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Autore: Ram92    16/03/2015    1 recensioni
Sono passati circa dodici anni dall'inizio della Grande Era della Pirateria. Tra pirati e Marina lo scontro è aperto. Nel frattempo, su una remota isola del Mare Occidentale, una bambina dai capelli rossi cresce con un piccolo, grande sogno.
(Storia ideata ai tempi di Punk Hazard)
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Benn Beckman, Ciurma di Shanks, Nuovo personaggio, Shanks il rosso, Yasopp
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'La leggenda del fantasma rosso'
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Capitolo trentacinque.

- Faresti meglio a non muoverti.
- Invece… io penso che dovremmo… toglierci di qui piuttosto rapidamente…
- E non parlare. – aggiunse Midori. – Sforzi i muscoli dell’addome e riapri i tessuti.
I pezzi di stoffa che aveva tagliato dal fondo del mantello si stavano già impregnando di sangue, segno che la ferita continuava a riaprirsi. Senza delle vere garze non avrebbe potuto fare una fasciatura resistente.
L’uomo sorrise stancamente.
- Sembra… che abbia avuto fortuna… ho trovato un pirata davvero… in gamba…
Midori scelse di ignorarlo. Se proprio ci teneva a morire dissanguato erano problemi suoi.
- Io ho fatto il possibile. Dovresti sopravvivere ancora per un po’. – disse con voce piatta. – Dammi almeno un quarto d’ora e poi dai pure l’allarme al quartier generale. Ricordati di sbarazzarsi delle bende prima che arrivino i soccorsi.
- Sai… si dice che la pena per chi fallisce qui… sia la morte… Dicono… che Onigumo si occupi personalmente… di chi torna alla base a mani vuote…
Il tono dell’uomo sembrava quasi divertito. Midori si chiese dove volesse andare a parare.
- Quello che non sanno… - aggiunse lui. – E’ che chi fallisce… potrebbe proprio non tornare affatto…
- Cosa intendi dire?
Con una mano tremante, l’uomo scostò quel che rimaneva della giacca della Marina. Appese alla cintura stavano tre piccole bombe a mano. Su di esse, targato in bianco, il simbolo del gabbiano insieme a un codice: H109.

Benn si accese una sigaretta, ne aveva veramente bisogno. C’era anche il caso fosse l’ultima.
Non poteva permettersi di parare nuovi colpi altrettanto potenti. Non ne aveva la forza, non ne aveva il tempo. Quello scontro doveva chiudersi in fretta o non sarebbe finita bene.

Quando la squadra della Marina era giunta sul posto, il pirata era semplicemente sparito.
La gente aveva indicato una direzione ed era corsa, come da protocollo, a nascondersi in casa. Gli uomini avevano seguito la strada indicata, si erano divisi per cercare meglio, ma del gigantesco Vargas sembrava non essere rimasta alcuna traccia.
Il comandante in capo era sconcertato e tremante di rabbia. Non aveva mai prestato orecchio alle storie che giravano su Onigumo, non credeva a quelle assurdità che lo dicevano capace di uccidere i propri uomini per un semplice fallimento. Con che faccia, tuttavia, avrebbe potuto tornare alla base dicendo di aver perso un uomo della taglia di Vargas in una città rimasta deserta?
- Signore… - provò a chiamarlo timidamente uno dei suoi.
- Cosa stai lì impalato?! – scoppiò il comandante, esasperato. – Dobbiamo trovare quel maledetto pirata, costi quel che costi! Ne va dell’orgoglio di questa base e della Marina tutta! Ne va dell’onore! Ne va della carriera! Ne va del… - solo allora notò che l’intera truppa lo circondava immobile. – Beh? Cosa vi succede?! – continuò a strepitare.
- Signore… - provò ancora a dire il ragazzo che già aveva parlato. – Io credo, sì, credo che lo abbiamo trovato.
Il comandante finalmente si decise a seguire lo sguardo dei suoi subordinati.
Nascosto soltanto dall’ombra di un vicolo, una specie di mezzo gigante se ne stava appoggiato al muro di una casa. Quando si distaccò dalla parete, il suo volto entrò nella luce del giorno. La faccia era la stessa di quella del poster.
- Salve. – disse la voce profonda del pirata, accennando un goffo segno di saluto.

