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Autore: piuma_leggera    16/03/2015    0 recensioni
Chi ci ha dato gli occhi per vedere le stelle senza darci le braccia per raggiungerle?
- - - - - - -
⌠ Dal prologo ⌡
Il suo sorriso scolorisce, i suoi occhi fissarono un punto invisibile; si perse, lontano, in un pensiero che non si sa.
E Nicolas non seppe intuire quel pensiero, per riacciuffarlo, per riprenderlo al lazo e riportarlo da lui; ma fu complicato.
Complicato quasi come curare il dolore se non sai dov'è.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Non Puoi Vedere Le Stelle Ad Occhi Chiusi


















`` È un lavoro di cesello. Ho disarmato l'infelicità. Ho sfilato via la mia vita dai miei desideri. Se tu potessi risalire il mio cammino, li troveresti uno dopo l'altro, incantati, immobili, fermati lì per sempre a segnare la rotta di questo viaggio strano che a nessuno ho raccontato se non a te. ``
[ Alessandro Baricco, Novecento. ]










¢¢¢





A casa di Nicolas non c'era privato.
Se si aveva qualcosa, andava messo sul tavolo; far decidere agli altri se andava bene oppure no.
A casa sua, semplicemente, non si aspettava
più.
Sua nonna la domenica mattina non aspettava 
più al portone per salire.
Sua madre la domenica mattina non aspettava
più il marito; non lo aspettava più neanche la mattina dopo, e quella dopo ancora.
Nicolas, invece, non
aspettava più e basta: andava avanti, inciampava, qualche volta si rialzava e qualche volta no; qualche volta si fermava, qualche volta restava. Poi, con il tempo, la ferite delle cadute si erano rimarginate: i lembi di pelle si erano avvicinati con movimenti impercettibili ma continui. Ad ogni nuova abrasione la crosta cedeva, ma poi - ostinatamente -  tornava a formarsi, più scura e spessa di prima. Fino a quando un nuovo strato di pelle, liscio ed elastico, era andato a sostituire quello mancante. Da rossa, le cicatrici erano diventate bianca ed avevano finito per confondersi con tutte le altre.
Inevitabilmente, come se nulla fosse, ripartiva.

`` Guarda, vedi, apri gli occhi. C'è un mondo qui fuori. ``
Gli disse sua madre una domenica mattina.
Lei ragionava con gli occhi, ma il gas; se c'è solo odore di gas, quello che si vede è capace di bruciare da un momento all'altro.
La casa, quei quadri che sua nonna tanto adora, i piatti in ceramica; basterebbe un soffio per romperli.
Lui non ragionava con gli occhi, lui credeva al naso ed al tatto.
Lui, alle parole, non aveva mai creduto; credeva ai libri, al sole che cedeva - puntualmente, ogni notte - il suo posto alla luna. Credeva agli occhi scuri di sua nonna, alle labbra piene del professore d'inglese, alle dita sempre tramanti del professore di storia.
Non credeva alle persone, alle storie scritte e dimenticate sui libri; non credeva a sua madre.





¢¢¢




Andava spesso al lago di domenica, Nicolas.
Con il freddo, con la pioggia, con il caldo; ci andava, e ci restava.
Era forse l'unico posto in cui restava. Abbandonava la testa, un libro tra le mani, una sigaretta tra le labbra: restava.
Non gli interessava la gente che arrivava, gli piaceva quella che andava.
C'erano baci lunghissimi, ed altri corti come uno starnuto; c'erano onde che scappavano piano, ed altre che fischiavano ch'era una canzone.
C'erano abbracci che sembravano tanto lottare, ed altri che di lotta, invece, non avevano un bel niente; i cuori avevano un peso.
Il cielo era carico di elettricità, pioveva calore e luce da ogni angolo.
I raggi solari illuminavano i ricchi ed i poveri, i vecchi ed i ragazzini; non faceva distinzioni, illuminava tutti allo stesso modo.
Non giudicava, semplicemente.
Gli piaceva, la luce; rispetto al buio, era migliore.

Novecento, nella sua conoscenza, diceva: ``Non bisogna pensare che siano cose che succedono per caso, no. E nemmeno per una questione di diottrie, è il destino quello. Quella gente che da sempre c'aveva già quell'istante stampato nella vita. ``

Nicolas, quell'istante, non lo voleva.
Non voleva quello sguardo magro, timido, puro e ancora cristallino; non li voleva quegli occhi addosso, gli occhi di un'anima che si rifiutava di crescere. Non voleva quel cobalto, non voleva quelle labbra vuote e quelle mani calde.
Era là, a due passi da lui; come sempre.
Era là, di domenica mattina; per la prima volta.

