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Autore: L S Blackrose    16/03/2015    2 recensioni
[breve storia collegata a 'Burn in my frozen heart like a dancing flame']
Nuovo contesto, stessi protagonisti.
In questa nuova visione di Chicago le fazioni sono in pace. Nessuna guerra minaccia la stabilità del sistema, nessuna fazione vuole prevaricare.
Zelda ha diciannove anni. Ha scelto di rimanere tra gli Eruditi, di continuare a vivere assieme a suo padre e ai suoi amorevoli fratelli maggiori.
E' ambiziosa, determinata. Convinta che nulla riuscirà a distogliere la sua attenzione dall'obiettivo che si è prefissata.
Ma non ha fatto i conti con Eric, l'arrogante Capofazione degli Intrepidi...
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Dal testo (Eric POV)
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Conosco la fama della famiglia Blackburn: padre e figli, tutti dottori di successo. Non sapevo dell'esistenza di una figlia.
Lei mi volta le spalle per sciacquarsi le mani. Alza le maniche del camice e si insapona gli avambracci fino ai gomiti con scrupolosità. - Quello che ho detto prima è vero. Non avrei mai accettato di medicarti se non fossi stata assolutamente certa di esserne in grado. Adesso sei sotto la mia responsabilità -.
Mi scocca un'occhiata furba e afferra un paio di forbici.
Ok, lo ammetto, ora ho paura.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Zeric - Flame of ice'
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Capitolo 2

 

- Away from the sun -


 


 

'Cause now again I've found myself
So far down, away from the sun
That shines into the darkest place

(3 Doors Down)




 

Zelda

 

 

Ho delle occhiaie spaventose.

Stamattina sono quasi scoppiata a piangere quando mi sono guardata allo specchio. La notte scorsa non ho chiuso occhio, ero troppo tesa.
Tutto per colpa di quella richiesta assurda.

Maledetto lui e chi lo ha nominato Capofazione!
Ho pregato mio padre in cinque lingue diverse, ma non c'è stato verso di fargli cambiare idea.
Non si contesta un ordine impartito da un leader, non importa a quale fazione appartenga.

Quindi eccomi qui, davanti all'entrata della residenza degli Intrepidi.

Stringo tra le dita l'autorizzazione firmata da Jeanine in persona e osservo con le sopracciglia corrugate le pareti esterne del palazzo di vetro.
Non ho mai messo piede nei territori rivendicati dalle altre fazioni: sono sempre rimasta nel mio quartiere, quello degli Eruditi. E' il luogo a cui appartengo, la mia casa.

Perché avrei dovuto allontanarmi?

Una mano si posa delicatamente sulla mia spalla. «Tutto bene, sorellina?».
Volto la testa e incrocio gli occhi verdi di Damien. Mio fratello mi sorride con fare rassicurante. «Sei pallida. Non avrai paura di qualche Intrepido tatuato, vero?».

Stringo le labbra. «Io non ho paura» dichiaro, risoluta. «Men che meno di un manipolo di individui che si divertono a piantarsi pezzi di metallo nel corpo e provano un piacere perverso nel prendersi a pugni a vicenda».

Ho parlato a raffica, come faccio sempre quando sono nervosa.
Damien lo sa, mi conosce bene. Infatti continua a sorridere, condiscendente.

Calma, Zelda. Non ti stai avviando al patibolo, devi solo togliere dei punti di sutura.

Se solo riuscissi a catalogare quel Capofazione come un paziente qualsiasi...
Scaccio il pensiero prima ancora di concluderlo.

Alzo il mento e comincio a camminare verso le porte scorrevoli del palazzo, seguita a poca distanza da Damien.
Un Intrepido ci viene incontro non appena attraversiamo la soglia: ha corti capelli castani e penetranti occhi blu.

So chi è.
E' Tobias Eaton, ex Abnegante, ora istruttore. Figlio di Marcus Eaton, il capo del governo.
Dietro il suo corpo massiccio scorgo un'altra persona, una ragazza minuta dai lunghi capelli biondi. Sono entrambi vestiti interamente di nero, incutono timore.

