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Autore: __aris__    15/03/2015    10 recensioni
Belle Lefort è una studentessa della NYU che spera di diventare una scrittrice, ed al momento è alla ricerca di un lavoro per pagarsi gli studi. Le Risorse Umane le propongono di fare da assistente a Lionel Dubois: un uomo che ha scritto un unico libro, un best seller mondiale vincitore del premio Pulizer, e che, al massimo della popolarità, ha deciso di ritirarsi dal mondo e non esce più dal suo appartamento in cima ad un alto grattacielo -– moderna versione della Bella e la Bestia. Spero vi piaccia e che venga recensita.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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 Lionel Dubois viveva all’ultimo piano di un enorme grattacielo del West side; un edificio immenso color antracite che costrinse Belle a piegare completamente il collo per vederne la fine. La zona era davvero esclusiva e solo persone molto ricche vivevano lì. Secondo le sue sorelle, con cui condivideva la casa, era passata di moda assieme agli anni ’80 ma Belle non ci badò: per lei Lionel Dubois poteva anche vivere a Bronx o nel New Jersey: ovunque fosse vissuto sarebbe rimasto uno dei suoi scrittori preferiti.
Aveva fantasticato tutta la notte su che tipo di uomo fosse. Dietro la copertina della sua copia di The Unlucky Star era raffigurato un giovane con poco più di trent’anni con gli occhi chiari ed un filo di barba; un uomo la cui bellezza era risaltata dai chiaroscuri della foto in bianco e nero. Quell’immagine era una delle poche di Lionel: il suo libro fu subito un successo mondiale e lo scrittore divenne famosissimo; era invitato a tutte le feste e le pagine rosa erano piene di articoli sulla sua vita privata. Dopo appena due anni tutto finì: Lionel si rinchiuse in casa, esattamente come fece Greta Garbo, e non ne uscì più. Non diede alle stampe un solo libro, un solo saggio o un solo articolo. Niente. Gli amici tentarono in tutti i modi di stargli vicino ma, l’uno dopo l’atro, furono scacciati e Lionel rimase solo in cima alla sua torre alta più di cento piani.
Dopo un profondo respiro Belle entrò nell’edificio osservando ogni cosa del grandioso atrio. Dietro al pesante portone c’erano delle scale in marmo perfettamente lucidate che conducevano al bancone del portiere. Tutto era bianco: il marmo dei pavimenti e del bancone, le pareti stuccate, i lampadari che pendevano dal lucernario. Felci ed altre piante ben lucidate aumentavano l’eleganza dell’ambiente, evitando che sembrasse spoglio o austero. La ragazza si avvicinò al portiere intento a leggere una rivista.
Buon giorno. Sono Belle Lefort e sarei la nuova assistente del signor Dubois.”
L’uomo aveva immediatamente spostato il giornale e dedicato tutta la sua attenzione a Belle. Doveva avere circa una cinquantina d’anni, aveva pochi capelli e piccoli occhi neri; indossava una giacca scura ed una cravatta grigio argento. Per un attimo soltanto, una frazione di secondo, sembrò incredulo ma poi la sua espressione tornò neutra. “Mi avevano avvisato del suo arrivo.” disse composto dandole una tesserina magnetica ed una chiave “Il signor Dubois abita all’ultimo piano. Faccia strisciare la tessera all’ingresso, poi prenda l’ascensore, inserisca la chiave ed arriverà direttamente nel suo appartamento. Buona fortuna signorina Lefort.”
Qualcosa nel modo in cui aveva parlato faceva sospettare Belle che non la ritenesse adatta per il lavoro o che si aspettasse che non durasse molto.
Prese gli oggetti con un sorriso educato che cercava di non dare peso a quella sensazione. “La ringrazio.” Fece qualche passo oltre il bancone verso una porta a vetri, doveva essere qualche super vetro blindato, simile a quelli delle banche, perché era molto spesso. Strisciò la carta magnetica nell’apposito lettore e le porte si aprirono senza fare alcun rumore; diede un ultimo sguardo al portiere, ormai tornato alla sua rivista, e varcò la soglia.