Distolse lo sguardo dal libro,
balenò per qualche istante nel vuoto sotto i suoi piedi, e si ricompose giusto in tempo per poter notare il ragazzino sedersi su una panchina, a qualche metro da lui; a mo' di distanza di sicurezza.
Una sesta boccata di fumo venne liberata dalle sue labbra piene, la nicotina premette sui propri sensi, ed il cobalto
illuminò maggiormente quella mattinata già limpida di suo.

E mentre Novecendo continuava la sua avventura per mare, Nicolas continuava la sua avventura dentro quegli occhi.
Erano belli, si disse, colmi di luce e d'orgoglio; erano colmi di parole e di odori.
Erano colmi d'anima.

Quel corpo stesso, alle volte, sembrava fatto di carta: quando spostava l'attenzione dello sguardo altrove, perdendosi in parole visibili solo alle sue iridi profonde quanto una fossa oceanica; e quando, invece, affondava nuovamente tra le pagine del libro che teneva gelosamente tra le mani.
Sembrava fatto d'argilla quando i polpastrelli delle dita sfogliavano delicatamente quei fogli di carta, con la paura di ferirsi; e sembrava fatto di legno quando, di colpo in bianco, si fermava. Si immobilizzava, costringendo anche a Nicolas a trattenere il fiato, per poi rilasciarlo con violenza quando, con uno sbuffo del naso, continuava indisturbato la sua lettura.
Sembrava una trottola: girava, girava, ma girava talmente tanto che, ne era certo, presto o tardi avrebbe perso l'equilibrio.

Decise di tornare al suo amato Novecento, dicendosi che quella non era la prima volta che si soffermava con fin troppa attenzione sul suo essere.
Leonardo era un'incognita, all'interno della sua esistenza.
Lo vedeva spesso, quasi sempre, di ritorno da scuola sul suo stesso autobus; facevano gran parte della strada insieme, essendo vicini.
Andata e ritorno.
Non si parlavano mai, si riconoscevano e basta: uno sguardo, un sospiro di troppo, e la giornata poteva cominciare bene.
Nicolas lo sapeva e, probabilmente, lo sapeva anche lui: non erano fatti per incontrarsi, erano due binari opposti, due rotaie che si correvano affianco, parallelamente, senza mai sfiorarsi. E come tali dovevano restare.

A Nicolas quella luce, seppur amandola, gli faceva paura: era troppa, bruciava, si attaccava alla sua pelle e non lo abbandonava finchè quello sguardo non veniva portato altrove. Lo soffocava il modo in cui quel ragazzo lo guardava, sembrava un bambino curioso di oltrepassare la soglia di casa per poter raccogliere frammanti di mondo ancora non esplorato.

Nicolas non credeva alle parole, tantomeno al destino.
Non credeva al fato, non credeva a quel Dio di cui tutti parlavano.
Non credeva alla forza di volontà, a quei  ``Se lo vuoi, lo fai. ``
Nicolas non credeva e basta, era un peccatore nella sua ignoranza.
Se Leonardo bruciava, Nicolas era il buio.


-  Non ti sembra un po' strano? Voglio dire, tutta la vita per mare. Sembra il disegno di un bambino, non pensi? 

Voleva dirgli che Novecento, sotto sotto, era ancora un bambino; anzi, voleva dirgli che non era proprio mai cresciuto.
Voleva dirgli che il mare è sempre stato il suo mondo, che non desiderava altro; che quel disegno da bambino era l'unica cosa bella che aveva, oltre la musica.
Forse glielo avrebbe anche detto, se quella voce calda e delicata non l'avesse colpito come un'onda troppo forte.
Non ebbe il tempo di impedire ai suoi riflessi di bloccarsi, che lo sguardo venne puntato ed inchiodato immediatamente sulla figura frastagliata davanti a lui.
Era fragile, fin troppo fragile; si chiese come avesse fatto la voce a non volar via da quel corpo magro e snello.
Avrebbe voluto menarlo per poter vedere che i sangue fosse rosso, e non azzurro come il colore della sua voce.

- Perchè pensi questo-- Leonardo, giusto? 
- Leonardo, giusto. 

Neanche si sorprese del sorriso che quelle labbra furono in grado di creare; sembrava trattenuto, sembrava una maschera priva di volto.

- Perchè pensi questo? 
- Sembra il disegno di un bambino che, insomma, non sapendo disegnare, sparge i colori fuori dai bordi per rendere il tutto disordinato. 
- Fuori dai margini? 
- Esatto, delle blande sfumate. 
- Tu disegni, non è vero? 
- Qualche volta. 

Avrebbe giurato che fosse qualcosa in
più di 'qualche volta', avrebbe giurato che quel ragazzo passasse giorno e notte su quelli che lui definiva disegni; avrebbe giurato che lui, invece, non pensasse ad altro.


-
Come un bambino? 
- Prego? 
- Disegni come un bambino? 