La ragazza mi sorride. La prendo subito in simpatia. «Tu devi essere Zelda Blackburn. Ti stavamo aspettando. Io sono Tris». Fa un cenno col capo verso l'altro Intrepido. «E lui è Quattro». Dallo sguardo complice che si scambiano si capisce che tra loro c'è un legame profondo.

Che strana coppia.

Tobias, anzi Quattro, squadra mio fratello da capo a piedi con un sopracciglio inarcato. «E tu chi saresti?». Più che ostile, il suo è un tono di sufficienza.
Damien si schiarisce la voce. «Sono suo fratello. Damien Blackburn».

La sua mano tesa viene ignorata da entrambi gli Intrepidi.
Quattro incrocia le braccia, mettendo bene in mostra i muscoli. «Non sei autorizzato ad entrare» decreta, lapidario. «Abbiamo ricevuto istruzioni precise».
Tende la mano e io gli allungo il foglio firmato dalla mia Capofazione. Annuisce e mi fa segno di seguirlo.

Scocco un'occhiata interdetta a Damien.
Non voglio che mi lasci sola nella tana del nemico.

Lui sembra percepire la mia agitazione. Non è difficile, visto che sono rigida come un cavo d'acciaio. Mi tremano perfino le gambe.

Mio fratello mi dà una piccola spinta alla base della schiena. «Forza, vai. Non temere, ti aspetto qui». Il suo sorriso mi scalda come un raggio di sole in piena estate. «E se qualcuno si azzarda ad allungare le mani, usa le tue conoscenze mediche per fargli più male possibile».

Alzo gli occhi al cielo. Sicuramente qualcuno allungherà le mani.
E so già di chi si tratta.

Biondo, spalle larghe, braccia tatuate.
In una parola, Eric.

Fra poco lo rivedrò. Rivedrò quell'arrogante ragazzo che ha osato infestare i miei sogni per tutta la settimana. E di certo non potrò fargli male, visto che sono qui in veste di medico apposta per prendermi cura di lui.

Ogni volta che ripenso al suo bacio sento le labbra bruciare.
Non scorderò mai quel giorno.

Né il colore incredibile dei suoi occhi: grigio argento, come il cielo durante una feroce tempesta.
Né la scintilla d'elettricità che è corsa tra noi mentre lo toccavo. Se chiudo gli occhi riesco perfino a percepire il suo respiro sul collo, il suo odore di cuoio e metallo, proprio come se fosse ancora vicino a me.

Mi riscuoto dalle mie fantasticherie e mi affretto a tenere il passo dell'Intrepido che mi fa da guida.
Quattro non è molto amichevole: non sorride, non accenna a fare conversazione, non mi guarda nemmeno. Procede nel corridoio a passo di marcia, sono quasi costretta a correre per non rimanere indietro.

Ci inoltriamo nel cuore della residenza, procedendo su rampe di scale intagliate nella roccia. Man mano che scendiamo di livello, il mio cuore raddoppia i battiti.

Sono stata una stupida.
Non avrei dovuto baciarlo a mia volta.

Il fatto è che … volevo farlo. Non mi sono soffermata a pensare, ho semplicemente seguito l'istinto. Non è da me: io sono sempre stata estremamente razionale. Prima di prendere una decisione pondero tutte le possibili conseguenze, sia i punti negativi che quelli positivi, e solo dopo un'attenta analisi agisco.

Ma come potevo resistergli?
Quanto vorrei baciarti ancora, aveva mormorato al confine tra sogno e veglia. E, mandando al diavolo la mia peculiare razionalità, ho esaudito il suo desiderio.

Non che mi sia dispiaciuto, quello no.
Ho dovuto faticare molto per non ricambiare il suo bacio: dopo l'iniziale sorpresa, avrei voluto circondargli il collo con le braccia e attirarlo a me, sentire il suo corpo premere contro il mio.

Ma l'indignazione ha prevalso sull'attrazione.
Per quanto un ragazzo mi possa piacere, non accetto che mi si manchi di rispetto. Ha calpestato la mia dignità, mi sono sentita insultata come donna e come medico.

