoglielo fino a guardarlo negli occhi, “non possiamo, dobbiamo alzarci, mia madre-”
 
“Eddai, professoressa, non avevi deciso, e cito testualmente, di non farti più paranoie su tua madre? E poi con questa musica a tutto volume, non sentirà niente,” la rassicura, tentandola di nuovo con un bacio, accarezzandola languidamente.
 
“No, no… anzi, questa musica è un messaggio, non capisci?” protesta, bloccandogli le mani, “è molto tardi e se non ci alziamo subito… vuoi davvero avere a che fare con una valchiria? Anzi, un’erinni? Mia madre odia i ritardi e… ormai la conosci, no? Sai come è fatta…”
 
“D’accordo, mi arrendo: non voglio rischiare di tirare la corda con tua madre,” capitola con un sorriso, dandole un ultimo lieve bacio sulle labbra prima di separarsi a fatica da lei e rimettersi a sedere, “so quanto lei è importante per te e per Livietta e-“
 
“Sì, ma anche tu sei importante, Gaetano: sei la persona più importante della mia vita insieme a Livietta e questo non cambierà mai, qualsiasi cosa possa pensare o non pensare mia madre di te, di me e di noi due. Se non voglio fare tardi è solo per risparmiarti mia madre di cattivo umore, che è una cosa che non auguro nemmeno al mio peggior nemico. Ma non voglio che tu ti senta sempre sotto esame con lei, in obbligo di dimostrarle chissà cosa e di subire quando dà sfogo al suo caratteraccio, ok?”
 
“Tua madre è una donna forte, molto forte e severa, esigente, ma ti vuole molto bene Camilla e vuole proteggerti perché si preoccupa per te e non vuole vederti soffrire e la capisco. Vi assomigliate molto, forse più di quanto pensi, anche se lei è autoritaria, intransigente e ha a volte una durezza che invece, per mia fortuna, non ti appartiene affatto, ma... credo che tu sia molto fortunata ad avere una madre così e lo so che lo sai anche tu,” proclama con un altro sorriso, accarezzandole una guancia, prima di diventare più serio e aggiungere, guardandola dritto negli occhi, “però nemmeno io voglio che tu ti senta sempre sotto esame con lei, Camilla, con la sensazione di non essere mai abbastanza per lei, perché in realtà non è così. Siete entrambe due donne formidabili, con la D maiuscola, tu a modo tuo, lei a modo suo, con le vostre differenze, e tua madre lo sa. Sono convinto che sia molto orgogliosa di te, proprio come tu lo sei di lei, anche se forse non riuscirete mai a dirvelo. Ne so qualcosa io con mia sorella: i rapporti familiari sono così complicati.”
 
“Gaetano…” sussurra commossa, abbracciandolo, chiedendosi per l’ennesima volta come lui faccia a leggerle dentro così, senza sforzo, come sia riuscito a capire i delicati equilibri del rapporto ingarbugliatissimo e viscerale tra lei e sua madre in così poco tempo. Certo, si erano incontrati per la prima volta dieci anni fa, ma Andreina e Gaetano non si erano mai realmente frequentati in maniera approfondita, se non in questi ultimi giorni.
 
Ma questo è uno di quei misteri che non sente affatto il bisogno di svelare, di spiegare, che vuole solo viversi, fino in fondo, ora che finalmente ha trovato il coraggio di farlo, senza più riserva alcuna.

 
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“Alla buon’ora! Ormai questa più che una colazione è un pranzo.”
 
“Buongiorno anche a te, mamma,” risponde Camilla, ironica, appoggiandole una mano sulla spalla e dandole un bacio sulla guancia, un sorriso luminoso sul volto, per poi salutare nello stesso modo Livietta, seduta lì accanto, stupendosi quando non riceve le solite proteste, accompagnate da occhi azzurri sollevati fino al soffitto, ma sente invece una mano stringersi sulla sua per qualche secondo, prima di lasciarla andare.
 
“Buongiorno a tutti! Sig- Andreina, mi scuso per il ritardo ma è colpa mia. Dovevo avere parecchio sonno arretrato: ho dormito come un sasso e non ne volevo proprio sapere di svegliarmi stamattina,” ammette Gaetano con un sorriso altrettanto brillante, “mi dispiace di avervi fatto aspettare.”
 
“Infatti… non serviva che ci aspettaste, mamma, davvero,” fa notare Camilla, sedendosi all’altro capo della tavola, di fronte alla madre, mentre Gaetano prende posto di fianco a lei e di fronte a Livietta.
 
“E poi nonna, non lo sai che il brunch va di moda? E con tutta la roba che hai cucinato, di sicuro non avrò più fame fino a stasera, nemmeno se avessimo mangiato due ore fa!” si inserisce Livietta, dando inaspettatamente manforte alla madre ed indicando la tavola che tra torta, pancake, macedonia, cereali e pane tostato con marmellate varie, sembra il buffet di un albergo.
 
“Certo che dovevo aspettarvi, visto che l’ho cucinata apposta per voi tutta questa roba. Ho immaginato che tu e Gaetano avreste avuto bisogno di recuperare le molte energie perdute. Soprattutto Gaetano,” commenta con un’occhiata eloquente, un sopracciglio alzato. Per poco Gaetano non si strozza con il sorso di caffelatte che sta deglutendo.
 
“Grazie mamma, in effetti hai ragione: Gaetano e io ieri sera non abbiamo cenato e sono giorni che non mangiamo come si deve. E poi lui ieri ha pure fatto la lotta libera,” ribatte Camilla con un altro sorriso sereno ed imperturbabile, ignorando volutamente i possibili sottotesti, dopo aver dato un paio di colpi sulla schiena di Gaetano per aiutarlo a respirare.
 
“Che si fa oggi? Gaetano, tu devi ancora lavorare?” si inserisce Livietta per cambiare discorso, un’espressione tra il divertito e l’imbarazzato sul volto.
 
“Sì… sì, devo chiudere le ultime questioni in sospeso… ma prima volevo andare in ospedale. Vuoi venire anche tu Camilla?” le chiede con nonchalance, dopo aver lanciato un’occhiata grata alla ragazza.
 
“Sì, certo.”
 
“Posso venire anche io a salutare Ilenia?”
 
“Appoggio la mozione di mia nipote: mi piacerebbe portarle anche un po’ di torta, così si consola dal cibo tremendo dell’ospedale,” si inserisce Andreina, dando manforte a Livietta.
 
“Purtroppo temo non sia possibile. I medici hanno raccomandato che Ilenia non deve stancarsi fisicamente e psicologicamente e… dopo ieri credo che abbia bisogno di un po’ di tempo in tranquillità, vedendo meno persone possibile. Però possiamo portarle la torta e magari, se volete scriverle una lettera, un biglietto, sono sicuro che le faranno molto piacere,” obietta Gaetano, sapendo che è la cosa giusta da fare, anche se gli dispiace dire loro di no.
 
“D’accordo, mi fido del suo parere…” acconsente Andreina, senza protestare, cosa che stupisce molto Camilla.
 
“Allora io esco con Nino e i suoi amici… se a te va bene, mamma. Mi hanno chiamata prima per chiedere se andavo con loro in piscina.”
 
“Per me non c’è problema: vai e divertiti,” conferma Camilla, desiderando che sua figlia si goda al massimo questi ultimi giorni prima del ritorno a casa. Spera in cuor suo che riuscirà a farsi un gruppo di amici anche a Torino, o che faccia pace con Greg, ma sa che la situazione su quel fronte è complicata.
 
“Ah, e Francesca mi ha detto di dirti di chiamarla, Gaetano, le ho spiegato che stavate ancora riposando…”
 
“Sì… devo andare da lei a recuperare le mie cose e-“
 
“E mi ha anche chiesto se vogliamo cenare da lei stasera, tutti e quattro. Per me e la nonna andrebbe bene, voi che ne dite?”
 
“Possiamo forse rifiutare un simile invito?” domanda Camilla con un sorriso, dopo aver scambiato un’occhiata complice con Gaetano: se iniziano a complottare alle loro spalle, vuol dire davvero che stanno cominciando a diventare una famiglia.
 
Se da un lato l’idea di cosa possano combinare la generalessa e la mina vagante insieme un po’ la spaventa, dall’altro lato ciò le scalda il cuore e la riempie di una strana felicità che non riesce a spiegare. E, osservando l’espressione soddisfatta di Gaetano e sentendo il modo in cui le stringe la mano, intuisce che anche per lui è esattamente lo stesso.

 
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“Ringrazi Livietta e la signora Andreina da parte mia e dica loro che non vedo l’ora di rivederle, non appena mi dimetteranno da qui, ok?”
 
Ripone con mano tremante la lettera sul comodino, mentre afferra uno dei fazzoletti che Camilla le passa, asciugando gli occhi pieni di lacrime prima di soffiarsi il naso.
 
“Non posso crederci che sua madre mi voglia ancora a casa sua, prof., dopo tutti i problemi che le ho dato. E… nessuno aveva mai fatto tanto per me… io… io non so cosa dire: non ce l’avrei mai fatta senza di voi, mai,” proclama, prima di scoppiare di nuovo a piangere, ritrovandosi stretta in quell’abbraccio materno e rassicurante, quell’abbraccio che le era sempre mancato, che aveva inutilmente cercato e sognato per tutta la vita: la sensazione di potersi affidare a qualcuno senza timore di essere ferita, di essere al sicuro, protetta. Un lusso che lei non aveva mai potuto permettersi, un’innocenza che le era stata strappata via immediatamente, insieme a quell’infanzia che non aveva mai realmente avuto.
 
“Sì, che ce l’avresti fatta, Ilenia: tu sei una ragazza, anzi, no, una donna dalla forza incredibile. L’ho sempre saputo ma ieri ho capito realmente fino a che punto: io non so se sarei riuscita a sopravvivere, a trovare la forza di ribellarmi, di andare avanti, di diventare quello che sei diventata, se fossi stata al tuo posto,” proclama decisa, prima di lasciarla andare e di asciugarle le lacrime con un altro fazzoletto.
 
“È che… a volte mi chiedo perché… perché esistono persone come… come mio padre, anche se mi fa schifo chiamarlo così. E la verità è che ho paura… paura di diventare come mia madre, o peggio… come lui. Io ho il loro sangue, i loro geni e… lei dice che sono forte, ma a volte mi sento così fragile, come se potessi crollare da un momento all’altro, come se fossi appesa ad un filo…” confessa, guardandola negli occhi, liberandosi di un peso che da sempre la opprime.
 
“Ilenia,” sussurra, accarezzandole il viso ancora umido di lacrime, “un uomo molto saggio un giorno mi ha detto che anche le persone più forti possono essere fragili di tanto in tanto. Anche io ho avuto momenti in cui mi sono sentita così fragile, vulnerabile, da aver paura anche solo di uscire di casa, momenti in cui ho pensato che non mi sarei mai più fidata di nessuno e non ho mai sofferto un decimo di quello che hai sofferto tu. La forza non sta nel non cadere o vacillare mai, ma nell’avere sempre la capacità di rialzarsi. E tu ce l’hai Ilenia, hai superato le cose peggiori e ti sei rialzata. Guardati: sei una ragazza bella, intelligente, realizzata professionalmente e soprattutto sei buona, davvero buona, nonostante tutto quello che ti è capitato. Devi essere orgogliosa di te stessa.”
 
“Orgogliosa? E di cosa? Sì, prof., mi sono laureata, è vero, ho o forse avevo un lavoro che mi piace e di questo sono fiera, ma per il resto… la verità è che lo studio e poi il lavoro mi sono serviti per non pensare, per riempire la mia vita, ma io mi sento così sola! Non riesco a fidarmi degli uomini, prof., non ci riesco! Non riesco ad avere una relazione stabile… ho paura del matrimonio, dei figli, anche se i bambini mi piacciono ma… ho paura di quello che potrei diventare. Di quello che i miei figli potrebbero diventare. E dopo ieri… non so se riuscirò a fidarmi ancora delle persone… sento che sarò sempre sola…”
 
“Ilenia, tu non sei da sola e non sarai mai sola. Hai un sacco di persone che ti vogliono bene, perché la verità, anche se forse non te ne rendi conto, è che è impossibile non volerti bene. Pensa a mia mamma, a Livietta, a Gaetano, a Tommy: sei entrata nei loro cuori così in fretta-“
 
“Lo so… siete come una famiglia per me, però… lo sa cosa intendo, no? Non è la stessa cosa…”
 
“No, non lo è, ma prima di tutto sono sicura che non diventerai mai come tua madre o tuo padre, mai. Mi basta averti vista con Tommy per sapere che saresti una madre eccezionale, Ilenia. E poi tu sai valutare le persone: ti sei fidata di Marcio, è vero, ma alla fine lui non aveva cattive intenzioni, era una vittima quasi quanto te e in ogni caso hai subito capito che c’era qualcosa che non andava. Ma soprattutto, tu non ti sei mai fatta mettere i piedi in testa da nessuno, nemmeno da tuo padre. Hai avuto il coraggio di andartene da casa a diciott’anni, di cambiare tutta la tua vita. Sono sicura che qualsiasi cosa succeda, non permetterai mai a nessuno di approfittarsi di te, di fare del male a te e alle persone a cui vuoi bene. E se ti ho aiutata, se ti ho creduta fin da subito è perché so che tu non saresti mai capace di fare del male a qualcuno, che preferiresti morire tu stessa piuttosto. Quindi tu non hai nulla né di tuo padre, né di tua madre. Tu sei tu, Ilenia e DEVI essere orgogliosa di te stessa, sempre, comunque tu scelga di passare la tua vita: single, in coppia, in città, in una giungla, sono sicura che saprai cavartela benissimo. Ma se davvero desideri una famiglia e dei figli nel tuo futuro, non c’è niente che te lo impedisca, niente. E se ti facessi bloccare dalla paura di qualcosa che non esiste, allora sì che sarebbe come darla vinta a tuo padre, hai capito?”
 
“Prof.…” sussurra, commossa, abbracciandola di nuovo forte-forte, “grazie! Non so come fa… ma lei riesce sempre a tirarmi su di morale e a… a spingermi a credere in me stessa. A farmi vedere le cose da un altro punto di vista.”
 
“Beh, ne sono felice, perché anche tu mi aiuti sempre a vedere le cose da un altro punto di vista, Ilenia, credimi. Mi hai insegnato tantissimo,” mormora di rimando, ricambiando l’abbraccio.
 
“Prof.?” la chiama ancora, esitante, portandola a sciogliere l’abbraccio per guardarla negli occhi.
 
“Mio padre… ha la Rabbia e… e sta morendo. Ha pochi giorni di vita, lo so… e… la verità è che non so cosa provo e non so cosa fare,” ammette con un filo di voce.
 
“Non lo so, Ilenia, non ce l’ho una risposta, perché l’unica persona che può avercela sei tu. Io penso che tu debba fare esattamente quello che ti senti, senza sentirti in obbligo né in un senso, né nell’altro. Non posso nemmeno immaginare quello che provi nei confronti di tuo padre e non ho la presunzione di essere in grado di riuscirci. Devi decidere tu, in piena libertà, e so che farai la cosa migliore, anche se il tempo stringe e questo non ti aiuta,” la rassicura, accarezzandole i capelli, per poi aggiungere, quando la vede cercare di trattenere uno sbadiglio, “sei stanca? Forse è meglio che ora ti lasci riposare.”
 