L’ascensore era già a terra, Belle entrò ed inserì la chiave in un piccolo foro in cima alla pulsantiera ottonata. Più il cursore dei piani si alzava e più sentiva le mani sudare ed il respiro accelerare.  Molte delle sue coetanee avrebbero avuto la sua stessa emozione per il loro idolo pop preferito, ma lei non era come le altre! Lei era cresciuta leggendo The Ulucky Star. Quello era stato il libro preferito di sua madre; il libro che aveva tenuto sul comodino durante tutti quegli interminabili cicli di chemio. Quasi la vedeva sorridente che le augurava buona fortuna e le diceva che era tanto fiera di lei perché con Lionel avrebbe avuto la possibilità di imparare molto. Un leggero ding le fece notare che le porte dell’elevatore erano in procinto di aprirsi; alzò gli occhi verso il soffitto per riappropriarsi delle lacrime: per quanto il dolore fosse ancora insopportabile non voleva fare brutta impressione a Mr Dubois!
Pochi istanti dopo davanti a lei apparve un piccolo corridoio in legno con il soffitto a botte. Non era stretto ma era alquanto buio. Alla fine si intravedeva un’artificiale luce soffusa. Tutto sembrava molto lugubre.
Venga avanti signorina Lefort.” La voce autoritaria di un uomo rimbombò nella casa.
Belle prese la chiavetta dorata dalla pulsantiera e si avviò timidamente in direzione della luce. La stanza era grandissima, con finestroni che andavano dal pavimento al soffitto coperte da pesanti tende scure che non lasciavano entrare i raggi del Sole. Era di forma rettangolare, arredata con mobili eleganti dalle linee essenziali: al centro c’era un gruppetto di divani disposti a ferro di cavalo attorno ad un tavolino, a sinistra un piccolo scrittoio ricolmo di carte ed a destra un pianoforte a coda su cui era adagiata una coperta logora. Anche se i mobili erano voluminosi rimaneva ancora moltissimo spazio libero. Tutto sembrava in disuso; come se al proprietario di tutte quelle cose importasse di loro talmente poco da non prendersi nemmeno il disturbo di sbarazzarsene.
So di non essere bello come un tempo signorina, ma non ho tutta la mattina a sua disposizione. Nel mio studio. Faccia presto!” tuonò ancora.
Arrivo!” Senza nemmeno sapere che direzione prendeva Belle seguì la voce oltre un porta ed entrò in una stanza ancora più buia ed abbandonata della precedete: le tende erano serrate, il divano di pelle verde addossato ad una parete era rotto, lasciando fuoriuscire diversi spruzzi di imbottitura; sull’enorme scrivania regnava il caos assoluto: carte, giornali e vari oggetti vi erano stati abbandonati stratificandosi gli uni sopra gli altri. Un’altra parete era completamente occupata da un polveroso archivio in legno con la vernice sbeccata. Gli altri mobili erano quanto meno consunti. Plichi di libri erano ammucchiati in diversi punti del pavimento. Adesso che ci rifletteva anche in salotto ne aveva visti diversi. Tutto era illuminato in penombra da poche lampade accese. L’aria era pesante, segno che doveva essere passato molto tempo dall’ultima volta in cui qualcuno aveva aperto le finestre.
Sentì dei passi dietro di lei e poi la porta chiudersi. “Se avessi saputo che le risorse umane mi avrebbero mandato una bambina avrei desistito.” Commentò l’uomo deluso osservando la ragazza appena entrata. Era minuta, tutt’occhi. Un topolino impaurito.
Belle si voltò e riconobbe Lionel Dubois alle sue spalle. Il respiro le si mozzò in gola mentre confrontava la foto in copertina con l’uomo che aveva davanti. Non fu l’invecchiamento a colpire la fanciulla quanto cosa fosse diventata la parte sinistra del viso. La metà destra era semplicemente invecchiata: la mascella bel delineata, la fronte ampia, i folti capelli e gli occhi azzurri erano ancora perfetti. Ma la metà sinistra era completamente bruciata ed accartocciata: il lobo dell’orecchio era completamente scomparso; metà guancia, fin sotto l’occhio, era bruciata ed in alcuni punti consunta fino quasi al cranio; l’occhio stesso aveva cambiato forma, e la sopracciglia era sparita. Anche parte dei capelli vicino all’orecchio erano stati mangiati dal fuoco. Belle si sforzò di non dare l’impressione di guardare ma lo shock era notevole. Cosa gli era successo? Era per tutte quelle cicatrici che nessuno lo vedeva più?