Se ci fossimo trovati al di fuori dell'ospedale, avrei potuto passare sopra all'orgoglio e ricambiare le sue attenzioni.
Ma lì i nostri ruoli erano molto ben definiti.
Lui era un mio paziente e le regole etiche parlano chiaro: nessuna interazione personale tra medico e paziente. Il mio preciso dovere è curare il prossimo senza lasciarmi coinvolgere troppo.

E lui mi ha coinvolto anche più del lecito.

Conosco i tipi come lui: troppo abituati ad essere obbediti ciecamente, considerano tutti dei subordinati e non accettano rifiuti. Credono di poter comandare ovunque vadano, senza tenere in conto sentimenti e pensieri altrui.
Beh, mi dispiace, ma io non sono un oggetto.

E nemmeno una di quelle ragazze che cadono ai piedi del primo fusto che vedono.

Eric è affascinante, non lo metto in dubbio nemmeno per un secondo. E' un bel ragazzo e ha una personalità magnetica che mi attrae come una calamita, ma farà meglio a mantenere le distanze d'ora in poi.

Non sono disposta a tollerare di nuovo i suoi modi arroganti e quel suo atteggiamento da 'faccio quel che voglio, con o senza il tuo permesso'. Deve imparare che non tutto gli è concesso. O inizierò a pensare che abbia più tatuaggi che cervello.

Sono esattamente un passo dietro Quattro, quando lui si blocca di colpo.
Mi fermo a mia volta in mezzo al tunnel di pietra e trattengo il respiro.

Siamo già arrivati? Oh, no, non sono ancora pronta psicologicamente per trovarmi faccia a faccia con Eric!

Sento già le guance avvampare. Devo ritrovare al più presto una briciola di autocontrollo se voglio uscire di qui indenne.
Mi sporgo oltre le spalle di Quattro per avere un'idea di cosa mi aspetta, ma vedo solo buio. E una ragazza appoggiata alla parete.

Ha i capelli castani, rasati da un lato e lunghi dall'altro. Due file di piercing adornano le sue orecchie e gli occhi chiari sono contornati da una spessa linea nera.

Sta abbottonando in fretta la camicetta nera che la fascia come una seconda pelle, i lineamenti del viso contratti.
Fa un cenno verso l'Intrepido che mi precede. «Quattro», lo saluta e poi si accorge di me. Le sue labbra si storcono in una smorfia non appena mette a fuoco i miei vestiti azzurri e la mia valigetta di pelle scura. «Non sei un po' troppo giovane per essere un dottore?» mi apostrofa, in tono velenoso.

Rimango spiazzata e deglutisco, a disagio. «Ehm, io non … ». Cerco di trovare qualcosa di sensato da dire, ma non è facile dato che lei continua a fissarmi come se volesse incenerirmi con lo sguardo.

Che le ho fatto?

«Cosa ci fai qui, Kelly?» esordisce Quattro, mettendo fine al mio patetico tentativo di replica.

Lei scrolla le spalle. «Niente. Mi aveva chiamata Eric, ma a quanto pare ora ha qualcosa di meglio da fare». Mi scocca un'altra occhiata al vetriolo, prima di allontanarsi sbattendo rabbiosamente le scarpe sul pavimento di roccia.

Quattro scuote la testa. «Non prendertela, è fatta così».
Si fa da parte e allunga un braccio per indicarmi la porta in fondo al corridoio. «Quella è la stanza di Eric. Vi lascio soli. Se hai bisogno di qualcosa, chiamami. Resto qui fuori».

Ho smesso di ascoltarlo dopo quel 'vi lascio soli'.

Ma è pazzo?

Sono tentata di aggrapparmi con le unghie alla sua maglietta, supplicandolo di entrare con me. Mi fido a malapena di me stessa in presenza di Eric, figuriamoci se mi fido di quel Capofazione!

Quattro non ha idea della situazione in cui mi sta cacciando. Mi sento come un agnello che sta per essere gettato nella fossa dei leoni.

