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Autore: Maya98    15/03/2015    1 recensioni
1891: è passato un anno da quando Moriarty ha preso potere in Inghilterra e Sherlock Holmes è stato sconfitto. Oscure vicende si tessono e sfilano tra loro davanti a Baker Street: mentre Sherlock ha da patire la sorte peggiore, fa il suo arrivo a Londra John Watson, ex-medico militare che avrà il potere di cambiare le carte in tavola. Mary Morstan, spia di Sherlock, è costretta a contrarre un matrimonio involuto con la pupilla di re Moriarty, Irene Adler. Mrs Hudson e Molly Hooper organizzano un movimento di rivolta per liberare Sherlock e Greg Lestrade il traditore, spogliato di ogni cosa, fa da narratore alle vicende che hanno come sfondo la nostra Londra Vittoriana.
Perché per combattere serve un motivo.
(Notre Dame de Paris; Musical!AU – Spiegazioni all’interno)
Nota: questa storia era stata originariamente pubblicata in un unico capitolo. Per esigenze di modalità è stata divisa in capitoli. Verrà aggiornata settimanalmente.
Genere: Introspettivo, Song-fic, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo 6.
La fede nei tuoi intenti
https://www.youtube.com/watch?v=wX38a165wPE

È stanca, Mary, quando ritorna a casa. Una stanchezza che le piove sulle spalle, le appesantisce le palpebre, le svuota il corpo da ogni forza di reazione. Prosciugata della sua energia vitale in seguito ad una giornata  pessima: è stata costretta ad uccidere degli innocenti che combattono per amore di qualcuno che le è amico, e tutto questo unicamente per la salvezza di quello stesso uomo. Non capita così spesso che il suo lavoro, il suo tanto amato lavoro, le imponga ciò; ma quando succede, è sempre come la prima volta. Si sente una traditrice, anche se sta agendo a fin di bene: è come se la sensazione di essere sporca le scavasse la pelle, infilandosi sotto la cute, in fondo a molti strati, là dove non può essere grattata via con le unghie. Odia essere sottomessa a Moriarty, ma d’altra parte l’essere in grado di infiltrarsi così a fondo, di essere così abile, così precisa e così brava la manda sui giri: lo scovare informazioni, e la sottile arte di sapersi schermare e nascondere in modo da arrivare dove nessuno arriva, di conquistare la fiducia di chiunque, questo…oh, questo è il lavoro che lei ama. Non riuscirebbe a fare altro.
Ma ciò non significa che non la lasci esausta. Si infila nella palazzina in cui si trova il suo appartamento di copertura, lasciando scivolare le dita sui muri pieni di calce, trascinandosi in avanti verso le scale. Sale un gradino alla volta, con i piedi pesanti, tonfo dopo tonfo, e quando finalmente giunge al piano desiderato sfiora la maniglia della porta con mano tremante. Vuole solo sdraiarsi sulla poltrona, bersi un tè caldo e cadere in un sonno profondo, eterno distruttivo: per potersi svegliare rigenerata il mattino seguente. Girate le chiavi di pesante ottone nella serratura, finalmente riesce ad entrare in casa – calda, accogliente, un rifugio migliore di alcuni che ha avuto in passato – e fa per abbandonarsi a dolci sogni per sopprimere la vista di tutto quel sangue che comporta la sua realtà. È proprio ad un passo dal lasciarsi cadere sul divano, sfiancata e senza più forze, quando sente degli strani rumori provenire dalla camera. Un cigolio interrotto, e il chiaro rumore del metallo che cozza contro il legno: suono duro, crudo ma sottilmente metallico. Assolutamente inconfondibile. Con passi frettolosi, la mano alla cintura per prendere la pistola in caso di necessità, si avvicina furtiva e silenziosa come un’ombra alla porta della stanza della notte. Attende qualche secondo, con il respiro leggero e regolare, ascoltando più da vicino quel rumore continuo e spezzato. Conta fino a dieci per rallentare il suo battito cardiaco e riorganizzare la prontezza dei riflessi; poi agisce con uno scatto. Spalanca la porta in un istante, puntando la pistola contro chiunque si trovi sottotiro e contemporaneamente accendendo la luce. La visione che le si presenta davanti non è affatto quella che si aspettava, ma in qualche modo si rimprovera che avrebbe dovuto saperlo: la sua futura consorte, completamente nuda, è aggrappata in un cumulo disastroso di coperte e lenzuola aggrovigliate ad un’altra figura estranea, anch’essa nuda, che Mary non ha mai visto. La donna sente il sangue riaffiorarle a pelle, l’adrenalina salire e un grumo di rabbia incastrarsi in gola: ora, stranamente, è più sveglia che mai. Rimane qualche secondo a guardare la scena, disgustata, mentre le due figure ricambiano quello sguardo consapevole; una con aria sfrontata, l’altra intimidita. La pesantezza del momento sembra opprimere la stanza, come se l’aria fosse improvvisamente diventata umida e soffocante, in quell’estate affatto afosa. Ma nessuno reagisce. Non ci sono scoppi violenti, e urla, e scenate. Semplicemente Mary non proferisce una sola parola, abbassa la pistola, si volta e torna con passo deciso in salotto, lasciando la porta aperta dietro di sé in un chiaro invito. Irene la raggiunge dopo qualche minuto, avvolta in una vestaglia da notte che comunque le copre ben poco. Chiunque fosse la sua compagnia, deve essersi volatilizzata dalla scala antincendio.
Mary ha sempre saputo che Irene è nota per i suoi scandali, e avrebbe dovuto aspettarselo. Non per questo, però, brucia di meno. Non la ama, lo sanno entrambe, e non pretende di essere ricambiata; ma in questo caso si tratta di una questione di rispetto: in nome del finto legame che hanno da stringere, lei non approfitta della menzogna per andare a letto con chiunque capita. Irene, a quanto pare, non si fa lo stesso problema. E Mary non si trova d’accordo. Si volta verso di lei, fronteggiandola, conscia di star per iniziare un litigio epocale. Irene, con un sorriso beffardo, è la prima a iniziare ad urlare.

