Cards
or chess, little sister?
Helena
sprofondava nel velluto rosso del suo trono,
le affilate unghie laccate di rosso tamburellavano
distrattamente sui
rigidi braccioli dorati e l’incavo dei tacchi delle sue
ballerine fiammanti s’incastrava
perfettamente al bordo sbeccato della piccola scrivania in mogano.
Chiunque
entrasse nel suo studio, poteva notare le strane decorazioni proprie di
una
reggia settecentesca, che stonavano con lo squallore di quella
stanzetta.
–Carte
o scacchi,
sorellina?-, la sua domanda scivolò contro i muri scrostati
dello studio,
vibrando elegantemente. Helena aveva una voce strana, come quella delle
persone
nei sogni.
Lilith,
di
fronte a lei, sollevò lo sguardo, lanciando
un’occhiata significativa alla sorella.
Rispose al ghigno ironico di
Helena con
l’accenno di un quieto sorriso –Non ricordi che
abbiamo sempre giocato ad
entrambi contemporaneamente, sorellina?- replicò,
marcando l’ultima parola e sostenendo orgogliosamente lo
sguardo canzonatorio
della donna davanti a lei.
Helena
sussultò,
ma non lo diede a vedere. Eccome, se ricordava. Ma era anche
altrettanto
convinta che Lilith non ricordasse. La sua sorellina non era mai stata
una
bambina felice, infatti, e tutti i suoi tentativi di farla divertire
erano
risultati vani. Lilith passava le sue giornate al molo, a guardare il
mare e le
sue rabbiose tempeste. Quando la sera tornava aveva le calzamaglie
stracciate,
l’orlo del vestito bianco zuppo d’acqua salata e i
capelli chiarissimi
spettinati, pregni dell’odore di salsedine. Helena non le
aveva mai chiesto
dove andasse e cosa facesse, solo una volta si era concessa di
domandarle il
perché della sua inquietudine e aveva ricevuto una semplice
risposta: “Le
strade qui a November Hill non portano da nessuna parte”.
Da
quel momento,
Helena era diventata come quelle rose rosse che sfiorivano lentamente
sul
comodino della loro madre che trascorreva tutte le giornate confinata
nella sua
stanza a soffocare nell’aria stantia della sua malattia
incurabile e nel
profumo denso delle rose appassite.
–Certo che
ricordo, tesoro- rispose invece,
ravviandosi vivacemente i ricci rossi con la piccola mano –Ma
ricordo anche che
tu non sei mai stata particolarmente brava con questi doppi
giochi-
Lilith
scoppiò a
ridere, sbattendo ripetutamente le palpebre truccate di bianco
–Ovvio. Sei tu
quella esperta in questo- confermò, con una punta di
cattiveria nella voce. Oh,
sì. Era Helena quella che sapeva avere due volti. Da una
parte era un’intoccabile,
folle regina rossa, dall’altra una ragazza che si perdeva in
lacrime asciutte,
che appassiva dietro l’ombra candida della sorella.
–Prima lei,
sorellina, e i suoi soldatini
bianchi- la canzonò Helena, facendo un breve cenno verso la
scacchiera.
Le
dita
scheletriche di Lilith strinsero saldamente un pedone e lo fecero
scivolare
nella casella di fronte.
Helena
schioccò
le labbra–Buona mossa, sorellina- constatò,
–Ma guarda un po’ la mia!- esclamò
euforica.
I
neri erano
forti, fortissimi, sotto il comando della loro regina e i bianchi
faticavano a
resistere a tutta quella foga. Ma la regina bianca, nel suo sfolgorante
splendore, non aveva ancora mosso un passo.
Lilith
sorrise,
continuando la sua partita.
–Sei
scarsa,
sorellina! Ti ricordavo un po’ più brava, sai?- la
provocò Helena, continuando
a falciare imperterrita torri, cavalli, alfieri e
un’infinità di pedoni.
Helena
era brava
a giocare, era bravissima.
Lilith
sapeva di
non poter vincere a scacchi contro di lei, ed emise un verso tra uno
sbuffo e
una risata quando la sorella esclamò battendo una mano sulla
scrivania :
–Scacco matto!- agitando i ricci rossi.
–Brava-
si
congratulò Lilith, osservando però con mascherata
soddisfazione la regina nera
che era stata battuta da quella bianca appena prima della vittoria del
suo
esercito.
La
porta dello
studio si aprì lentamente e una slanciata figura comparve
sull’uscio. Il largo
cappello gli copriva per metà il volto, i denti erano
scoperti in un largo
sorriso –Regina- esordì scherzosamente
–Abbiamo una nuova ospite!- annunciò
abbozzando un buffo inchino, facendo rotare tra le mani guantate di
viola un
bastone da passeggio.
Era
una decina
d’anni, ormai, che Helena gestiva quel manicomio e non era
più un grande evento
un nuovo arrivato –Bene!- fece infatti stizzita –Ma
mi spieghi che speciale
ospite è per essere venuto qui a interrompere la partita che
stavo giocando con
la mia adorata sorellina?- aggiunse, alzandosi di scatto e rovesciando
la sedia
rossa.
L’uomo
la
osservò aggrottando le sopracciglia dipinte e
spostò lo sguardo da Helena alla
candida figurina di una giovane donna –Lilith?-
sussurrò stupito, sfiorandole
il braccio con la mano, come per confermare che fosse reale.