“Un po’… e poi… il dottor Berardi la starà aspettando,” risponde con un sorriso stanco ma grato: Gaetano era uscito prima con la scusa di una telefonata urgente, ma sanno benissimo entrambe che l’ha fatto per lasciarle sole, per far sì che Ilenia potesse parlarle liberamente.
 
“Ha trovato veramente un uomo meraviglioso, lo sa? Non mi dimenticherò mai quello che ha fatto per me ieri: prima, durante e soprattutto dopo… tutto quello che è successo con mio padre. È stato… perfetto: mi ha trattata con una sensibilità, un’attenzione… mi ha capita davvero, fino in fondo, senza parole. Proprio come fa sempre lei, prof.: siete veramente fatti l’uno per l’altra!”
 
“Sono molto fortunata, lo so,” ammette Camilla, commossa ed orgogliosa.
 
“Anche lui lo è… e anche Tommy e Livietta lo sono ad avervi come genitori. Penso sul serio tutto quello che le ho scritto in quella lettera, prof., parola per parola.”
 
“In quella lettera mi davi del tu e mi chiamavi Camilla, però-“ le ricorda, facendole l’occhiolino, “quindi se continui a chiamarmi prof. mi offendo: ormai sei di famiglia e lo sai.”
 
“Va bene… Camilla, ci proverò,” promette Ilenia con un altro sorriso stanco, prima di sbadigliare di nuovo, gli occhi che si chiudono e il respiro che si fa lento: del resto era ancora sotto l’effetto dei tranquillanti, anche se in dose ridotta rispetto al giorno precedente.
 
Camilla le risistema la mascherina sul viso, le posa un bacio sulla fronte, intenerendosi quando la vede sorridere nel sonno ed esce, richiudendo con delicatezza la porta dietro di sé.
 
“Come sta?” le chiede subito Gaetano, la preoccupazione visibile e sincera nei suoi occhi azzurri.
 
“Relativamente bene… per quanto possa stare bene…” risponde, prima di sollevare una mano ad accarezzargli il viso, “ed è soprattutto grazie a te. Ilenia mi ha detto che sei stato meraviglioso con lei in questi giorni e non posso che darle ragione. Anche perché tu sei sempre meraviglioso.”
 
“Camilla… siete troppo buone con me, sia tu, sia Ilenia: fosse stato solo per me, quel… quel bastardo di Misoglio l’avrebbe avuta vinta. Ci sono cascato con tutte le scarpe e se non fosse stato per te e le tue intuizioni… non voglio nemmeno pensarci. Se penso che stavo per prendere quel treno e lasciarti qui con lui a piede libero… dire che sono stato un idiota è farmi un complimento!” ammette, posando la mano sulla sua e bloccandola.
 
“No, tu avevi le tue ragioni, Gaetano e capisco perché l’hai fatto. E sono stata stupida anche io a dare retta al mio orgoglio e a lasciarti andare via… Quando sono arrivata su quel binario e ho visto che il treno era già partito, mi sono sentita morire. Con il senno di poi, mi sa che mi tocca ringraziare Mancini per essersi impicciato e De Matteis che ti ha convocato in questura,” ammette, il cuore che le fa ancora male al solo ricordo.
 
“Che c’entra la convocazione in questura?”
 
“Beh, almeno non sei potuto partire, no?”
 
“Camilla, guarda che quando De Matteis mi ha telefonato ero in taxi a due isolati da casa di tua madre. Su quel treno ci sarò rimasto cinque minuti, prima di darmi del cretino e tornare indietro,” chiarisce, per poi bloccarsi, un’espressione di stupore sul viso, e domandarle, “che vuol dire: quando sei arrivata su quel binario? Vuoi dirmi che mi sei venuta a cercare?”
 
“Sì, ma sono stata un’idiota: ho aspettato troppo prima di trovare il coraggio di correrti dietro e… il treno era già partito. Ero pronta a partire con te quella sera, Gaetano, a tornare a Torino insieme…”
 
“Ma perché non me l’hai mai detto?” le domanda, confuso.
 
“E tu? Perché non me l’hai mai detto?” gli fa eco, un sopracciglio alzato.
 
“Perché non appena sei arrivata nell’ufficio di De Matteis hai cominciato a gridare ai quattro venti che ci eravamo lasciati, ad insistere che dovevo prendere le distanze da te e… per un attimo ho pensato che in realtà tu volessi davvero chiudere con me per sempre. E… e poi sono successe tante cose e… alla fine non ha più avuto importanza,” ammette, spostando la mano da quella di Camilla per sfiorarle lo zigomo con il pollice, “e tu?”
 
“Perché prima ho pensato che tenere le distanze da te fosse l’unico modo per tirarti fuori dai guai, poi sono successe troppe cose e poi… alla fine abbiamo chiarito tutti i nostri problemi, ci siamo ritrovati, ancora più uniti di prima e… non aveva più importanza, come dici tu,” riconosce, un sorriso luminoso sul volto,  accarezzandogli una guancia.
 
“Ma allo stesso tempo ce l’ha… per me è importante… anche se in fondo è solo una conferma di ciò che già sappiamo, no?” le domanda e il sorriso di lei, se possibile, brilla ancora di più, proprio come i suoi occhi castani.
 
“Anche per me… certo che siamo proprio uguali noi due. Testoni allo stesso modo,” ribatte, stringendolo in un abbraccio fortissimo e sentendolo ricambiare con la stessa intensità.
 
“Camilla… senti… io dovrei andare a parlare con De Matteis, aggiornarlo su quanto è successo e pianificare insieme cosa accadrà da qui in poi, visto che io devo tornare a Torino tra pochi giorni al massimo e lui avrà ancora un po’ di convalescenza da fare. Tu cosa vuoi fare? Vuoi venire con me?” le domanda, dopo un minuto di silenzio e di pace, sciogliendo l’abbraccio per guardarla negli occhi.
 
“Io… credo che sarebbe imbarazzante stare tutti e tre insieme nella stessa stanza e poi credo che di certe cose di lavoro è più giusto che ne discutiate solo voi due. Però… però, se a te non dà fastidio, vorrei fargli un saluto e magari parlargli per qualche minuto… da soli,” ammette, mordendosi il labbro ed affrettandosi ad aggiungere, notando la sua espressione sorpresa, “solo se per te non è un problema, ovviamente, Gaetano. Lo so che ti chiedo molto ma… credo che per De Matteis quello che mi ha confessato in quella stanza sia stato qualcosa di... monumentale. Una delle poche volte nella vita in cui si è reso così vulnerabile con qualcuno. E io sono scappata via per inseguirti, e non mi pento assolutamente di averlo fatto, e lo rifarei altre mille volte ma… vorrei parlare di quello che è successo con lui, come due adulti e… chiuderla come si deve. Dare il giusto valore e la giusta dignità a quello che è successo, a questa ammissione. Sento di doverglielo, Gaetano, puoi capirmi? Se non puoi farlo, ti capisco, quindi ti prego di dirmelo sinceramente e-“
 
“Ehi, ehi,” la interrompe, posandole l’indice sulle labbra, visto che sta parlando in maniera sempre più rapida e concitata, “Camilla… stai tranquilla. Ti ho promesso che mi sarei fidato di te, di quello che provi per me, e… capisco quello che deve star passando De Matteis, fin troppo bene e… capisco quello che intendi quando dici che per lui deve essere stato qualcosa di monumentale. Però ti voglio chiedere una cosa, e non è una recriminazione ma è una mia sincera curiosità: quando è successo tra me e te e tu sei scappata via… lo sapevi che anche per me quello che ti avevo confessato era a dir poco monumentale, che era qualcosa che non avevo mai detto a nessun’altra prima di te. Qualcosa che non avevo mai provato per nessun’altra prima di te. Ma con me non hai mai voluto chiarire… sei sparita per mesi e ne abbiamo a malapena parlato quando ci siamo rivisti, anche perché… beh, era imbarazzante parlarne. Perché, Camilla?”
 
“Perché non potevo chiarirmi con te Gaetano. Non davvero, non senza doverti mentire su quello che provavo e… non mi sentivo abbastanza forte per farlo, per affrontarti e guardarti negli occhi e dirti una bugia. E soprattutto non mi sentivo abbastanza forte per dirti addio e prendere una decisione definitiva. Sapevo che probabilmente non ce l’avrei fatta e che avrei dovuto ammettere che stavo mentendo a me stessa oltre che a te… e non ero pronta a farlo. Con De Matteis è diverso perché con lui non devo fare altro che raccontare la pura e semplice verità, lo capisci?”
 
“Sì… lo capisco e ti credo, Camilla. Mi fido di te, quindi, se vuoi parlare con De Matteis a tu per tu, per me va bene…” la rassicura con un sorriso, prima di aggiungere, facendole l’occhiolino, “diciamo che Otello l’ho mandato in pensione, o almeno ci sto provando, come ti avevo promesso.”
 
“Che c’è? Ho detto qualcosa che non va?” le chiede, notando lo sguardo di lei mutare in un’espressione indefinibile tra lo stupito, il divertito e il malinconico.
 
“No, no… è che… mi è tornata in mente una cosa che è successa tanti anni fa, proprio lo stesso giorno della tua dichiarazione d’amore e della… della mia fuga,” spiega, un mezzo sorriso agrodolce sul viso.
 
“E cioè?” domanda, incuriosito.
 
“Quando tu mi chiamasti per invitarmi in questura, rispose Renzo, non so se te lo ricordi. Renzo era geloso di te già da un po’ di tempo: ci aveva visti insieme e aveva iniziato a sospettare che ci fosse qualcosa tra di noi. E quel giorno, quando gli dissi che mi avevi convocata in questura, lui mi rispose qualcosa del tipo: Otello ha deciso di fidarsi,” ricorda, sospirando e scuotendo il capo, “e poi… non so se per la mia espressione o per il mio silenzio, improvvisamente si fermò e mi chiese se facesse davvero bene Otello a fidarsi…”
 
“E faceva bene?” sussurra, spiazzato da questa rivelazione.
 
“Non lo so… da un lato forse sì: voglio dire, ti ho respinto quel giorno e se l’ho fatto è stato anche per non tradire questa ulteriore promessa che avevo fatto a Renzo. Però allo stesso tempo… forse non faceva affatto bene a fidarsi e lo sapevamo entrambi. Credo che avesse capito benissimo che provavo qualcosa per te e anche io nel profondo lo sapevo…” ammette, ricordando, come se fosse ieri, la confusione e il senso di colpa che lottavano con i suoi desideri, con quello che il cuore le diceva di fare.
 
“Camilla, non è che stai cercando di dirmi qualcosa? Questa volta Otello fa bene a fidarsi, vero?” non può evitare di chiedere, il cuore in gola ed uno strano sapore in bocca.
 
“No, no! Cioè sì, cioè… non sto cercando di dirti niente, non quello che pensi tu, almeno e… certo che fai bene a fidarti, Gaetano, non c’è assolutamente niente di cui tu ti debba preoccupare,” lo rassicura, dandosi della cretina e prendendogli le mani nelle sue, “è che mi sono stupita da sola di quanto sia diversa la situazione adesso rispetto ad allora, ed è tutto così chiaro con il senno di poi. Quell’ansia, quella paura e quel desiderio fortissimo che avevo di incontrarti… di… di baciarti. Il modo in cui farfugliai una risposta quando Renzo mi fece quella domanda sulla fiducia. Mi chiedo come ho fatto a mentire a me stessa per così tanto tempo, ad ignorare tutti i segnali. Mentre ora, mi sento così tranquilla, è tutto così chiaro e semplice, per quanto possa essere imbarazzante dover rivedere De Matteis ma… non provo né paura, né ansia… niente. Questa è la normalità, questo è quello che avrei dovuto sentire anche allora nei tuoi confronti, se davvero non fossi stata innamorata di te e… me ne rendo completamente conto solo adesso.”
 
Il cuore continua a martellargli nel petto, ma è un battito completamente diverso. Queste confessioni di Camilla, così spontanee e inattese, ogni volta che lei decide di condividere con lui uno di questi angoli nascosti del suo cuore e della sua anima, sono per lui qualcosa di indescrivibile, qualcosa a cui sa che non si abituerà mai del tutto. Non può evitare di sorridere come un idiota e di cedere all’impulso irrefrenabile di posarle un rapido bacio sulle labbra, ignorando i medici e gli infermieri che passano per il corridoio. L’abbraccia di lato, sentendola stringersi a lui ed insieme, senza parole, si avviano verso il reparto di chirurgia.

 
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“Scusate, torno dopo…”
 
“No, no, aspetta! Avevamo quasi finito e poi… e poi stavamo parlando proprio di te,” esclama, con un tono che la porta a bloccarsi sui suoi passi quasi quanto le parole appena pronunciate.
 
“Di me?” domanda, stupita, alternando lo sguardo tra lui e la dottoressa – la psicologa assegnata loro dall’ospedale con cui anche lei aveva già fatto qualche seduta, per cercare di valutare l’entità del trauma causato dall’essere rimasti intrappolati in quell’incendio e predisporre eventualmente un piano di terapia per affrontarlo e superarlo.
 
Da quel giorno al Luna Park, incubi terribili avevano tormentato i suoi sonni ma la notte precedente, da quando aveva avuto la conferma che Ilenia è innocente, aveva riposato un po’ meglio del solito. Il che confermava in un certo senso la prima impressione della dottoressa: più che l’evento in sé, ciò che l’aveva traumatizzata maggiormente era stato il fatto che ad attentare alla sua vita fosse stata una persona di cui si fidava ciecamente e a cui voleva molto bene. Trauma che, sempre secondo la dottoressa, si sommava a quello che lei sentiva come un tradimento del marito: all’aver scoperto che il marito la seguiva, la spiava e che l’aveva addirittura denunciata.
 
Una questione di fiducia, insomma, in sé stessa e negli altri. E la fiducia è tutto nella vita, lo sa benissimo: è la cosa più difficile da costruire e basta così poco a distruggerla per sempre.
 
“Sì, di lei, del vostro rapporto e di quello che è successo nell’ultimo periodo e del perché è successo. Come immagino sappiate, io sono vincolata dal segreto professionale e non posso condividere con uno di voi le confessioni dell’altro ma… mi sentirei sinceramente di consigliarvi un periodo di terapia di coppia, insieme ad un percorso di terapia personale ed individuale per provare a superare l’evento traumatico dell’incendio. Ma ovviamente siete liberi di scegliere se accettare o meno e con quale terapeuta proseguire questo percorso. Le sedute obbligatorie sono terminate con oggi, come sapete. Vi lascerei confrontare e discutere insieme il da farsi. Con permesso,” proclama la dottoressa, congedandosi da loro con un sorriso.
 