Il gatto le ha mangiato la lingua o non è in grado di presentarsi?” il tono di quell’uomo era talmente rude da mettere quasi più soggezione del suo aspetto.
Il topolino alzò la testa con fermezza:“Non sono una bambina Mr Dubois. Mi chiamo Belle Lefort ed ho compiuto vent’anni a maggio.
Senza guardarla si andò a sedere dietro la scrivania “Hai l’aspetto di una bambina. Hai mai lavorato?
No … ma quando vivevo con mio padre tenevo in ordine i suoi registi contabili.
Capisco. E dov’è adesso tuo padre?
Nel Maine. Vende auto ma purtroppo non …
Qualsiasi cosa sia, non mi interessa.” Tagliò corto. “Hai letto le indicazioni della busta?” la ragazza annuì “Bene. Dovrai sistemare tutti i miei libri, i miei articoli, le mie riviste e tutto ci che ti sembra fuori posto. Verrai qui tutti i giorni, dal lunedì al venerdì, per almeno due ore. Di mattino o di pomeriggio non mi importa. Prenderai centocinquanta dollari a settimana che verranno versati sul tuo conto in banca, e se non ne hai uno ti farò degli assegni. Non dovrai dire a nessuno per chi lavori e dovrai venire sempre da sola, altrimenti sarai immediatamente licenziata. Cerca di svolgere le tue cose in silenzio, senza disturbarmi. E se hai qualcosa da chiedere non esitare a tenertela per te. Ci sono domande?
No signor Dubois.
Lionel si alzò facendo cenno di seguirlo in una stanza piena di scaffali. “Tutti i libri andranno messi in questa stanza. Li voglio ordinati per materia, autore ed anno di pubblicazione. Come hai visto sono un po’ in tutte le stanze quindi ti conviene toglierti il cappotto perché avresti dovuto iniziare da dieci minuti.” Poi senza dire niente si allontanò, lasciandola in quella stanza vuota.
 
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Gli avevano mandato una bambina che non aveva ancora terminato gli studi. E dire che aveva sperato in uno di quei donnoni teutonici capaci di spostare armadi solo arricciando il naso. Quella ragazzina con gli occhioni da cerbiatto non sarebbe mai riuscita a finire tutto. Anche una donna di colore dotata di molta tenacia gli sarebbe andata bene; ma non quegli occhioni limpidi che si erano immobilizzati per la paura nel vederlo!
Si passò la mano sulle tracce dell’incidente, sopra la pelle raggrinzita.
Quella bambina non avrebbe dovuto vedere una cosa tanto mostruosa.
Nessuno avrebbe dovuto vederla.
Una volta, quando non si perdeva una festa, la sua bellezza gli permetteva tutto. Ovunque non arrivasse il suo successo arrivava il fascino dello scrittore talentuoso e bello. Poi ci furono l’incidente, l’ospedale e la commiserazione. Il brucione del fuoco sula pelle e nei polmoni che aveva divorato tutto ciò che un tempo era stato. Gli sguardi di ammirazione si trasformarono in ribrezzo o in condiscendenza. I saluti divennero brusii sussurrati alle spalle. Di tutti coloro che si proclamavano suoi amici ne rimasero meno delle dita di una mano, ma anche a loro fu cortesemente chiesto di andarsene perché non sopportava nemmeno i loro sguardi e le loro parole.
Tutto e tutti gli erano diventati così insopportabili!
Perfino il rumore della macchina da scrivere!
Il silenzio era diventato il suo più caro amico. Con lui riusciva a vivere sentendo meno il fuoco. Con lui trovava la pace che gli permetteva di vivere lontano da tutti, isolato dove gli sguardi di tutti non lo potevano raggiungere.
   
 
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