 
La vita che ho davanti è per te,
la fede nei tuoi intenti non c’è:
se mento, i giuramenti che fai
non li manterrai.

Mary la guarda, disgustata.

Il cuore nel tuo petto non c’è,
corpo da dea, no, non è per me:
saranno tanti altri che poi
ti ruberanno a me.

La cosa più snervante, è che Irene non si scompone minimamente. Sfodera il suo miglior tono sarcastico, lasciandosi scivolare un ghigno sulla bocca che Mary non ha mai baciato. Un altro segno del rispetto che non è stato condiviso.

Tu cavaliere ed io
ti chiamo “amore mio”
ma non ti amerò di più
di quanto chiedi tu.

La stanchezza di tramuta in rabbia. Ogni singola stilla di sudore si trasforma da goccia a cascata d’ira.

Se ancora non lo so,
lo so dagli occhi tuoi
che vedono già in me
una
sposa che non vuoi.

Il ribrezzo è palpabile nella sua voce come una scritta in rilievo su un colonnato di marmo. Entrambe si guardano negli occhi, vedendo ciò che vogliono vedere: qualcuno che disprezzano, qualcuno che non vogliono, qualcuno che vorrebbero non vedere e soprattutto, qualcuno che devono fingere di amare.

Tu non cercarmi più!
Via di qua!
Ché non sarai mai tu…
Via di qua!

Irene sputa parole di puro veleno, ogni qual volta ha l’occasione di parlare. La vestaglia le scivola sulle spalle, scoprendole i seni, ma nel suo voltò non c’è pietà, né l’ombra di una lacrima.

Io moglie e tu garante, per me
questo non conta niente.

Mary non riesce a sopportarlo. Prende nuovamente in mano tutta la sua roba, la sua divisa insanguinata, e si allontana verso la porta. Prima di uscire, si volta nuovamente verso Irene per dirle ancora una cosa.

Se in tutto il mondo c’è
qualcuno che è per te:
che ti avveleni il cuor!
Che mostri a te l’orror!

La Donna le riserva un’occhiata di puro odio. Le si avvicina d’un passo, l’andatura sinuosa come sempre, strisciando come un serpente velenoso in vista della sua preda.

Con la parola puoi
chiamarmi ai piedi tuoi
ma non sarà la tua
la mano a stringere la mia.

Tu non cercarmi più!
Via di qua!