Si chiese come fossero arrivati a quel punto: con quel piccolo uragano seduto al suo fiancho, con un suo braccio abbandonato lungo lo schienale ruvido e vecchio della panchina; con il sole davanti a loro che cominciava a bruciare sotto i passi dei bambini che, dispettosi, scappavano ai richiami dei loro genitori.
Si chiese come, improvvisamente, quella domenica mattina smise di essere una domenica.

- Mi piacerebbe disegnare come un bambino, ogni tanto. 
- Che stronzata. 

E la botta che ricevette per poco non lo spinse lontano, ai piedi di quella stessa panchina troppo scomoda per due corpi indecisi; seppur nascosta, la forza l'aveva. Ma restava sempre un bambino troppo grande.

- Invece no. Vedere il mondo con gli occhi di un bambino fino a renderlo un disegno. Quella è arte. 
- Quella è innocenza. 

Due rotaie opposte che non andavano d'accordo per nulla, due treni che non avevano il coraggio di fermarsi per poter assecondare quel cambio improvviso di binari; due sguardi che non avevano ancora il coraggio di incontrarsi.

- Per me è arte. 
- Per me sei ancora troppo piccolo. 
- Per me, invece, sei tu ad essere cieco. 

Cieco.
Sembrava una parola innocente: priva di volto e carica di maschere.
Non gli piaceva, quella parola; era fredda e vuota, era buia.
Non la vedeva, e un po' lo era.
Cieco.
Chi non lo era?

- Ci guardo benissmo, invece. 
- C'è differenza tra guardare e vedere, invece. 
- E tu parli come un ragazzino vissuto. 
- Me lo dicono spesso. 

E rise.
Cos
ì, dal nulla, improvvisamente: rise.
Ed il cuore di Nicolas parve scomparire.









¢¢¢









Le ruote della bicicletta bruciavano il marciapiede sotto il loro passaggio, le gambe di Nicolas sembravano accartocciarsi come carta ad ogni contrazione improvvisa, i muscoli gemevano silenziosamente sotto le spinte delle gambe. La voce parve scomparire, spezzata unicamente da ansiti ogni volta che il corpo si inclinava ad assecondare quelle pedalate sforzate; perchè, giustamente, due pesi erano difficili da portare.

- Sembri sul punto di morire, sicuro che vada tutto bene?

La dita esili e asciutte di Leonardo lo strattonarono all'altezza della vita, andandosi ad aggrappare alle maniche della felpa per trovare un appiglio sicuro; un ringhio passo fu tutto ciò che ottenne in risposta.

- Okay, grande lupo cattivo, ho afferrato il concetto.
- Bravissimo, cappuccetto.

Lo sentì agitarsi dietro di sè per qualche istante, prima che le sue gambe potessero tornare incrociate al loro posto.
Gli venne da sorridere agli sbuffi irregolari del suo naso alla francesina, con la punta rivolta delicatamente verso il cielo; probabilmente non riusciva a trovare una posizione abbastanza comoda per entrambi.
Osò voltare il viso, approfittando della bassa frequenza di macchine sulla strada, per poter osservare meglio quel cipiglio imbronciato: i riccioli corvini erano malamente appiattiti sotto quel casco pi
ù grande per la sua taglia, mentre le labbra, solitamente morbide e sciolte, erano tenute in ostaggio dai denti, specialmente quello inferiore.
Gli venne da ridere senza un motivo esatto, non appena quella fronte si aggrott
ò confusa.

- Cosa c'è? Cosa ti ridi?
- Puoi rilassarti, eh. Non ti mordo mica.
- Hai un senso dell'umorismo diversamente comico, sai?
- Fai come vuoi, ma se cadi non dare la colpa a me.

L'ennesimo sbuffo dal naso fu la goccia che fece traboccare il vaso di Nicolas: inevitabilmente, per qualche frazione di secondo, le palpebre andarono ad abbracciare lo sguardo limpido.
L'accenno di un sorriso si allarg
ò sulle labbra rosee di Nicolas nello stesso momento in cui le spalle percepirono un peso estraneo. Non ebbe neanche il bisogno di voltare nuovamente lo sguardo per poter intravedere i ricci del ragazzino, sfuggiti alla presa del casco, accarezzargli timidamente le scapole.
Le gambe di Nicolas tornarono a spingere con una dolce violenza sui pedali, accese dal calore del corpo del minore premuto contro la larghezza della sua schiena. La catena rug
gì metallicamente, il respiro tornò a spezzarsi sotto la violenza dei colpi delle gambe, ed i muscoli urlarono pietà in risposta.

- Mi scoccia non parlare, Nicolas. Questo silenzio è imbarazzante.
- Rompilo, allora.
- Non sono bravo a sciogliere il ghiaccio.