«D-d'accordo» balbetto, stritolando tra le dita la valigetta col kit di pronto soccorso. Avanzo fino alla spessa porta d'acciaio e faccio un respiro profondo per calmarmi.
Non funziona.
Costringo la mia mano ad alzarsi e busso con le nocche sul freddo metallo.

Dall'interno giunge un grugnito, poi qualcuno spalanca la soglia di botto. «Kelly, mi sembrava di averti detto di … » ruggisce Eric, prima di accorgersi dell'errore.

Beh, la similitudine con i leoni non era così campata in aria, dopotutto.

Il Capofazione rimane impalato a fissarmi. Ha gli occhi sbarrati come se si fosse appena imbattuto in un alieno.
Mi schiarisco la voce con un colpo di tosse. «Mi sembri in forma» dico, tanto per rompere il ghiaccio. Sposto il peso da un piede all'altro ed evito di guardarlo direttamente negli occhi.

Lui si riprende dallo stato di shock quel tanto che basta per invitarmi ad entrare.

La sua stanza è grande, ma arredata in modo semplice. Essenziale è la parola giusta: pochi mobili, nessun quadro o fotografia alle pareti, tutto ordinato in modo meticoloso.
Non sono sorpresa, rispecchia molto bene il carattere del proprietario.

Appoggio la valigetta di pelle sulla scrivania accanto al letto.

Eric si siede sul materasso e mi fissa a lungo in silenzio. Indossa solo un paio di jeans neri sdruciti. La vista del suo torace nudo mi distrae parecchio, perciò mi affretto a voltargli le spalle. Rovisto nella borsa senza uno scopo preciso. «Allora, come va la ferita?» chiedo, in tono abbastanza composto.

Lo sento sospirare. «Ho sopportato di peggio».

«Sei rimasto a riposo per qualche giorno come ti avevo consigliato?» domando, mentre recupero il necessario per togliere i punti. Faccio una pausa e poi aggiungo: «E con riposo non intendo quello che stavi facendo pochi minuti prima che entrassi».

Un silenzio attonito segue le mie parole.
Mi giro lentamente per osservare l'espressione del Capofazione. Lui mi guarda perplesso, la fronte corrucciata. «A cosa ti riferisci?».

Faccio un gesto vago con la mano. «Alla ragazza che ho incontrato qui fuori. Aveva la camicia mezza aperta e alcuni bottoni mancavano all'appello».
La mia espressione deve essere eloquente, perché Eric fa un ghigno divertito.
«Non è come sembra. Hai frainteso» afferma con convinzione. Sembra quasi che voglia giustificarsi con me.
Ci casco solo per un momento. «Potrei anche crederti … se non avessi i pantaloni slacciati» ribatto, puntando gli occhi sulla cerniera dei suoi jeans.

Cattiva idea.

Sento che sto per arrossire, quindi distolgo lo sguardo prima che si accorga del mio imbarazzo.
Eric si lascia scappare un'imprecazione e richiude in fretta bottone e lampo. Pare anche più a disagio di me.

Scuoto la testa e mi avvicino a lui con lentezza calcolata.
È solo un paziente, solo un paziente, ripeto tra me, nel vano tentativo di calmare i battiti accelerati del mio cuore.

Tolgo la benda dal suo braccio ed esamino attentamente la ferita. Si è rimarginata quasi del tutto: le nuove medicine sperimentali fanno miracoli. Non rimarrà nemmeno la più sottile cicatrice.
Soddisfatta, procedo con la rimozione dei punti.

Eric non dice niente. Non muove nemmeno un muscolo, sembra scolpito nella pietra da quant'è immobile.

Oggi niente aggressioni in programma?
Accidenti a me, perché ho avvertito una fitta di delusione a quel pensiero?

Lui si limita a fissarmi, mettendomi ancora più in agitazione. Dopo due minuti esplodo. «La vuoi piantare di guardarmi in quel modo?» esclamo, le guance che scottano.
I suoi occhi puntati su di me mi fanno sentire fragile, vulnerabile. Come se fossero in grado di leggermi dentro. Detesto questa sensazione.