In modo quasi grottesco, si trovano a parlare all’unisono, lasciando scivolare l’una addosso all’altra la stessa maledizione.

Ci credo come credo che sia
crudele inferno unire alla mia
la tua infelicità.

Sarà un bel giorno quello che da te,
da te mi scioglierà.

Da te mi scioglierà.











Note:
Avrei potuto benissimo rendere diversamente il rapporto Irene e Mary. Lo so. In effetti, io le shippo anche abbastanza, ma in questo caso sarebbe stato del tutto fuori luogo. Irene non è così: non è da relazione stabile. E Mary è una ragazza dipendente dal suo lavoro che non ha mai conosciuto l’amore. Poi incontra John Watson. Una cosa che ho voluto che si notasse tanto in questa storia, è la straordinaria somiglianza tra Mary e Sherlock: una somiglianza che c’è, è innegabile. John rappresenta per Mary il punto di rottura come per Sherlock. Quindi il rapporto con Irene non doveva essere rose e fiori: per quanto affini, hanno davanti un’unione costretta per motivi diversi ma involuta da entrambe. Rappresenta una problematica che ha un’incertezza di risoluzione ben precisa, come vedrete alla fine della storia. E poi avevo detto che cercavo di rendere tutto più angst, quindi u.u
“Corpo da dea, no, non è per me”. Dea no va letto “deàno”. La metrica torna. Ero indecisa se toglierlo o meno, ma la formulazione della frase mi sembrava più incisiva in questo modo.
“Ma non ti amerò di più di quanto chiedi tu”. Anche qui il “ma” potrebbe essere difficile da pronunciare, ma eliminarlo comportava una mancata opposizione rispetto alla frase precedente che, da Paladina della Grammatica, mi irritava di più di un verso cantato più veloce.
“Che vedono già in me una sposa che non vuoi”. La prima versione era “un amore che non vuoi”. Avrei potuto anche mettere “moglie”. Ma in realtà “sposa” ha un suono sporco, incisivo, perché le “s” non sono presenti in nessun altra parola di questa frase. Mi dava l’idea di disprezzo che ci deve essere nel tono di chi la pronuncia.
“Ché non sarai mai tu”. Per chi non lo sa, ché con l’accento è la forma corta per “perché”. Cit lingua italiana.
“Ma non sarà la tua la mano a stringere la mia”. Presente quando vi ho detto i versi che nascondono significati spezza cuore? A me questo verso spezza il cuore ogni volta che ci rifletto sopra. Come in “Zingara” “la mia mano trema, perché?”. Fateci caso.
“Sarà un bel giorno quello che da te, da te mi scioglierà”. Nell’originale, era più facile da cantare perché si univano nella pronuncia la e di che e la a di a. Ma qui la preposizione è quella, e non è sostituibile in nessun modo. “quello che a te, da te mi scioglierà” mi sembrava un affronto alla lingua italiana.
 


Lo so, lo so, lo so. Quante settimane ho saltato? 2? 3? Ma. Ma c'è sempre un ma. Adesso mi sono finalmente liberata dell'esame di pianoforte, quindi SARO' PUNTUALE CON TUTTI I PROSSIMI AGGIORNAMENTI! Potrei addirittura farne più di uno a settimana (ma non prometto niente).
Sto anche scrivendo nuove storie. Per chi l'aspetta, sto scrivendo Falsa Relazione, e ho in progetto una Potterwholock (notevole, temo sarà una novantina di capitoli quindi non so quando la posterò) e anche un racconto originale. Mi duole dirlo, ma probabilmente queste saranno le ultime Johnlock che scriverò. (Ho smesso di shipparli in modo romantico; sì, ahimè, e niente di quanto possiate dire mi farà cambiare idea. Continuerò a scrivere introspezioni di Sherlock e Johnlock queerplatonico, ma questa è un'altra storia). (Sì, so che non ve ne frega niente, ma mi sentivo in dovere di dirlo a qualcuno).
Grazie come al solito a chi recensisce (a sorpresa e non) e a chi legge nell'ombra. Spero che vi riesca a passare tutto l'amore che nutro per questi personaggi e per questo musical. Davvero, per me sarebbe abbastanza <3
A preso! (Sta volta sul serio giuro!)
  
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