“Perché non ti accomodi? La dottoressa ha ragione: ho bisogno di parlarti di tante cose…”
 
“Quindi mi stai dicendo che vorresti sul serio tentare con la terapia di coppia? Che cosa le stavi raccontando di me, eh? Di quanto sono immatura? Irresponsabile? Di come ti avrei tradito indagando sul caso Scortichini e cercando di scagionare Ilenia, che in effetti era innocente? O di come ti avrei tradito con Marchese?” gli domanda, non potendo evitare di provare rabbia nei confronti di quell’uomo che, purtroppo, ama ancora, troppo, “pensi che con la terapia di coppia si risolverà tutto magicamente? Che torneremo ad essere quelli di prima? Non è così, non si può tornare indietro perché… non so più chi sei, ma so di sicuro che non sei l’uomo che credevo, l’uomo di cui mi sono innamorata, non sei solo quello almeno e non posso più ignorare quella parte di te che ho sempre cercato di non vedere, la parte di te che, sinceramente, mi disgusta.”
 
“Sammy…” sussurra, sentendosi peggio che se lei gli avesse tirato uno schiaffo.
 
“Ho parlato un po’ con la dottoressa di noi due, di quello che ci è successo… di come mai stavamo per morire insieme in quella stanza, di come siamo arrivati lì. Del perché a volte nei miei incubi di queste notti eri tu che applicavi l’incendio, che mi guardavi morire bruciata viva…” confessa con un filo di voce e, di nuovo, Pietro sente una coltellata trapassargli il petto.
 
“E sai cosa mi ha detto la dottoressa del nostro rapporto? Che è un rapporto sbilanciato, che io mi sento inferiore a te per un sacco di motivi: per l’età, per il fatto che tu hai una carriera avviata mentre io sono solo all’inizio ed economicamente dipendo da te… e con il senno di poi sono tutte insicurezze che tu alimenti, non so se volontariamente o inconsciamente. Tu che mi fai pesare quanto sono immatura o bambina, anche se questo la dice lunga su di te e sul fatto che mi hai voluta e scelta, tu che mi hai proposto di sposarti quasi subito, sapendo che dovevo finire gli studi, sapendo che questo mi avrebbe portata a dipendere da te. E io ho accettato, quindi ne sono anche io responsabile, per la carità ma… ho capito solo adesso quanto tutto questo mi pesi. È sempre stato come se dovessi provare a te, a me stessa, ai nostri parenti, al mondo, che sono abbastanza per te: abbastanza matura, abbastanza donna, che sono degna di essere tua moglie. Ho cominciato a truccarmi in maniera differente, per sembrare più grande, più vecchia, ho smesso di frequentare la maggior parte dei miei amici, perché erano troppo giovani per te e ti annoiavi con loro. Non posso dire che tu mi abbia imposto i tuoi amici, visto che praticamente non ne hai, ma siamo rimasti io e te contro il mondo. E se questo mi legava di più a te da un lato, dall’altro mi ha privata di tante altre cose, cose di cui ho bisogno e di cui mi sono resa conto ricominciando a frequentare Marchese, Ilenia, la prof. e non c’entra niente il tradimento. Mi sono resa conto che ormai mi ritrovavo sempre a recitare un ruolo, ad autolimitarmi quando non eravamo soli e a volte anche quando lo eravamo. Capisci cosa voglio dire?”
 
“Sì…” ammette, abbassando lo sguardo, per poi rialzarlo quando la sente avvicinarsi a lui a passo lento, notando l’assenza del ticchettio dei soliti tacchi altissimi. La vede prendere posto sulla sedia, un’espressione serissima sul viso.
 
“Mi dispiace Sammy, io… è colpa mia, lo so, ma… sai cosa mi ha detto la dottoressa? Che anche io mi sento inferiore a te: tu sei bellissima, hai tutta la vita davanti e non è vero che non sei realizzata, anzi…. Tu sei laureata e io no, tu sei molto più intelligente di me, molto più interessante di me, molto più forte di me e… non mi sono mai sentito alla tua altezza. Anche io mi sono sempre sentito sotto esame: dei tuoi genitori, dei tuoi amici…. Sentivo di dover provare a tutti che non ero una specie di vecchio maniaco che voleva approfittarsi di te, ma che ti amavo davvero, che ti meritavo, anche se io per primo ho sempre sentito di non meritarti. Anzi, ho sempre pensato che un giorno ti saresti accorta di esserti sbagliata su di me, di avere preso una fregatura scegliendomi… forse ho accelerato le cose con il matrimonio sperando di legarti a me, è vero, e se facevo quei commenti sulla tua immaturità era per gelosia verso i tuoi amici, perché avevo paura di perderti. Forse cercavo di farti sentire inferiore per mascherare questo senso di inferiorità che IO sentivo nei tuoi confronti, per far sì che non ti accorgessi di tutti i buoni motivi che avevi di lasciarmi e cercarti qualcuno migliore di me, qualcuno davvero alla tua altezza. E lo so che sono stato uno stronzo, ma ti giuro che non l’ho mai fatto consciamente… non me ne sono mai nemmeno reso conto,” ammette a fatica, mentre Sammy si porta una mano alla bocca, a dir poco turbata da questa rivelazione.
 
“È di questo che stavate parlando con la dottoressa?” chiede con voce roca, dopo un lungo attimo di silenzio, trascorso a guardarsi negli occhi.
 
“Sì, ma non solo. Le ho parlato della mia gelosia nei confronti di Marchese, del mio comportamento nei suoi confronti e in servizio… le ho parlato del Mastino, Sammy, di questa parte di me che ti disgusta, che non comprendi e che probabilmente non ho mai compreso nemmeno io,” spiega, la gola di cartavetra, ogni parola che pesa come un macigno. Ma la cosa che conta di più per lui è Sammy, e se ha anche solo una remota possibilità di non perderla, è disposto ad affrontare qualsiasi cosa, anche quello che gli fa più paura.
 
“Ma la dottoressa non è la psicologa della polizia… non è lei che ti deve dare l’idoneità per tornare in servizio, o no?” domanda, confusa, non capendo come e perché lui e la dottoressa siano giunti a discutere di quell’argomento.
 
“No, non lo è e appunto per quello gliene ho parlato. Tutto quello che è successo mi ha fatto riflettere, Sammy, anche se forse non mi crederai, e sono giunto a una decisione. Ma avevo bisogno di parlarne con qualcuno che non c’entrasse con la polizia, che non mi avrebbe fatto sentire sotto esame…” spiega con un sospiro, prima di farsi forza e aggiungere, “anche perché non avrò bisogno di sottopormi ai test per l’idoneità, non a breve almeno.”
 
“Che vuoi dire? Non puoi tornare in servizio senza l’idoneità fisica e psicologica: è la prassi… è vero che hai la gamba rotta ma il test psicologico dovrai farlo se vuoi anche solo tornare dietro ad una scrivania,” obietta Sammy, sapendo benissimo come funziona in caso di infortuni e ferimenti di questa importanza, visto che durante il praticantato si era occupata, tra le altre cose, del caso di un poliziotto sospeso dal servizio per una diagnosi di inidoneità psicologica, dopo essere rimasto gravemente ferito negli scontri a seguito di una manifestazione sportiva ed avere ucciso uno degli ultrà.
 
“Ma io non voglio tornare dietro ad una scrivania e non voglio tornare in servizio, non-“
 
“Cosa?! Ma se il lavoro è tutta la tua vita!” lo interrompe, a dir poco scioccata.
 
“No, Sammy, TU sei la mia vita, TU e non il mio lavoro, anche se forse non mi credi e non sono riuscito a dimostratelo e-“
 
“E io non ti ho mai chiesto di rinunciare al tuo lavoro, Pietro, quindi-“
 
“Lo so, lo so che non me l’hai chiesto, ma ho capito che è l’unica cosa sensata che posso fare, per te, per me stesso, per i miei colleghi, per tutti. Io volevo dimettermi e lasciare definitivamente la polizia, ma la dottoressa mi ha convinto a chiedere l’aspettativa. Con il mio infortunio non potranno non concedermela. Ho bisogno di tempo per capire da cosa è nato il Mastino, Sammy, da dove deriva tutta questa… tutta questa rabbia che ho dentro e che sfogo sui colleghi, sui sospettati…. E ho bisogno di tempo per cercare di provare a ricostruire il rapporto con te, per cercare di salvare il nostro matrimonio, se me ne darai la possibilità. Ma lo so che non potrò avere speranza con te, se non riesco a… ad uccidere il Mastino.”
 
“Pietro…” sussurra, toccata e sconvolta, sentendolo e vedendolo sincero, nonostante sia ancora furiosa con lui per tutto quello che è successo.
 
“La dottoressa dice che sono ad un buon punto di partenza, che forse abbiamo individuato la radice dei miei problemi. Secondo lei tutto parte da questo senso di inferiorità che sento non solo nei tuoi confronti ma… nei confronti di tutti. Da tutte queste insicurezze che mi porto dietro…”
 
“Insicurezze? Ma se sei la persona più sicura che conosco… sei sempre così convinto di te stesso, delle tue opinioni, di aver ragione e-“
 
“Ed è tutta una finzione, Sammy… mi sforzo di apparire forte e convinto e sicuro di me stesso ma non lo sono, non lo sono mai stato. È il mio modo di mascherare quanto mi sento debole e quanto… quanto odio sentirmi debole,” ammette con un filo di voce, sentendo gli occhi bruciare, “ti devo… ti devo raccontare una cosa. È una cosa che sanno solo i miei genitori e… e ora anche la dottoressa. Avrei dovuto parlartene prima, ma non ne ho mai avuto il coraggio. Credo che… credo che i miei problemi risalgono fin dai tempi della scuola, riguardando indietro.”
 
“I tempi della scuola? Vuoi dirmi che facevi il bullo con i tuoi compagni?” gli chiede, temendo la risposta.
 
“No, no, per niente. Anzi: ero una delle vittime preferite di tutti i bulli del circondario,” chiarisce, passandosi una mano sugli occhi.
 
“Tu? Ma non mi avevi detto di essere stato uno dei ragazzi più popolari della scuola? Che eri rappresentante di classe, che vincevi un sacco di gare sportive e tutte le ragazze ti correvano dietro?” gli domanda, confusa e stupita, ricordando quello che le aveva raccontato quando avevano parlato dei tempi delle superiori, lei a ragioneria e lui in un istituto tecnico. Erano venuti in argomento proprio poche settimane prima, quando si era prospettata la rimpatriata di classe e lui le aveva chiesto, per non dire quasi imposto, di accompagnarla.
 
Lui, per tutta risposta, afferra con un certo sforzo, essendo ancora mezzo immobilizzato, una cartellina marrone sul comodino e gliela passa, facendo cenno di aprirla.
 
Sammy, incuriosita, fa come chiesto e trova un paio di vecchie foto di classe, più una foto a figura intera di un ragazzino che sembra un pulcino bagnato: alto ma magrissimo, dinoccolato, occhialoni spessi sul naso, i capelli tirati indietro con il gel e schiacciati sulla testa. Dai colori sbiaditi, ingialliti dal tempo e dall’abbigliamento degli altri ragazzi nelle foto di classe in cui, di nuovo, ritrova lo stesso ragazzino, è evidente che le foto risalgono alla fine degli anni ‘80, inizio anni ‘90 e lo stile del ragazzino contrasta in maniera nettissima rispetto a quello di tutti i suoi compagni di classe.
 
“Di chi sono queste foto?” chiede, ancora più confusa, se possibile.
 
“Me le ha portate mia madre ieri sera. Gliele ho chieste dopo aver parlato con la dottoressa, volevo mostrargliele e mostrartele per farti capire…” sospira, guardandola negli occhi.
 
Sammy osserva meglio le foto e spalanca la bocca: ma certo! Quegli occhi tra il marrone e il verde, inconfondibili…
 
“Sei tu?!” sussurra, sbalordita, perché, a parte gli occhi, l’uomo davanti a lei e il ragazzino della foto non hanno praticamente niente in comune, tanto da essere irriconoscibili.
 
“Sì… sono io. Dai, dì pure quello che pensi: te lo si legge in faccia. Ero proprio uno… uno sfigato come si dice adesso, no?” proclama, sprezzante, come se non stesse parlando di se stesso ma di un’altra persona.
 
“No… cioè… diciamo che non ti curavi molto e… e lo stile era un po’ fuori moda, ecco,” prova ad abbozzare, non riuscendo a non provare un moto di tenerezza per il ragazzino della foto, “sembravi un po’ un secchione, ma-“
 
“Ma non ero un secchione: è quello il peggio! Non sono mai stato molto bravo a scuola, mai, anche se studiavo e mi ci impegnavo. I libri non hanno mai fatto per me e… mi hai visto, no? Anche se cerchi di usare parole gentili, ero un disastro, non ero buono a niente. Non ero bello, non ero sportivo, non ero nemmeno intelligente. E attiravo tutti i bulletti ad un chilometro di distanza. Mi facevano di tutto… un giorno sono pure finito in ospedale con un timpano perforato ed un’ulcera gastrica, provocata dallo stress e dalle botte allo stomaco. A diciassette anni. Non ho mai voluto denunciarli, mi sono inventato palle con i miei genitori, ma loro hanno capito e mi hanno cambiato scuola, visto che non volevo più andarci. Ho perso un anno per questa storia… mentre quegli idioti sono stati tutti promossi,” racconta con una risata amara e disillusa, che è letteralmente come un pugno allo stomaco per Sammy.
 
Non riesce nemmeno a parlare, alternando lo sguardo tra quella foto e l’uomo davanti a lei che si rende ancora di più conto di non conoscere.
 
“Quella è stata l’ultima goccia. Quell’estate ho iniziato a fare sport, a fare palestra, poi pesi, boxe. Piano piano ho messo su muscoli e… il mio corpo finalmente si è adattato alla crescita troppo rapida che avevo avuto, si è assestato. Ho iniziato a portare le lenti a contatto e poi ho fatto il laser, appena ho potuto, per eliminare gli occhiali, anche se non era un’operazione molto comune all’epoca e i miei non erano d’accordo. Ma me lo sono pagato con lavori vari: facevo il buttafuori, pensa un po’, io un buttafuori,” ricorda, scuotendo il capo, “una sera ho beccato uno dei bulletti che mi aveva dato il tormento per anni. Aveva scatenato una rissa per via di una ragazza. L’ho fermato e l’ho fatto arrestare e lì ho capito che lavoro volevo fare, che volevo entrare in polizia.”
 
“Quindi sei entrato in polizia per vendicarti di chi ti aveva maltrattato?” intuisce lei, ancora incredula.
 
“All’inizio no, non proprio. Anzi, pensavo di aiutare i deboli, difenderli, evitare che ad altri capitasse quello che era successo a me. Ero molto serio, severo, mi sono buttato anima e corpo nell’accademia e poi sul lavoro ma non ero… non ero il Mastino, non così. Forse ti ricordi quando… quando ho fermato te e la tua professoressa… ero rigido ma non ero… non ero ingiusto, non ho mai superato il limite. Ci sono andato vicino, ma non l’ho mai superato,” rammenta, guardandola negli occhi.
 
“Quando hai iniziato a superarlo? È stato per via di Marchese? Per me?” domanda, anche se non è sicura di voler conoscere la risposta.
 