E mentre la mano sinistra di Nicolas venne impegnata a tirare
indietro il ciuffo biondo dagli occhi, la voce fu libera di schiarirsi con un colpo di tosse, roco e graffiante, a mo' di scuse colpevoli.

- E poi non vorrei vederti morire per mancanza d'aria, visto che sei già sul punto di farlo.
- Sono un ottimo ascoltatore.
- Poco fa hai detto di essere un ottimo ciclista.
- Sono anche un ottimo bugiardo.

Si fece una violenza fisica pur di non socchiudere nuovamente lo sguardo al suono, al limite del meliodico, di quella risata frizzante; un piccolo e breve raggio di sole mattutino capace di risvegliare il p
iù assonato degli animi.
Scosse la testa in risposta, prima di poter soffocare con un morso doloroso quell'ansare irrefrenabile; meritava uno sforzo, quel ragazzino.
Era un gas nobile: era stabile, bello quanto libero.

Leonardo era l'elio leggero e non infiammabile: semplicemente, riempiva.
Erano uniti, erano sempre stati uniti da un filo elastico ed invisibile, sepolto sotto un mucchio di cose di poca importanza; un filo che poteva esistere soltanto fra due come loro: due che avevano riconosciuto la propria solitudine l'uno nell'altro con la sola forza di uno sguardo.

- Ai bugiardi piace la musica?
- Come?

Le dita affusolate del ragazzino lo trascinarono alla realtà; quelle stesse dita che, qualche istante dopo, andarono a portargli i capelli all'indietro, liberandogli nuovamente la vista. Il sorriso sbarazzino del minore, premuto attentamente lungo la carne dell'elice dell'orecchio, diede a Nicolas il coraggio di abbandonare, per qualche momento, l'attenzione alla strada.

- Era un modo tenero per chiederti quale musica ti piace, idiota.
- Ascolto una musica complicata, non potresti capire.

Gli semb
quasi un miraggio quella curva che tagliava nel bel mezzo della strada, fino a trascinare chiunqua la imboccasse in quella tipica salita sterrata; e non ci credette.
Non ci credette che il tempo era già giunto al termine.
Non ci credette che erano tornati, insieme, indietro.
Bocchegg
iò a vuoto per qualche secondo, prima di poter intraprendere con un ultimo sforzo quella stradina dimenticata dagli occhi del mondo; qualche secondo dopo, fu costretto a spingere i freni con violenza.
La pressione sulle ruote posteriori seg
nò la scesa di Leonardo; che, velocemente, si slacciò il casco, abbandonandolo contro il manubrio con un sospiro liberatorio.

- Grazie per il passaggio, Nicky.

Lo sapeva.
Nicolas, come sempre, lo sapeva.
Sapeva tutto quanto, ma non riusciva a muoversi da dov'era. Come se, abbandonandosi al saluto di Leonardo, potesse ritrovarsi in trappola, annegarci dentro e perdersi per sempre. Rimase, impassibile e silenzioso, ad aspettare che fosse troppo tardi. Aveva imparato a rispettare il baratro che Leonardo aveva scavato tutto intorno a sé. Ora, invece, si accontentava di sedersi sul ciglio con le gambe a penzoloni nel vuoto.

Quello sguardo cobalto, spietato e dolce, lo struggeva lentamente nel profondo; sembrava poter decidere se distruggerlo o graziarlo con una sola, impercettibile flessione delle sopracciglia.

- Non vai?

Chiese, anticipando le parole altrui con un battito di sopracciglia.

- Pensavo.
- Leonardo, i miracoli non esistono.
- Fanculo, Nikcy, pensavo alla tua music
a.

Quel ragazzino lo faceva apposta ad essere così silenzioso in ogni suo movimento. Sapeva che il disordine del mondo non poteva che aumentare, che il rumore di fondo sarebbe cresciuto, fino a coprire ogni segnale coerente; ma era convinto che, misurando attentamente ogni suo gesto, avrebbe avuto meno colpa di quel lento disfacimento.

- Cosa vuoi dalla mia musica?
- Voglio vedere cos'ha di complicato, voglio ascoltarla. Voglio disegnarla.
- Tu sei matto.

E rise, ancora; rise talmente forte che Nicolas sentì le costole vibrare sotto quel rimbombo improvviso.

- Dico davvero, Nicolas. Promettimi che mi farai ascoltare la tua musica.
- Io e le promesse abbiamo una relazione alquanto complicata.
- Mentimi, se necessario. Ma promettimi che mi farai ascoltare la tua musica.

Le mani di Nicolas strattonarono con maggior forza il manubrio, i piedi sfreggiarono il suolo sotto di loro, mentre un sorriso divertito si imposses
sò delle sue labbra screpolate; neanche aveva sentito il freddo, quella mattina.

- Te lo prometto.













 

















   
 
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