Eric non mostra alcuna emozione. «Perché, come ti starei guardando?» indaga, in tono volutamente indifferente. Attende educatamente la mia risposta, un sorrisetto di sfida dipinto sulle labbra.

Indietreggio di qualche passo, mettendo un po' di distanza fra noi. Mi sembra di non riuscire a respirare. «Io … ecco … come … come se volessi spogliarmi!».

Oddio, no, non posso averlo detto sul serio.

Mi mordo un labbro, desidero ardentemente sparire il più lontano possibile.
Avrei fatto meglio a pregare Quattro di non abbandonarmi nelle grinfie del Capofazione. Sapevo che mi sarei cacciata nei guai. Maledetta la mia boccaccia.

Eric ha perso il cipiglio distaccato. Ora sorride apertamente. «Ma davvero? Era così evidente?» chiede, in tono perfidamente divertito. «Perdonami. Cercherò di mascherare meglio i miei pensieri d'ora in poi».

Non so se strozzarlo a mani nude, o soffocarlo di baci.
Ardua scelta.

In ogni caso lo metterei a tacere. È pericoloso quando apre bocca: quasi quasi lo preferivo quando mi fissava in silenzio.

Mi aggiusto i capelli, tirando dietro le orecchie i ciuffi sfuggiti all'acconciatura. Cerco di ritrovare un briciolo di professionalità. «La ferita è a posto, non dovrebbe più darti problemi. Se senti fastidi o bruciore è normale».

Eric inclina il capo e mi lancia uno strano sguardo. «Quindi adesso posso fare qualsiasi cosa? Non è necessario che rimanga a riposo, giusto?».

Il suo tono pieno di sottintesi non mi piace per nulla. Mi chiedo dove voglia arrivare. «Beh, no. Puoi tranquillamente tornare a lanciare coltelli, gettarti dai treni, e qualsiasi altra cosa facciate voi Intrepidi nel tempo libero».

Il Capofazione sorride. E' il sorriso famelico di un lupo che sa perfettamente di avere la preda in pugno. «Buono a sapersi» mormora, un attimo prima di afferrare il colletto della mia camicetta per attirarmi a sé.

Prima che possa protestare, mi ritrovo imprigionata tra le sue ginocchia. Lui mi circonda la vita con un braccio, proprio come ha fatto quel giorno all'ospedale. Con l'altra mano afferra la matita che tiene fermo il mio chignon e la sfila delicatamente.

«Che ti salta in testa?» strillo, provando a districarmi dalla sua presa.
Impossibile, ha molti più muscoli di me.

I capelli mi ricadono liberi sulle spalle e lui li osserva incantato, come un bambino che vede le stelle per la prima volta. Immerge le dita tra le mie ciocche e mi massaggia la nuca con i polpastrelli.
Trasalisco. Il suo tocco è piacevole, mi fa venire la pelle d'oca sulle braccia.

No, no, non va bene.

«Eric, lasciami» ordino con voce tremante.
Lui non mi dà retta e si avvicina ulteriormente. Le sue labbra sono a due centimetri dalle mie. «Mi piace come pronunci il mio nome. Dillo di nuovo».

Non lasciarti tentare.

«Mollami, o giuro che mi metto a urlare».
«Accomodati, piccola. Tanto nessuno ti sentirà».

Non lasciarti intimorire.

«Dico sul serio, Eric. Credimi, tu non vuoi vedermi veramente arrabbiata... ».
«Oh, invece sì. Dovevi vederti quando ti ho baciata. I tuoi occhi mandavano lampi, eri uno spettacolo».

Non lasciarti distrarre.

Non …

Oh, al diavolo.

Mi aggrappo al suo collo con entrambe le braccia e affondo le labbra nelle sue, già socchiuse. Se è sorpreso, non lo dà a vedere. Anzi, mugugna d'approvazione. «Quasi non ci speravo più» riesce a sussurrare, prima che la mia lingua lo metta a tacere una volta per tutte.
Da impaziente, il bacio si fa via via più lento, più sensuale.

Eric si sdraia all'indietro sul letto, trascinandomi con sé. Appoggio un palmo sul suo petto nudo, il contatto fa sobbalzare entrambi.
E mi riscuote dal torpore.