“No… non del tutto almeno. Non ti sei mai chiesta perché facevo l’istruttore quando ci siamo conosciuti?”
 
Sammy scuote il capo: con il senno di poi, in effetti, Pietro è relativamente giovane e sembra amare troppo l’azione, la prima linea, per avere scelto di fare l’istruttore. E quando si erano messi insieme, dopo poco aveva deciso di far domanda per tornare operativo. Ma non si era mai chiesta il perché di questa carriera un po’ atipica.
 
“L’anno dopo quello in cui ci siamo conosciuti a quel posto di blocco, ho fatto il concorso per diventare ispettore. Ci ho sputato sangue, Sammy, dico sul serio. Come ti ho già detto, i libri non sono mai stati il mio forte e studiare per la teoria è stata una tortura. Nottate, su nottate, su nottate. E poi allenamenti su allenamenti… e il tutto lavorando di giorno. Ma ce l’ho fatta: sono diventato ispettore, il grado più alto che posso ambire ad avere, non essendo laureato. Ero così felice, così fiero di me stesso e poi… e poi tutto è andato a puttane nel giro di un giorno.”
 
“Che vuoi dire?”
 
“Siamo intervenuti per sventare una rapina ad una banca. Io guidavo una squadra con altri due agenti, di cui uno fresco di accademia. C’è stata una sparatoria e… sono stato ferito gravemente ad una gamba. La stessa che ho rotto ora, vicino al ginocchio: ho reciso un tendine e ho avuto grossi danni ai muscoli. Non riuscivo più a piegare bene la gamba e quindi non riuscivo a camminare bene, figuriamoci a correre. Ero zoppo. Avevo trentatré anni, appena promosso ad ispettore ed ero zoppo, finito. E lo sai qual è il peggio? Sai chi era stato a ferirmi?”
 
Sammy scuote di nuovo il capo, sconvolta, non capendoci più niente, ma sentendo il dolore che emerge, che impregna ogni parola come se fosse palpabile, come se lo stesse respirando, come se le stesse entrando in ogni poro della pelle, fino alle ossa.
 
“Uno dei miei colleghi, ecco chi era stato! La perizia balistica l’ha confermato. Il proiettile veniva dalla pistola del novellino, quello fresco di accademia… se l’era fatta sotto, era andato in panico e… era inciampato mentre correva da una copertura all’altra. E gli è partito un colpo. Devo ringraziare il cielo che mi ero appena alzato per sparare, che non ero accucciato o… probabilmente sarei morto. Lui ha perso il posto, grazie al cielo, ma io… io ho perso tutto. Qualcuno deve avere avuto pietà di me o forse deve avere temuto che chiedessi i danni per quello che mi era capitato e… invece che mettermi dietro una scrivania da qualche parte, mi hanno fatto fare l’istruttore. Una materia teorica, ovviamente, dovevo solo stare dietro ad una cattedra e spiegare.”
 
“Ed è allora che hai iniziato a farla pagare ai tuoi studenti, vero?” intuisce, mentre tutto sembra improvvisamente così chiaro.
 
“Sì… all’inizio dovevo essere severo per farmi rispettare. Lo sentivo come mi chiamavano, sai? Lo zoppo, dottor House… è stata durissima, era come tornare ai tempi della scuola. E poi mi sono promesso che non avrei mai più permesso ad un idiota come quello che mi aveva ferito di passare il mio corso ed entrare in polizia. Che se qualcuno non aveva la stoffa, che se qualcuno non era abbastanza forte per sopportare la pressione, se se la faceva sotto… era meglio se lasciava perdere e andava a fare un altro mestiere, fino a che era in tempo. Ma con il tempo credo di… credo che la cosa mi sia sfuggita di mano e… c’era e c’è come una… una rabbia dentro di me che cresceva e cresceva e che sfogavo in questo modo. E poi… e poi ho conosciuto te.”
 
“Ma quando ti ho conosciuto non eri zoppo, camminavi benissimo e… e non sembravi affatto la persona che descrivi… io non capisco come sia possibile…”
 
“No, non zoppicavo più. Nel tempo ero guarito, le terapie avevano fatto effetto, ma avevo paura di tornare in servizio, mi mancava il coraggio. Ma poi ho conosciuto te e… sei stata la cosa più bella che mi sia mai capitata nella vita, Sammy. Una boccata di aria fresca. Tu amavi me, Pietro, non conoscevi il poliziotto Mancini, con te potevo essere sincero, non avevo bisogno di… di recitare. O così credevo perché mi sono reso conto che anche con te sentivo il bisogno di… di mostrarmi forte, di nasconderti le mie debolezze, le mie paure, i miei fallimenti. Volevo essere alla tua altezza, all’altezza di quell’amore, di quella fiducia che mi davi. Del modo in cui mi guardavi, come una specie di grande eroe invincibile e forte. Ho fatto domanda di tornare in servizio e… e non è andata bene… ho esagerato e ho avuto problemi, ho dovuto chiedere il trasferimento e sono finito alla omicidi: ero nel posto giusto al momento giusto. Mi sentivo così orgoglioso di essere arrivato lì, ma già il primo giorno di lavoro ho visto Marchese. L’ho riconosciuto subito, sai? E… non so spiegarti il perché ma ho provato una rabbia, una gelosia nei suoi confronti…. Sapevo che ti aveva… che ti aveva avuta… che era stato il tuo primo, grande amore. E anche se l’avevi lasciato per me, il solo pensiero di lui e te insieme, mi tormentava. Non lo so, credo di avere sempre avuto paura che un giorno tu ti saresti stancata di me e ti saresti messa con qualcuno più giovane, della tua età. E la presenza di Marchese ha fatto uscire il peggio di me, se possibile. E il resto lo sai.”
 
“Pietro…” sospira, sentendo un macigno sul cuore e sullo stomaco. Perché capisce, capisce tutto adesso, ma sa che non è così semplice, che non è affatto semplice.
 
“La dottoressa mi ha detto che… che parlarne e accettare di… di avere un problema è il primo passo per uscirne ma… che non sarà facile. Mi ha detto che devo affrontare queste insicurezze, questi risentimenti e portarli allo scoperto e… cercare di risolverli, cercare di… cercare di liberarmi di questa rabbia che mi porto dentro da troppo tempo. Ma potrebbe volerci molto tempo e… ed è per quello che voglio l’aspettativa. Non posso tornare a fare questo mestiere se… se non supero questi problemi,” ammette, sembrando leggerle nel pensiero, prima di aggiungere, “e… non posso tornare con te, o meglio, chiederti di tornare con me… se… se non li supero, lo so. Ma ho bisogno di te, Sammy, ho bisogno di sapere che… che almeno tu credi in me. Io voglio cambiare per te, essere un uomo migliore, te lo giuro. Ti prego, dammi una possibilità… ho bisogno di sapere che… che tu ci sarai, che mi aspetterai. Lo so che non ho alcun diritto di chiedertelo ma… io non voglio perderti. Io non posso perderti: sei tutto quello che ho.”
 
Rimane a guardarlo per un tempo infinito, occhi negli occhi. Sa di trovarsi letteralmente ad un bivio della sua vita. Un bivio ancora più pesante, più importante, più potenzialmente devastante nelle conseguenze di quando ha deciso di lasciare Marchese, di quando ha deciso di sposarsi con Pietro, di quando ha deciso di aiutare la prof. e Marchese nelle indagini su Ilenia. Questo è IL bivio e sa che da quello che deciderà, dipenderà la sua felicità futura, tutto.
 
“Pietro… tu non… tu non devi diventare un uomo migliore per me, non devi risolvere i tuoi problemi per me, ma per te stesso, lo capisci? Quando ci siamo sposati io ti ho promesso che ti sarei stata vicina nella buona e nella cattiva sorte, è vero, ma… ma non sono un medico e soprattutto non sono il tuo medico, non sono… non sono la tua psicologa. L’amore non cura problemi di questo genere, non è una terapia o una formula magica, anzi, di solito incasina tutto e rende tutto più complicato, come ha dimostrato tutta questa storia con Marchese.”
 
“Che vuoi dire?” domanda con voce tremante, gli occhi pieni di lacrime e le sembra improvvisamente così fragile, fragile come non l’aveva mai visto.
 
“Non voglio raccontarti una palla, Pietro. Forse ti sembrerò stronza o egoista, ma… io voglio dei figli nel mio futuro, una famiglia e… se non risolvi i tuoi problemi, io non posso pensare di coinvolgere delle creature innocenti, soprattutto non dopo che ho sentito tutto quello che ho sentito sul padre di Ilenia. E no, non sto dicendo che sei come lui,” si affretta a precisare, vedendolo piangere apertamente, “ma… non serve arrivare a quei livelli per… per rovinare la vita a dei bambini che dipendono solo da te e da me. Non posso costruire qualcosa se le fondamenta non sono stabili, lo capisci? Chiamami stronza, egoista, ma… è quello che sento e non ci posso fare niente.”
 
“Mi stai dicendo che è finita?” riesce a chiederle tra le lacrime, sentendo come una pugnalata dritta al cuore.
 
“Ti sto dicendo che… che non posso prometterti niente, Pietro. Come tu non puoi promettermi che starai bene, io… io sono felice se tu inizi la terapia e cercherò di… di sostenerti e… e se vuoi fare la terapia di coppia, per me va bene, ma… c’è un limite, Pietro. C’è un limite oltre al quale dovrò dire basta e… e non lo so neanche io qual è, fino a che punto posso arrivare, ma non voglio arrivare a distruggermi anche io. È tutto quello che posso dirti…” ammette, non resistendo all’impulso di accarezzargli una guancia e asciugargli le lacrime.
 
“Mi dispiace di non essere l’uomo che credevi, Sammy, di non essere l’uomo coraggioso, forte e… maturo che meritavi e che meriti,” mormora tra le lacrime, prima di iniziare a singhiozzare trovandosi, non sa bene come, stretto tra le sue braccia sottili. Ricorda quante volte avevano scherzato insieme sul fatto che lei, così minuta, non riuscisse a cingerlo completamente in un abbraccio. Ma la verità è che quelle mani che gli circondano il collo, quella spalla che gli fa da cuscino, gli trasmettono una forza indescrivibile, tutta la forza che lui non ha mai avuto.
 
“Pietro…” sussurra, dopo un attimo, sollevandogli il capo per guardarlo negli occhi, “guarda che mi hai dimostrato molto più coraggio e più forza oggi, aprendoti con me, che… che da quando ti conosco. Ma io non mi sono innamorata di te perché eri forte o coraggioso o invincibile. Mi sono innamorata di te perché sotto la scorza da macho eri dolce, tenero, perché mi facevi ridere e mi facevi stare bene. E so che quell’uomo esiste, è qui dentro, da qualche parte, devi solo smettere di considerarlo una debolezza, di nasconderlo. So che ce la puoi fare, Pietro, so che ce la puoi fare, ma devi crederci, devi lottare: dipende solo da te.”

 
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“Allora è davvero finita…”
 
“Sì, è davvero finita. I suoi ragazzi stanno facendo gli ultimi rilievi… stiamo cercando eventuali altri covi di Misoglio e raccogliendo le ultime prove, anche se, con una confessione del genere, sono forse superflue, ma preferisco essere accurato e non lasciare il minimo spazio a sorprese in fase processuale. Anche se Misoglio non sarà mai giudicato da un tribunale, non in vita, ma… non voglio rischiare problemi per Ilenia o per nessun altro coinvolto in questa storia.”
 
“La Rabbia… forse esiste sul serio il Karma o una giustizia cosmica. Funziona raramente, ma ogni tanto funziona…”
 
“Mi sorprende, dottor De Matteis: questa mi sembra più una frase che potrebbe pronunciare suo fratello, piuttosto che lei,” ammette Gaetano, con un pizzico di ironia, sorpreso dal tono riflessivo e malinconico dell’altro uomo.
 
“Sarà l’ospedale o saranno i farmaci… comunque ho capito che ho più cose in comune con mio fratello di quanto pensassi,” commenta, sarcastico e autoironico, per poi scuotere il capo e aggiungere, “immagino che tornerà a breve a Torino.”
 
“Sì, è questione di due o tre giorni al massimo… lunedì mattina il questore di Torino mi rivuole in ufficio. Mi aspettano un bel po’ di arretrati e di mal di testa, del resto lei sa meglio di me come funziona.”
 
“Già. Non so come ringraziarla, Berardi. Ha fatto un lavoro incredibile e… immagino cosa ha passato negli ultimi giorni e… mi sento in colpa per averle mollato la patata bollente e i miei di mal di testa,” ammette con tono che sembra sinceramente ammirato.
 
“Dottor De Matteis, non è stata colpa sua e lo rifarei altre mille volte. E il lavoro incredibile l’hanno fatto anche tutti i suoi uomini: è stato un lavoro di squadra. Sono solo felice di sapere che Misoglio non potrà più fare del male a nessuno.”
 
“Già… e alla fine Camilla aveva ragione, come sempre: la Misoglio era innocente,” ammette con un sospiro, come se temesse quasi di fare quel nome, per poi prendere un respiro e aggiungere, guardando l’altro uomo negli occhi, “spero… spero che Camilla stia bene… e che… insomma… che questa storia non abbia avuto conseguenze per lei, per voi. So di avervi dato molti problemi, in tutti i sensi e… e mi dispiace.”
 
“A volte i problemi rendono più forti ed è quello che è successo a me e a Camilla. Per il resto… penso che sia meglio che ne parli con lei direttamente, piuttosto che con me…” proclama, alzandosi in piedi e avvicinandosi alla porta, per poi aprirla, mettendo a tacere il demone della gelosia che ogni volta cerca di ruggirgli nel petto.
 
Un cenno del capo, un’occhiata d’intesa e Camilla, che aspettava pazientemente in corridoio, entra nella stanza.
 
“Bene, la saluto, dottor De Matteis. Camilla, fammi sapere quando hai finito, io vado a far visita a Mancini e a tastare il terreno, sperando che non ci causi altri problemi,” proclama, facendole l’occhiolino, uscendo dalla porta e chiudendola dietro di sé, sotto lo sguardo a dir poco scioccato di De Matteis.
 
“Che ci fa lei qui?” le domanda, come se avesse visto un fantasma.
 
“Che accoglienza! E sbaglio o ci davamo del tu noi due?” gli chiede di rimando, utilizzando l’arma migliore per vincere l’imbarazzo che, è inutile negarlo, prova: quella dell’ironia.
 
“D’accordo, allora, che ci fai qui?” chiede di nuovo, ancora sconvolto, dandosi un pizzicotto ad una gamba con la mano buona per accertarsi di non stare sognando o allucinando, “e… perché Berardi ci ha lasciati soli? Se è una strategia per capire se ho intenzione di… di replicare la scena dell’altro giorno, e cogliermi in flagrante, potete stare tranquilli: ero sotto effetto di farmaci, ero confuso, non ero lucido, non capivo cosa stavo facendo e dicendo e-“
 
“Gaetano si fida di me e sa che non ha nulla di cui preoccuparsi e… credo che si fidi anche di te. Che, per quanto possa sembrarti assurdo, abbia cominciato a fidarsi di te proprio dopo averti… diciamo conosciuto sotto l’effetto di quei farmaci. Perché forse non sarai stato lucido, ma eri sincero, diretto, schietto, onesto,” lo interrompe, non potendo evitare che un po’ di esasperazione si mischi all’imbarazzo, “e spero che non insulterai la mia intelligenza e la tua facendo dietrofront adesso e dando la colpa di quello che è successo ai farmaci, perché lo sappiamo tutti e due che non è così. E non sto parlando solo del bacio, ma di tutto quello che mi hai… che mi hai confidato prima di baciarmi.”
 