Il carro era ormai solo un minuscolo puntino sull’orizzonte, ma Midori non ebbe la minima esitazione.
Estrasse la katana e diede un colpo secco. La terra tremò un istante e il puntino parve fermarsi.
- Complimenti… - sibilò l’uomo ormai senza forze.
- Hai già parlato fin troppo. – replicò la donna rinfoderando la lama. – Gli otto minuti sono quasi scaduti, conserva la voce per quello. Io torno subito.

- Signore, mancano solo cinque minuti.
Il sergente si strinse la testa tra le mani e digrignò i denti. Attorno a lui, gli uomini lo osservavano perplessi. Loro non sapevano. Non dovevano sapere.
- Sergente… - provò a chiedere uno dei Marine preoccupato.
- Preparate il dispositivo di emergenza H109. – lo interruppe bruscamente il superiore, alzandosi in piedi.
Gli occhi degli uomini si illuminarono. Immaginavano chissà quale arma ed erano emozionati al pensiero di poterla finalmente vedere all’opera. Loro non sapevano.
Un den-den mushi squillò mettendo fine a quel silenzio carico di speranze malriposte. Il sergente sperò intensamente in un contrordine da parte del capitano. Forse la battaglia con Beckman era vinta, forse…
- Signore, una comunicazione dalla squadra due. –  annunciò invece l’addetto. – Hanno trovato il pirata Vargas. Dobbiamo approntare il dispositivo H109 anche per loro?

Uno dei Marine si gettò anche ai piedi di Gale, un altro si affrettò come poteva per dargli man forte. E un altro e un altro ancora.
- Ehi, ma…! – esclamò Ryoku cercando di divincolarsi. – Ma cosa…?
- Che seccatura. – commentò il medico acidamente. – Se tu non ti fossi messo a chiacchierare saremmo potuti essere già lontani da qui.
- Non è colpa mia! – protestò l’altro. – Chi avrebbe mai immaginato che questi avrebbero reagito così!
- Già, perché proprio non avevi avuto modo di notare che fossero dei tipi insistenti, eh? – ribatté Gale, alzando il tono di voce.
- Ma cosa c’entra, loro erano a terra, io non pensavo…
- E’ proprio quello il problema, sai, tu non pensi, non pensi mai a quello che potrebbe succedere e dopo “non è colpa mia” e “chi avrebbe immaginato”!
Un po’ perplessi ma felici, i Marine si scambiarono uno sguardo d’intesa. Sembrava che per lo meno fossero riusciti a fermarli.

Fu Onigumo a farsi avanti per primo. Benn non si mosse.
Le otto katane puntavano dritte su di lui. Aspirò profondamente un’ultima boccata di fumo portando la mano alle labbra. Osservò attentamente il cerchio delle lame che gli veniva incontro a gran velocità.
Aspettò il momento giusto. Tolse la cicca dalla bocca. Stese il braccio.

- Cerca di tenerti a qualcosa. – intimò Midori riprendendo le redini.
- Sei stata… veloce… - commentò l’uomo osservando i quattro tizi bendati e imbavagliati che si stringevano l'uno all'altro legati mani e piedi.
- E cerca di tacere. – ribadì la donna per l’ennesima volta.
Prima che l’altro avesse modo di ribattere, diede di sprone ai cavalli e il carro ripartì a gran velocità.

Le lame vibrarono attorno al braccio nudo del pirata, immobilizzate più per lo stupore che non per il dolore fisico. La brace sfrigolò mentre Benn tracciava una linea lungo l’attaccatura dei capelli. L’odore della pelle bruciata si mescolava a quello del sudore.
Prima che il capitano potesse riprendersi dalla sorpresa, Benn gli sferrò un calcio ben assestato al ventre. Mentre di fronte a lui Onigumo capitolava a terra senza un gemito, lasciò cadere la sigaretta e impugnò il fucile dalla parte della canna.
- Era l’ultima. – constatò gettando il pacchetto ormai vuoto. – Non ti dispiace, vero?- aggiunse sfilandogli le sigarette dalla tasca.
Gli occhi del capitano erano ancora spalancati e muti, le katane sparse e inerti attorno a lui.
- Tanto mi sa che per un po’ non ne avrai bisogno. – aggiunse allontanandosi, dopo averlo tramortito con il calcio del fucile.
 
  
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