Che diamine sto facendo?!

Balzo in piedi come una molla, il respiro affannoso e i pensieri fuori controllo. Mi porto le mani al viso: ho la pelle bollente. «No, no, no. Non doveva succedere di nuovo» sbotto, sull'orlo di una crisi isterica.
Chiudo gli occhi per ritrovare la concentrazione.

Non ho mai provato niente del genere per nessun ragazzo. Sono uscita con alcuni compagni dell'università, con due di loro è durata anche per qualche mese. Ma accanto a loro non mi sentivo confusa, né agitata, né elettrica come quando sono con Eric.

Perché adesso? Perché lui? Cos'ha lui in più degli altri?

Eric si rimette seduto e protende una mano verso di me. «Zelda … » inizia a dire, ma io lo zittisco con un'occhiata furente.

«Basta, ne ho avuto abbastanza!» grido, puntandogli un dito contro. Riverso tutta la mia frustrazione su di lui: le notti insonni di certo non mi aiutano a essere diplomatica. «Prima di incontrarti avevo tutto sotto controllo. Pensavo unicamente alla carriera, ai miei studi. Voglio diventare pediatra, sai? Mi piacciono molto i bambini, ho sempre desiderato specializzarmi in quel ramo della medicina...».

Sto divagando. Prendo un bel respiro e inchiodo Eric con il mio miglior sguardo minaccioso. «E poi arrivi tu! Piombi in quell'ospedale come un meteorite … e mi baci … e … metti in discussione tutte le mie convinzioni! Io non voglio complicazioni, la mia vita mi va bene così com'è». Scuoto la testa. «Perché mi hai fatto questo? Cosa vuoi da me?».

La mia voce si incrina. So cosa vuole da me, l'ho sentito mentre gli stavo sdraiata addosso sul letto. Probabilmente mi vede come una sfida, una novità rispetto alle ragazze Intrepide di cui si circonda abitualmente.
Questo pensiero mi colpisce come un pugno nello stomaco. Per lui è solo un gioco, nulla di importante. Un semplice passatempo per combattere la noia.

Stupida illusa. Che ti aspettavi? E poi nemmeno tu vuoi un fidanzato, quindi dov'è il problema?

Digrigno i denti. «I nostri rapporti finiscono qui. Rimani nella tua fazione e scordati per sempre di me. Dimentica la mia esistenza, tanto non ci rivedremo mai più».

«No».

Sgrano gli occhi al suono di quella sillaba.
Lo sguardo di Eric è tranquillo. Nessun segno di imbarazzo o irritazione nelle sue iridi grigie.

«Come?» farfuglio, non sapendo come interpretare quel rifiuto categorico.

Lui allunga la mano verso il mio polso. Fa scorrere un dito sulla mia pelle, senza perdermi di vista. Ho le vertigini: mi sento come se stessi in bilico sul bordo di un cornicione a trenta metri d'altezza.

Eric gioca distrattamente con un bottone della mia camicetta. «Quando ti ho vista venire verso di me in quel corridoio d'ospedale, credevo di avere le allucinazioni. E' stato come veder sorgere il sole dopo un mese ininterrotto di pioggia». Corruga le sopracciglia come se lui per primo fosse sorpreso delle parole che gli sono appena uscite di bocca. «Mi hai colpito. Non avrei dovuto aggredirti in quel modo, lo so, ma in quel momento l'unico pensiero che riuscivo a formulare era che dovevo baciarti. Dovevo baciarti, ad ogni costo, o l'avrei rimpianto a vita».

La sua espressione si fa assente. Guida la mia mano sul suo petto e la posiziona a sinistra, esattamente sopra al suo cuore. «Lo senti?» chiede, ed è ovviamente una domanda retorica perché è impossibile non avvertire i battiti frenetici di quel piccolo muscolo che pulsa sotto pelle.