Tutti
a quel
manicomio, folli e i loro altrettanto folli gestori, sapevano
perfettamente che
Lilith odiava November Hill, il suo perenne grigiore e la sua gotica
follia. In
seguito alla morte dei loro genitori, infatti, le due sorelle avevano
venduto
la villa ai tali signori Liddell e mentre Lilith era andata lontano,
Helena si
era trasferita in un appartamentino di periferia, per gestire un
manicomio.
Vedere
la
“principessa bianca” -come la sorella la chiamava
ironicamente- a distanza di
anni era veramente una sorpresa per tutti.
–Allora?
Non mi
hai risposto!- lo incalzò Helena, strattonandolo.
–Scusatemi,
regine- si riprese l’uomo sorridendo –Ma la nostra
ospite è davvero speciale:
si chiama Alice Liddell e credo che il cognome vi dica tutto-
spiegò,
spolverandosi la giacca distrattamente.
–Liddell?
Alice
Liddell?- strillò Helena –Quella a cui abbiamo
venduto la nostra villa?-
chiese, facendosi tragicamente aria con la mano.
L’uomo
col
cappello rise leggermente –La loro figlia. Il dottor Bumby ha
avuto alcuni
problemi con lei. Ti ricordi di Lizzie? La sorella di Alice, la figlia
maggiore
dei Liddell … credo che Bumby abbia bruciato la villa
perché non poteva avere
quella ragazza … certo che sono proprio folli!-
constatò ridacchiando, come se
stesse parlando delle condizioni meteorologiche.
Helena
sollevò
le sopracciglia, scettica –E perché la ragazzina
non va in orfanotrofio? Cosa
c’entra il manicomio?- domandò irritata.
–Perché è impazzita!-
esclamò l’uomo
–Mi ha chiamato Cappellaio Matto, regina! Non che non mi
piaccia come
soprannome, ma … - aggiunse a mezza voce.
Lilith,
invece,
sembrò non prestare attenzione alla faccenda e si
avvicinò alla finestra:
dietro al boschetto di abeti si potevano scorgere le macerie
carbonizzate della
loro villa. Solo un muro era rimasto in piedi ed era quello che un
tempo
divideva la sua cameretta da quella di Helena. Era rimasto in piedi
l’unico
muro che Lilith aveva pregato che crollasse da tutta la vita.
–Quella maledetta
bambina! Ora dovrò badare
anche a lei!- urlò Helena in un attacco d’ira,
rovesciando la scacchiera. La
regina bianca rotolò fino ai suoi piedi, frantumandosi in
mille pezzi sotto il
peso dei suoi tacchi sottili.
–Su,
su, calma
regina rossa- le consigliò l’uomo, dandole
delicate pacche sulla spalla –Se ne
occuperà Bumby di lei-.
Helena
lo fulminò
con lo sguardo –Portami Alice- fece in tono zuccheroso, con
un largo sorriso
falso dipinto in volto –Intanto, Lilith, ti propongo una
partita a scala reale-
aggiunse, rivolgendosi alla sorella, ancora assorta nella
contemplazione delle
macerie al di là della finestrella incrostata
–Va bene-
affermò, scuotendo la fluente chioma
candida.
L’uomo
col
cappello uscì dalla stanza, con un altro inchino, e le due
regine si sedettero
nuovamente una di fronte all’altra. Per quanto Helena fosse
brava a giocare in
generale, Lilith a carte se la cavava bene quanto lei.
Le
mancava solo
uno stupido asso di fiori per completare la scala. Solo un asso di
fiori.
Helena
le
rivolse un’occhiata divertita –Scala, sorellina!-
esclamò, -Non te lo
aspettavi, eh?- commentò ridendo, mentre disponeva
ordinatamente la scala di cuori
sulla scrivania. Asso, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto,
nove,
dieci, Jack, Re …
-Manca
la
regina- obbiettò Lilith, indicando uno spazio vuoto.
Helena
scoppiò
in una fragorosa risata –Ti sei dimenticata del Jolly,
sorellina!- replicò,
spingendo una carta tra Jack e Re.
Il ghigno del Jolly sembrava
prendere in giro
Lilith e la sua candida ingenuità. Lei non poteva vincere.
Era Helena quella
forte. Era Helena la regina.
L’uomo
col
cappello ricomparve sull’uscio della porta, facendo
sobbalzare le due sorelle
–Ecco Alice, regine!- annunciò scostandosi e
spingendo in avanti una ragazzina
sui quindici anni. Aveva lunghi capelli neri, grandi occhi di smeraldo
contornati da occhiaie profonde, il volto scarno e scavato, la pelle
pallidissima. Indossava un abito blu con sopra un grembiule che arriva
fino
alle ginocchia, i polpacci e i piedi sottili stretti in un paio di
stivali
neri.
Helena
la scrutò
con una smorfia di sufficienza –Alice Liddell … -
commentò a mezza voce,
girandole intorno come un avvoltoio intorno alla sua preda.
Lilith,
invece,
rimase seduta. Aveva trovato il suo asso di fiori.
Angolo
autrice:
Niente,
ho
scritto di getto questa piccola storia, dopo l’ispirazione
che mi ha dato Alice
in Wonderland di Tim Burton. Amo quel film, amo Alice di Lewis Carroll,
amo il
videogioco “Alice Madness” anche se
c’entra fino a un certo punto con la storia
originale. Ma più di tutti, amo le due Regine, diventate per
me Lilith ed
Helena, e scrivere qualcosa sul loro rapporto era ciò che
aspettavo da tempo.
Ciò di cui mi sono maggiormente preoccupata è la
caratterizzazione dei
personaggi e spero di esserci riuscita. Ho pubblicato in questa sezione
perché
–parlando di folli e manicomio- mi sembrava la più
adeguata.
Kisses,
Mandorlina.