“Ma che cosa ti aspetti da me, eh? Che mi butti in ginocchio e ti proclami amore eterno per ricevere di nuovo un altro due di picche? Non sono masochista fino a questo punto!” sbotta, senza potersi contenere, sentendosi vulnerabile, fragile di fronte a lei e odiandosi per questo, per questa debolezza. Odiandola per il modo in cui sembra voler girare il dito nella piaga, non permettendogli di lasciar correre, minimizzare.
 
“Nemmeno io sono masochista e non ho intenzione di stare qui a farmi maltrattare da te! Ho fatto male a venire,” sibila, durissima, alzandosi in piedi e dandosi dell’idiota per essersi messa in una situazione del genere, per essersi preoccupata per lui, “buona-“
 
“Aspetta! Aspetta, ti prego,” la blocca, proiettandosi in avanti per afferrarle il polso con la mano sana, non potendo evitare un’esclamazione di dolore quando una lama incandescente gli trapassa la ferita alla spalla.
 
“Ma sei matto?! Vuoi che ti si riaprano i punti?!” esclama, preoccupata, notando la smorfia di dolore e il colorito di lui che si fa cinereo, spingendolo delicatamente verso i cuscini, “ti chiamo un infermiere?”
 
“No… no… va tutto bene, va tutto bene, davvero,” la rassicura, sforzandosi di aprire gli occhi per incrociare lo sguardo di lei, “mi dispiace, scusami, non… non volevo… è che… mi hai preso di sorpresa e… lo sai come sono fatto.”
 
“Sinceramente no… non è mica facile capirti, per niente,” ammette con un sospiro, tornando a prendere posto sulla sedia.
 
“È che non credevo che ti avrei mai più incontrata. Dopo quello che è successo, pensavo che non mi avresti più voluto vedere nemmeno in fotografia, che… che fossi furiosa con me. Forse addirittura che mi odiassi,” confessa, non riuscendo stavolta a nascondere la vulnerabilità nel tono di voce, l’imbarazzo che prova, il dolore che prova, non solo fisico.
 
“Odiarti? Per un bacio?” gli domanda, incredula, soprattutto quando si rende conto che lui non sta esagerando ma lo pensa sul serio.
 
“Sì, per averti baciata con la forza, per… per averti creato problemi con Berardi, dopo tutto quello che era successo nei giorni precedenti, dopo che avevo anche minacciato di denunciarvi, di farlo licenziare e-“
 
“E dopo che mi hai salvato la vita, tra le altre cose. È vero, mi hai baciata, mi hai presa di sorpresa ed è stato… imbarazzante per tanti motivi, ma è stato un bacio leggero, gentile. Non mi hai mica violentata! E mi hai dato il tempo di tirarmi indietro prima di riprovarci, come poi ho fatto,” lo rassicura, intenerita: non le sembra di stare parlando con un uomo di quarant’anni, anzi, le sembra di essere quasi tornata indietro ai primi timidi ed impacciati approcci dei compagni del liceo, “e poi… se non ti ho mai odiato dopo tutti i nostri litigi, i nostri scontri, tutte le volte che mi hai più o meno velatamente mandata a quel paese, tutte le tue critiche nei miei confronti… pensi davvero che inizierei a farlo dopo che, ripeto, mi hai salvato la vita, dopo che ti sei confidato con me, anche se sotto effetto dei farmaci? Dopo che hai ammesso in qualche modo di… di tenere a me? Non mi hai fatto nulla di male, anzi, in fondo mi hai fatto un grandissimo complimento.”
 
“Un complimento non gradito però… che sapevo non essere gradito e… la verità è che mi vergogno del mio comportamento e-“
 
“E fai male, perché non hai nulla di cui vergognarti! Tenere a qualcuno, riuscire a provare empatia, a volere bene, ad amare gli altri, non vuol dire essere deboli, anzi, ci vuole coraggio per mettersi in gioco e… per fare tutto quello che tu hai fatto negli ultimi giorni, prima durante e dopo quella sparatoria,” lo incoraggia, posando una mano sull’avambraccio sano e stringendo lievemente, non stupendosi affatto quando lui lo ritrae bruscamente, come se si fosse scottato, teso come una corda di violino.
 
“Il limite tra il coraggio e la follia è molto sottile, Camilla. Ma del resto sto parlando con una delle massime esperte in materia,” ironizza, con quel tono di sfottimento che lei conosce fin troppo bene e che la riporta per un attimo a quella che è sempre stata la normalità tra loro. Allo stesso tempo però c’è qualcosa di diverso: non sa se sia autosuggestione, ma le sembra di cogliere una nota affettuosa nel modo in cui la prende in giro, in quel mezzo sogghigno, nel modo in cui la guarda.
 
“Ammettere i propri sentimenti potrà richiedere forse un minimo di… di incoscienza, ma non è una follia, anzi, l’amore, in tutte le sue forme, è una cosa bellissima, è ciò che ci rende persone, che ci rende vivi, che ci rende umani. La follia vera è l’esatto contrario: è essere incapaci di provare sentimenti per gli altri e me ne sono resa ancora di più conto dopo essere… diciamo entrata nella mente di un sociopatico come Misoglio.”
 
“Ti ringrazio del paragone, ma sapere di essere meglio di Misoglio ai tuoi occhi non mi è proprio di grande consolazione,” ribatte, non potendo evitare il sarcasmo, per poi aggiungere, amaro e disilluso, “e non c’è niente di bello nell’amore se ad amare è uno solo, anzi, fa molto male.”
 
“Cosa c’è?” le chiede dopo qualche attimo di silenzio, stupito dal fatto che lei non abbia come al solito la risposta pronta in tasca.
 
“Niente è che… oggi è una giornata di déjà-vu. Gaetano mi disse praticamente la stessa frase che mi hai appena detto tu, tanti anni fa,” spiega con un mezzo sorriso, scuotendo il capo, colpita non solo dalla coincidenza, ma anche e soprattutto da quell’ammissione indiretta, che rende tutto più reale.
 
“Ma, nel vostro caso, anche allora… non era uno solo ad amare, vero?” domanda, con il tono di chi conosce benissimo la risposta.
 
“No… col senno di poi no. Ma poco cambiava per lui, e anche per me, visto che continuavo a respingerlo.”
 
“Ma lo amavi e lo ami ancora, mentre per me… che cosa senti? Gratitudine, pietà? Ma di sicuro non amore. Lo so che per te Berardi è l’uomo perfetto, mentre io non sono alla sua altezza e non lo sarò mai ai tuoi occhi e… da quello che ho visto in questi giorni, non posso neanche darti torto: perfino io non mi preferirei a Berardi e-“
 
“E sbagli: sbagli a sottovalutarti, a continuare con questi paragoni con Gaetano, che sei tu il primo ad alimentare, a continuare con questo vittimismo!” sbotta, guardandolo negli occhi, per fargli capire quanto è seria, “tu non sei Gaetano Berardi, tu sei Paolo De Matteis, con i tuoi pregi e i tuoi difetti, come Gaetano ha i suoi pregi e i suoi difetti. La perfezione assoluta non esiste e sarebbe pure tremendamente noiosa. Su una cosa sola ti do ragione: Gaetano è l’uomo perfetto per me, per me, Camilla Baudino, perché siamo compatibili, siamo simili, pur con le nostre imperfezioni e le nostre differenze che però non sono mai… insormontabili e che quindi non sono un problema, anzi, ci compensiamo a vicenda. Ma non è una costante assoluta, non è un dato di fatto, una legge universale: ci saranno sicuramente un sacco di donne che preferirebbero mille volte te a Gaetano e-“
 
“Ah sì, e dove sarebbero?” la interrompe con una mezza risata amara, prima di indicare la porta e proclamare, “c’è proprio la fila lì fuori!”
 
“Basterebbe che ti guardassi un po’ intorno e ti accorgeresti che esistono eccome,” sospira Camilla, pensando alla povera Grassetti, che sono anni che si strugge per De Matteis e che ha appena scoperto nel peggiore dei modi possibili di non essere affatto ricambiata.
 
“Qui intorno vedo solo te, Camilla, ed è proprio questo il problema. Non me ne faccio niente di queste ipotetiche altre donne, visto che l’unica che mi interessa… non è interessata a me,” ammette a fatica, guardandola negli occhi in un modo che le fa male e la fa sentire tremendamente in colpa anche se, lo sa bene, non è colpa di nessuno.
 
“Mi dispiace, ma-“
 
“No, non devi scusarti: non è colpa tua. Non si sceglie chi si ama, l’ho capito in questi giorni. E credimi, se avessi potuto scegliere di chi innamorarmi, non avrei mai scelto te, senza offesa,” sdrammatizza, sorprendendosi quando la sente ridere.
 
“Lo so… e avresti fatto bene, perché… non so cosa ci vedi in me ma, credimi, non sono la donna adatta a te, Paolo,” risponde, nuovamente serissima, guardandolo negli occhi.
 
“Non sei tu, sono io? Da te mi aspettavo qualcosa di più originale,” ironizza, di nuovo sarcastico, “e lo sai benissimo cosa vedo in te, Camilla, che poi è probabilmente la stessa che vede Berardi e che vedeva o vede mio fratello…”
 
“Guarda che sono seria: sì, posso intuire cosa… cosa vedi in me, ma… io e te siamo troppo diversi, siamo ai poli opposti su tutto, non andiamo d’accordo su niente. Per me è bianco e per te è nero: abbiamo concezioni dell’ordine completamente diverse, abitudini diverse, gusti diversi, opinioni diverse e siamo entrambi testardi da morire. Non riusciamo a stare cinque minuti senza discutere animatamente, anche oggi è successo. Posso capire che ti piaccia… che ti piaccia il fatto che io ti tenga testa, che magari lo trovi divertente, stimolante, ma cosa sarebbe dover discutere ogni giorno, ogni ora, di ogni singolo particolare su cui non siamo d’accordo? Davvero rischieremmo di finire alla neuro, o io, o te o entrambi. Lo sai anche tu che… che non potrebbe funzionare.”
 
“E quindi, vedi che anche tu alla fine concordi con me che amare è una follia?” la schernisce, ma con una nota amara nella voce che non passa inosservata.
 
“Forse amare me, per te è una follia, perché non sono la donna giusta per te, ma la vera follia sarebbe se facessi di tutta l’erba un fascio, Paolo, e se davvero ci tieni a me, ti prego con tutto il cuore di non farlo,” lo implora, trafiggendolo con un’occhiata che gli fa male al cuore, per poi aggiungere, con quel sorrisetto che da sempre lo snerva e lo affascina in egual modo, “anche perché se no mi costringeresti ad anni di analisi per superare il trauma derivante dai sensi di colpa e ti avverto che, in quel caso, ti invierei le parcelle. E se non ricordo male viaggiamo sul centinaio di euro a seduta, a cui poi probabilmente dovresti pure aggiungere le parcelle di un buon cardiologo, conoscendoti.”
 
“Camilla…” sorride, commosso, comprendendo finalmente del tutto il motivo della sua visita. Le prende la mano, sorprendendosi quando lei non si ritrae e ricambia anzi la stretta, sussurrando semplicemente, “grazie.”
 
Basta uno sguardo per sapere che lei ha capito e che non servono altre parole.
 
“Forse è meglio che tu vada adesso… Berardi ti starà aspettando e… credo di avere bisogno di un po’ di tempo, da solo…” proclama, lasciandole la mano con uno sforzo quasi sovraumano, perché la verità è che vorrebbe rimanere così per sempre. Ma lei no, ed è quello il problema e la sua presenza, la sua… la sua dolcezza, la sua preoccupazione, avere conferma di che donna straordinaria sia, non lo aiutano di certo a metterci una pietra sopra.
 
“D’accordo… ma cerca di non farne passare troppo di tempo, da solo,” pronuncia con un’occhiata che, di nuovo, vale più di mille parole e che indica chiaramente che ha colto perfettamente tutti i sottotesti, alzandosi in piedi, “ah, e in tal proposito, se mi posso permettere un consiglio…. Noi donne apprezziamo un po’ di mistero, è vero, ma… diciamo che la maggioranza delle donne se incontra un uomo che continua a criticarle e a cercare ogni pretesto per litigare furiosamente, difficilmente interpreta tutto questo come una dichiarazione d’amore. Anzi, se ne incontri una così, ti consiglio di scappare e anche di corsa. Quindi… la prossima volta, forse un approccio un pochino più diretto, non guasterebbe.”
 
Si limita ad annuire e sorridere, un nodo in gola che gli impedisce di parlare.
 
Lei, di nuovo, sembra capire. Gli sorride di rimando, uno di quei sorrisi aperti e sinceri che le illuminano il viso e che fino ad un paio di giorni prima non avrebbe mai pensato di vedere, non rivolto a lui.
 
Un tocco morbido sulla guancia, così rapido che per un attimo pensa di averlo immaginato. Un bacio di addio.
 
La osserva fino a che la vede sparire dietro la porta, il sorriso congelato sulle labbra, il cuore in gola.
 
Non sa quanti minuti siano passati quando una goccia gli cade sul braccio, facendolo sussultare, mentre si rende conto di avere le guance bagnate di lacrime. Ma, sinceramente, non gli importa.

 
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“Grazie mille, è tutto buonissimo!”
 
“Che detto da mia madre è un gran complimento, Francesca, fidati: devi esserne lusingata,” commenta Camilla con un sorriso, terminando l’ultimo carciofo alla giudia e dovendo ammettere che sua madre ha ragione. La mina vagante è davvero un’ottima cuoca, a differenza del fratello, e Camilla si chiede da chi abbia preso questo talento inatteso.
 
“Figuratevi… ho fatto due cose così, al volo,” minimizza Francesca con un sorriso.
 
“Cioè i suoi cavalli di battaglia: ha cucinato tutto il pomeriggio!” la punzecchia Nino, guadagnandosi un affettuoso e lieve scappellotto sulla nuca.
 
“Grazie davvero, Francesca, ma non dovevi disturbarti tanto!”
 
“Figurati, fratellone. E poi dovevo tenere alto il buon nome della famiglia e dimostrare che andare a cena da un Berardi non è necessariamente sinonimo di lavanda gastrica,” ironizza, evitando per un soffio un pizzicotto sul fianco dal fratellone.
 
In tutto questo, Jerry assiste silenzioso a capotavola, sbocconcellando i suoi carciofi, un’aria sofferente nel volto e nel colorito che non passa inosservata a nessuno degli ospiti.
 