Gli occhi di Eric si fanno più luminosi, brillano nella penombra come due diamanti. «Nemmeno io volevo che accadesse. Sono sempre bastato a me stesso, non ho mai avuto bisogno di nessuno. Le ragazze con cui sono stato in passato non contavano poi molto: sono stato sincero con loro fin dall'inizio, non le ho mai illuse». Tace per qualche istante e stringe forte la mia mano tra le sue. «Ma nessuna di loro … non ho mai desiderato nessuna come desidero te». Mi bacia le nocche, il metallo dei suoi piercing lascia una scia bruciante sulla mia pelle. «Ti sogno, ti penso in continuazione ... Ogni volta che chiudo gli occhi vedo il tuo viso, come se fosse inciso a fuoco dentro le mie palpebre. Anche prima, con Kelly … non è successo nulla. Cioè, ho provato a … insomma … », fa una smorfia e si gratta la guancia, «però non la vedevo nemmeno». Punta i suoi occhi d'argento nei miei. «Mi hai veramente abbagliato, mio piccolo raggio di sole».

Trattengo il fiato.
Tutto mi aspettavo, tranne una confessione del genere.

Il tono di Eric è deciso, ma anche tenero, e di certo non sta fingendo. Lavoro ogni giorno con i bambini, ormai sono ferrata nel riconoscere quando qualcuno mente.

E lui non lo sta facendo.
I suoi occhi comunicano tutte le emozioni che tenta di tenere nascoste dentro di sé. «Resta con me. Non andartene, Zelda».

Una lacrima fa capolino tra le mie ciglia.

Mi aggrappo ad Eric come se fosse la mia ancora, la mia unica speranza di salvezza in un oceano in tempesta. «Eric, noi … io … non posso. Apparteniamo a fazioni diverse. I nostri orizzonti, i nostri ideali sono … opposti». Faccio un sorriso amaro. «E poi … non ci conosciamo nemmeno. Tra noi c'è solamente una forte attrazione, niente di più. Non facciamone un dramma. Vedrai, ti scorderai in fretta di me».

Lui scuote la testa. «Sappiamo entrambi che non è vero». Il suo tono è sconfortato, abbattuto. Sa che ho ragione: non potrà mai esserci nulla tra noi.
Mi sento come se il mio cuore fosse sul punto di sbriciolarsi.

Devo andarmene da qui.

Lascio una carezza sulla guancia del Capofazione, mi imprimo i suoi lineamenti spigolosi nella memoria. «Non rendermi le cose ancora più difficili» mormoro, sfiorando il suo zigomo con il pollice. «Non cercarmi, non tentare di incontrarmi di nuovo. Questo è un addio, Eric».

Lo bacio con disperazione.
E' davvero possibile innamorarsi di una persona senza riserve, in così poco tempo?

Non lo so.
So solo che questo sentimento che sta nascendo in me è potente e pericoloso.
E devo soffocarlo prima che mi distrugga.

Eric non accenna a mollare la presa su di me. Mi abbraccia convulsamente, lo sento tremare. «No, mi rifiuto di … ».
Si interrompe per emettere un acuto gemito di dolore. Si porta una mano alla spalla e mi guarda rabbioso.

Ho fatto l'unica cosa che sapevo l'avrebbe costretto a lasciarmi andare: gli ho piantato le unghie nel braccio, proprio accanto alla ferita.

Con uno slancio laterale afferro la valigetta e corro verso la porta. La spalanco e vedo il profilo di Quattro stagliarsi in controluce nel tunnel.
Esito solo un istante.

Getto un'ultima occhiata all'Intrepido che ormai possiede il mio cuore.

«Addio, Eric».












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Alt! Calma!
Mettete giù quei pomodori, la storia non è finita ;)
Chi mi conosce sa che detesto i finali tragici, quindi ... vi lascio con la suspence!! Muahahaha
Prossimo aggiornamento previsto per mercoledì!
Attendo come sempre i vostri commenti e vi aspetto nella mia pagina Facebook (
https://www.facebook.com/pages/Lizz/1487353441540966?ref=bookmarks)

Grazie a chi ha recensito finora (risponderò al più presto a tutti)! ;)
Baci,
Lizz

p.s. nel prossimo capitolo, un Eric come non lo avete mai visto xD





 

   
 
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