“Se mi passate i piatti, servo il dolce e-“
 
“No, aspetta, ti do una mano,” si offre Camilla, alzandosi in piedi e iniziando a raccogliere piatti e posate insieme alla padrona di casa, fino a che il suono del campanello non le interrompe.
 
“Aspettavate qualcuno?” domanda Gaetano, incuriosito, dato che sono ormai le nove di sera. Non è tardissimo, visto che, per via di Jerry, a casa di Francesca si mangia presto, ma non è nemmeno un orario molto comune per le visite.
 
“No, no… vado a vedere,” proclama Francesca, avviandosi verso la porta.
 
“Scusami se ti disturbo ma… stavo facendo alcune consegne e… ho pensato di portarti questo, per ringraziarti per quello che hai fatto per mio fratello e per tutta l’ospitalità che hai dato a questo mascalzone qui!” sentono una voce familiare provenire dall’ingresso.
 
“Grazie mille, ma non serviva, non dovevate disturbarvi!” replica la voce di Francesca.
 
“Ma che disturbo… e poi il mascalzone voleva vedere il suo amico… come si dice? Gli ultimi bagordi in terra italiana, prima dei bagordi universitari oltreoceano,” scherza la voce maschile, facendo ridere Francesca.
 
“Grazie, davvero…”
 
“Beh, io allora andrei…”
 
“Ma no, stavamo mangiando il dolce, e ne ho fatto un po’ di  più. Venite, venite, non state sulla porta…”
 
“Non vorremmo dare disturbo e poi…”
 
“Ma che disturbo! Venite, anzi, questo vino è proprio perfetto per l’occasione!” proclama Francesca, svoltando l’angolo e raggiungendo il resto dei commensali, seguita a ruota da Tom e Marco che, vedendoli tutti riuniti intorno al tavolo, appare immediatamente imbarazzato.
 
“Marco, che piacere rivederla!” proclama Andreina con un sorriso, come sempre gentilissima nei confronti del mancato genero, per cui aveva subito nutrito una forte simpatia, ricambiata.
 
“Signora Andreina, anche per me è sempre un piacere. Camilla, Gaetano, Nino, Livietta… Jerry,” saluta, ricambiando il sorriso ma passandosi una mano tra capelli in un modo che tradisce disagio.
 
“Marco,” proclamano all’unisono Camilla e Gaetano, scambiandosi poi un’occhiata di intesa. Gaetano sente Camilla stringergli la mano sotto la tovaglia e ricambia, sorridendole.
 
“Sono felice di vedervi qui, tutti insieme, dico sul serio. Lo so che sono stati giorni molto complicati…” dichiara Marco con un sorriso ed un tono che sembrano sinceri, guardando dritto negli occhi Camilla e poi Gaetano.
 
“Sì, ma per te ancora di più. Ti vedo stanco, Marco, ma… abbiamo visto tuo fratello oggi e… e penso che si riprenderà molto presto: è un uomo forte e combattivo. Come te, del resto,” replica Camilla, ricambiando lo sguardo, mentre i sottotesti non sfuggono né a Marco, né a Gaetano.
 
“Già… io e mio fratello abbiamo scoperto di avere molte più cose in comune di quanto credessimo… e comunque devo ringraziarvi ancora per tutto quello che avete fatto per lui. Se è vivo è solo merito vostro e non lo dimenticherò mai,” dichiara Marco, commosso, alternando lo sguardo tra Camilla, Gaetano e Francesca.
 
“Posso dire lo stesso di tuo fratello, Marco,” risponde Camilla con un sorriso altrettanto commosso.
 
“E no, eh! Questa sera si festeggia, niente commozione, niente lacrime e niente musi lunghi. Ma so cosa ci vuole: la mia arma segreta, la meringata al cioccolato!” si inserisce Francesca, con il suo solito entusiasmo contagioso, facendo accomodare Marco e Tom ed avviandosi in cucina.
 
Svariate fette di meringata e svariati bicchieri di passito più tardi, l’atmosfera sembra essersi definitivamente rilassata: i ragazzi che discutono di una mega festa in spiaggia per la sera successiva, mentre Marco e Francesca tengono banco, raccontando al resto dei commensali le esperienze più assurde avute nei posti più strani, durante i loro anni ruggenti da giramondo.
 
Gaetano nota, con una punta di sollievo, che in un’ipotetica gara su chi ha avuto la gioventù più spericolata, perfino la mina vagante deve arrendersi di fronte allo spirito avventuroso di Marco.
 
“A proposito di viaggi, magari un po’ meno movimentati, almeno spero, il nostro artista qui avrebbe una proposta, vero Tom?” domanda Marco ad alta voce, portando suo figlio a guardarlo e ad interrompere la discussione sulla logistica degli spostamenti per la festa ad Ostia, che era stata seguita con un orecchio vigile anche da Camilla e da Gaetano.
 
“Sì… ecco… tra una settimana partirò per New York e… insomma, qui le scuole sono chiuse ancora per un po’ di settimane e anche i miei corsi non inizieranno prima di settembre inoltrato. Quindi pensavamo con i ragazzi della band di organizzare qualcosa per il mese prossimo, fare un po’ di vita newyorkese, stare un po’ insieme, poi so che qualcuno di loro vorrebbe tentare di entrare alla Juilliard l’anno prossimo. E ci terrei davvero tanto che Nino venisse con me e… e sei invitata anche tu, Livietta, ovviamente: ormai fai parte del gruppo,” proclama, con un tono da perfetto boyscout che preoccupa Camilla e Gaetano quasi di più che se avesse usato i suoi soliti modi diretti e senza peli sulla lingua.
 
Gaetano non può trattenere una smorfia di dolore mentre Camilla gli stritola la mano.
 
“Per me se Nino vuole andare non ci sono problemi, anzi: è da un sacco di tempo che non va in America e poi New York è New York. Ricordo ancora la prima volta che ci sono andata, a diciannove anni!” proclama Francesca entusiasta, mentre Gaetano pensa che anche lui non se lo scorderà mai il primo viaggio a New York di sua sorella, dovesse campare cent’anni.
 
Era praticamente scappata di casa con un aspirante attore squattrinato, che in teoria lavorava a Broadway ma che in realtà si faceva mantenere dai suoi facoltosi amanti. Sua sorella l’aveva scoperto nel modo peggiore: trovandolo a letto con un altro uomo e un’altra donna. Ricorda ancora la sua chiamata in lacrime alle quattro del mattino ora italiana, pregandolo di inviarle i soldi per il volo di ritorno, dato che il tizio in questione si era fregato pure quelli. Ovviamente era andato a riprenderla di persona.
 
Ma, evidentemente, agli occhi di sua sorella quella ormai doveva sembrare solo una grande avventura, anche perché, lo sa bene, le era capitato anche di molto peggio.
 
“Che ne pensi, Jerry?!” chiede Francesca al marito, che si limita ad annuire, un’aria tra lo stanco e il rassegnato.
 
“Mamma, posso?!” domanda Livietta, chiaramente elettrizzata dalla prospettiva.
 
“Livietta… non lo so… dobbiamo parlarne con tuo padre, lo sai,” abbozza Camilla, cercando di prendere tempo, per nulla entusiasta all’idea di sua figlia da sola con amici, quasi tutti maschi, oltreoceano. E se già è preoccupata lei, sa che a Renzo come minimo verrà un infarto.
 
“Ma tu che ne pensi?” le domanda Livietta, trafiggendola con un’occhiata eloquente.
 
“Non lo so… ci devo pensare,” temporeggia nuovamente, incrociando lo sguardo di Gaetano che sembra essere del suo stesso parere.
 
“Che, nel linguaggio dei genitori, significa no,” le fa notare la ragazza, incrociando le braccia e sbuffando, ritornando in un secondo la Livietta adolescente che, da quando si è separata da Renzo, sembrava essere quasi completamente svanita.
 
E non sa perché, ma non può evitare di esserne felice, anche se Livietta dovesse tenerle il muso per qualche giorno.

 
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“A cosa devo tutto questo?” le sussurra sulle labbra, senza fiato, imprigionato contro la porta della loro stanza da letto dalle curve morbide di Camilla, che aderiscono al suo corpo in un modo che lo fa impazzire di desiderio, ma mai quanto lo sguardo giocoso nei suoi occhi castani.
 
“Al fatto che ti amo e che sei stato meraviglioso oggi, Otello,” sussurra, accarezzandogli il viso e mordicchiandogli lievemente il labbro, “grazie per tutto l’amore e… tutta la fiducia e tutto il sostegno che mi dai.”
 
Quando era uscita dalla stanza di De Matteis si era quasi aspettata di trovarlo lì, fuori dalla porta, e invece… invece era davvero da Mancini. Si era allontanato, aveva avuto completa e totale fiducia in lei, fino in fondo. E anche con Marco si era comportato da vero gentleman, senza alcuna tensione, alcun rancore.
 
“Sono il tuo amore, la tua fiducia e il tuo sostegno che mi rendono un uomo migliore, Camilla, da sempre…”
 
Un sorriso commosso, un bacio travolgente, i vestiti che svaniscono. Si perdono e si ritrovano tra le lenzuola di cotone.
 
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“Ciao Ilenia…”
 
Quelle due parole pronunciate quasi all’unisono, come ai vecchi tempi, quando facevano praticamente tutto insieme. Quegli occhi scuri si posano su di loro, mentre trattengono il fiato aspettando la sentenza, la giusta punizione.
 
“Sammy, Marchese! Sono così felice di vedervi!” esclama invece con un sorriso luminoso, nonostante la maschera d’ossigeno e le evidenti difficoltà a respirare, “che c’è? Perché fate quella faccia? Sono messa così male?”
 
“No, no... è che… l’ultima volta che ci siamo viste ti ho detto cose terribili, Ilenia. Ti ho incolpata di quello che era successo a me e a Pietro… ho dubitato di te. Pensavo… pensavo ce l’avessi a morte con me e a ragione,” ammette Sammy, completamente spiazzata ed imbarazzata.
 
“Anche io, Ilenia… insomma… mi dispiace per… per l’arresto, per tutto…” mormora Marchese, non potendo evitare di arrossire, ripensando a tutto quello che le aveva sputato addosso quando l’aveva fermata e… messa al tappeto.
 
“Avevate appena visto la morte in faccia e… Sammy, tu avevi appena rischiato di perdere tuo marito e… Marchese, tu stavi facendo il tuo lavoro e poi… e poi lo so che tutto era contro di me. Non oso immaginare cosa abbiate pensato, quanto vi siate sentiti traditi e… e dopo tutto quello che avevate rischiato per me, per aiutarmi,” sussurra Ilenia, non potendo trattenere le lacrime: è dal sequestro, dall’arresto di suo padre che si ritrova a scoppiare a piangere per un nonnulla. Spera che sia un effetto temporaneo del cortisone e dei tranquillanti che le hanno dato e non una situazione definitiva.
 
“Ilenia…” sussurrano, preoccupati, avvicinandosi a lei.
 
“Scusate, sono un disastro è che… Gaetano e la prof. mi hanno spiegato tutto quello che avete fatto per cercare di tirarmi fuori dai guai. Che tu ti sei quasi fatto sospendere e tu sei andata perfino contro tuo marito e ti stavi giocando il matrimonio. Nonostante non ci vedessimo da otto anni, nonostante tutte le prove fossero contro di me. Io… come potrei avercela con voi? Siete gli amici migliori che avrei mai potuto desiderare di avere e mi dispiace che per colpa di mio padre… siate stati coinvolti in tutto questo,” pronuncia, con voce tremante, prima di essere avvolta dalle braccia di Sammy, piangendo insieme a lei come quando erano ragazze e Sammy la ascoltava, la consolava e la coccolava dopo l’ennesimo sopruso, l’ennesima violenza di suo padre.
 
Come allora, Marchese è lì, al loro fianco, una presenza discreta, silenziosa, ma costante.
 
Questa volta però Ilenia solleva il viso, lo guarda e gli porge la mano. Si ritrovano in un abbraccio di gruppo che sa di amicizia, di amore, di fratellanza, quella vera.
 
Perché non è vero che la famiglia è solo quella che ti capita: è anche quella che ti scegli. E loro si sono scelti, tanti anni prima, tra banchi smangiati, pareti coperte di scritte irripetibili e termosifoni perennemente malfunzionanti di quella scuola a cui devono così tanto e a cui sono legati alcuni dei ricordi più belli della loro vita.
 
Ed è un legame che, ora lo sanno, resisterà per sempre.

 
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“Posso?!”
 
“Ma certo, Grassetti, venga, non stia sulla porta,” la incoraggia, notando il suo sguardo timido ed esitante, ancora più del solito, rigida sull’attenti, quasi paralizzata nella cornice della porta.
 
Del resto anche lui non può evitare di arrossire leggermente, ricordando benissimo cos’era successo l’ultima volta che si erano visti: l’aveva colto in flagrante durante quel bacio a cui, purtroppo, aveva assistito praticamente mezzo mondo.
 
Ma Grassetti, a differenza di suo fratello e di Berardi, non è solo una donna ma è, prima di tutto, uno dei suoi uomini e per questo si sente doppiamente a disagio. Mano a mano che erano passati i giorni e non era più tornata a visitarlo, aveva cominciato a temere di avere perso completamente la faccia con lei. E questo gli farebbe male, visto che Grassetti è sempre stata l’unica della sua squadra a dimostrargli un po’ di stima, di fiducia, forse perfino di ammirazione.
 
“Si accomodi… mi fa piacere vederla Grassetti. Sono stato aggiornato da Berardi e so che siete stati molto impegnati, sia lei, sia Marchese, e che ve la siete cavata egregiamente. Anche il questore mi ha detto meraviglie di lei: che è riuscita a dirigere e farsi rispettare da un’intera squadra di agenti e a coordinare le operazioni in un’emergenza come se non avesse mai fatto altro nella vita,” si complimenta sinceramente, indicando la seggiola posta vicina al letto e vedendola diventare rossa come un peperone.
 
“Ho… ho solo fatto il mio dovere, dottore, come lei mi ha insegnato…” balbetta, evitando per un soffio di inciampare mentre si siede, colta di sorpresa da tutte queste lodi, così non da De Matteis.
 
“No, non sia modesta: ha fatto molto di più, Grassetti, molto di più di quello che mi sarei mai aspettato da lei in questo momento della sua carriera. In effetti temo che lei e Marchese ve la caviate fin troppo bene senza di me, e che non sentiate affatto la mia mancanza,” ironizza, esprimendo però ad alta voce una paura reale: quella di sfigurare di fronte alla leadership e al carisma di Berardi.
 
“No, no, assolutamente, anzi, lei mi manca moltissimo,” lo rassicura, prima di farfugliare, dopo un attimo di pausa, bordeaux dalla punta dei piedi alla radice dei capelli, “cioè ci manca moltissimo, dottore, a tutti.”
 
“La ringrazio Grassetti, anche se ne dubito,” sospira, divertito dal suo evidente imbarazzo, prima di aggiungere, cambiando argomento, “Berardi mi ha detto che entro domenica intende ripartire per Torino. Io qui ne avrò ancora per qualche giorno ma conto di tornare al lavoro non appena mi dimetteranno, anche se mi toccherà stare dietro ad una scrivania per un po’. Mancini mi ha fatto sapere che intende prendersi un’aspettativa e… e sinceramente credo che gli farà bene e che ne ha bisogno. Pensa di riuscire a tenere il forte ancora per qualche giorno insieme a Marchese o è necessario che chieda al questore di nominare un altro sostituto?”
 
“Se… se è solo per qualche giorno, per me non c’è problema, dottore e credo nemmeno per Marchese,” replica con un tono tranquillo e deciso che contrasta con la pelle ancora purpurea, e questa volta è lui ad essere spiazzato. La Grassetti che conosceva lui fino a qualche giorno fa non avrebbe risposto così a questa domanda.
 
“Allora ho ragione a pensare che ve la caviate benissimo anche senza di me,” ironizza nuovamente con un sorriso.
 
“No, anzi… devo ancora crescere molto, dottore, devo farne molta di strada per cavarmela veramente da sola,” ammette Grassetti, improvvisamente seria, prendendo fiato prima di aggiungere quelle parole che si è ripetuta nella testa da quando ha trovato la forza e il coraggio di venirlo a trovare, “e ho riflettuto molto in questi giorni, dottore, sul mio futuro… sulla carriera che ho fatto finora e su quello che mi piacerebbe diventare e ho preso una decisione. E ci tenevo che fosse il primo a saperlo, da me, prima che lo sapesse da altri.”
 
“Sapere cosa?” domanda, spiazzato dal tono e dallo sguardo grave di lei, fisso sulle mani appoggiate in grembo.
 
“Ho intenzione di chiedere il trasferimento, dottore,” pronuncia tutto di un fiato, cercando di sciogliere il nodo in gola.
 
“Che cosa?” sussurra, sentendosi peggio che se gli avessero appena tirato uno schiaffo o un pugno allo stomaco.
 
“Sì, credo che sia arrivato il momento e-“
 
“Vuole andare anche lei a Torino da Berardi? È così?” le domanda, non potendo evitare di alzare la voce, sentendosi tradito come raramente gli era capitato nella vita.
 
“Eh?! No, no, ma come le viene in mente! Il dottor Berardi non c’entra niente: voglio solo fare nuove esperienze e… ho bisogno di… di crescere,” cerca di spiegare, stupita e addolorata dalla sua reazione.
 
“E pensa di non poterlo fare con me? Anche se davvero non c’entra Berardi, sono io il problema, Grassetti, non è vero? Lei pensa che io non sia in grado di insegnarle, di guidarla, che non sono un bravo leader, non all’altezza di uno come Berardi e-“
 
“No, no, dottore, lei mi ha insegnato tantissimo, davvero, le devo tutto, è stato il mio maestro, ma… ho bisogno di… di camminare da sola, di farcela con le mie forze e-“
 
“E quindi pensa che io non le do abbastanza autonomia? Che sono un tiranno, un despota, che non la valorizzo, che…” si interrompe, notando gli occhi di lei, lucidi e quasi spaventati, e rendendosi conto di stare gridando. Non sa perché gli faccia così male questa decisione di Grassetti: lo sa che è una cosa normale, che sono molti anni che è nella sua squadra e che capita molto sovente che i poliziotti si trasferiscano ma non riesce a non prenderla sul personale, a non sentirla come un fallimento, come una prova delle sue inadeguatezze.
 
“Mi scusi, Grassetti… non… la verità è che se lo pensa ha ragione,” riconosce, con un tono più tranquillo ma terribilmente amaro, guardandola negli occhi, “lo so che ho sbagliato molto, con lei, con Marchese, con Mancini e-“
 
“No, dottore, no, lei non… non è colpa sua. Sono io che… che ho bisogno di cambiare ambiente, di confrontarmi con altri colleghi e-“
 
“Si è trovata male con qualcuno? Mancini maltrattava anche lei?” le domanda, preoccupato, temendo in cuor suo la risposta.
 
“No, no, assolutamente. Dottore… è… la verità è che se mi allontano è soprattutto per motivi miei personali che non hanno niente a che fare con il lavoro e-“
 
“Grassetti, per favore, non mi racconti palle, non lei,” la implora e Grassetti si blocca sulla sedia, stupita da quella parola, così non da De Matteis, con i suoi modi da Lord Inglese, e dalla vulnerabilità che legge nel suo sguardo, “se ho sbagliato… ho bisogno di saperlo, ho bisogno della verità, ne ho bisogno per… per cercare di capire, di migliorare, di essere all’altezza del compito che ho e delle responsabilità che ho. Per non sbagliare di nuovo e non arrivare di nuovo a… ad un disastro come questo. Mi dica tutto quello che pensa, mi critichi, mi insulti anche, le prometto che… che non ci saranno conseguenze, che non uscirà di qui, ma ho bisogno di sapere la verità.”
 
“Dottore…” sussurra, commossa, sentendosi uno schifo e non sapendo come uscirne, “la verità, è che… è realmente un problema mio personale e… non posso confidarmi con lei. Non ora. Se davvero per lei è cosi importante saperlo, glielo dirò appena prima del mio trasferimento, l’ultimo giorno di lavoro e-“
 
“Grassetti, se mi dice così è ovvio che c’entro qualcosa e che non è un problema personale ma lavorativo! Lo so che non sono stato forse il comandante che lei e Marchese vi meritavate, che quando mi hanno nominato non avevo abbastanza esperienza, che ho sbagliato molto con voi, che ho un brutto carattere ma… ma non sono un tiranno o un despota e qualsiasi cosa mi dirà le prometto che non avrà conseguenze, glielo giuro. E credo che dopo tutti questi anni e tutto quello che abbiamo passato insieme, potrebbe fidarsi almeno un po’ della mia parola, no?”
 
Grassetti si morde il labbro: non può dirgli di no, maledizione, non se glielo chiede guardandola in quel modo. Ma perché, con tutti gli uomini sulla faccia della Terra, doveva proprio innamorarsi di lui?
 
“D’accordo… io… io… la verità è che…” balbetta, cercando disperatamente di trovare le parole, ma trovandosi con la gola secca come cartavetra.
 
Lo guarda, il battito che le martella nelle orecchie e, per una volta, butta al vento la timidezza, le paranoie, le paure, spegne il cervello e si lascia andare a quella follia che il cuore le suggerisce.
 
Si proietta in avanti, prima di cambiare idea, sfiorando quelle labbra che avevano popolato i suoi sogni negli ultimi anni. Le accarezza per un istante con le sue, il cuore che le scoppia nel petto, nella consapevolezza che queste sensazioni sono irripetibili, che questo è un bacio d’addio.
 
Si lascia andare sulla sedia, attendendo un attimo prima di alzare gli occhi e incontrare i suoi, spalancati, così come quella bocca, di cui sente ancora il sapore.
 
“Che… che significa?” balbetta stupidamente De Matteis, prima che il cervello si rimetta in moto e si riprenda dallo shock, realizzando la stupidaggine appena pronunciata.
 
“Da… da quanto?” le chiede ancora incredulo, guardandola negli occhi che sembrano brillare ancora più intensamente tra il fucsia acceso che le colora il viso.
 
“Non lo so… quasi da quando l’ho conosciuta,” ammette, mordendosi di nuovo il labbro.
 
“Io non… non me ne sono mai reso conto,” mormora, quasi come se stesse parlando a se stesso, più che a lei.
 
“Lo so e non… non serve che… che parli, che mi spieghi niente. Lo so che lei non è interessato a me e che… non potrà mai ricambiarmi. L’ho sempre saputo, una parte di me l’ha sempre saputo ma non ho mai voluto vedere la realtà finché me la sono trovata letteralmente davanti pochi giorni fa,” chiarisce, abbassando lo sguardo, perché rivede ancora quella scena e le fa male come allora, “la professoressa Baudino è… è esattamente l’opposto di me, non ci assomigliamo praticamente in nulla, né fisicamente, né caratterialmente. Non potremmo essere più diverse.”
 
“Non so cosa dire, io, mi dispiace, non-“
 
“Non serve che si scusi… non è… non è colpa di nessuno e… voglio rassicurarla, prima che me lo chieda, che lei non è mai stato ambiguo nei miei confronti, non si è mai approfittato del suo ruolo, non mi ha mai dato false speranze. Non ha nessuna colpa, ho fatto tutto da sola,” si affretta a precisare, osando infine alzare lo sguardo e incontrare quegli azzurri che la guardano con una preoccupazione ed una… una empatia, una comprensione che non avrebbe mai pensato di sentire da parte di De Matteis, sempre così rigido e distante, “però ora capisce, vero? Capisce perché… perché ho bisogno di… di questo trasferimento? Credo che nessuno possa capirmi meglio di lei in questo momento.”
 
Non sa cosa la sorprende di più, se la mano che afferra la sua o il grazie che gli sente pronunciare mentre gliela stringe forte per qualche istante.
 
Una stoccata al cuore mentre si rende conto di due cose: che è questo il vero De Matteis, quello che non ha mai conosciuto, e che l’uomo che si nasconde dietro la maschera è ancora meglio del mistero di cui si è invaghita, come un’adolescente che perde la testa per la celebrità del momento.
 
E non sa se il dolore agrodolce nel petto sia dolore, o tenerezza, o amore, ma, mentre si fa forza e gli lascia la mano, dopo un’ultima stretta spasmodica, ha una sola, incrollabile certezza: è arrivato il momento di crescere.

 
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“Ma sei sicuro che ci sia un ristorante da queste parti? Era pieno di locali carini dove eravamo prima, qui è tutto buio…”
 
Era ormai un quarto d’ora che camminavano, dopo aver lasciato Livietta, Nino, Tom e gli altri alla famosa festa sulla spiaggia ed essersi allontanati di corsa da quella musica e da quella bolgia infernale per cercarsi un angolino tranquillo solo per loro.
 
Sua madre era in campagna, da Amedeo, per parlare. Una cena chiarificatrice l’aveva definita Andreina, con un tono ed uno sguardo malinconici che non lasciavano presagire nulla di buono.
 
“Professoressa… cos’è non ti fidi?” la punzecchia Gaetano, distogliendola dai suoi pensieri, stringendola ancora di più a sé, per poi abbassare il capo fino a sfiorare il suo e sussurrarle sulle labbra, “e poi non lo sai che l’oscurità ha molti lati positivi?”
 
La sente sorridergli sulle labbra prima di lasciarsi andare ad un bacio dolce ed appassionato, il profumo di salsedine nelle narici, protetti da quell’angolo buio tra due caseggiati in riva al mare.
 
Si incamminano, ancora abbracciati, sul lungomare, per poi abbandonare le scarpe e proseguire sulla sabbia fredda e umida.
 
“Mi spieghi dove stiamo andando?” gli chiede, incuriosita, ormai certa che tutto questo peregrinare abbia una meta precisa.
 
“Un po’ di pazienza e lo scoprirai…” sussurra, continuando a condurla dolcemente, senza fretta.
 
Il rumore di musica, bonghi e tamburi li raggiunge e aumenta di volume, sempre più forte.
 
Intravede infine in lontananza una struttura illuminata, che riconosce come una tenda berbera.
 
Ancora in silenzio percorrono gli ultimi metri che li separano dall’ingresso della tenda. Gaetano annuncia il suo nome e vengono fatti accomodare. Dentro è un tripudio di percussioni, suoni, aromi di spezie, tappeti e tavolini bassi, al centro dei quali campeggiano enormi piatti da cui i commensali attingono il cibo con le mani.
 
Un ristorante africano.
 
A dir poco sorpresa da questa scelta, anche se l’abbigliamento di Gaetano, completamente vestito di lino bianco , è decisamente casual – come il suo prendisole a righe bianche e blu del resto – si lascia guidare ad un tavolo d’angolo, un po’ appartato e ancora libero.
 
“Ti ho stupita, dì la verità!” la provoca, facendole l’occhiolino.
 
“Sì, come sempre, del resto,” ammette con un sorriso, “non mi aspettavo un posto così… pittoresco.”
 
“Non in negativo, spero,” le domanda tra le righe, in lieve apprensione.
 
“No, no, anzi. La cucina africana mi piace, per quel poco che l’ho assaggiata e… mi piace l’atmosfera che si respira qui. È quasi… onirica,” commenta, guardandosi incontro e respirando l’aria carica di aromi.
 
“Bene, perché volevo un posto unico, per festeggiare un anniversario molto speciale,” proclama con un sorriso, stringendole la mano.
 
“Anniversario?” domanda, spalancando gli occhi e andando in panico, mentre si fa due conti, “ma oggi non è il nostro anniversario… anzi, scusami, ma dovremmo forse metterci d’accordo su quale sia il nostro anniversario? La sera a casa di Madame? Il giorno in cui ci siamo baciati in ospedale? Quando ho… quando ho lasciato Renzo definitivamente? Ma in ogni caso le date non coincidono.”
 
“In effetti hai ragione: ne abbiamo fin troppi di anniversari da ricordare e… per me sono tutti importanti allo stesso modo. Del resto la nostra storia in un certo senso è iniziata tanti anni fa, no?”
 
“Già…” sussurra lei con un sorriso, intrecciando le loro dita.
 
“Quindi, se vuoi ne scegliamo uno ma… perché scegliere? Così abbiamo più occasioni da festeggiare,” le sussurra, malizioso, facendole l’occhiolino e stampandole un bacio veloce ma da togliere il fiato.
 
“Mmm… mozione approvata incondizionatamente,” acconsente, mordicchiandogli il labbro prima di separarsi da lui.
 
“Ehm… ehm… scusate, se volete torno dopo,” commenta una voce maschile.
 
Camilla si volta verso il cameriere che li guarda tra il divertito e l’imbarazzato e che ha un’aria decisamente familiare.
 
“Dingo!” esclama dopo qualche secondo, spalancando la bocca per la sorpresa, “Pietro Morucci! Classe quinta B, liceo Leonardo Da Vinci, anno scolastico ’95-’96! Saranno… saranno dieci anni che non ci vediamo, ma non sei cambiato per niente.”
 
“Grazie prof.! Invece lei la vedo parecchio cambiata, ma in meglio,” commenta con un mezzo sorriso sornione, guadagnandosi uno scappellotto sul braccio.
 
“Ma che ci fai qui? Fai il cameriere adesso?” gli domanda, spiazzata, ricordandolo come il leader carismatico di un centro sociale.
 
“Anche… ma in realtà… questa baracca è mia, anzi, mia e di mia moglie,” rivela, passandosi una mano tra i capelli.
 
“No! Ti sei convertito alla monogamia nuziale e pure al bieco capitalismo?!” lo punzecchia ironica, facendolo ridere.
 
“Mi dichiaro colpevole del primo capo di imputazione ma non del secondo: ho fondato una cooperativa e… qui ci lavorano un sacco di persone che hanno bisogno di una seconda possibilità. Rifugiati, ex tossicodipendenti, abbiamo pure qualche ex carcerato. Certo non è facile, ma cerchiamo di selezionarli bene, cooperiamo con varie comunità di recupero e di reinserimento, e… per ora non abbiamo mai avuto problemi, o meglio, i pochi problemi che abbiamo avuto siamo sempre riusciti a gestirli, vero commissario?”
 
“Tu lo sapevi?! Ma certo, che stupida! Ovviamente non è una coincidenza!” esclama, guardando Gaetano e scuotendo il capo, incredula.
 
“Amore! Ma come, sono arrivati i nostri ospiti d’onore e non mi avvisi?!” proclama una voce femminile e Camilla si volta, se possibile, ancora più sconvolta.
 
“Marta?!” chiede, riconoscendo nella bellissima donna di fronte a lei quello scricciolo dalle profonde occhiaie scure, gli artigli affilati di un leone e le calze perennemente squarciate che era riuscita a strappare ad un volo senza ritorno tanti anni fa.
 
Il suo primo caso, il loro primo caso, intuisce, incrociando gli occhi azzurri di Gaetano, incredula. Ma non era luglio… questo lo ricorda bene, faceva ancora freddo.
 
“Ma quindi è lei… è lei tua moglie? Siete sposati?” domanda poi a Dingo, facendo il collegamento mentale.
 
“Sì, da cinque anni ormai,” conferma sorridente l’uomo, abbracciando la moglie, orgoglioso.
 
“E io sono pulita, completamente, da dieci anni,” aggiunge Marta, semplicemente, lo sguardo fiero, deciso e limpido.
 
“Mamma, mamma!”
 
Due bambini corrono verso il tavolo, accompagnati da un’altra donna bellissima, nera come l’ebano, coperta da un turbante e da lunghe vesti coloratissime.
 
“E avete due figli?” chiede Camilla, come un disco rotto, ormai piacevolmente scioccata, sentendosi trasportata in un mondo parallelo.
 
“Sì: questo terremoto è Nicola e ha nove anni. E questo uragano è Milla e ne ha 4,” conferma Marta con un sorriso, abbracciando i figli, nonostante le proteste del bimbo che cerca di svicolare.
 
Nicola…
 
Nove anni…
 
Camilla guarda meglio quel bimbo dagli occhi azzurri e i capelli chiari, riconoscendo alcuni tratti di quel ragazzo sfortunato, il volto ancora fanciullesco, che aveva visto per pochi secondi, massacrato dalle botte, in un lago di sangue, mischiati ad altri lineamenti che invece ha decisamente ereditato dalla madre.
 
“Milla…” sussurra poi, il cervello che riconosce quel nome, quel nome che sente spesso sulle labbra di Tommy.
 
Le servirebbe un vermut, doppio, per sciogliere il groppo in gola, ma peggiorerebbe ancora di più il bruciore agli occhi.
 
“Le devo tutto quello che ho, letteralmente,” sussurra Marta di rimando, con un sorriso, capendosi senza parole.
 
“Sei un’amica della mia mamma?” chiede la bimba, incuriosita, avvicinandosi e tirandole la lunga gonna, in quel gesto che Camilla riconosce benissimo, da Livietta e, adesso, da Tommy.
 
“Sì,” annuisce con un sorriso, la voce roca, abbassandosi per prenderla in braccio e scarmigliando i suoi capelli neri e riccissimi, mentre la bambina, nell’età dei perché, la sottopone ad un serratissimo fuoco di fila di domande.
 
“Ogni riccio un capriccio, e ficcanaso, proprio come l’originale,” le sussurra Gaetano in un orecchio, facendole l’occhiolino e guadagnandosi una gomitata tra le costole e un bacio sulla guancia.
 
Non sa come sia possibile, ma sente di non averlo mai amato tanto quanto lo ama ora. E sa, nel profondo del suo cuore, che anche domani potrà dire esattamente lo stesso.

 
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“A questi venticinque casi insieme e… no, forse non è il caso di augurarcene altri venticinque, visto che staremmo di fatto augurando la morte almeno ad altre venticinque persone,” proclama, sollevando il  bicchiere di limonata – niente alcolici in questo ristorante, sia per motivi culturali e religiosi, che per evitare tentazioni agli ex alcolisti ed ex tossicodipendenti che ci lavorano – e facendola ridere di gusto.
 
“Ti ho già detto quanto ti amo, stasera?” gli domanda, dopo un sorso di limonata, accarezzandogli il viso.
 
“E ti ho già detto che non mi stancherò mai e poi mai di sentirtelo dire?” le chiede di rimando, sfiorando il naso con il suo e baciando quelle labbra che sanno di limone.
 
“Come hai saputo di… di questo posto? Di Pietro e di Marta?” gli chiede dopo qualche attimo di silenzio, trascorso ad assaporare qualche altro boccone di questo cibo delizioso dai nomi inintelligibili.
 
“Ho cercato di tenere d’occhio Marta, con discrezione, per quanto è possibile cerco sempre di farlo quando… quando capitano casi come il suo. E quando hanno deciso di mettere in piedi questo posto, ho suggerito loro alcuni contatti con le comunità della zona e con i responsabili dei programmi di reinserimento al lavoro delle carceri. Ma era da qualche anno che li avevo persi di vista, da quando mi ero trasferito. Non sapevo di… di Milla, né che alla fine si fossero sposati, anche se sapevo che Pietro di fatto è sempre stato un po’ come un padre per Nicola,” spiega con un sorriso, “pensando al nostro venticinquesimo caso mi è venuto spontaneo contattarli per chiedere se fossero ancora in attività e… ho avuto anche io una bella sorpresa, che non potevo certo non condividere con te.”
 
“Grazie…” sussurra, commossa, stringendogli la mano.
 
Finiscono le ultime manciate di cibo in religioso silenzio, mentre intorno a loro la musica si alza di volume e alcune coppie agli altri tavoli si alzano a ballare, cercando di seguire i passi dei danzatori africani che animano il centro della tenda, di fronte ai percussionisti.
 
“Scommetto che ad una certa erede femminile di Tony Manero andrebbe un ballo…” la provoca, sperando in cuor suo di avere ragione, perché il modo in cui si trasforma e si scatena sulla pista da ballo è una delle cose di lei che ama di più in assoluto.
 
“Non so se sono capace…” cerca di obiettare, osservando preoccupata i movimenti energici, ritmici, esplosivi e allo stesso tempo sinuosi dei danzatori, lasciandosi però trascinare in piedi e condurre nel centro della pista senza troppe proteste.

 
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“E meno male che non eri capace! Ancora un po’ e ti ingaggiavano per entrare nella compagnia! Ti hanno perfino regalato il turbante!” esclama orgoglioso, sentendola rifugiarsi nel suo collo, mentre camminano lentamente, a braccetto, sulla battigia.
 
“Che ti posso dire…? Mi piace ballare, mi dà la carica!” risponde con un sorriso, sollevando gli occhi per spiare il profilo del suo viso.
 
“L’ho notato: sono quasi le cinque del mattino! Hai fatto la predica a Livietta perché voleva fare l’alba, ma tra un po’ toccherà a lei aspettare noi,” le fa notare, ricambiando il sorriso e guadagnandosi un pizzicotto nel costato, “non so dove la trovi tutta questa energia, questo fiato: mi hai distrutto! Non sento più i piedi… meno male che almeno l’acqua è fredda e mi dà un po’ di sollievo. Mi sa che sto diventando troppo vecchio per queste cose.”
 
“Guarda che sono più vecchia io di te, dottor Berardi, quindi questa scusa non vale. Non sarà che ballare con le ventenni ti ringalluzziva di più che guardare una povera cinquantenne dimenarsi come una tarantolata?” lo punzecchia sarcastica, facendogli l’occhiolino.
 
“Guarda che la cinquantenne dà piste a dieci ventenni messe insieme. E non parlo solo del ballo,” le sussurra all’orecchio, sentendo le sue labbra sfiorargli il collo.
 
“D’accordo… diciamo che ci credo. Certo, è un peccato se sei davvero così stanco, senza energie, senza forze…” commenta con quel tono giocoso e quel sorrisetto furbetto che lo fanno impazzire.
 
“Che cosa hai in mente, professoressa?” le domanda, vedendola mordersi il labbro, mentre un brivido gli corre lungo la schiena.
 
“Sbaglio o abbiamo… un’alba in sospeso noi due? Senza corse in ospedale questa volta e, soprattutto, senza pubblico,” proclama con voce roca e sensuale.
 
“Mi stai proponendo di essere tuo complice nel reato di oltraggio al pudore, professoressa?” la stuzzica, mentre il suo corpo reagisce in maniera inequivocabile di fronte a questa prospettiva.
 
“Beh, se non sei d’accordo, puoi sempre mettermi agli arresti,” ribatte con un sorriso malizioso, prima si svincolarsi dal suo abbraccio, sciogliersi il turbante, lasciandolo cadere sulla sabbia, e iniziare ad abbassare le spalline del prendisole.
 
“Puoi contarci!” promette, seguendo il suo esempio, liberandosi della camicia e dei pantaloni, rincorrendola, afferrandola per la vita e gettandosi insieme a lei tra le onde.

 
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“È davvero bellissimo… vorrei stare qui per sempre…” commenta, ammirando il sole all’orizzonte tingere il cielo di mille colori, una tavolozza che toglie il fiato e che nessun artista potrà mai sperare di replicare.
 
“Tu sei bellissima… e anche io vorrei rimanere sempre esattamente così,” ammette, sentendosi in paradiso, il dolce peso di lei in grembo e sul torace, circondato da quelle braccia e quelle gambe morbide e affusolate, avvoltolati nella coperta e nell’asciugamano che aveva recuperato dopo una corsa forsennata andata e ritorno dal bagagliaio della sua auto, “ma non vorrei che ti prendessi un accidente: avevamo detto niente corse in ospedale.”
 
La sente sorridergli sul collo, prima di annuire. Tenendola in braccio si solleva in piedi, posandola poi delicatamente a terra. Si rivestono il più rapidamente possibile, la pelle ancora lievemente umida, i capelli di lei raccolti nuovamente nel turbante, ormai completamente bagnato.
 
Si guardano per qualche secondo e scoppiano a ridere: sembrano usciti da uno di quei film sui naufraghi.
 
“Oddio… ti rendi conto che dobbiamo andare a prendere Nino e… e soprattutto Livietta?” domanda Gaetano, imbarazzato, sapendo benissimo che l’adolescente è più che sveglia e non tarderà a capire cosa è successo, “ti rendi conto di cosa penserà?”
 
“Penserà che sua madre è un po’ pazza, forse, ma molto felice,” gli risponde con un sorriso, divertita e toccata dal fatto che Gaetano si preoccupi così tanto dell’approvazione di Livietta, “e soprattutto capirà che non sono nata ieri e che se mi si presenterà mai così a casa, anche io saprò esattamente cos’è successo, così come può immaginarselo lei.”
 
“Sei tremenda, lo sai?” le chiede, ammirato, posandole un bacio delicato sulle labbra.

“Lo so, ed è anche per questo che mi ami.”

 
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“Come? Sì… sì… quando? E come sta? Capisco… per favore, mi tenga informato se ci saranno altri sviluppi, in un senso o nell’altro. D’accordo, grazie mille dottore!”
 
“Gaetano, è successo qualcosa?” domanda Camilla, preoccupata, cercando il suo sguardo non appena chiude la comunicazione.
 
“Sì, Sisma è fuori pericolo ma... è ancora in stato di semi incoscienza e il dottore dice che ci vorrà un po’ di tempo per poter valutare l’entità dei danni neurologici. Ma è già un miracolo che sia vivo: non pensavano che ce l’avrebbe fatta…”
 
“Hai sentito, papà? Anche lui ti ha fregato… siamo più forti di quello che pensavi, più forti di te,” sussurra, rivolta a quell’uomo che somiglia vagamente a Fausto Misoglio, al padre padrone che aveva reso la sua realtà peggiore di qualsiasi incubo fin da quando aveva cominciato a capire, a ricordare.
 
Ma quelle membra rigide, paralizzate in una posizione impossibile, come rami di un albero, quella mano che sembra cercare di artigliare l’aria, quell’aria che sfugge, che manca a quella bocca spalancata, il petto che si alza e si abbassa tra gli spasmi, tra i tentativi disperati di un corpo prigioniero di se stesso, che non vuole arrendersi, che vuole ancora respirare… non sembrano affatto le stesse mani che l’avevano umiliata, riempita di botte, la stessa bocca che le aveva sputato addosso ogni genere di marciume.
 
Solo gli occhi rimangono, quegli occhi azzurri, freddi, che la guardano ora con disperazione, implorando sollievo, implorando pietà, l’unica pietà che si può concedere a chi ormai non ha più speranza.
 
“Tu mi avresti lasciata qui a soffrire, vero papà? Mi avresti guardata contorcermi di dolore, fino all’ultimo spasimo, come mi avresti vista bruciare in quella camera… e ne avresti goduto. E ora proprio tu mi chiedi pietà? Dimmi, perché dovrei averne?” sibila, tra gli sguardi preoccupati di Camilla e di Gaetano, che la osservano afferrare il bordo del letto di suo padre fino a che le nocche diventano bianche.
 
“Sei fortunato che io non sono come te e non sarò mai come te, papà. Non so cosa ti attende dopo, ma se c’è un inferno, se c’è un castigo per tutto quello che hai fatto, non lo avrai da me, se non quello di sapere che proseguirò la mia vita e sarò felice, papà, felice e non dovrò avere alcun peso sulla coscienza. Non per causa tua,” sussurra, facendo cenno al medico che è lì vicino, pronto con l’iniezione che lo farà addormentare e spegnere serenamente, “addio papà.”
 
In pochi secondi il liquido gli entra nelle vene e la luce abbandona per sempre quegli occhi di ghiaccio che avevano riempito le sue notti insonni.
 
Aggrappata a Camilla, stretta al suo petto, lo osserva come ipnotizzata per un tempo infinito, tra le lacrime che le appannano la vista, fino a che, con un ultimo terribile rantolo, smette completamente di muoversi. L’unico suono nella stanza è quello dell’elettrocardiogramma ormai piatto.
 
La rabbia l’ha ucciso.
 
 


Nota dell’autrice: E finalmente ce l’ho fatta a chiudere queste “vacanze romane”. Dal prossimo capitolo si ritorna in Piemonte e… ne vedremo delle belle, perché un certo architetto tornerà in scena e... vi lascio immaginare che succederà ;). Spero che questa prima trama gialla abbia ripagato le attese e anche questo piccolo epilogo di “pace”, prima di aprire una nuova fase della storia, ma come sempre, se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate: i vostri commenti mi motivano tantissimo e anche le critiche e i pareri negativi mi sono davvero, davvero utilissimi per capire su cosa soffermarmi di più, cosa cambiare, cosa evitare in futuro.
Vi anticipo già che, se il tempo me lo consentirà, ho in mente un altro paio di trame gialle nel futuro, anche se credo più brevi di questa e… forse anche un’altra capatina nella capitale, prima o poi ;).
Nel frattempo le riprese di PAP sono ricominciate, ci aspetta tra pochi mesi la sesta stagione e non vedo l’ora di scoprire quali sorprese ci riservano i nostri personaggi, spero in un bel po’ di (belle) novità.
Vi ringrazio come sempre per la pazienza, l’attenzione e per avermi seguita fin qui e, se vi va, vi do appuntamento al prossimo capitolo!
   
 
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